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Italiana per Caso
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E-book283 pagine4 ore

Italiana per Caso

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Info su questo ebook

Semplice, divertente e passionale, la storia di una donna albanese che di fronte a una guerra, un amore non vissuto per un soldato italiano e il sogno di una vita diversa, decide di fuggire in Italia. Lontana dalla famiglia e priva dei suoi affetti, il cammino da lei intrapreso metterà a dura prova la sua esistenza e le sue convinzioni. E’ una storia umana, veicolata da un grande amore, dove non mancano situazioni buffe e surreali. Un viaggio di scoperta interiore, un inno alle scelte coraggiose, alla libertà, all’amicizia, con un invito esplicito ad essere liberi e vivere la vita secondo le proprie convinzioni e nella sua pienezza.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2016
ISBN9781530384303
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    Anteprima del libro

    Italiana per Caso - Mirela Maksutaj

    Trentuno

    ITALIANA PER CASO

    Romanzo

    Dedicato alla mia famiglia che

    mi ha sostenuta in ogni momento,

    a tutte le persone meravigliose

    incontrate nel mio cammino.

    Un ringraziamento speciale a

    Mariarita, Teresa e Vera

    che hanno cambiato

    profondamente la mia vita

    .

    Prefazione

    Italiana per caso potrebbe quasi sembrare il titolo di un film comico, uno di quelli pieni di gaffes e situazioni al limite dell’assurdo, e forse in qualche modo lo è.

    Ma è la storia di una donna normale, simile a migliaia di altre donne alla ricerca della libertà dell’anima e dell’amore. Sembrano parole banali, ripetitive eppure sono queste parole che mi hanno dato la voglia di lottare, guardare avanti e sognare, anche se a volte penso che siano stati gli stessi ideali a rendermi schiava, a farmi sentire sola. Sono sempre stata affamata d’amore e non di denaro. Questo ha influenzato le mie scelte di vita. Non voglio chiedere se ho fatto la cosa giusta o sbagliata. So di aver vissuto seguendo le mie convinzioni e il mio istinto. Non so cosa mi riservi ancora il destino, ma di una cosa sono certa: seguirò le voci che mi arriveranno dal profondo del cuore. Se ci sarà bisogno di volare più in alto, m'inventerò un paio d’ali.

    Sono fermamente convinta che non esiste ingegnere al mondo che possa capire cosa vuol dire entrare nell’anima di una donna. Non so cosa avesse in mente il buon Dio quando ci ha creati. So che con noi ha fatto un capolavoro della natura.

    Uno

    Tirana 1997. Tutto ebbe inizio con quelle maledette società finanziare. Sono spuntate come funghi e in poco tempo hanno ipnotizzato tutta la popolazione. Ovunque, in ogni casa, in ogni bar, non si parlava d'altro. Raccoglievano i soldi dei risparmiatori e promettevano soldi triplicati nell’arco di tre mesi. La gente non era così credulona da pensare che potesse piovergli dal cielo tutto quel denaro all’improvviso. Era sospettosa, ma ci fu una grande propaganda nei confronti delle finanziarie da parte del governo. Giravano voci che, nei palazzi del potere, tanti politici erano implicati con i traffici illeciti e le finanziarie e offrissero un’ottima possibilità per riciclare il denaro sporco e creare una ricchezza pulita. Le voci che circolavano sui coinvolgimenti governativi, resero tutti più tranquilli, dal momento che lo Stato in prima persona era coinvolto con i suoi interessi e dunque le finanziarie dovevano essere affidabili. Nessuno indagò e denunciò l’odore della truffa che si respirava intorno a quelle società. Inebriati dall’euforia del guadagno facile, tutti i risparmiatori affidarono i loro soldi alle finanziarie. Sembravano tutti assetati di denaro. L’autodifesa fu intorpidita da una massiccia dose di anestetico in forma di denaro sonante. Lo stato lasciò prosperare le finanziarie permettendo di drenare tutto il risparmio nazionale. La situazione iniziò a precipitare dopo il fallimento delle prime società. Tutto cominciò a crollare come un castello di sabbia. L’ordine del primo ministro Berisha, di congelare i fondi delle altre società, fu la scintilla che fece accendere il putiferio e scatenare l’inferno. La gente, in uno stato di profonda agitazione e disperazione di chi sa di essere truffato e completamente defraudato, iniziò a protestare. Scoppiarono le prime rivolte popolari che a macchia d’olio si estesero in tutto il Sud. Il paese era in un caos generale e la situazione ormai era completamente fuori controllo. Sembrava l’opera del diavolo.

