La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili
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Info su questo ebook
Puglia: più che una regione, un continente. Lo confermano i suoi orizzonti mai uguali, rocciosi, friabili, erbosi, lunari o liquidi, dal Subappennino al Gargano, al Tavoliere, alle Murge, alla campagna a perdita d occhio, al mare che la incornicia per più di ottocento chilometri. Una terra la cui storia racconta la molteplicità di territori, lingue e culture che la compongono, eredi di vicende plurimillenarie. Della Puglia questo libro offre una mappa essenziale fatta di cento luoghi emblematici, raccontando una storia inscindibile dalla geografia, dagli uomini, dalle civiltà plurime che hanno plasmato il territorio regalandole un inesauribile varietà di volti, voci, consuetudini e paesaggi culturali. Tante storie tenute insieme da quelli che sono ormai gli elementi strategici di ogni narrazione di tempo e memoria: territorio e cultura. Luoghi fisici e simbolici, oggi più che mai necessari per contrastare la perdita del senso di appartenenza e rispondere anche ai bisogni di un turismo culturale sempre più esigente, in cui l’identità si ricompone attingendo al passato per progettare il futuro.
Tra i 100 luoghi memorabili:
Lesina. Le pietre nere, ovvero quando la puglia nacque dal fuoco e dal mare
Altamura e San Marco in Lamis. Jurassic Puglia
Oria. L’identità pugliese, gli iapigi e la loro prima città
Castro. L’approdo di Enea
Canosa. La piccola Roma
Taranto. Un principato simbolo del potere feudale
Castel del Monte. Il segno della sovranità nella rete dei castelli
Lecce. La culla del barocco
Barletta. Dove nacquero De Nittis e l’immagine pittorica della Puglia
Leuca. Il capolinea dell’acqua
San Giovanni Rotondo. Un santo per la montagna sacra
Bari. Dalla Vlora al futuro
Stefania Mola
È nata a Napoli nel 1964. Specializzata in Storia dell'arte, vive a Bari e lavora in campo editoriale. Ha al suo attivo diverse attività didattiche e collaborazioni con enti pubblici e privati operanti nel settore dei beni culturali e del turismo, nonché numerose pubblicazioni, tra cui: Puglia. Turismo Storia Arte Folklore; Foggia. Regina di Capitanata; Trani. La cattedrale e, con la Newton Compton, Il giro della Puglia in 501 luoghi; Forse non tutti sanno che in Puglia…; 101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere e La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili.
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Anteprima del libro
La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili - Stefania Mola
Indice
Cover
Collana
Colophon
Frontespizio
Introduzione
1. Lesina (fg). Le pietre nere, ovvero quando la Puglia nacque dal fuoco e dal mare
2. Altamura (ba) e San Marco in Lamis (fg). Jurassic Puglia
3. Rignano Garganico (fg). La grotta Paglicci e i primi pugliesi
4. Altamura (ba). Ciccillo, ovvero disavventure di un cacciatore
5. Parabita (le). La città delle Veneri
6. Ostuni (br). Delia, la mamma più antica
7. Altamura e Molfetta, il Pulo e i villaggi neolitici
8. Oria (br). L’identità pugliese, gli Iapigi e la loro prima città
9. Giurdignano (le). Il Salento megalitico e la Stonehenge mediterranea
10. Manfredonia (fg). Il misterioso mondo dei Dauni
11. Isole Tremiti (fg). Quando gli dèi ordinarono a Diomede di chiamarla terra felice
12. La Peucezia da Canne a Canne
13. Taranto. Il porto della Magna Grecia
14. Manduria (ta). Le mura possenti dei Messapi
15. Castro (le). L’approdo di Enea
16. Taranto. Come nasce un campione
17. Ruvo (ba). La città dei vasi apuli e il mito di Talos
18. Taranto. La città di Archita
19. Lucera (fg). La prima colonia romana in Puglia
20. Tutte le strade portano a Brindisi
21. Ascoli Satriano (fg). La vittoria di Pirro
22. Egnazia (br). La città scomparsa dove passava la via Traiana
23. Brindisi. La porta d’Oriente dei Romani
24. Margherita di Savoia (bt). Nel nome del sale
25. L’Ofanto e la Puglia sitibonda
26. Canne della Battaglia (bt). Una grande lezione
27. Canosa (bt). La piccola Roma
28. Sava (ta). Il limitone dei Greci
29. Monte Sant’Angelo (fg). Il santuario ufficiale dei Longobardi
