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La spada e la memoria. Parte Seconda
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E-book288 pagine4 ore

La spada e la memoria. Parte Seconda

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Info su questo ebook

Nell'ultimo giorno della sua vita il capitano dei moschettieri d'Artagnan, impegnato nell'assedio della città olandese di Maastricht che gli sarà fatale, riceve la visita del suo vecchio amico Aramis, ora duca di Almeida, ed insieme ripercorrono alcune tappe della loro vita avventurosa che si è intrecciata a molti eventi che hanno caratterizzato la storia e la cultura europea del XVII secolo.

In questa seconda parte del romanzo d'Artagnan, agente del cardinale Mazzarino, è a Napoli agitata dalla rivolta contro gli spagnoli, dove arriva anche il duca d'Almeida, che affianca l'Arcivescovo della città, Ascanio Filomarino, nella delicata e pericolosa opera di mediazione tra il vicerè spagnolo e i popolari insorti che dopo la morte di Masaniello intendono proclamare la repubblica.

Procedendo nei ricordi e nelle confidenze tra i due vecchi amici Almeida racconta come, dopo il fallito tentativo di colpo di stato in Francia ai danni di Luigi XIV, sia riuscito a fuggire in Italia grazie al provvidenziale aiuto di un famoso corsaro: Henry Morgan.

Seconda parte di una storia suddivisa in tre parti
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2023
ISBN9791221485233
La spada e la memoria. Parte Seconda

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    Anteprima del libro

    La spada e la memoria. Parte Seconda - Roberto Bricola

    QUARTO INTERMEZZO

    Era indubitabile che all’origine di quell’affare ci fosse di mezzo la bella mano della Chevreuse, e Anna d’Austria lo capì subito, dopo il fallimento del vostro colpo. Ma chi fosse la mente di tutto, cioè voi, beh quello, permettetemi, quello lo capii io, da subito.

    D’Artagnan guardò il duca dopo aver pronunciato quelle parole, come ad attendere dall’amico ulteriori particolari.

    D’Herblay ricordava come nei giorni precedenti al suo tentativo di rapire Luigi XIV mentre il re era ospite del Sovrintendente Nicolas Fouquet che nel proprio castello di Vaux aveva organizzato una festa favolosa che restò nella storia del regno di Francia per sempre, d’Artagnan era in un evidente stato d’allarme perché percepiva qualcosa di grave che si stava preparando. Al moschettiere sembrava evidente che il suo amico stesse architettando qualcosa, qualcosa di sicuramente eclatante senza però riuscire a comprendere di che si trattasse. Era stato un giocare al gatto e al topo in cui il fatto che il capitano dei moschettieri stesse evidentemente brancolando nel buio aveva divertito enormemente d’Herblay, sebbene consapevole di quanto fosse pericoloso il capitano quando percepiva un pericolo nell’aria.

    Già – commentò sarcastico il duca – lo avete capito troppo presto, direi.

    Non disse all’amico quello che mille volte aveva pensato, cioè che se loro due fossero stati alleati in quell’occasione allora sì, niente e nessuno li avrebbe fermati e tutto sarebbe cambiato, da allora.

    Il duca si riscosse da quel pensiero. D’Artagnan, forse involontariamente, o forse volutamente, lo aveva ricondotto a Tommaso Campanella dicendo:

    Un uomo dal sapere vastissimo, un visionario dallo sguardo profetico – commentò il capitano, colpito da quanto il frate italiano avesse avuto influenza diretta sulla vita e sull’azione dell’amico – io sapevo della sua esistenza e dell’attenzione che il cardinale ed il re gli prestavano per averlo visto alcune volte farsi introdurre nel loro gabinetto, ma francamente l’ho considerato sempre poco più che un questuante cui più per compassione che per altro gli era concessa udienza; avevo còlto verso quel vecchio una certa condiscendenza non molto diversa da un vero e proprio disprezzo.