    Quella sarebbe stata una sera che Martela non avrebbe mai dimenticato. Era in soggiorno seduta sul divano accanto a sua madre e stavano seguendo il telegiornale con ansia. Il padre era seduto su una seggiolina vicino alla finestra ogni tanto guardava fuori e ogni tanto buttava un occhio al telegiornale. Cercava di capire la situazione. Da giorni trasmettevano la rivolta della gente inferocita scesa in piazza in diverse città, Tirana, Durazzo, Valona.

    Meno male che non avevamo soldi da depositare su quelle finanziare disse la madre mentre guardava il telegiornale. Altrimenti adesso eravamo con un pugno di mosche in mano, come quella gente che si trova in piazza.

    Avevi previsto tutto disse il padre. Continuavi a dire a tutti che finirà tutto male e alla fine è andata così. Come facevi a sapere?

    Non ci vuole tanto per arrivarci, rispose lei. A me sembra così strano il sistema di queste finanziarie. I soldi non li regala nessuno. Non esiste da nessuna parte che uno deposita tutti i risparmi e dopo tre mesi sono triplicati. Solo Gesù è riuscito a moltiplicare il pane e i pesci. Adesso l’uomo si è convinto di competere con il Signore? Mah.

    Mamma, ma devi uscire sempre con le tue pillole di saggezza? Vediamo, cosa prevede il tuo cervello per il futuro?

    Figlia mia, impara dalla tua mamma e fai tesoro di quello che ti dico, ti servirà, perché hai una vita davanti da affrontare. Io mi chiedo se sarà così il capitalismo. Ho i miei dubbi. Sapete cosa vi dico? Stavamo meglio sotto il comunismo almeno tutto era molto più semplice.

    Fuori di casa si sentivano gli spari ininterrotti dei kalashnikov e dalla strada arrivava il rumore del passaggio dei carri armati della polizia. A un tratto si sentì qualcuno bussare forte alla porta. Martela corse e quando aprì la porta, si trovò di fronte la signora Sofije, la vicina di casa, una donna sui quarantacinque anni, minuscola di statura, sempre vivace e piena di energia. Aveva il viso sconvolto e negli occhi si leggeva chiaramente la paura.

    Martela, perché rimanete ancora in casa, disse con un tono di rimprovero. Non sentite cosa sta succedendo fuori? Hanno aperto i depositi delle armi e tutta la gente si sta armando.

    Sono impazziti tutti quanti? Chi sta orchestrando tutto questo? Poveri noi zia! Cosa facciamo? Io, solo l’idea di possedere armi in casa mi fa venire la pelle d’oca. Siamo tutte teste calde, finirà che ci ammazziamo tra di noi.

    La madre si avvicinò.

    Sofije che succede? Ho messo la testa fuori dalla finestra e non si capisce nulla. Si spara da tutte le parti e in strada ho visto i carri armati della polizia. Contro chi diavolo sparano?

    Mi sembra di vivere un incubo disse Sofije. Sembrano tutti impazziti e sparano in aria. Avete visto fuori dalla palazzina? Il muro dal nostro lato è tutto segnato dai proiettili. Se ci sparano col carro armato, siamo finiti.

    Signore proteggici, mormorò la madre.

    Lascia stare il Signore. Prima che qualche proiettile ci prenda, scappiamo da questo paese di merda altrimenti ci lasciamo la pelle, ci faranno secchi per niente.

