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Solo la verità 1832
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Solo la verità 1832
E-book392 pagine5 ore

Solo la verità 1832

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Info su questo ebook

Lee Ann ha vissuto la sua vita divisa tra la sua casa a Torino e diversi collegi all’estero, sempre lontana dai suoi genitori spesso in viaggio. Ora che questi sono morti, in circostanze misteriose, è costretta a lasciare Torino per trasferirsi da Sir Stladstone, il suo padrino che vive in Toscana con sua moglie e i due giovani figli: Terence e Lawrence Lee Ann, dopo tante sofferenze, sente di poter essere nuovamente felice, ma non tutto è come sembra. Quello straordinario legame tra fratellanza e amicizia, con Terence e Lawrence, rischia di infrangersi. L’affetto diventa amore e quando alcuni segreti vengono allo scoperto tutto si complica. C’è qualcosa sotto la perfetta facciata della famiglia Stladstone? Cosa nascondono alla ragazza?
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita22 gen 2020
ISBN9788833664194
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    Anteprima del libro

    Solo la verità 1832 - Octavia K Sour

    M

    Solo la verità 1832

    Octavia K Sour

    Regina: …È una legge comune: chi vive deve morire, deve

    attraversar la natura per giungere all'eternità

    Amleto: Sì Signora, lo so: tocca a tutti.

    Regina: Perché dunque ti sembra una cosa tua particolare?

    Amleto: Sembra, Signora; anzi è: non conosco sembra.

    Non è solo il mio mantello tinto d'inchiostro,

    né le mie abituali vesti d'un nero solenne,

    né i rotti e profondi sospiri, e neppure

    il lago che scorre dagli occhi e la disfatta

    espressione del volto, insieme

    con tutte le forme, i modi e gli aspetti

    della sofferenza; non solo tutto ciò

    può veramente rappresentarmi. Coteste sì

    son cose che sembrano ; perché si possono recitare.

    Ma io ho qui dentro qualcosa che è al di là

    d'ogni mostra: il resto non è

    che l'ornamento e il vestito del dolore.

    Shakespeare, Amleto I, II

    Capitolo 1

    Luglio 1832

    « Mi scriverete spesso, vero? »

    « Certamente, Lee Ann. Verrò presto a trovarti »

    « Trovo assurdo non poter rimanere qui con voi »

    « Se dipendesse da me non ti lascerei andar via! »

    « Forse si può fare ancora qualcosa, venite con me e parlate con Sir Stladstone »

    « Non si può, ne abbiamo discusso fin troppo »

    « Lo so, ma è tutto così strano. Non posso non sospettare che la verità sia un’altra, mio padre nascondeva qualcosa e Sir Stladstone era forse coinvolto »

    « Enough! Tuo padre era una persona onesta, non aveva nulla da nascondere e nulla da temere »

    « E Sir Stladstone? »

    « Lui è solo un amico di vecchia data di tuo padre, non mi piace che tu vada da lui, ma non possiamo fare nient’altro. Sono certo che tutto andrà bene, vivrai in una famiglia che ti vorrà bene, i tuoi genitori credevano che lì avresti trovato un ambiente sereno e adeguato a te. È questo che è stato deciso »

    Un breve silenzio si insinuò tra noi.

    « Non voglio che ti occupi ancora di queste fantasie. Salutiamoci con gioia e mi raccomando, scrivimi e se non ti sentissi la benvenuta… »

    « Non preoccupatevi »

    La sua mano estrasse dalla giacca un orologio da taschino, gli diede un fuggevole sguardo per poi tornare a me:

    « Credo sia giunto il momento di salutarci. Addio, Lee Ann. »

    « Addio, zio Arthur »

    Ci scambiammo un abbraccio paterno, ma frettoloso.

    Salii in carrozza, mio zio fece cenno al cocchiere di andare.