    Già, in fondo avete ragione. Era considerato appunto un visionario un po’ folle e a ben vedere era stato ospitato a Parigi più per far dispetto agli spagnoli che per altro. Anche per ingraziarsi il papa che dopo la prigionìa lo teneva a Roma per avere da lui oroscopi favorevoli. E anche Luigi XIII lo volle interrogare sul futuro del Delfino, lo ricorderete di sicuro, perchè l’oroscopo che fece sul bambino suscitò nei reali molta inquietudine. Certo non fu informato da lui o dalla regina della straordinaria nascita del gemello tenuta segreta. Ma sta lì l’eccezionalità dell’uomo che aveva scoperto con le sue doti fuori dal comune quel segreto terribile.

    D’Artagnan annuì, soprattutto per incoraggiare l’amico sul piano dei ricordi e delle confidenze su un aspetto della vita del duca che, lo aveva ormai percepito, era stato decisivo per le scelte che ne avevano caratterizzato l’azione.

    Dopo quel primo incredibile incontro lo vedeste ancora? Gli chiese.

    Altre volte, si – confermò il duca – un po’ perché, saputo che avevo instaurato un dialogo con lui, dalla corte mi pervenne l’invito ad insistere presso il frate perché rivedesse alcuni aspetti di quell’oroscopo che avevano inquietato non solo la regina, ma soprattutto Luigi XIII. Tornai da lui anche per altri motivi, ad esser sincero. In fondo l’oroscopo, costituito da poche frasi certo ad effetto non era stato reso pubblico ed era circoscritto ai pochi della famiglia reale e a Richelieu. Comunque aveva preoccupato assai perché lasciava intravvedere un futuro della Francia molto problematico.

    Ma che diceva poi di preciso? – chiese d’Artagnan – non se ne ebbe mai una versione ufficiale e credo che molti ritengano che neppure esista, un oroscopo sul Delfino.

    "Oh, sì esisteva – confermò il duca – sebbene non trascritto o reso di pubblico dominio proprio perché non fu molto gradito:

    «Erit puer ille luxuriosus, sicut Henricus Quartus,et valde superbus. 

    Regnabit diu, sed dure, tamen feliciter, desinet misere, 

    et in fine erit confusio magna in Religione et Imperio»"

    Il duca recitò a memoria, segno che quelle poche parole gli erano rimaste impresse in tutti quegli anni e le tradusse per l’amico:

    "Questo bambino sarà lussurioso, come Enrico IV,

     e molto superbo. Regnerà a lungo, 

    ma in maniera severa, e tuttavia fortunata, finirà miseramente e alla fine 

    avverrà una grande confusione nella Chiesa e nello Stato."

    "No, d’Artagnan, io tornai da Tommaso Campanella soprattutto perché dalla notte di quel primo conturbante incontro io vivevo momenti in cui mi perseguitavano sogni, incubi, visioni persino, non saprei come altro definirli, in cui mi pareva di percepire la mia mente che vagolava fuori da me, dal mio corpo e dal tempo presente e giungesse a cogliere momenti, fatti, spezzoni di avvenimenti che potevano rappresentare un futuro che, giuro, ancora oggi non ho ben compreso se fosse ciò che effettivamente accadrà o potrebbe accadere un domani, fra giorni, anni, secoli, anche. Campanella mi aveva, in un certo senso, eletto a suo successore in questo suo compito di cui si sentiva investito in qualità di moderno Prometeo.

    Non capivo, ancora non capisco ora a distanza di tanti anni, se le visioni che in certi momenti mi coglievano improvvise e subitanee, come il trasecolare di chi è colto da una crisi di mal cadùco fossero vere visioni di un futuro legate a ciò che le mie azioni avrebbero determinato. O forse invece potevano rappresentare una possibile futura realtà qualora il mio errore o il mio fallimento avesse impresso una deviazione degli avvenimenti futuri dal piano logico che fra’ Tommaso aveva vaticinato e che io, secondo lui, avrei dovuto attuare.

    Questo pensiero, questo dubbio mi è diventato prepotente e angoscioso dopo il fallimento del colpo di Vaux.

    Fallito il colpo di stato che avrebbe permesso lo scambio tra i due gemelli sul trono di Francia era evidente che la strada su cui si sarebbe incamminata l’Europa non era quella che Campanella aveva vaticinato e che io avevo provato ad attuare nei fatti.