30. Bari. All’ombra del muezzin
31. Grecìa salentina. L’immigrazione come strategia
32. Troia (fg). La città dei vescovi
33. Bari. Capitale per Bisanzio
34. Quando Venezia liberò Bari dall’ultimo attacco saraceno
35. Siponto (fg). La Ravenna del Sud che fu culla del romanico
36. La Tebaide d’Italia
37. Mottola (ta). Il villaggio di Casalrotto e la Sistina delle grotte
38. Bari. Il richiamo della crociata nella città di san Nicola
39. Bari (e Bamberga). Il mantello delle stelle
40. Conversano (ba). La città dei Normanni
41. Canosa (bt). La scelta di Boemondo
42. Otranto (le). Storie e letterature in un mosaico
43. Trani. Gli Statuti marittimi
44. Otranto (le). San Nicola di Casole e la sua leggendaria biblioteca
45. Taranto. Un principato simbolo del potere feudale
46. Foggia. Inclita sede imperiale
47. Castel del Monte (bt). Il segno della sovranità nella rete dei castelli
48. Oria (br). La città degli Svevi
49. Lucera (fg). La città dei Saraceni
50. Trani. La città degli Ebrei
51. Castel Fiorentino (fg). La fine degli Svevi
52. Manfredonia (fg). Il sogno di un re
53. Brindisi. Processo ai Templari
54. Faeto (fg). Comunità francofone per ripopolare l’Appennino
55. Cerignola (fg). Torre Alemanna e i cavalieri teutonici
56. Martina Franca (ta). La città degli Angioini
57. Monopoli (ba). L’aria di Venezia
58. Galatina (le). La munificenza del feudatario in una chiesa
59. Foggia. La Dogana aragonese
60. Ceglie del Campo (ba). La città degli Armeni
61. San Marzano di San Giuseppe (ta). La città degli Albanesi
62. Acaya (le). La città dell’utopia
63. Otranto (le). Ottocento martiri tra Occidente e Islam
64. Barletta. La Disfida
65. Bari. Due donne nel castello
66. Vieste (fg). La pietra amara
67. I porti della Puglia visti da Piri Reìs
68. Gallipoli (le). Alle origini del sapone di Marsiglia
69. Lecce. La culla del barocco
70. San Severo (fg). Un secolo di terremoti
71. Alberobello (ba). Il Guercio di Puglia e i trulli
72. Gravina in Puglia (ba). Pier Francesco Orsini, ovvero papa Benedetto xiii
73. La peste del 1656
74. Bitonto (ba). La battaglia del 1734
75. Galatina (le). La terra del rimorso e il secolo dei Lumi
76. Bari. Murat e il nuovo borgo
77. Altamura (ba). Luca de Samuele Cagnazzi tra Dio e scienza
78. Bitonto (ba). Pierre Ravanas e la pressa idraulicanella terra dell’olio
79. Barletta. Dove nacquero De Nittis e l’immagine pittoricadella Puglia
80. Santa Cesarea (le). Le vacanze termali
81. Brindisi. La Valigia delle Indie
82. Leuca (le). Il capolinea dell’acqua
83. Turi (ba). Dove Gramsci scrisse le Lettere e i Quaderni
84. Castellaneta (ta). Un latin lover per il cinema muto
85. Cerignola (fg). Zingarelli e il vocabolario della lingua italiana
86. Gioia del Colle (ba). L’audacia del Vate
87. Altamura (ba). Le formiche di Tommaso Fiore
88. Bari. Nor Arax, il villaggio dei profughi armeni
89. Adelfia (ba). Storia di una fraternità forzata
90. Il viaggio in Puglia dell’inviato Giuseppe Ungaretti
91. Segezia (fg). Città nuove
e politiche territoriali nell’epocadi Mussolini
92. Castellana 1938. La scoperta delle grotte
93. Alberobello (ba). La Casa Rossa
94. Bari. La Pearl Harbor italiana e il più grande disastro chimico della seconda guerra mondiale
95. Brindisi capitale d’Italia
96. San Giovanni Rotondo (fg). Un santo per la Montagna Sacra
97. Polignano a Mare (ba). Non solo scogliere a picco
98. Pugnochiuso (fg). Dalla strada delle meraviglie
alla tradizione balneare
99. Barletta. La Freccia del Sud
100. Bari. Dalla Vlora al futuro
Illustrazioni
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Prima edizione ebook: ottobre 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-227-2641-4
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Stefania Mola
La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili
I luoghi simbolo della Puglia più autentica, che hanno intriso questa terra di storia e fascino
ominoNewton Compton editori
Introduzione
La memoria è un elemento essenziale di ciò che ormai si usa chiamare l’identità, individuale o collettiva, la ricerca della quale è una delle attività fondamentali degli individui e delle società d’oggi.