    La carrozza cominciò a muoversi scricchiolando, io sprofondai. Mi sporsi col busto fuori del finestrino: il vento mi colpiva. Era freddo, ma non riuscivo a ritrarmi.

    Vidi mio zio, voltarsi e dirigersi verso la porta di casa, la carrozza curvò.

    Mi sedetti e chiusi il finestrino.

    Fuori sfilavano i palazzi torinesi; non si curavano della mia partenza, perché avrebbero dovuto?

    Mi lasciai alle spalle i colori caldi della pietra illuminata dal sole nascente.

    In quei giorni luttuosi lasciavo Torino, quella che era stata la mia dimora dopo tanti spostamenti. Lasciavo mio zio, l’ultima persona che mi era rimasta, per andare verso la Toscana, verso l’ignoto, verso degli sconosciuti divenuti miei affidatari.

    Tenuta all’oscuro, il giorno prima avevo spiato quel colloquio privato tra mio zio e un ufficiale:

    « Eccellenza, capisco il momento delicato in cui vi trovate, ma il mio dovere è di far luce su tutte queste incongruenze, un rapimento, una richiesta di riscatto soddisfatta e poi l’omicidio di un nobile straniero, che portava già così tanto denaro con sé »

    Mio zio non aveva risposto.

    « ...Senza considerare la duplicità del rapimento e dell’omicidio, tutto ciò è estraneo alle abitudini dei briganti della zona »

    « Cosa cambierebbe la verità sulla vicenda? Cosa comporterebbe la cattura del brigante? Mio fratello e sua moglie sono morti »

    « Vostro fratello aveva dei nemici? »

    « Mio fratello era una persona che riusciva a conquistare tutti con poche parole e un sorriso e così sua moglie »

    « E le sue ricchezze? A chi andranno? Il suo titolo? »

    « Non osate gettar infamia sulla nostra famiglia. L’unica erede è mia nipote, una ragazza di quindici anni, credete che lei abbia contatti con dei briganti? Perché invece non fate qualcosa per questa legge? Mi separa da lei, mandandola da una famiglia che lei non ha mai incontrato prima! »

    « Mi spiace, ma io non posso cambiare nulla per quanto riguarda l’affidamento di vostra nipote»

    Solo pochi giorni prima ero stata riportata a Torino, costretta ad abbandonare il mio collegio. Qui non trovai i miei genitori ad attendermi, ma mio zio. I miei genitori, durante il viaggio di ritorno da Venezia, erano stati uccisi. Questo era tutto quello che mi era stato detto, sapevo che mi mentivano, che mi nascondevano qualcosa. Mi era stato taciuto il rapimento e i loro giorni di prigionia, io volevo solo la verità.

    La verità è nel metodo scientifico, Lee Ann.

    Tra libri di scienze di mio padre, avevo cercato tra le pagine dei volumi di Galileo. Sapevo che mio padre metteva lì alcuni documenti e lettere. Avevo trovato delle carte che indicavano somme di denaro. Scambi tra mio padre e altre persone, i cui nomi mi erano sconosciuti, nomi italiani e nomi inglesi.

    L’ultimo nome era quello di Robert Stladstone, la data era di poche settimane prima.

    Un biglietto scritto a mio padre da Sir Stladstone:

    Caro Reetler,

    Incontriamoci a Venezia nel mese di giugno, solo io e te, risolveremo ogni cosa.

    Prima di partire cambia le disposizioni di cui mi hai parlato, se temi per tua figlia cambia il tuo volere in mio favore e io mi prenderò cura di tutto. Per quanto riguarda i timori di tua moglie riguardo il futuro, ignorali, sono solo preoccupazioni di una madre.

    Lasciamo all’oscuro gli altri, non far parola con nessuno di questo nostro scambio e del nostro incontro a Venezia. Non hai nulla da temere, sono solo precauzioni, che sono certo non serviranno.

    Se tua moglie insiste per venire a Gineste, alla fine dell’estate, e portare con sé Lee Ann siete i benvenuti, accontentala, così anche lei si convincerà del buon senso degli accordi presi in passato.