    Dove andiamo? Se sparano, l’unico posto sicuro è stare in casa.

    Sembra che tanta gente si sia diretta verso Durazzo, disse Sofije. Dicono che hanno aperto il porto e la gente prende le navi per partire in Italia. Che cosa facciamo ancora qui?

    La madre si fermò a pensare. Cercò di riflettere. Il suo volto dolce era visibilmente sconvolto e preoccupato.

    Vai a chiamare papà,disse a Martela. Con tutti questi spari come fa a stare tranquillo sul divano?

    Forza Zembere, organizza la famiglia e partiamo. Noi lasciamo tutto e andiamo. Se volete venire, decidete velocemente. Non c’è tempo da perdere.

    Va bene andate avanti, noi vi raggiungiamo.

    Il padre si avvicinò con un’aria interrogativa. Si vedeva chiaramente che non aveva capito nulla di quello che stava succedendo intorno.

    Che succede? chiese.

    Succede che la gente sta andando via dall’Albania, stanno prendendo le navi a Durazzo e vanno in Italia.

    La madre fece un respiro profondo. Era chiaro che le stava mancando l’aria. Non si perse d’animo e assunse un tono deciso.

    Prendi le figlie e parti per Durazzo. Almeno loro possono avere un futuro migliore. Io resto qua, non abbandono la casa. Vi unite all’altra gente. Una volta arrivati in Italia, chiami Bashkim, nostro figlio, così non sarete soli. E che Dio ce la mandi buona.

    Martela si girò e guardò la madre negli occhi. Non l’aveva mai vista così. L’espressione del suo viso era cambiata, trasformata in una maschera d' immensa sofferenza. Aveva gli occhi sconvolti e dilatati.

    Sei sicura che sia la decisione giusta?

    Non voglio che vi uccidano, siete giovani e avete tutta la vita davanti. Se uccidono me, almeno ho vissuto la mia vita e ho fatto voi tesori. Dai prendi tua sorella e vai. Abbiate cura del papà.

    Un silenzio tombale cadde. Tutto stava accadendo così velocemente che gli si prosciugarono le parole. Il padre non apri bocca. Iniziò per primo a scendere le scale. Martela diede un bacio alla madre sulla fronte. Il cuore batteva all’impazzata.

    Dai, vedrai che torneremo presto.

    Le uniche parole che riuscì a dire. Quelle parole fuoriuscirono mentre sentiva il cuore che si stava spaccando. Prese la sorella per mano e iniziò a scendere le scale di corsa senza voltarsi indietro. Non le sembrava vero tutto quello che stava accadendo. Le sembrava la scena di un film di guerra. Era così surreale. Davanti a lei trovò altra gente del palazzo che scendeva le scale correndo. Più avanti c’era la signora Sofije con suo marito Agron. Raggiunse il padre, lo afferrò per braccio, lo strinse forte e gli sussurrò: Stiamo uniti, non ci dobbiamo perdere di vista.

    Da un lato stringeva la mano della sorella piccola, Silvana e d’altro lato teneva forte sotto braccio il papà. Quando scesero in strada, era buio pesto, come all’inferno. Ormai i lampioni non facevano luce da un bel po’. Non si capiva se avevano rotto le lampade o avevano tolto l’alimentazione ai lampioni. In tempi di guerra non ci si può meravigliare di niente. Tutto diventa normale. Martela guardò il cielo. Quella sera sembrava che anche la luna si fosse nascosta, come se avesse paura degli spari e dei carri armati. Si diressero verso la strada che portava a Durazzo. Vide altra gente del paese che andava a piedi. Si sentivano solo spari e urla da tutte le parti. Nessuno sapeva chi aveva sparso la voce delle navi a Durazzo. L’unica cosa certa era che la gente correva verso la Libertà.

    Il padre a un tratto rallentò il passo e poi si fermò.

    Papà, che succede, stai bene?

    Non so se è stata la decisione giusta di scappare per andare in Italia. Non vedi l’inferno che c’è fuori? Non ce la faremo mai ad arrivare a Durazzo. Ci ammazzeranno prima.