Jacque s Le Goff, Memoria, 1979
A partire dal Settecento, il territorio italiano ha sperimentato una dimensione nella quale si è radicata profondamente un’idea di cultura alta e nobile, che oggi – in un momento di sradicamento storico e di generalizzata angoscia nei confronti del futuro – ritorna sorprendentemente nelle scelte turistico-culturali animate dall’esigenza di autenticità
dell’esperienza del viaggio.
Fu il fenomeno del Grand Tour a consacrarla, accompagnando viaggiatori eruditi e studiosi nostalgici lungo itinerari ben precisi secondo i canoni del videndum (le guide di allora che indicavano ciò che doveva essere visto), toccando Venezia, Firenze, Roma secondo un percorso mirato a completare l’educazione e la formazione culturale inseguendo l’idea di «classicità» e la memoria della «grande Arte».
A questo tradizionale viaggio di formazione sulle tracce dell’identità dell’Occidente, esaurito il quale si era pronti a consegnarsi alle responsabilità civili e sociali, il Sud (a parte Napoli) partecipò in maniera marginale, e la Puglia ancor meno, anche se si difese bene e con il tempo affascinò non pochi intellettuali, scrittori, artisti e pensatori provenienti da tutta l’Europa.
Per questa terra, culla di antichissime civiltà mediterranee ma splendida anche di testimonianze medievali e barocche, fu l’inizio di un racconto che si nutriva di mitologia, soprattutto dei fasti magnogreci e di tutta una serie di piccole età dell’oro
alimentate dalla riscoperta delle rovine e dall’indiscutibile fascino proprio delle terre ignote, come all’epoca le estreme propaggini della penisola – siglate dalla Finisterre salentina – dovevano apparire agli occhi sensibili e romantici dei primi viaggiatori che vi si avventurarono. Ma fu anche un racconto che rivelò il sottile legame tra i luoghi (della storia e del mito) e quello spirito che in essi abita e aleggia, al di sopra delle umane vicende e percezioni. I luoghi in cui la storia si condensa imponendo una sosta al viaggio, e in cui il tempo inizia ad avvitarsi su se stesso stratificandosi insieme a tutto ciò che è accaduto, già e non ancora.
La storia per definizione si serve di documenti e testimonianze che compongano un racconto sviluppato in modo diacronico. Sempre per definizione, essa è lo studio dei fatti del passato per provare a raccontare quest’ultimo seguendo il filo di una narrazione continua. Un filo che privilegia il fattore tempo
e i cui nodi sono avvenimenti importanti per l’umanità collocati idealmente su una linea che ha origine nel buio indeterminato delle origini e arriva fino a noi, senza soluzione di continuità.
Questo libro, dedicato alla Puglia, prova a rimescolare le carte. Conservando il filo del racconto, imprescindibile per dare sostanza ai contenuti, ma privilegiando proprio i luoghi. Sono loro – nello spazio prima ancora che nel tempo – i nodi della sua storia e di una vicenda identitaria in cui una terra come quella pugliese si riconosce, grazie a un percorso che idealmente si dipana dall’infanzia geologica della regione fino ai giorni recenti dello sbarco degli albanesi della Vlora a Bari. Ma sono anche i nodi di una narrazione che, pur celebrando la ricchezza del suo passato, vuole raccontarne soprattutto il presente.
Luoghi come documenti, luoghi memorabili, cioè custodi di accadimenti degni di essere ricordati, evocati, raccontati, che hanno avuto un ruolo spesso non limitato esclusivamente al territorio di pertinenza ma ricadute più o meno incisive sulla storia estesa oltre i suoi confini. Luoghi di una memoria che – al di là dei fatti accaduti – si fa concreta e palpabile nelle vestigia sia monumentali che immateriali, in quel patrimonio storico e culturale (l’heritage di ambito anglofono) fatto non solo di testimonianze tangibili ma anche di eredità più sfuggenti
quali le tradizioni, la lingua, il cibo, la musica popolare, le pratiche religiose.
