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Coincidence: 1
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E-book234 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Sono fuggita dal mio carnefice e sono finita tra le braccia di un uomo peggiore. Lukyan Vasilyev mi distruggerà e io non so come fermarlo.

TESSA. Dopo che mio padre ha ucciso il mio ragazzo, ho capito che scappare era l’unico modo per essere libera. Non volevo più essere Tessa Rivera, la figlia del potente boss mafioso Giorgio Rivera.
Per un anno ho progettato di nascosto la mia fuga e finalmente quel momento era arrivato.
Il mio piano era semplice: andare a un evento di beneficienza con la mia famiglia, trovare un escamotage per sparire dal loro radar per qualche minuto e poi scappare di nascosto, prendendo il primo taxi che mi capitasse a tiro e correre all’aeroporto.
Facile e veloce.
Nulla sarebbe potuto andare storto, ma poi mi ero ritrovata da sola, per strada, al freddo e senza l’ombra di un taxi pronto a caricarmi e portarmi lontano dalla mia famiglia prima che scoprisse la mia sparizione.
Solo la disperazione mi aveva spinta a fare qualcosa che non era previsto: rubare una macchina.
Il destino aveva voluto che quell’auto appartenesse a Lukyan Vasilyev, uno degli uomini più pericolosi del clan mafioso avversario di mio padre.

LUKYAN. Le coincidenze non esistono. Mai. Soprattutto quando ci sono di mezzo i Rivera e i Vasilyev.
Scoprire che una sciocca ragazzina era riuscita a ingannarmi e a rubarmi l’auto aveva reso la mia serata più movimentata del previsto, ma nulla che non potessi gestire facilmente. Nessuno poteva commettere un simile errore e passarla liscia.
Trovare quella sfrontata sarebbe stato semplice. Nulla poteva sfuggire al mio controllo.
Le avrei fatto pentire di avermi coinvolto e l’avrei fatta a pezzi, fino a divorarle l’anima.
Quando l’avrei restituita al padre, non sarebbe rimasto più niente della dolce e innocente Tessa Rivera.
LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2023
ISBN9791222425788
Coincidence: 1

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    Coincidence - Victory Storm

    COINCIDENCE (parte 1)

    Victory Storm

    TRAMA

    Sono fuggita dal mio carnefice e sono finita tra le braccia di un uomo peggiore. Lukyan Vasilyev mi distruggerà e io non so come fermarlo.

    TESSA. Dopo che mio padre ha ucciso il mio ragazzo, ho capito che scappare era l’unico modo per essere libera. Non volevo più essere Tessa Rivera, la figlia del potente boss mafioso Giorgio Rivera.

    Per un anno ho progettato di nascosto la mia fuga e finalmente quel momento era arrivato.

    Il mio piano era semplice: andare a un evento di beneficienza con la mia famiglia, trovare un escamotage per sparire dal loro radar per qualche minuto e poi scappare di nascosto, prendendo il primo taxi che mi capitasse a tiro e correre all’aeroporto.

    Facile e veloce.

    Nulla sarebbe potuto andare storto, ma poi mi ero ritrovata da sola, per strada, al freddo e senza l’ombra di un taxi pronto a caricarmi e portarmi lontano dalla mia famiglia prima che scoprisse la mia sparizione.

    Solo la disperazione mi aveva spinta a fare qualcosa che non era previsto: rubare una macchina.

    Il destino aveva voluto che quell’auto appartenesse a Lukyan Vasilyev, uno degli uomini più pericolosi del clan mafioso avversario di mio padre.

    LUKYAN. Le coincidenze non esistono. Mai. Soprattutto quando ci sono di mezzo i Rivera e i Vasilyev.

    Scoprire che una sciocca ragazzina era riuscita a ingannarmi e a rubarmi l’auto aveva reso la mia serata più movimentata del previsto, ma nulla che non potessi gestire facilmente. Nessuno poteva commettere un simile errore e passarla liscia.

    Trovare quella sfrontata sarebbe stato semplice. Nulla poteva sfuggire al mio controllo.

    Le avrei fatto pentire di avermi coinvolto e l’avrei fatta a pezzi, fino a divorarle l’anima.

    Quando l’avrei restituita al padre, non sarebbe rimasto più niente della dolce e innocente Tessa Rivera.

    ©2023 Victory Storm

    Email: victorystorm83@gmail.com

    Sito web: www.victorystorm.com

    Copertina: Progetto di Victory Storm stock: VistaCreate

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso dell’autore.

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale.

    Prologo

    Tessa

    «Con questa, spezzeremo per sempre le catene che ti tengono legata ai Rivera e faremo giustizia, amore mio», esclamò Matthew, prendendomi dalle mani la pendrive su cui avevo copiato alcuni file dal computer personale di mio padre.