    Robert Stladstone

    Nessuno aveva voluto ascoltarmi. Avevo portato quei fogli via con me, senza sapere davvero cosa farne.

    Uno scossone.

    Un risveglio.

    Non ricordavo cosa stessi sognando, non volevo saperlo.

    Un viaggio, un lungo incubo.

    Pianti lenti e ininterrotti mi conciliavano un sonno da cui mi risvegliavo incessantemente in lacrime.

    Avevamo appena varcato delle alte e solide mura: ero arrivata a Gineste.

    Proseguimmo ancora molto, tra colline buie e file di alberi tormentati da un vento che non avevano nulla di estivo.

    La vista si poté nuovamente liberare verso l'orizzonte e un'imponente costruzione si presentò a me.

    Ci fermammo di fronte all’ingresso, in piedi lo fissavo: un enorme edificio, alto, austero e così chiaro rispetto al cielo che sembrava stesse per crollarmi addosso.

    Sotto la pioggia mi venne incontro un uomo alto con gli occhi scuri, gentili e con le prime striature bianche tra i capelli:

    « Miss Reetler, sono Sir Stladstone. Com’è andato il viaggio? Spero tutto bene »

    « Tutto bene, Sir Stladstone, grazie »

    « Entriamo, o ci bagneremo »

    Una solenne scalinata di pietra bianca mi portò all’interno.

    Lo seguii in biblioteca. Le mie orecchie finalmente erano al riparo dal rumore frastornante della pioggia che batteva la copertura della carrozza. Mi fece accomodare e prese il suo tempo prima di iniziare a parlare.

    Quello era il momento dei discorsi tristi:

    « Sono molto addolorato per la vostra perdita... »

    Annuii. Ebbe per me un sorriso sommesso:

    « Non oso immaginare quali terribili giorni stiate vivendo, ma spero che in qualche modo io e la mia famiglia potremo aiutarvi nell’affrontare le vostre sofferenze. Dopo molto tempo che non ricevevo notizie della vostra famiglia, questa notizia è stata devastante... »

    La lettera che avevo letto riportava la data di due mesi fa, una corrispondenza segreta per proteggere entrambe le famiglie da qualcosa che ignoravo.

    Mentiva, ma non riuscivo a non fidarmi di lui, ripensavo a quella frase nella sua lettera e io mi prenderò cura di tutto, una promessa fatta al suo amico. Per un momento quella stessa frase mi apparve una minaccia, una lettera fatta di cose non dette che mi spaventavano, ma scacciai via da me quella paranoia.

    Parlò dei miei genitori e poi parlò di sé e della sua famiglia, mi preparava lentamente ad entrarvi:

    « È a Gineste che conobbi mia moglie, eravamo in viaggio con tuo padre, ospiti presso la famiglia Harvis, una famiglia inglese con cui siamo ancora molto legati.

    Spero che anche tu imparerai ad amare Gineste, è una zona piuttosto caratterizzata dalla presenza inglese, anche il nostro palazzo dopotutto è stato progettato da un inglese nel ‘700, mi ricorda molte residenze di campagna, nel Devonshire. Se non sbaglio hai vissuto anche tu nel Devonshire? »

    « Sì, ci trasferimmo lì da Londra quando ero ancora molto piccola, vi siamo rimasti per cinque anni, avevo otto anni, quando partimmo di nuovo per il Continente »

    Mi guardò benevolmente.

    « Anche i miei figli hanno studiato per un periodo in Inghilterra, a Eton. Ma da qualche anno sono tornati a casa, per crescere nell’ambiente italiano, l’Inghilterra è troppo lontana. Mia moglie e i miei figli saranno ansiosi di conoscerti »

    Andai a cambiarmi aiutata dalla cameriera, non mi lasciai il tempo per riposare o pensare, mi affrettai a scendere.