Un patrimonio collettivo e un senso di appartenenza che in questo libro passano attraverso una scelta parzialissima, 100 luoghi la cui narrazione compensa lo sradicamento storico e l’angoscia cui si accennava all’inizio, ricomponendo un’identità precisa e riconoscibile in tutte le sue declinazioni attraverso la valorizzazione del passato: raccontando la storia mai scontata di una realtà composita e plurale quale la Puglia, oggi più che mai ombelico dell’universo euromediterraneo della civiltà, terra di incontri, porta d’Oriente e – perché no – futuro della memoria.
Settembre 2018
stefania mola
1. Lesina (fg). Le pietre nere, ovvero quando la Puglia nacque dal fuoco e dal mare
Quando il nostro pianeta aveva già un’età più che rispettabile, la Puglia non esisteva ancora. Ce lo racconta il suo 80 per cento di rocce calcaree e dolomitiche, uno strato spesso centinaia di metri, frutto dell’accumulo lentissimo – in ambiente marino e clima tropicale – di sedimenti composti soprattutto da gusci di microrganismi. Ci vollero 125 milioni di anni perché grazie a questa gigantesca piattaforma rocciosa emergesse dalla Tetide qualcosa di più di un arcipelago frammentario, abbastanza da arrivare al Cretacico e poter registrare i primi fenomeni carsici (caratteristici del territorio attuale). Circa 65-70 milioni di anni fa spuntarono dalle acque primordiali il Gargano, l’area delle attuali Murge baresi e quella delle Serre salentine. Nel Cenozoico, una trentina di milioni di anni più tardi, toccò agli Appennini sollevarsi, accompagnati dalla formazione di rocce argillose derivate dall’erosione delle montagne. Appena un milione di anni fa, nell’era neozoica, si sedimentarono invece depositi argilloso-sabbiosi di origine fluviale, andando a riempire i vuoti tra il Gargano e le Murge e formando dunque la grande pianura del Tavoliere; più a sud, il Salento precedentemente affiorato si era saldato al resto grazie all’emersione di ulteriori sedimenti calcarei. Negli ultimi 500.000 anni nuovi sedimenti marini e fluviali andarono a comporre e rifinire l’area brindisina, quella del fiume Ofanto e diversi tratti costieri. Il risultato è il territorio che oggi conosciamo, un enorme accumulo di materiali detritici e nessuna orogenesi, quasi totalmente pianeggiante e con uno scarso 2 per cento di rilievi che superano i 700 metri di altitudine, nonché una composizione calcarea e tufacea responsabile di gran parte della sua storia: una natura che non prevede acque superficiali ma una ricchissima vita sotterranea che ne ha fatto un enorme e fragile guscio ossificato e sitibondo. In certi tempi è stato un grosso problema, oggi è anche un elemento di innegabile fascino.
Dal punto di vista geo-morfologico, dunque, la Puglia è una terra completamente diversa dalle regioni confinanti (le montagnose Campania, Basilicata e Molise, per intenderci). E la nostra storia inizia da un luogo non casuale, in territorio di Marina di Lesina, quasi al confine settentrionale e in prossimità dell’omonimo lago, dove si conserva la memoria cenozoica di una serie di intrusioni subvulcaniche nelle caratteristiche pietre scure che affiorano dalla sabbia, uniche rocce magmatiche presenti nella regione associate a quelle di natura sedimentaria.
Tra tanta acqua, il fuoco, almeno tre corpi ignei, calcari nerastri, gessi e un toponimo come Punta delle Pietre Nere, che indica appunto i diversi affioramenti di rocce eruttive ben distinguibili tra loro nei pressi della foce del canale artificiale Acquarotta (mediante il quale tra il 1927 e il 1929 il lago di Lesina venne collegato al mare Adriatico). Una serie di fenomeni attirò nell’Ottocento l’attenzione dei geologi del Regio Ufficio Geologico, che approssimativamente collocarono le pietre nere
nel Triassico superiore, 50 milioni di anni prima della formazione dello stesso Gargano (e dunque non appartenenti al suo sistema geologico) definendo il tutto – dal punto di vista scientifico – «forse la località più interessante della costa italiana dell’Adriatico» e procedendo alla raccolta di campioni e fossili che avvicinano per successione sedimentaria le rocce pugliesi a quelle dolomitiche della Formazione di San Cassiano, in Val Badia.