    E allora ciò che mi appariva in sogno, quelle visioni a tratti angosciose e intrise di avvenimenti sanguinosi, di fatti e uomini i cui volti, i cui gesti mi traversavano la mente con la subitaneità di un lampo erano solo immagini di un futuro possibile, solo uno dei tanti possibile o l’unico ineluttabile?

    Si trattava di un futuro inevitabile dovuto al fallimento della mia azione oppure mi era data la possibilità di vaticinare semplicemente uno degli innumerevoli, possibili futuri sentieri da percorrere che io, che voi, che l’azione degli umani avrebbe potuto, giorno dopo giorno, mutare di percorso?"

    Ancora non avete trovato una risposta convincente a questi dubbi? Chiese il moschettiere. Buttò lì una domanda che entrambi sapevano essere non una semplice, banale curiosità.

    Il duca non pensò neppure un attimo a edulcorare la risposta. Amicizia, lealtà, rispetto nei confronti del capitano esigevano una risposta sincera e diretta.

    Non proprio, sebbene ormai abbia la certezza che per quanto riguarda gli avvenimenti più prossimi, se ho una visione, essa corrisponde alla verità di quanto poi accade.

    Ah mormorò semplicemente d’Artagnan, come fosse cosa di nessuna importanza, questa risposta.

    Ma non ho la stessa certezza per quanto riguarda ciò che percepisco essere collocato in un futuro più lontano – proseguì il duca – perché mi chiedo cosa ancora si potrebbe fare oggi per determinarne o modificarne gli sviluppi futuri.

    D’Artagnan versò ancora vino nei bicchieri e l’amico dopo averne sorseggiato un po’ riprese:

    Sono disorientato, lo ammetto, perché non ho mai creduto in un destino immutabile, già scritto. Non è nelle mie corde accettare che l’azione degli uomini, il futuro di tutti e la nostra singola vita non possa essere mutata dalle scelte che ciascuno di noi può fare sempre, ogni giorno, ogni momento, in modo di mutarlo profondamente, questo destino. Ciascuno di noi è ciò che vuole essere in ogni istante, ciò che sceglie di essere, ciò che sceglie di pensare, ciò che sceglie di fare. Io questo lo credo fermamente.

    Già. Rispose d’Artagnan col tono di chi voleva chiudere un argomento su cui preferiva non tornare.

    Poi chiese proprio per sviare anche i pensieri dell’amico:

    Non siete riuscito comunque a convincere il Campanella a correggere quell’oroscopo, vero?

    "Di fatto no. Lui era fermamente convinto dei caratteri ben definiti di Luigi XIV. Decise comunque di scrivere un’egloga, alla maniera di Virgilio, che inquadrasse l’insieme delle sue teorie sul ruolo e il destino di Francia. Era astuto e attento a garantirsi il sostegno di Luigi XIII e Richelieu sebbene in certi momenti gli era chiaro come a Parigi fosse più sopportato che apprezzato appieno. Sapendo io ciò che egli conosceva del segreto dei gemelli mi rendevo ben conto che lui stava indicando un futuro a cui era possibile imprimere una svolta proprio a seconda delle caratteristiche dell’uomo che avrebbe potuto guidare la Francia dopo la morte di Luigi XIII e di Richelieu. Per questo su quei versi ho studiato a lungo. Mi recai altre volte da lui utilizzando la questione dell’oroscopo per poter, come vi ho detto, affrontare gli aspetti che più mi attanagliavano delle sue profezie, tanto più che mi sembrava evidente che il filo della sua vita si stava consumando inesorabilmente e velocemente. Lo sapeva pure lui, oramai.

    Voi sapete che aveva tracciato un oroscopo sul proprio futuro secondo il quale la sua morte sarebbe avvenuta il primo di giugno del 1639, in coincidenza ad una eclisse."

    Sbagliò di poco – commentò d’Artagnan – visto che morì pochi giorni prima.