    Poi si udì un rumore forte che coprì quello dei kalashnikov. Erano i carri armati.

    Stanno sparando sulla gente i bastardi, sentiva le urla disperate. Scappiamo, scappiamo, prima che ci uccidano.

    Tra urla, grida e spari non si capiva più niente.

    Si buttarono a terra. Martela d’istinto coprì con il suo corpo sua sorella per proteggerla dagli spari. Cercò di convincersi che non stava succedendo davvero. Sentì addosso una strana sensazione, l’attesa di essere colpita da un proiettile. Non c’era niente di paragonabile a quella sensazione, forse l’idea di precipitare nel vuoto aspettando che si apra il paracadute. Tutto il suo corpo si era irrigidito come un pezzo di metallo. Sentiva il respiro affannato del padre. Era sotto shock e paralizzato dalla paura. Si girò verso di lei, la guardò negli occhi e con la voce ansimante disse Che cosa abbiamo combinato? Abbiamo lasciato la mamma da sola?

    Aveva gli occhi pieni di lacrime. Per Martela fu come se un proiettile le avesse attraversato il cuore. Guardò ancora una volta il cielo. Il buio pesto di quella notte la sfidava, come la paura dentro il cuore. In quell’istante, capì che poteva perdere tutto ciò che aveva di più prezioso, la sua famiglia.

    Perché buon Dio non fai niente gridò. Come fai a essere così indifferente davanti a una simile follia?

    Non è colpa di Dio rispose il padre con voce rassegnata. La colpa è dell’uomo avido e insaziabile di denaro e di potere.

    Rimaneva poco tempo e doveva prendere una decisione. Faceva freddo. Guardò il padre e lui annuì come se le avesse letto nel pensiero.

    Hai ragione papà, torniamo indietro, torniamo a casa. Se dobbiamo morire, è meglio che moriamo tutti insieme. Che dici sorellina, torniamo dalla mamma, che l’abbiamo lasciata da sola?

    Siii urlò Silvana. Tutti questi spari mi spaventano, invece quando sono vicina alla mamma, non ho paura di niente.

    Dai papino, forza e coraggio, torniamo a casa.

    D’improvviso vide il sorriso e gli occhi del padre risplendere.

    Dai, vagabonda del papà, torniamo dalla mamma. Io non riesco a vivere senza di lei.

    Silvana, che ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo realmente, cominciò a seguirli saltellando di gioia. Pensava che tutto ciò che accadeva quella notte, fosse un gioco per adulti. Salirono le scale di corsa. La salita le sembrò più ripida. Ansimavano per l’aria rarefatta e tremavano per il freddo che gli penetrava nelle ossa. Martela sentiva gli spari, ma all’improvviso non le faceva paura niente. Le sensazioni che percorrevano il suo corpo erano indescrivibili. Era tutto un fremito e un brivido insieme. L’unica cosa che contava adesso era raggiungere la madre e stare uniti.

    Quando arrivarono davanti alla porta di casa, bussò e a voce alta disse Mamma, mamma siamo tornati, te l’avevo detto che saremmo rientrati presto.

    La madre, quando aprì la porta, aveva ancora gli occhi gonfi e pieni di lacrime. Prese in braccio Silvana e sorridendo disse Non potevo stare sola per una volta, eh? Ed io che pensavo che finalmente avrei potuto fare quello che voglio.

    Sorrideva e abbracciava forte le figlie. Il suo viso si illuminò. Con i suoi occhi così raggianti, guardava il marito.

    Il padre entrando in casa le disse Noi senza di te non riusciamo a vivere. Sei tu la colonna della nostra famiglia.

    Ti sono mancata per così poco tempo? Neanche mezz’ora e sei già tornato da me? Io speravo che una volta arrivato in Italia, avresti trovato un’italiana ricca, ed io mi sarei liberata disse ridendo, anche se dagli occhi si vedeva che aveva pianto tanto.