Che ci fanno queste rocce a Lesina, peraltro assediate dalla recente costruzione di un porticciolo? In un’area in passato spesso funestata da terremoti e inondazioni (e oggi caratterizzata da un avanzato dissesto idro-geologico), pare si tratti dell’eredità di fenomeni di diapirismo e fagliamento, ovvero la risalita di massa rocciosa liquida insieme ad altri materiali ignei (gessi e calcari) causata da un’attività vulcanica remotissima di cui oltre che il colore scuro delle pietre nere
(frutto del consolidamento della massa lavica) è testimone il tepore delle acque del fiume Caldoli, che nasce poco lontano, nei pressi del santuario di San Nazario, e percorre circa 2 chilometri prima di confluire nella laguna. La sorgente è alimentata da acque profonde – lievemente mineralizzate dalla presenza di sale di Epson, zolfo e magnesio e dotate di proprietà diuretiche – che risalgono lungo le linee di faglia per 1500-2000 metri, conservando la temperatura d’origine e restando tiepide (24-27°) anche dopo essersi mescolate alle acque dolci e fredde provenienti dal massiccio garganico. Da qui il nome del fiumicello, dotato di un elevato grado di termalità per tutto l’anno, e l’ipotesi che le virtù terapeutiche delle sue acque fossero utilizzate già al tempo dei Romani, insieme alla leggenda che vede san Nazario immergersi e purificarsi, imitato nei secoli successivi da folle di pellegrini in cerca di sollievo per i loro corpi piagati. Lesina, l’antica Alexina, è oggi un tranquillo borgo marinaro adagiato sulle sponde del lago, famoso per l’allevamento di anguille e capitoni, nato dall’immigrazione di pescatori provenienti dalla Dalmazia. Nei secoli il suo territorio, popolato sin dal Neolitico, ha dovuto patire più di un evento funesto, dal terremoto all’inondazione, fino alla malaria. Ma le pietre nere
e i vapori caldi ancora presenti in alcuni punti del terreno, ne fanno un punto fermo, nonché il capitolo più antico della storia della Puglia.
2. Altamura (ba) e San Marco in Lamis (fg). Jurassic Puglia
Della paleo-geografia della Puglia sapremmo ben poco se non avessimo avuto la fortuna di imbatterci nelle tracce concrete dei suoi abitanti del tempo. I dinosauri, ovviamente, e un ordine di grandezza in tutti i sensi fuori dalla nostra portata. Cento milioni di anni fa è qualcosa che non riusciamo neppure a immaginare, ma è questa la misura che i ritrovamenti di orme sigillate in grandi cave dismesse sparse in tutta la regione ci raccontano. Tempi in cui la Puglia era probabilmente tutt’una con l’Africa, in posizione centrale tra Gondwana e Laurasia nel corso del processo di frammentazione della Pangea, e i giganteschi rettili, assoluti padroni del mondo per più di 160 milioni di anni, passeggiavano nell’area in cui sarebbe sorta Bari, ad esempio, dove in una delle tante lame innervate nel territorio (cioè gli alvei di antichi fiumi), insieme alle testimonianze di insediamento umano in grotta, si registra la presenza di un vero e proprio giacimento di orme di dinosauro, circa 10.000, con una concentrazione di 3-4 impronte per metro quadro. È quello che accade nelle campagne che ricadono all’interno del Parco naturale regionale di Lama Balice, a ridosso dell’aeroporto cittadino, in una cava in cui – su una superficie stimata intorno ai 3500 metri quadri – si sono conservati i resti fossili di una spianata cretacica modellata dalle maree: centinaia di orme, l’ombra pietrificata di decine di dinosauri a passeggio. Probabilmente giganteschi e dal lungo collo come i Sauropodi, quadrupedi e corazzati come gli Anchilosauri, carnivori e di medie dimensioni come i Teropodi. E a due passi dal capoluogo, tanto da sperare che una volta tanto un simile sito possa essere adeguatamente valorizzato.