    "Si il 21 maggio di quell’anno. Pare che, come mi dicevano i suoi confratelli del convento, quegli ultimi mesi stesse attuando delle pratiche che loro ritenevano magiche per sviare quell’oroscopo tragico sulla sua stessa vita. Ma io non credo molto a questo. Era rassegnato, secondo me. Avvertiva la fine imminente e l’egloga che aveva fatto pubblicare proprio all’inizio di quel 1639 era un vero e proprio testamento politico. Lui da anni sovrintendeva alla correzione dei suoi scritti, cercando di salvaguardarne l’integrità ripulendoli da errori di trascrizione ed interpolazioni malevole che molti suoi nemici ed avversari avevano inserito, a suo parere, per screditarlo e danneggiarlo. Ma quell’ultima sua opera profetica la fece pubblicare in pochissimo tempo. Voleva lasciarla nella versione definitiva nei tempi più brevi possibili. Voleva indicare una strada e con quel poema stava trasferendo al futuro re di Francia la speranza che fosse quel bambino ad intraprenderla e a me stava affidando la responsabilità di fargli da guida. Sapeva di avere poco tempo e non a caso aveva individuato nel giorno dell’eclisse quello della sua morte.

    Si spegne il sole, si spegne la luce come si spegne la sua vita, quella del Prometeo moderno, ma l’eclisse è un momento. Come l’araba fenice risorge dalle sue ceneri e al ritorno della luce il sole torna a risplendere, il re Sole rifulge in tutto il suo splendore inondando della luce della verità il mondo scacciando la menzogna. Tutta la sua opera era per svelare e sconfiggere la menzogna portando la verità e la luce della ragione nel mondo. Aveva intravisto nei suoi vaticinî un futuro fatto di luce e ragione. Lui auspicava che questa stagione si potesse affermare presto; ci ho creduto anche io. Ora so che potrebbe esserci in futuro. Ma so anche che ogni luce ha le proprie ombre e che probabilmente in futuro, più la luce sarà intensa, più le ombre che essa potrebbe proiettare rischiano, se l’umanità fosse accecata dall’albagia, di essere terribilmente scure, profonde e sanguinose.

    Ho avuto visioni, d’Artagnan, di un futuro che spero non sia che una fantasmatica risultanza di quello che potrebbe attendere l’umanità quando mostrasse di non saper coniugare il bene dei popoli con la giustizia, con il rispetto della vita umana. Spero sia solo uno dei miei tanti incubi che il mondo che verrà potrebbe dissolvere nella realtà migliore, ma temo molto che potrebbe non essere così."

    E il Campanella c’entra con tutto questo?

    Indubbiamente sì, non che ne potrebbe essere responsabile, egli auspicava tutt’altro, ma mi ha dato, come vi dicevo, la facoltà misteriosa di poter intravvedere lembi di verità future, di fatti e avvenimenti che si verificheranno, o potrebbero verificarsi, chissà, un domani.

    E sono così terribili, dite?

    Alcuni sì, indubbiamente – rispose il duca – se saranno ineluttabili o forse evitabili non so, ripeto. Ma l’umanità ha di fronte a sé prove terribili. Ma come sempre, nella storia degli uomini, ripeto, le ombre a volte sono il risvolto, il contraltare di una luce che pure potrebbe risplendere e illuminare il mondo. Dipende da come noi sapremo in futuro utilizzarla, questa luce. Se per farsi strada a dare speranza e opportunità seguendo un cammino virtuoso comunque irto di ostacoli, oppure se accecati dal riverbero di quella luce perdersi nel profondo degli abissi. Questo sarà il bivio che tante volte i nostri eredi si troveranno di fronte e non sempre, temo, sceglieranno la direzione giusta da percorrere. In fondo questa consapevolezza è l’eredità, l’insegnamento più importante che mi sento di aver ricevuto da Campanella.

    Il duca recuperò dopo un lungo silenzio il filo dei suoi pensieri. Era evidente come il frate calabrese avesse rappresentato con la propria presenza ed il proprio pensiero un vero spartiacque nella sua vita, nelle sue scelte e nelle sue azioni.

    Ancora di più le proiezioni di un futuro problematico fatto di queste angosciose visioni che attraversavano come lampi subitànei la mente dell’antico moschettiere rappresentavano un lascito, una eredità pesante e ossessiva con cui convivere quotidianamente.