    «Finirà in carcere?», chiesi un po’ in ansia. Il mio timore non era che mio padre venisse arrestato, ma al contrario che riuscisse a cavarsela, com’era sempre successo in passato.

    «Con questi documenti, non ci sarà avvocato in grado di difenderlo. Sarà un duro colpo alla criminalità organizzata.»

    Avrei voluto chiedergli se ne era davvero sicuro. A Detroit c’erano tre clan mafiosi che si contendevano il territorio: i portoricani Rivera, i cinesi Chen e i russi Vasilyev.

    I conflitti tra le tre famiglie erano all’ordine del giorno, in una guerra senza tregua che andava avanti da decenni.

    Una guerra che desideravo finisse, ma che invece avrei dovuto continuare in qualità di unica erede di Giorgio Rivera, mio padre, a capo del clan.

    Il mio futuro era già stato scritto e per quanto avessi cercato di far ragionare mio padre, non c’era stato verso di cambiare la situazione.

    Mi ero quasi arresa, schiacciata dalle violenze che subivo ogni volta che provavo a contrastarlo, finché non avevo conosciuto Matthew.

    Un incontro che aveva portato colpi più feroci nei miei confronti. In quel momento, sul mio braccio spiccava il segno violaceo della sua cintura di pelle con cui mi aveva frustata, quando aveva scoperto che mi ero innamorata di Matthew, un poliziotto della DEA.

    «Voglio solo che tutto questo finisca e che possiamo stare insieme per sempre. Ti amo, Matthew», sussurrai, perdendomi nel suo caldo abbraccio.

    «Sono sicuro che tra un paio di mesi, sarà tutto finito.»

    «Me lo prometti?»

    «Farei qualsiasi cosa per te, Tessa. Ti amo.»

    Ci guardammo. I suoi bellissimi occhi azzurri risplendevano sotto il sole e il mio cuore tornò a battere felice.

    Anche se stavamo insieme da meno di un anno, sentivo di amarlo veramente.

    Era l’unico uomo che immaginavo al mio fianco e con cui avere dei figli.

    Come se mi leggesse nella mente, mi sorrise con amore e mi baciò con ardore.

    Un bacio che avrebbe presto segnato la nostra fine.

    1

    Tessa

    Un anno dopo.

    «Stasera voglio che rimani incollata a Fred Strengton, mi sono spiegato?»

    «Sì, papà», sbuffai irritata, guadagnandomi un’altra occhiata omicida.

    «Voglio che lo sposi, hai capito bene?»

    «Anch’io vorrei sposarmi, ma l’uomo che amavo, l’hai fatto ammazzare, ricordi?», ribattei piena di odio.

    Non ci fu modo di scappare dalla limousine che ci stava portando al gala di beneficienza indetto dal neo sindaco di Detroit. In un attimo, il suo schiaffo atterrò impietoso sulla mia guancia sinistra.

    «Dovresti ringraziarmi, piccola ingrata. Quel poliziotto voleva solo usarti per metterci nei casini.»

    Avrei voluto reagire e insultarlo, ma il dolore bruciante sul viso bloccò ogni mia ribellione.

    Strinsi a me la mia pochette di seta blu, in abbinamento con il vestito da sera. Lì dentro c’era tutto ciò che ero riuscita a mettere insieme in quei dieci mesi, dopo la morte di Matthew.

    «Giorgio, ti prego… Non il viso», sussurrò mia madre, notando il segno rosso sulla mia pelle.

    Non la guardai nemmeno, talmente provavo disprezzo nei suoi confronti. Era una donna passiva, che si nascondeva dietro al marito e che chiudeva gli occhi di fronte alle ingiustizie, pur di mantenere quel tenore di vita a cui si era abituata in fretta e che proteggeva più di qualsiasi altra cosa al mondo. Io rappresentavo solo il motivo di quel matrimonio riparatore che le aveva permesso di entrare nel clan dei Rivera. Non era mai stata interessata a me come figlia e a malapena sembrava sopportare la mia presenza.

    Era da anni che le parlavo a stento e avevo capito che se avevo bisogno di aiuto, lei era l’ultima persona su cui poter contare.

    Ero sola. Dannatamente sola. E quella notte mi sarei presa la libertà che meritavo e che Matthew aveva cercato di darmi prima di morire.

    «Wilma, dille qualcosa!», s’infuriò mio madre con sua moglie, notando la mia indifferenza di fronte a quel gesto.

    «Cosa vuoi che le dica? Non sono nemmeno riuscita a convincerla a vestirsi con moderazione. Ha quasi venticinque anni e non sa ancora distinguere l’eleganza dalla pacchianeria. Tessa, io non so davvero che bisogno avevi di indossare tutti quei bracciali. Uno era più che sufficiente!»