Perché in tutta la Puglia sono ben quattordici le città nella cui area ricadono ritrovamenti del genere, mentre i contesti – se si contano anche i blocchi calcarei utilizzati come frangiflutti per esempio a Bari e Giovinazzo e nelle ex frazioni di Torre a Mare e Santo Spirito – praticamente il doppio, distribuiti tra la Murgia e il litorale adriatico compreso tra il Gargano e Bari, con esclusione del solo Salento. Nessuno di questi siti è musealizzato. Anzi, spesso arriva prima l’abbandono totale, con tutte le conseguenze immaginabili, come insegna il caso di Altamura, dove a soli 4 chilometri dal centro abitato dinosauri del Cretaceo, in piena era mesozoica, hanno passeggiato indisturbati fino a imprimere sul suolo il loro andirivieni quotidiano. Siamo sulla via per Santeramo, in una cava situata in località Pontrelli, una paleosuperficie di calcare durissimo (anch’essa, come nel caso di Bari, all’epoca configurata come zona sublitoranea o piana di marea) che alcuni anni fa ha restituito circa 50.000 impronte di lucertoloni di dimensioni variabili, distribuite su circa 15.000 metri quadri e appartenenti ad almeno cinque diverse specie prevalentemente erbivore: ovvero il più esteso giacimento di impronte fossili di dinosauri al mondo. Da una ventina d’anni, per problemi legati all’esproprio dell’area, un lucchetto impedisce ai comuni mortali di poter vedere il sito – il primo a essere scoperto in Italia meridionale – sicché l’abbandono si sta rivelando scellerato, nonostante l’impegno di chi da allora si batte per la sua riapertura e la restituzione alla pubblica fruizione. Che, se verranno rispettate le promesse, si realizzerà entro il 2019.
Le orme, ovvero le piste di spostamento impresse dagli animali nei fanghi calcarei di origine marina che con il tempo sono diventati roccia, qui come a Lama Balice e altrove sono di massima importanza perché molto più frequenti dei ritrovamenti di resti scheletrici (il solo scheletro in Italia meridionale appartiene a un piccolo teropode ed è stato rinvenuto presso Benevento, in Campania) e possono aiutare a dedurre l’andatura e le caratteristiche comportamentali di una data specie; opportunamente interpretate, aiutano a capire ad esempio se essi vivevano in branco o se erano solitari, come curavano la prole e così via. Tracce fossili del genere sono diffuse in tutto il mondo, ma l’eccellente qualità dello stato di conservazione, il numero elevato e l’altissima bio-diversità rendono il sito di Altamura unico al mondo. Le impronte sono databili a circa 80-85 milioni di anni fa: una scoperta assolutamente straordinaria, che insieme a quelle in area adriatica e barese e ai blocchi di orme rinvenuti in un’altra cava presso Borgo Celano, frazione di San Marco in Lamis, sul Gargano, potrebbe costringere a ridisegnare la paleo-geografia dell’area mediterranea. Visto che gli studi condotti finora ritengono che all’epoca, nell’area corrispondente all’attuale Puglia, non ci fossero terre emerse, mentre queste testimonianze (più antiche sul Gargano e più recenti a Bari) lasciano immaginare un insediamento di dinosauri in zona protratto nel tempo, nonché un legame solido con il continente o almeno la presenza di isole affioranti dal vasto mare della Tetide. Un mare le cui vestigia al giorno d’oggi sono il Mar Caspio e – naturalmente – il nostro Mediterraneo.
3. Rignano Garganico (fg). La grotta Paglicci e i primi pugliesi
A un certo punto arrivò l’uomo. D’altra parte la Puglia aveva fin dall’inizio tutti i numeri perché al di là di rettili e altre meravigliose mostruosità primordiali la razza umana potesse abitarvi comoda: un clima temperato, rilievi non troppo alti, abbondanza e diffusione di grotte e cavità naturali, una linea di costa lunghissima e larga, offerta di terreni adatti all’agricoltura.
I nostri progenitori la abitarono a partire dal Paleolitico inferiore (550.000-190.000 anni fa), sfidando i grandi mutamenti climatici e ambientali in corso, lasciandoci tracce esigue della loro attività, concentrate soprattutto nel territorio garganico di Rodi: alcuni manufatti, come lo strumento a forma di mandorla detto amigdala, attestano la capacità di lavorare la pietra silicea, da cui venivano ottenuti raschiatoi utili a scuoiare gli animali e tagliarne le pelli, coltelli e asce da combattimento. Il Gargano, che ancora una volta si conferma culla della storia pugliese, ha restituito tutta una serie di siti risalenti a questo periodo tra Mattinata e Vieste ma anche nella zona interna della Foresta Umbra, mentre per il Paleolitico medio (190.000-90.000 anni fa) le tracce si allargano anche al restante territorio regionale.