    "Campanella mi aveva consegnato un’eredità certo pericolosa ma non erano questi i rischi ed i pericoli che potevano farmi tremare i polsi, letteralmente. Ero avvinto dalla personalità visionaria di quel vecchio e sebbene ne cogliessi il disfacimento fisico in quelle sue ultime settimane, chiuso e pressoché prigioniero in quella sua angusta cella, mi soggiogava incredibilmente la sua lucidità di pensiero che, mi rendevo conto ad ogni nostro incontro, diventava più profonda e profetica man mano che la morte fisica gli si approssimava.

    Tornava ossessivamente ai contenuti di quell’egloga che aveva terminato da poco e cercava di illustrarmene e svelarmene i contenuti reconditi che attraverso le forme proprie ed immaginifiche della poesia aveva celato e reso di difficile e controversa decifrazione.

    Ogni volta che la sua mano sempre più tremante ma ancora dotata di una forza insospettabile stringeva il mio braccio avvertivo una vibrazione in tutto il mio corpo che non mi lasciava per ore e la notte la mia mente era attraversata da visioni ed incubi angosciosi.

    Ero scosso dai dubbi anche. Era pazzo quell’uomo? Aveva simulato con sovrumana astuzia la demenza per poter vincere i suoi aguzzini che lo avevano torturato per ore oppure erano state proprio quelle atroci sofferenze a farlo impazzire? E quell’insistere ossessivamente sul futuro del regno di Francia e sul destino del suo re erano profezie oppure la cialtronaggine gaglioffa di un uomo che per salvare sé stesso dopo aver vaticinato al papa lunga vita ora illudeva con speranze di gloria e potenza future un re ormai prossimo al declino e alla morte? Era fautore di una speranza sia pure utopica per il mondo intero o un abile commediante capace di avvincere gli interlocutori per carpirne benevolenza e favori dopo anni di sofferenze e prigionia?

    Ma se era questo, che senso aveva ormai proseguire questa commedia dopo aver vaticinato la propria morte per il primo di giugno di quel 1639 e avermi coinvolto quale prossimo Prometeo nelle futura presa di potere di un re-Sole capace di riunire in sé le qualità ed il potere che neppure Carlo V era stato in grado di assumere?

    No, amico mio, quel frate stremato dalla sofferenza e dalla consunzione, vicino alla morte di cui avvertiva ormai l’approssimarsi credeva fermamente nella sua missione, in quel dovere che sentiva incombente di denunciare la menzogna, le ipocrisie di cui in questi anni, in questo secolo tutti si sono nutriti. Lui voleva fino alla fine, con la propria opera, richiamare gli uomini, i potenti della terra, i regni e la Chiesa alla ragione e alla verità.

    Era un poeta e usava la poesia, anche, come arma estrema. Una poesia diversa, e molto, da quella che gli eruditi di questi anni amano. Strano vero? Tutti a inchinarsi di fronte al vuoto insipiente delle apparenze magniloquenti dei versi di un Marino osannato in ogni angolo del continente mentre lui, Campanella, gemeva sotto le torture ed il carcere che lo seppellì per buona parte della sua vita. Questo non gli impedì di scrivere in splendida prosa e bella poesia, immaginifica certo, ma fatta di elementi concreti e ispirazione civile e politica appassionata. Ma questo è il destino dei profeti, lo sappiamo.

    Ad ogni modo dopo il disastro del colpo sventato da voi e da Fouquet mi sentii annichilito dal mio fallimento; avevo tradito le aspettative che egli aveva riposto in me. E avevo impedito che quel piano, quel futuro luminoso potesse affermarsi."

    Dopo un breve sospiro il duca riprese:

    "Devo dirvi ad ogni modo che il colpo di Vaux è una delle cose di cui non mi pento. Credo davvero che quel fatto, quell’avvenimento, avrebbe potuto rappresentare, se avesse avuto successo, quel vero e proprio miracolo di cui tutti abbiamo bisogno, in Francia e non solo. Di questo, in fondo, siete consapevole pure voi che insieme a Fouquet ne avete, di fatto, decretato il fallimento.