    Invece ti sei sbagliata, sei tu la più bella donna del mondo replicò il padre.

    Va bene, adesso basta con i complimenti perché rischio di commuovermi. Chiudiamo la porta, prima che ci sparino nel sedere, e mettiamoci tutti sdraiati per terra. Prima o poi finiranno di sparare.

    La mamma è sempre la solita pensò Martela.

    Osservò gli occhi dolci e senza paura della madre e fu un momento così pieno di emozione, talmente estraneo all’universo pazzo che si trovava al di fuori delle mura di casa che, stranamente, quello che Martela provava in quel momento era solo felicità. All’improvviso non la spaventava più nulla, né i proiettili, né i carri armati.

    Erano tutti e quattro sdraiati per terra mentre i proiettili volavano e gli spari dei kalashnikov si sentivano sempre più vicini. Aveva intorno a sé i suoi cari e le sembrava di avere un pezzo di paradiso. La vista dei suoi genitori così uniti le riempiva il cuore. I miei vecchietti sono bellissimi pensò.

    Mentre erano sdraiati, per terra guardava il padre che tremava tutto. Non si capiva se era per l’emozione o per la paura. Conta poco pensò. Solo dopo tanto tempo avrebbe capito la reazione dell’essere umano alla guerra. Si rese conto che l’esperienza vissuta quella sera valeva una vita intera. Che cosa poteva esserci di più bello dell’amore puro e incondizionato dei suoi genitori? Solo quell’amore aveva la capacità di non di farle sentire l’inferno che la circondava. La madre percependo il tremore del marito lo canzonò Perché tremi così, è l’emozione di starmi vicino?

    Sono con le mie tre donne e la paura di perdervi mi fa tremare tutto, rispose senza nascondere l’emozione.

    Dai, al massimo prenderemo un proiettile nel sedere. Tanto, un giorno dobbiamo morire.

    Bastava questo per far ridere tutti. Era il genere di risata inarrestabile, intermittente e soffocata che ti lascia le costole indolenzite.

    Secondo me, se ci mettiamo a cantare scommetto che gli spari non li sentiamo più. Che ne dite? Dai, inizio io a cantare e voi mi accompagnate.

    Martela aveva il cuore che le stava scoppiando dalla gioia. Il padre lo stesso, mentre Silvana non smetteva di dare bacini alla madre e le stava vicino come un gattino.

    Sai mamma che mi sei mancata?

    Lo so, lo so tesoro di mamma. L’importante è che adesso stiamo insieme e a tutti quei mascalzoni che si mettono a sparare fuori gli facciamo un grande scoreggia. Così si spaventeranno. Altro che carro armato, la vera bomba siamo noi. Siamo una forza e le diede un bacio.

    Martela cercò di guardare fuori dalla finestra e fissare le stelle lucenti e perfette di quel cielo nero di quella sera fatale, ma non riusciva a concentrarsi. Ebbe solo la terribile certezza che da quella guerra, se un giorno fosse finita, niente sarebbe stato più come prima.

    Due

    Nonostante il suo carattere irrequieto, Martela era una ragazza con la testa sulle spalle, le piaceva studiare e stare in compagnia dei libri. Non a caso aveva scelto ingegneria elettrica, perché studiare i campi elettromagnetici, l’aveva sempre affascinata. Le venivano in mente le parole di sua madre che da piccola le ripeteva sempre. Ricordati che il Signore ti ha dato un buon cervello, sfruttalo e usalo bene. Da grande devi fare un mestiere serio e utile per gli altri.

    Sentiva che c’era qualcosa di divino e inspiegabile in tutto ciò che studiava.