Rimangono però sempre nell’area dello Sperone d’Italia le storie più interessanti: in agro di Rignano, e più precisamente sulla riva sinistra del Vallone di Settepende, sulla strada che scende verso Foggia, la grotta Paglicci era abitata già dal Paleolitico inferiore, ed è dunque da qui che può iniziare la storia della Puglia e dei pugliesi. Si tratta di un sito preistorico di rilevanza internazionale, sia perché frequentato ininterrottamente dall’uomo da 200.000 fino a 11.000 anni fa anche in qualità di rifugio climatico
nel corso del picco più rigido dell’ultima glaciazione – nel quale tra l’altro le ricognizioni archeologiche hanno riportato alla luce manufatti di ottima fattura, come raschiatoi o punte di giavellotto, nonché resti fossili umani – sia per i suoi dipinti parietali (raffiguranti scene di caccia, due cavalli realizzati in ocra rossa, un nido pieno di uova minacciato da un serpente…) risalenti a 20.000 anni fa, per i quali costituisce un unicum in Italia.
Da cinquant’anni a questa parte sono stati recuperati poco meno di 50.000 reperti (esposti provvisoriamente a Rignano ma per lo più conservati nei depositi della Soprintendenza archeologica di Taranto, in attesa di un vero e proprio museo dedicato e fruibile), tra oggetti, strumenti litici, dipinti parietali, impronte di mani, focolari, resti di animali e scheletri umani. In ultimo, il rinvenimento di diversi graffiti, su osso e su pietra, risalenti a un periodo compreso tra i 13.000 e i 25.000 anni da oggi, poco chiari perché lacunosi (finora se n’è decifrato solo uno riguardante un cervide con bellissime corna, grossi occhi e muso allungato). Alcuni di questi graffiti, una volta studiati, potrebbero riscrivere parte della preistoria mondiale se, come appare, gli uomini di Paglicci conoscevano già antichissime forme di scrittura.
L’analisi antropologica effettuata sui resti scheletrici umani rinvenuti in loco appartenenti a un giovane e a una donna, insieme ad altri frammenti di denti, di cranio, di mandibola e ad alcune ossa lunghe, ha rivelato la presenza dell’uomo di Cro-Magnon, largamente diffuso in Europa durante il Paleolitico superiore, anche se il soggetto più giovane, con la sua maggiore statura, una costituzione più longilinea e una maggiore armonia nei rapporti tra le misure del cranio, sembra avvicinarsi maggiormente al tipo mediterraneo. La novità emersa da recentissime ricerche interessa le origini genetiche di questi progenitori abitanti a Paglicci: sicuramente africane e destinate a disperdersi a ondate successive in Eurasia e nel resto del mondo, con buona pace dei razzisti globali di oggi.
Altra novità riguarda il rinvenimento di residui di amido d’avena dentro i solchi di una macina, vale a dire il fatto che già nel Paleolitico superiore fossero note tecniche per la preparazione di farina da cereali. Non di sola caccia, dunque, viveva l’uomo garganico di 32.000 anni fa, che bensì raccoglieva, macinava e cuoceva anche l’avena selvatica dimostrando un’insospettata capacità di elaborazione dei cereali, che venivano dapprima seccati al calore e poi trasformati in farina. E al momento quella pugliese e garganica sembra essere la testimonianza più antica di produzione e consumo di farina, visto che finora si pensava che la capacità di lavorare cereali si fosse affermata molto più tardi, nel corso del Neolitico, più o meno in concomitanza con l’avvento delle pratiche agricole.
Non ci resta che attendere un vero e proprio Parco archeologico, o almeno una sensibilizzazione che eviti il ripetersi di atti vandalici come quello che qualche anno fa, a opera di ignoti, ha inferto inutili e gratuite ferite all’equilibrio già fragile della grotta e della nostra memoria collettiva.
4. Altamura (ba). Ciccillo, ovvero disavventure di un cacciatore
Il 3 ottobre del 1993 un gruppo di speleologi fece una straordinaria scoperta, una delle più eccezionali in campo paleontologico, all’interno della grotta di Lamalunga, struttura in territorio di Altamura che si sviluppa all’interno di una collina in cui giacciono anche numerosi scheletri di animali (cervi, cavalli, daini, volpi, buoi), in alcuni casi scomparsi da migliaia di anni in questo territorio. Un territorio morfologicamente caratterizzato da tutti quei fenomeni legati alla natura carsica del suolo – ovvero lame, doline a pozzo e una grande dolina di crollo nota come pulo – e da un’apparenza prevalentemente spoglia, arida, pietrosa e quasi priva di vegetazione.