    Per altre questioni, sinceramente, ora non so. Ho ripensato ad alcuni fatti, mi sono chiesto anche io, come avete fatto voi prima, che senso potesse aver avuto schierarsi con Carlo I in Inghilterra. Oh, io non avevo lo stesso fuoco sacro posseduto dal nostro amico Athos sulla sacralità della corona e che in buona parte ha mosso pure voi e Porthos. In quell’avventura, per quanto mi riguarda, è stato soprattutto il tentativo di mettere in difficoltà Mazzarino. Lui aveva portato la Francia a quell’innaturale alleanza con Cromwell ed il partito della Fronda cui appartenevo giocava contro di lui, era naturale opporvisi, no? in quelle partite a scacchi che sono le strategie di politica internazionale la spregiudicatezza spesso consente di avvantaggiarsi sul nemico. Il nemico per la casa di Francia era la Spagna, chi è nemico della Spagna allora può diventare mio possibile alleato. Mazzarino ha agito spesso così, prima di lui Richelieu, lo sapete bene".

    Da come ne parlate - osservò d’Artagnan sornione - sembra lo rivalutiate, il Mazzarino!

    Ma sì, in fondo, perchè no? - rintuzzò con la stessa moneta dell’ironia l’amico - circostanze fortunate che siano, o abilità propria mista, concedetemelo, ad insipienza degli avversari, tutto ciò ha fatto di lui un gran tessitore di politiche positive per la Francia o meglio per il disegno che aveva lui per la Francia, questo certamente. Ma proseguendo in quanto vi stavo dicendo, certo la spregiudicatezza è il pane della politica, soprattutto quella in grande, su uno scacchiere vasto come il nostro continente.

    Si interruppe, guardando in tralice d’Artagnan con quell’enigmatico sorriso che lo contraddistingueva. Ora, rispetto al passato il capitano dei moschettieri leggeva però in quegli occhi, in quel bel volto poco segnato, in fondo, dagli anni che pure inesorabili scorrevano, qualcosa di più, di diverso e di nuovo che mai in precedenza era stato possibile rilevare: basta dissimulazioni, fine ai sottili giochi dialettici, alle schermaglie delle volpi astute capaci di infingimenti e sottili distinguo. Una voglia nuova di capire e farsi capire si leggeva in quegli occhi non più impenetrabili, in quel volto proteso verso quello dell’amico non per un calcolato tentativo di carpirgli chissà quali intimi segreti ma semplicemente per, questo sì, svelare qualcosa di sé e dei suoi pensieri e dei suoi atti, davvero, come lui steso riconosceva, spregiudicati e controcorrente.

    Ho pensato per molto tempo, lo confesso - continuò il duca quasi in un sussurro - che aver cercato di contrastare Cromwell, il suo progetto e la sua visione di governo in Inghilterra da parte nostra fosse stato un errore, oltre che un presuntuoso tentativo, in quattro, di opporsi alla volontà della grande maggioranza del popolo inglese.

    Ma perchè mai - lo interruppe d’Artagnan - presuntuosi? E poi mica volevamo contrastare la politica inglese. Sapete, al ritorno pure Mazzarino mi accusò di questo. Noi volevamo solo salvare la vita a Carlo Stuart, mica rimetterlo sul trono. Quella sì sarebbe stata una follia ed un presuntuoso disegno, superiore alle nostre forze; ai re non si taglia la testa, come a volgari tagliagole da strada, la sacralità della sua persona, il suo diritto a regnare era quanto stava a cuore a noi. Non era questo in fondo che ci ha mosso?

    Oh sì certo, la sacralità ed il diritto divino del re. Io stesso ho usato, in passato, queste ragioni ed hanno certamente una loro coerenza, un senso logico. Coerenti, su questo, siete stati sia voi che Athos, con la vostra azione che ha contribuito a rimettere sul trono Carlo II.

    "E secondo voi abbiamo sbagliato? Dovevamo disinteressarci? Ormai l’Inghilterra era in preda ad una guerra civile devastante. Quanto alla coerenza, beh certo per Athos fu un atto davvero di coerente rispetto delle ultime volontà di Carlo I che gli disse dal patibolo del tesoro nascosto e che servì al figlio per la restaurazione. Quanto a me, lo sapete, fu una società con Planchet, una vera speculazione che diede i suoi frutti. Pochi ideali, tanto senso pratico, una volta tanto. Per la prima volta e, ahimè, l’ultima, ero a servizio di me stesso, e della società con il buon Planchet che ci mise il capitale necessario. Un guadagno eccellente, eh. Una

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