    Sir Stladstone m’introdusse nel salone dove trovai una donna dai capelli scuri, raccolti sulla nuca, e occhi vispi. Si alzò immediatamente da una poltrona. Una donna slanciata, dalle spalle larghe, molto aggraziata nelle sue movenze:

    « Signorina Reetler, finalmente siete arrivata. Sono così dispiaciuta per ciò che è successo, la notizia ci ha veramente scossi e faremo tutto il possibile per farvi sentire come a casa »

    Lady Stladstone aveva iniziato a parlare rapidamente in un italiano, al quale però io ero poco abituata. Cercai di rispondere, ma la mia voce era così debole in confronto all’entusiasmo di lei.

    « Siete il ritratto di vostra madre! Guardatela caro, non sembra anche a voi di rivedere Gladyes quando era a Roma? Pensare che l’ultima volta che vi ho vista eravate così piccola… vedrete che qui vi troverete benissimo, Signorina Reetler! Oh, ma Signorina Reetler suona così formale. Dopotutto ora farete parte della famiglia »

    « Ma certo Lady Stladstone, potete chiamarmi semplicemente Lee Ann »

    « Bene, perché non voglio assolutamente che ti senta come un’ospite qui e poi… ma perdonami... se parlo troppo veloce »

    « Cara, temo che in questo modo finirete per soffocarla! Vieni, siediti Lee Ann »

    Anche Sir Stladstone aveva abbandonato il più familiare inglese per passare all’italiano.

    La porta si spalancò rumorosamente ed entrarono due giovani, gocciolanti.

    Lady Stladstone scattò trasformandosi in una belva inferocita:

    « Vi avevo pregato di essere qui per le sei! Sono le dieci passate! Dove siete stati? »

    Anche Sir Stladstone si fece avanti verso i due giovani:

    « Penserò a come punire la vostra irresponsabilità più tardi »

    Uno dei ragazzi mostrò un volto contrito dal dispiacere:

    « Vi prego di perdonarci. Siamo stati colti di sorpresa dalla pioggia... »

    L’altro lanciò un’occhiataccia a suo fratello, ma non disse nulla.

    « Scusali, questi sono i miei figli Terence e Lawrence. »

    Un sussulto a quel nome, ma dopotutto lo sapevo, il primogenito Stladstone aveva il nome di mio padre.

    « Così conciati siete veramente impresentabili! Lei è Lee Daisy Ann Reetler »

    Quello che si rivelò chiamarsi Terence si avvicinò a me:

    « Benvenuta, io sono Terence Stladstone »

    La sua espressione mortificata si trasformò subitaneamente in un piacevole sorriso. I tratti del suo viso bagnato erano spigolosi e impertinenti, il suo sguardo allegro e sbrigliato mi studiava.

    Sir Stladstone richiamò all’ordine i due ragazzi:

    « Perché non la accompagnate nella sua stanza?! Immagino che sarai molto stanca »

    I due ragazzi mi scortarono al piano superiore.

    A ogni passo risonante d’acqua, lasciavano una scia di pioggia dietro di loro.

    Il corridoio poco illuminato nascondeva minacciosi segreti.

    « Miss Reetler, spero vi piaccia la vostra stanza… »

    Un ambiente grande dai colori tenui, pesca e verde, la mobilia chiara. Uno scrittoio, armadi, tavolini delicati, poltrone eleganti rivestite di fiori, un grande specchio dominava una toletta. Non avevo mai avuto una toletta così grande a Torino.

    Tutto appariva nuovo persino il fuoco, nessuna traccia di ricordi o di affetti passati. L’odore intatto dei tessuti delle tende e del letto dominava.

    « Molte delle vostre cose sono già qui, altre saranno sistemate nei prossimi giorni. Di qualsiasi altra cosa abbiate bisogno non esitate a chiedere »

    In una scaffalatura c’erano già tutti i miei libri.