    Dopo aver finito gli studi in ingegneria elettrica, era riuscita a trovare un impiego presso una multinazionale che produceva e confezionava bevande gassate. Si trovava sulla strada che collegava l’aeroporto nazionale di Rinas con la capitale Tirana. Da casa sua per arrivare al lavoro impiegava una quindicina di minuti in pullman. Era una delle prime aziende straniere entrate in Albania dopo la caduta del comunismo ed era gestita da italiani. Per ottenere il posto di lavoro, non ebbe grosse difficoltà visto che parlava un italiano fluente. L’aveva imparato guardando la televisione italiana. Si sorprese quando le comunicarono che doveva occuparsi della gestione del personale. Si sentiva troppo giovane per quel ruolo e troppe responsabilità in un colpo solo. Sarò in grado di svolgere bene questo mestiere?

    Più volte aveva pensato di mollare tutto. A casa, sua madre le diceva La vita è un’eterna sfida. Se devi andare avanti e ottenere ciò che vuoi, devi combattere. Non mollare. Vedrai che ce la farai.

    Quella mattina Martela si alzò dal letto mentre in testa le frullavano una valanga di pensieri. Lanciò uno sguardo verso la finestra e fissò l’orizzonte. Tutto le sembrava così diverso. Questa guerra aveva cambiato la sua prospettiva del futuro e aveva infranto tutti i suoi sogni.

    Mentre i suoi occhi attraversavano quei vetri senza fissarsi in un punto preciso, un pensiero diverso, cominciava a farsi strada, un pensiero che non riguardava più i suoi libri, un incredibile bisogno di amore cominciava ad assalirla. Aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe stata abbastanza lineare, seguendo l’ordine delle sue priorità, prima avrebbe pensato a studiare, poi si sarebbe occupata di cercare un buon impiego, e in un secondo momento avrebbe magari pensato a trovare un bravo ragazzo da sposare e con il quale avrebbe costruito una famiglia. Invece adesso, di fronte al grigiore e al terrore che stava disseminando questa guerra, per la prima volta si lasciò cullare da un dolce pensiero, un bacio, un tenerissimo bacio da un bel ragazzo. Eh sì, si rese conto che non aveva ancora dato il suo primo bacio.

    Dovevano cominciare proprio adesso a far le guerre, pensò. Quando tutto finirà, e si tornerà alla normalità, giuro che ne combinerò di tutti i colori. Mi darò alla pazza gioia e al divertimento. Al diavolo cosa dice la gente e al diavolo tutto il resto. Si vive una volta sola. Tanto ti giudicheranno sempre, nel bene e nel male, ma per lo meno mi sarò goduta la vita. Ho trascorso i miei anni a costruire una mia filosofia di vita e a proiettarmi nel futuro. Mentre m'interrogavo sul mio futuro, ho forse dimenticato di vivere il presente. E adesso mi trovo con un presente che non mi dà modo di pensare al futuro. Che bella fregatura.

    Alzò il viso verso il cielo e con un tono di voce serio e determinato disse: Signore. Mi vergogno di rivolgermi a Voi in mutande, ma la cosa è grave. Sono una ragazza giovane e ho paura di morire perforata da un proiettile vagante e non voglio andare nell’aldilà senza aver baciato ancora un ragazzo. Se non è un peccato mortale per voi, aiutatemi a trovare questo principe almeno per dargli un bacio prima che sia troppo tardi, perché da sola non ce la faccio.

    Con questo pensiero in testa si preparò velocemente e uscì da casa nella speranza che anche quel giorno potesse aver la fortuna di trovare un mezzo per arrivare al lavoro.

    Non poteva usare nemmeno l’auto di casa, una Lancia Prisma che suo fratello aveva mandato dall’Italia. La tenevano chiusa in garage. Non aveva la patente, ma il motivo che lo impediva era tutt’altro.

    Durante il regime comunista nessuno aveva il diritto di possedere una proprietà privata, di conseguenza nessuno possedeva un'auto. Dopo la caduta del comunismo e il via libera alla privatizzazione, l’uso delle auto private era aumentato in modo esponenziale. Inoltre, anche se in cinquant’anni di dittatura si era fatto di tutto per imporre la parità tra uomo e donna, nulla aveva potuto cambiare la mentalità maschilista degli uomini. Nella loro visione non è previsto che la donna possa essere indipendente e guidare un'auto.

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