Quanto alla scoperta – fatta dopo aver attraversato una serie di strettoie e percorso spazi che andavano via via restringendosi e complicandosi – si tratta di un ominide della fine del Pleistocene medio – lunghissimo periodo di grandi glaciazioni che in Italia conta rarissime evidenze, una dozzina appena – ancor oggi incastrato tra stalattiti e stalagmiti e incrostato di formazioni coralliformi, le cui orbite vuote ci guardano da quel tempo remotissimo provocando impressione ed emozione, per la meraviglia di quanti hanno potuto osservarlo fino al 2009 dal monitor del Centro visite della masseria Ragone (strada provinciale 157 Altamura-Quasano) dedicato – appunto – all’Uomo di Altamura
. Da un lato sembra impossibile rimuoverlo garantendo un recupero senza danni, dall’altro le stesse attrezzature del progetto Sarastro
, che per qualche tempo hanno permesso di osservarlo e studiarlo in remoto, sono state rimosse perché interferivano con gli equilibri dei reperti.
In attesa che si giunga a un’altra possibilità, l’Uomo di Altamura resta il nome semplice e comprensibile per uno scheletro integro di Homo di tipo arcaico (unico al mondo a essere completo) risalente agli inizi della fase neanderthaliana, affettuosamente ribattezzato Ciccillo perché scoperto alla vigilia della festa di san Francesco d’Assisi e appartenente a un individuo maschio adulto, muscoloso, alto più o meno un metro e sessanta, di circa trentacinque anni (statura notevole ed età avanzata per l’epoca). Una serie di riprese video tridimensionali e il prelievo di alcuni reperti ossei di facile accesso hanno consentito negli ultimi anni di studiarne il dna, quantificare alcuni aspetti sulla morfologia e risalire a una datazione compresa tra 187 e 128.000 anni fa.
Insomma, il Neanderthal di Lamalunga è diventato una star tanto che intorno a lui è stata creata una rete museale a gestione unica costituita da tre siti – il Centro visite di Lamalunga per finalità didattiche e scolastiche, la musealizzazione di palazzo Baldassarre e una nuova sezione presso il Museo archeologico nazionale di via Santeramo – che gli permetterà di uscire
dagli spazi angusti della sua caverna per mostrarsi dal vivo
.
Perché la vera novità, proprio nel Museo di via Santeramo, è la sua ricostruzione in silicone a grandezza naturale, realizzata nel 2016 sulla base di un piccolissimo frammento di scapola dai paleo-artisti olandesi Adrie e Alfons Kennis, specializzati in ricostruzioni paleo-antropologiche che combinano dati scientifici e interpretazione artistica (per intenderci, gli stessi della ricostruzione di Ötzi, l’uomo del Similaun). Sicché, abituati a riconoscerlo in un cranio rovesciato e incrostato (da poco ricostruito in 3D all’interno del medesimo progetto estraendolo virtualmente dalla grotta carsica), scopriamo le sue fattezze – non propriamente apollinee: barba e capelli lunghi, naso schiacciato da pugile, fronte sfuggente, bacino largo, polpacci torniti e un fisico piuttosto tarchiato, insieme a un ghigno di sfida immaginato sul suo volto iperrealistico.
Ciccillo è una scoperta importantissima dal punto di vista scientifico soprattutto per l’ottimo stato di conservazione: fino al suo rinvenimento, infatti, la conoscenza dei Neanderthal europei e del resto del mondo si basava su reperti frammentari. Ma è anche una scoperta che mette in gioco infinite altre suggestioni. A cominciare dal luogo e dal contesto quasi surreale della Murgia più aspra, a margine di un fondovalle in cui anticamente doveva scorrere quel fiume che allagò la grotta e provocò la morte dell’uomo.
In effetti c’è anche questo aspetto tragico
, che spiega perché lo scheletro riposi in un luogo irraggiungibile (se non da speleologi o da sonde collegate a telecamera). Un giorno di migliaia e migliaia di anni fa Ciccillo, insieme ad alcuni animali, fu colto da un temporale improvviso e dal conseguente terrore per il violento fenomeno naturale. Pensò di salvarsi infilandosi – o cadendo accidentalmente attraverso uno dei tanti inghiottitoi – in quella caverna che diventò invece la sua tomba, perché nella Murgia l’acqua s’infiltra e dissesta la roccia, provocando improvvise frane e trasformando i cunicoli sotterranei in furiosi canaloni. L’Uomo di Altamura ne