    Attorno alla luce s’imbrogliava orrendamente una falena grigia.

    « Nonostante la luttuosa circostanza che vi ha portata qui, spero che col tempo mi possiate considerare davvero come un fratello maggiore. Ho notato che mio padre si rivolgeva a voi chiamandovi per nome e vista la situazione forse potreste permetterlo anche a me? In ogni altro caso sarebbe sconveniente, ma dovendo vivere insieme d’ora in poi »

    L’italiano di Terence Stladstone aveva qualcosa d’insolito, le sue mani accompagnavano quasi ogni parola con un gesto.

    Non dissi nulla, annuii semplicemente, sapendo che qualsiasi mia parola sarebbe stata superflua.

    « Voi, tu... puoi chiamarmi Terence. Lee Daisy Ann. Molto grazioso, ma un po’ lungo »

    « Lee Ann andrà benissimo »

    « Fantastico! Lee Ann, non esitare a rivolgerti a me per qualsiasi cosa, la mia stanza è quella a destra, mentre quella di fronte è di Lawrence, ma ci sono veramente poche occasioni in cui Lawrence può essere utile, anzi nessuna! »

    Lawrence, che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio, sembrò pronto a scagliarsi su suo fratello, invece si voltò calmo e parlò per la prima volta, placido:

    « Vi auguro sogni d’oro, Miss Reetler »

    S’inchinò, uscì e chiuse la porta, sbattendola.

    La falena venne soffiata via dalla luce.

    A seguito della mia espressione smarrita, Terence si preoccupò di chiarire:

    « Non preoccuparti, non lo faccio con cattive intenzioni, piccole istigazioni. Sto conducendo su mio fratello un esperimento, ma i risultati sono ancora deludenti… »

    Il chiarimento di Terence mi aveva lasciato ancor più smarrita.

    La falena si spostò svolazzandomi accanto per un momento.

    Mi ritrassi.

    Terence la notò, temetti l’avrebbe schiacciata sgradevolmente tra i palmi delle mani, invece con pochi gesti la fece uscire dalla finestra.

    « Per questi e altri servizi, Miss Lee Ann, sempre a tua disposizione »

    Di nuovo un lampo della sua teatralità.

    « Ti lascio riposare, buonanotte »

    « Buonanotte »

    Ero in quella casa da circa un’ora: rimproveri, strane provocazioni e nessuna frase di senso compiuto da parte mia.

    Pensai a quante volte mio padre mi aveva parlato del suo amico e della sua famiglia, di quante volte mi aveva detto che saremmo andati a trovarli un giorno o l’altro. Ora mi trovavo lì sola, tra quelli che erano solo degli estranei.

    Avevo lasciato la mia casa, avevo lasciato il mio collegio, tutto era lontano.

    Cominciai a scrivere una lettera a mio zio Arthur.

    Un viaggio lungo ma tranquillo, un caloroso benvenuto.

    Gli scrissi che tutto andava bene. Anche lui, sconvolto per la perdita dei miei genitori, non avrebbe dovuto ricevere una lettera piena del mio lamento.

    Qui mi sarei sentita come a casa…

    Un nodo mi stringeva la gola. Per me casa significava solo un luogo dove sarei potuta rimanere per giorni senza dover parlare con un estraneo, un luogo dove potevo essere al sicuro da tutto ciò che della realtà non avevo mai conosciuto. Ora invece avrei vissuto in una casa immersa nel mondo vero, avrei dovuto vivere con persone che mai avevo visto, ero terrorizzata dal solo pensiero di dover parlare con loro.

    Mio zio, l'unico forse che aveva parlato veramente con me in quegli anni, l'unico che sembrava provare interesse nel parlare con me. I piacevoli racconti dei suoi viaggi.

    Lontano. Solo con lui non ero mai stata a disagio nell'esprimere un mio giudizio.

    Ormai io ero lontana, affidata agli Stladstone, dei quali conoscevo il nome e la loro più recente storia.