    «Mamma, non mi hai sempre detto che i diamanti sono i migliori amici di una donna?», le risposi con finta adorazione, accarezzando quei gioielli intorno al mio braccio.

    «Certo, cara», mi rispose a disagio. «Però, ecco, tu non hai mai manifestato interesse per i gioielli, mentre in quest’ultimo mese ci hai fatto spendere una fortuna da Cartier.»

    «Sono innamorata di quel negozio. Non mi ero mai resa conto di quanto fossero belli i loro gioielli. Oltretutto, la commessa sostiene che valorizzano il mio incarnato», sospirai estasiata, accarezzando le due collane d’oro e zaffiri che portavo al collo, in abbinamento con i tre anelli che spiccavano sulla mia mano destra. Senza contare gli altri cinque anelli, ancora più costosi, che avevo nascosto nella pochette.

    «Non c’è nulla di male a spendere soldi per dei diamanti. È una donna e sono sicuro che a Fred Strengton non dispiacerà», intervenne mio padre, mettendo fine a quella conversazione. «Tuttavia, Tessa, devi cercare di controllarti o mi manderai in bancarotta.»

    «Sì, papà», risposi con finto dispiacere, continuando ad accarezzare quelle pietre preziose, che presto mi avrebbero permesso di ottenere ciò che volevo.

    Pochi minuti dopo, la macchina entrò in Washington Boulevard e si fermò davanti al Windsor’s Hotel, dov’era stato organizzato un gala di beneficienza per costruire un nuovo ospedale ad Haiti. In realtà, era solo un incontro mascherato, dove i più potenti della città s’incontravano e decidevano le sorti della città.

    Ero disgustata da tanta finzione. Sembrava di essere al falò dell’ipocrisia, in cui persino i mafiosi dei clan Rivera, Vasilyev e Chen condividevano lo stesso spazio, fingendo di andare d’amore e d’accordo, davanti alle macchine fotografiche dei giornalisti che avevano preso d’assalto l’ingresso dell’albergo.

    Quando l’autista venne ad aprirci la portiera, misi a dura prova i miei muscoli facciali, mostrando un sorriso a trentadue denti, così tirato che mi si formavano due fossette nelle guance.

    Quello era il mio sorriso di circostanza, finto come quel mondo scintillante che nascondeva corruzioni, omicidi, spaccio di droga a dei livelli così elevati da colpire Matthew, che si era fidato della persona sbagliata quando aveva denunciato mio padre e mostrato le prove al suo dipartimento.

    Cercando di non inciampare nel mio vestito lungo, uscii dall’abitacolo e mi avviai insieme ai miei genitori verso l’ingresso.

    Mi strinsi nel mio cappotto foderato di pelliccia di ermellino bianco, e senza prestare attenzione ai giornalisti, seguii mio padre.

    Presentammo i nostri inviti e ci dirigemmo verso il guardaroba, dove un’addetta ci prese i cappotti.

    Tenni con me la pochette e tirai un profondo respiro, quando entrai nel salone, che avevo studiato a lungo nell’ultimo mese, da quando la mia famiglia aveva ricevuto l’invito a presentarsi a quella cerimonia.

    Sapevo che mia madre non mi avrebbe tolto gli occhi di dosso e mio padre non mi avrebbe permesso di allontanarmi, ma io avevo progettato tutto con cura.

    Cercai di calmare l’ansia. Se qualcosa fosse andato storto, probabilmente non ne sarei uscita viva.

    Presi un calice di champagne e seguii fedelmente mia madre che aveva subito trovato qualcuno con cui parlare. Non prestai minimamente attenzione alla conversazione, ma il mio sorriso rimase fisso, tranquillizzando i miei genitori.

    Ci erano voluti sei mesi prima di poter nuovamente partecipare a quegli eventi, dopo quello che era successo con Matthew.

    Il guinzaglio intorno al mio collo si era fatto così stretto da non riuscire a respirare, ma ero sopravvissuta e avevo trovato il modo di trovare una nuova ragione di vita: essere libera. Per sempre.

    Bevvi a malapena un sorso di champagne. Era indispensabile che rimanessi sobria e lucida. Inoltre non potevo rischiare che mi causasse male allo stomaco dato che non avevo le mie medicine con me.

    «Tessa, che piacere vederti!» La voce di Fred Strenghton mi violentò i timpani. Detestavo quell’uomo e ancora di più mio padre che mi voleva dare in moglie in cambio di qualche favoritismo o agevolazione.

    Mi voltai e mi finsi sorpresa di vederlo.

    Con fatica allargai il mio sorriso ancora di più, tanto da rischiare uno stiramento muscolare.

