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Antologia Io Danzo 2014
Antologia Io Danzo 2014
Antologia Io Danzo 2014
E-book98 pagine1 ora

Antologia Io Danzo 2014

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Info su questo ebook

Questa antologia prende forma dal Primo Concorso Letterario IoDanzo 2014 desiderato fortemente dalla redazione del portale web iodanzo e raccoglie una selezione, avvenuta secondo regolamento interno, dei tantissimi brani che ci sono pervenuti nei 4 mesi del concorso.


La redazione, guidata dalla dott.ssa Giulia Toselli con la collaborazione di Elisabetta Tosco, co-ideatrice del progetto, e Chiara Arrigoni, che si è occupata della grafica online, si è riservata la possibilità di accettare scritti anche ‘non a tema’ se ritenuti meritevoli di promuovere le arti e lo spirito artistico.

Un grande ringraziamento a Luca Di Bartolo fotografo per la danza e Mikelart - Gioielli che danzano.
Grazie ancora a tutti quelli che ci hanno sostenuto e ai tantissimi che hanno partecipato.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2014
ISBN9786050313307
Antologia Io Danzo 2014

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    Anteprima del libro

    Antologia Io Danzo 2014 - AA. VV.

    Introduzione

    di Giulia Toselli, direttrice di IoDanzo

    Questa antologia prende forma dal Primo Concorso Letterario IoDanzo desiderato forte- mente dalla redazione del portale web www.iodanzo.com e raccoglie una selezione dei tantissimi brani che ci sono pervenuti nei 4 mesi del concorso.

    La redazione si è riservata la possibilità di accettare scritti anche ‘non a tema’ se ritenuti meritevoli di promuovere le arti e lo spirito artistico.

    Siamo particolarmente orgogliosi di questa antologia e dei partecipanti tutti e auguriamo a chi si addentrerà nella lettura di poter sentire anche solo una piccola parte delle emozioni che questi scritti ci hanno procurato.

    Ringrazio soprattutto Elisabetta Tosco, co-ideatrice del progetto, e Chiara Arrigoni, che si è occupata della grafica online.

    Un grande ringraziamento ai nostri sponsor, Luca Di Bartolo fotografo per la danza e Mikelart - Gioielli che danzano, per i fantastici premi.

    Grazie ancora a tutti quelli che ci hanno sostenuto e ai tantissimi che hanno partecipato.

    Scegliere la danza, scegliere la vita

    di Mary Mazzocchi, Primo classificato Premio Giuria

    Sono passati esattamente tre anni da quando mi amputarono le gambe. Una gelida mattina di gennaio mi svegliai in una stanza offuscata e maleodorante d’ospedale e capii che qualcosa nel mio corpo aveva deciso di andarsene, che le gambe, i miei sostegni, le mie radici, avevano deciso di non reggere il peso dell’incidente, avevano deciso di salvare la mia parte superiore, la mia vita, la mia mente, il mio cuore, cedendogli il posto nel mon- do, che a quanto pare non era possibile ottenere per entrambi. Gentili, le gambe, certo, ma potevano pensare a quanto io non potessi andare avanti senza di loro, a quanto la mia anima, la mia essenza non potesse minimamente arrancare senza la loro presenza. Le mie gambe erano me stessa, e non solo ne andavo orgogliosa perché mi permettevano di camminare, di correre, di ballare, le mie gambe erano la mia libertà. Come avrei fatto sen- za di loro? Ricordo come se fosse ieri quel drammatico momento, mi svegliai rintontita probabilmente dall’operazione e cercai di allungare i piedi, di stendere le dita e di allargar- le, una per una, come ero solita fare di consuetudine tutte le mattine, appena sveglia. Non poterne esserne in grado fu, ed è tutt’ora una sensazione molto strana, direi indescrivibile. Non ero più io, non ero io nella mia totalità, non ero libera, non ero persona, non mi senti- vo umana. Svenni e da lì smisi di parlare, di emettere suoni che non fossero mugugni la- mentosi quando alle porte del cervello bussavano gli impulsi nervosi di quei piedi così per- fetti, quei piedi che mi avevano fatta diventare quello che ero, quei piedi che mi avevano dato gioie, fama, denaro, soddisfazioni. Shock, lo chiamarono. Qualcuno vociferava che fosse normale, qualcuno sosteneva che il tempo avesse colmato ogni vuoto, che con il tempo me ne sarei fatta una ragione, che avrei trovato un’altra valvola di reazione, un altro punto di sfogo e di autoaffermazione, ma si sbagliavano. Loro non capivano, loro non sa- pevano, non potevano sapere. Furono in molti quelli che mi vennero a trovare, amici, geni- tori, cugini, insegnanti, allievi, fan e persino gente importante, gente che non mi aveva mai considerata, o almeno io ho sempre creduto che fosse così. Vennero persino i giornalisti ma rimasero delusi poiché non gli davo alcuna risposta. Chiamarono gli psicologi, si parla- va di un internamento in case apposite, case di lusso, dove c’era gente come me, gente invalida, gente con problemi, gente che non riusciva a relazionarsi con il mondo nel quale si trovava costretta ad esistere. Ma loro non capivano, nessuno poteva capire. Nessuno poteva lontanamente percepire quella condizione di desolazione che io avvertivo e che ero consapevole di non poter mai mutare. Ero una ballerina e la mia dote erano i miei piedi e le mie gambe ed ora nessun materiale innovativo avrebbe mai potuto sostituirli. Non so se decisi di non parlare per comodità, per costrizione o per un qualche istinto autopunitivo e masochista per cui volessi aggiungere disgrazie ulteriori a quella che già mi era capitata, per cui provassi una certa goduria nel non comunicare o per cui già che ero diversa avevo intenzione di esserlo ancora di più, di essere la diversa dei diversi. Quello che so è che non avevo nessuna intenzione di darla vinta alla natura, quella natura così crudele e gelo- sa di ciò che di meraviglioso creava. Io comunicavo con la danza e la natura lo sapeva, io comunicavo stendendo e alzando le mie gambe. Io comunicavo con un grand jetè e con un perfetto e lineare arabesque. E la natura lo sapeva, la natura infida lo sapeva. Basta, io non avevo più nessuna intenzione di comunicare con altri mezzi che non fossero le mie gambe, che non fosse la mia danza, non volevo rispettare più i piani della natura andando avanti a reagire o semplicemente interagendo con la voce per stare al mondo. Dopo due anni la questione diventò impraticabile, io non ero autosufficiente, la natura, permalosa com’era mi aveva rubato anche l impulso vitale, quello che ogni giorno mi portava comun- que ad ingerire nutrimento e anche se mi annullava stimoli reali, aveva contribuito a creare quel mondo così perfetto, delicato, fresco e colorato che esisteva solo e solamente nella mia mente. Quel mondo dove io ero una farfalla azzurra e giravo, giravo su me stessa, gi- ravo intorno al mondo e come il mondo giravo intorno al sole. Ma quando origliai medici parlare della mia demenza, parlare di farmaci nuovi che avevano intenzione di sommini- strarmi, il mio orgoglio crebbe al punto che preferii affrontare il mistero della fine che rima- nere in vita per pura paura, per pura routine. Decisi di farla finita. Decisi di affrontare

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