    Mio padre e Sir Stladstone erano stati amici da sempre, insieme avevano deciso di lasciare Londra e di voler spostare la loro vita in altri luoghi: la Francia, prima, e l’Italia poi.

    Si erano ritrovati felici a Roma, dove decisero di stabilirsi per un periodo più lungo; Sir Stladstone si era sposato con un’italiana. Mio padre aveva incontrato invece una ragazza inglese amica degli Stladstone in viaggio a Roma: mia madre.

    Nacquero Terence e Lawrence e gli Stladstone decisero di stabilirsi definitivamente a Gineste, una cittadina tranquilla, non lontana da Firenze. I miei invece tornarono in Inghilterra, io nacqui a Londra. Sempre insoddisfatti, i miei genitori, divisero il resto della loro breve vita tra Torino, Cannes o in viaggio.

    Quello era tutto ciò che sapevo degli Stladstone e ciò che conoscevo della parola casa.

    La mattina seguente mi svegliai già stanca e il mio sguardo era indebolito dalle lacrime, l’unico mio desiderio era quello di potermi riaddormentare. Enormi nubi plumbee, ma nessuna goccia di pioggia.

    Dalla finestra una collina distante e gli ulivi attorcigliati.

    Mi preparai e uscii da quella che d’ora in poi sarebbe stata la mia stanza. Nel corridoio, che ora mostrava ogni angolo, non trovai nessun mistero, nessun nero segreto.

    In quella casa tutto era in mostra, la luce, che si dispiegava ovunque, mi esponeva.

    Nella sala della colazione seduto a un imponente tavolo c'era Lawrence Stladstone.

    « Buongiorno »

    Sembrava di buon umore.

    « Buongiorno Miss Reetler »

    Mi sedetti di fronte a lui.

    Non c’erano fiori sulla tavola, me ne dispiacqui.

    Subito mi trovai nello stesso stato d’imbarazzo della sera precedente, uno di quei momenti in cui ci si sente a disagio a rimanere in silenzio e ancor di più a parlare. E se per qualsiasi altro membro della famiglia Stladstone sarebbe stato semplice occupare quei silenzi, Lawrence Stladstone non mi sembrava il più adatto.

    « Avete riposato bene? »

    « Sì, grazie »

    « Volevo scusarmi con voi per il mio comportamento di ieri sera. Non avreste dovuto esser spettatrice dell’ennesimo dei nostri litigi »

    Litigi frequenti, dunque.

    « Immagino che tra fratelli capiti di discutere »

    « Già! Vuoi del tè? I miei genitori si scusano di esser dovuti uscire presto questa mattina e così Terence, ma saranno di ritorno nel pomeriggio. Se ne avete voglia, più tardi, potrei mostrarvi la città, ci sei già stata altre volte? »

    « Anni fa, ma solo per due giorni »

    « Ricordo vagamente che mio padre era molto dispiaciuto, perché in quel periodo noi eravamo partiti per Venezia e non poté incontrare vostro padre… »

    Lawrence Stladstone, che continuava a passare dal tu al voi, senza decidersi su quale usare, probabilmente si sarebbe dileguato volentieri, dopo aver nominato mio padre.

    Decisi di aiutarlo, sembrava più in difficoltà di me:

    « Sono contenta di conoscere meglio Gineste, ho solo dei ricordi piuttosto vaghi e, visto che ora dovrò viverci, credo sia bene che impari almeno la strada per casa »

    L’espressione di Lawrence sembrava ringraziarmi:

    « Bene, allora farò preparare la carrozza. Terence è in città con un suo amico, anche lui è inglese. Potremmo raggiungerlo se volete »

    Il tu e il voi continuarono ad alternarsi.

    ****

    Mentre aspettavo Lee Ann in salone, iniziai a raccogliere i pensieri su qualcosa d’intelligente da dire per quando saremmo stati di nuovo insieme. Dovevo sembrare la persona più stupida della terra agli occhi di uno sconosciuto; non solo a uno sconosciuto.