    «Fred!», esclamai felice, avvicinandomi per dargli un bacio sulla guancia. Lui ne approfittò per abbracciarmi e io lo lasciai fare. Quell’uomo mi serviva per allontanarmi da mia madre.

    «Sei incantevole!»

    «Anche tu non sei niente male con…», stavo per dire, ma mi accorsi di non sapere come continuare la frase. Fred non era un brutto uomo, anche se era molto più grande di me. Aveva quasi quarant’anni, una carriera politica in ascesa, dei folti capelli castani, leggermente brizzolati sulle tempie e degli occhi verdi che risaltavano sul suo viso sbarbato. Anche i suoi modi non erano mai riprovevoli o fastidiosi. Tuttavia era così viscido e accondiscendente con mio padre, da farmi vomitare. «Con qualsiasi cosa», risolsi con un sospiro da innamorata.

    Fred arrossì e io ne approfittai per sganciarmi da mia madre e legarmi al suo braccio.

    «Non mi piace stare qui. Non conosco nessuno, sai?», gli sussurrai a un orecchio.

    «Se vuoi ti presento un po’ di gente.»

    «Volentieri.»

    «Signora Rivera, posso rapire sua figlia per qualche minuto?», chiese Fred a mia madre che mi guardava circospetta. Con me non sapeva mai se fidarsi, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di negarmi all’uomo che aveva il potere di bloccare le nuove costruzioni a Greektown.

    «Certamente, caro.»

    Con un sospiro di sollievo celato, mi strinsi al mio nuovo accompagnatore e mi lasciai portare in giro per l’enorme salone, dove Fred mi presentò a moltissime persone.

    Trascorremmo quasi un’ora a parlare con altri invitati. Presto ci avrebbero fatti accomodare per assistere al discorso del neo sindaco e dovevo sbrigarmi.

    Colsi la palla al balzo, quando vidi un uomo obeso, avvicinarsi per incontrare qualcuno alle mie spalle.

    Senza farmi notare, mi sganciai da Fred e mi diressi con disinvoltura verso quell’uomo.

    Strinsi con forza il mio champagne che tenni leggermente sulla sinistra, davanti a me.

    A pochi centimetri, sussultai come per rendermi conto che stavo andando a sbattere contro qualcuno. Feci una breve virata a destra, troppo piccola per essere sufficiente, e le nostre braccia si scontrarono. Con un gesto fulmineo, infilai il calice tra noi due e lo champagne si riversò sul mio braccio sinistro nudo e sulla manica destra della sua giacca elegante. Il resto finì a terra.

    «Oh mio Dio! Non so come scusarmi! Sono mortificata…», esplosi in mille scuse, mentre l’uomo cercava di capire cosa fosse successo.

    «Non è niente… Nulla che la lavanderia non possa rimediare.»

    «Tessa, stai bene?», intervenne subito Fred, cingendomi la vita con un braccio.

    «È successo un disastro. Lo champagne mi è caduto addosso», spiegai dispiaciuta, mostrandogli il braccio bagnato. «Ti prego, mi accompagni in bagno. Devo darmi una pulita.»

    «Certamente.»

    Come un bravo gentiluomo, mi accompagnò alla toilette e mi aspettò fuori dalla porta.

    Mi lavai il braccio sotto l’acqua corrente e mi asciugai per bene.

    Mi guardai allo specchio. Ero tesa da morire.

    «Tessa, stai andando bene. Hai progettato questo momento da quasi un anno. Non puoi fallire», dissi al mio riflesso.

    Con calma uscii dal bagno e vidi che Fred mi stava ancora aspettando.

    Dovevo assolutamente sbarazzarmi di lui.

    «Fred, ti prego, puoi chiedere a un cameriere qualcosa per far andare via lo champagne? Il vino mi ha sporcato il corsetto. Non voglio dover lasciare la festa in anticipo per colpa di una macchia.»

    Sapevo che anche lui non voleva che abbandonassi il gala, proprio quel giorno che ero così accondiscendente e gentile con lui.

    «Ci penso io!», rispose prontamente, fermando un cameriere che stava portando un vassoio carico di tramezzini ripieni di caviale.

    Approfittai di quel momento di distrazione, per uscire dal bagno e correre verso la cucina.

    Percorsi tutto il corridoio, cercando di camminare sulla punta delle scarpe per non fare rumore con i tacchi.

    Svoltai all’angolo. Guardai dietro di me. Fred era distratto da un altro invitato e non aveva notato la mia fuga.

    Continuai a correre, ricordando la piantina dell’albergo. Girai a destra altre due volte e mi ritrovai nella cucina. C’era un gran fermento. I cuochi erano indaffarati. Qualcuno cercò di cacciarmi via.

    «Devo

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