    Non attesi a lungo il ritorno di Lee Ann, presto infatti la vidi scendere le scale con un passo incerto. Mi ripromisi di fare del mio meglio per avviare una conversazione più intelligente possibile, cercando di non cadere in eventuali riferimenti ai suoi genitori.

    « Possiamo andare! Temo che pioverà a momenti »

    Appena salimmo in carrozza iniziò a piovere.

    La mia previsione meteorologica si rivelò esatta, ma non certo brillante. Parlare del tempo non era certo da considerarsi una conversazione interessante. Forse per la prima volta nella mia vita sentii davvero il peso del giudizio di Terence, di quel concetto ripetutomi all’infinito: Lawrence sei così noioso, tedioso, pesante, pedante, affatto divertente…

    Doveva esser vero, temetti di annoiare Lee Ann.

    Eppure, sembrava mi ascoltasse piuttosto interessata.

    « Dovrei passare in libreria a ritirare un libro, spero che non vi dispiaccia »

    Si dimostrò tutt'altro che dispiaciuta e la sua risposta mi liberò finalmente da un angoscioso sconveniente che mi torturava da ore:

    « Non è sicuramente un dispiacere e credo che possiamo passare a un tono meno formale, sempre che per voi vada bene »

    Avevamo passato più tempo di quanto avessi previsto in libreria, ma quando uscimmo la situazione era decisamente cambiata: aveva smesso di piovere e la conversazione con Lee Ann era migliorata.

    Una domanda di Lee Ann mi sorprese, stupidamente:

    « Parlate sempre in italiano in casa? »

    « A volte nostro padre si rivolge a me e a Terence in inglese. Io e lui abbiamo studiato in un collegio in Inghilterra, ma ora studiamo a casa. Il nostro precettore è inglese e con lui studiamo in inglese ma anche molto in italiano e ci obbliga saltuariamente al francese, ma dopotutto viviamo qui a Gineste e poi nostra madre non parla inglese »

    « A volte parlate in modo che non comprendo a pieno e temo che il mio italiano sia solo quello dei libri »

    « Avevo capito che studiavi in un collegio a Torino »

    « Sì, ma i miei studi erano in francese e con i miei genitori ogni contatto era, naturalmente, in inglese »

    « Se vuoi possiamo parlare in inglese... o col mio pessimo francese »

    « No, ti prego, sono io a dover migliorare il mio italiano, tu però correggimi quando sbaglio »

    Non mi sembrava ci fosse bisogno di molte correzioni, ma glielo promisi.

    ****

    « Così tra poco conoscerò la protetta di tuo padre, come hai detto che si chiama? »

    « Miss Lee Daisy Ann Reetler »

    « Che razza di nome! »

    « Non ti piace? Io lo trovo così adorabile! Mi piace il suo suono: Lee Daisy Ann »

    « E la portatrice del nome com'è? »

    « Ha 14 anni o 15, non ricordo… »

    « È carina? »

    « Molto graziosa »

    Conoscevo bene quell’espressione di William:

    « Non devi neanche pensarci »

    « Va bene... va bene »

    « Ha qualcosa d’infantile, ispira senso di protezione. Qualcosa del tipo occhi enormi e labbra rosse in un visino candido. Insomma, niente a che fare con Miss Gherardi o con le tue amiche »

    « Amiche che tu non hai mai disprezzato, Terry. Invece il tuo disdegnare Francesca Gherardi è allarmante. Comunque non devi preoccuparti, le mocciose non m'interessano »

    « Eccola »

    William si voltò immediatamente.

    « La biondina con gli occhi chiari, vicina a tuo fratello? Ma non è una mocciosa come hai detto tu! »

    « Non credo di essermi espresso in questi termini, in ogni caso le regole non cambiano, devi considerarla come mia sorella »

    ****

    In una delle stradine, dai palazzi rossastri di Gineste, trovammo Terence in compagnia di un altro ragazzo seduti in un caffè.

    Mi avvicinai incuriosita: era la prima volta che entravo in un caffè, era un posto piuttosto elegante anche se, notai, la presenza limitata di donne.

    Un color vaniglia diffuso con ordine, luci delicate e floreali, alcuni dipinti, molti specchi.

    Ci dirigemmo a un tavolino tondo fregiato.

    « Miss Lee Ann questo è un mio amico: William Harvis, che spero diventi anche un tuo amico »

    Osservai il ragazzo dal viso pallido, con due rossori pronunciati e capelli dal colore di un’arancia.

    Mi sembrò di sentire un impercettibile sbuffo di Lawrence che Terence ignorò:

    « Lei è Miss Lee Daisy Ann Reetler »

    Sembrava che a Terence piacesse pronunciare il mio nome per intero.

    Un cameriere raggiunse il nostro tavolo. Gli altri tre ordinarono un caffè, bevanda che non avevo mai assaggiato. Avrei preferito un tè, ma non sembrava esserci quest’opzione.

    Il cameriere mi suggerì una cioccolata, ma Terence subentrò con tutta la sua esuberanza:

    « È troppo caldo per una cioccolata! Desideri, invece, un sorbetto? »

    « Un sorbetto? »

    « Non l’hai mai assaggiato? Allora devi! Un sorbetto ai fiori di cannella, forse? È un dolce tipico delle Sicilie o di Parigi!? Forse da entrambe... »

    Si decise per questo sorbetto e qualsiasi cosa fosse, si rivelò squisito.

    « Allora Lee Ann, quanto ti sei annoiata con Lawrence questa mattina? Puoi esser sincera, Lawrence sa di essere una persona monotona »

    Terence pretendeva da me un giudizio su Lawrence e si aspettava un giudizio negativo.

    Erano tutti in attesa di una mia risposta.

    Cercai di essere il più diplomatica possibile, deprecando ogni accenno di negatività:

    « Oh no, Mr Lawrence è stato così gentile da mostrarmi la città, gli sarò molto grata in futuro, quando saprò tornare a casa senza perdermi. Ho trascorso una mattinata piacevole, interessante »

    Terence sorrise:

    « Fantastico! Sono contento che ti sia divertita »

    Sorrisi impacciata.

    Mr Harvis s’intromise con l’accompagnamento di una palese irritazione sul volto di Lawrence e da quello che disse William Harvis potei ben comprenderne il perché:

    « Terry, è oltremodo esagerato affermare che Miss Reetler si sia divertita! Il nome di Lawrence non può esser neanche presente nella stessa frase dove è stata usata la parola divertimento. O forse, Mr Lawrence Stladstone è stato reso più divertente dalla pioggia di ieri? »

    Lawrence sorrise, ironicamente, rimanendo in silenzio.

    Non so cosa mi spinse a parlare, forse l’espressione di Lawrence che sembrava rimanere inerme.

    « Trovo davvero poco educato giudicare quanto e se io mi sia divertita, soprattutto quando ho già detto di aver passato una piacevole mattinata »

    Lawrence stava per dire qualcosa, ma William Harvis non gliene lasciò il tempo:

    « Lawrence, ti fai difendere dalle ragazze ora? Cos'hai raccontato di me a Miss Reetler? »

    « Non amo parlare di te, William, come non amo parlare con te »

    « Ma certo, Lawrence Stladstone il superbo! Vostra Signoria è troppo superiore al resto della specie umana per degnarci della sua parola o del suo pensiero. Devo ammettere di sentirmi onorato della tua presenza qui, oggi »

    Semplicemente e infinitamente perplessa.

    Terence decise di intervenire:

    « Sono certo che Lee Ann non sia affatto interessata a partecipare a uno dei vostri battibecchi »

    Sia Lawrence che William si scusarono con

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