Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I due volti dell’amore: Come far funzionare l'amore nei rapporti affettivi
I due volti dell’amore: Come far funzionare l'amore nei rapporti affettivi
I due volti dell’amore: Come far funzionare l'amore nei rapporti affettivi
E-book491 pagine7 ore

I due volti dell’amore: Come far funzionare l'amore nei rapporti affettivi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

I due volti dell’amore è un libro da assaporare lentamente e da rileggere in seguito, più e più volte. Ai lettori si presenta l’occasione di scoprire il lavoro svolto da Bert Hellinger, il cui originale approccio agli interventi di tipo sistemico ha già fatto breccia, in Europa, nei cuori e nelle menti di una variegata comunità terapeutica. Utilizzando una vivace mescolanza di strumenti testuali, che vanno dalla semplice narrazione al racconto, dalla trascrizione di materiale registrato all’uso di immagini poetiche, si è cercato di descrivere ciò che Hellinger chiama gli ordini dell’amore e di dimostrare come i disturbi di tali ordini si ripercuotano sulle future generazioni con conseguenze che non possono essere ignorate. I due volti dell’amore offre una nuova visione, ad un tempo profonda e concreta, su ciò che fa funzionare l’amore nei rapporti affettivi. Questo è senza dubbio un libro provocatorio, così come pieno di candore. Sicuramente farà discutere. Ma è certo anche un libro pieno di speranza.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2016
ISBN9788871834313
I due volti dell’amore: Come far funzionare l'amore nei rapporti affettivi

Correlato a I due volti dell’amore

Ebook correlati

Psicologia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su I due volti dell’amore

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I due volti dell’amore - Bert Hellinger

    PARTE PRIMA

    Fenomenologia dei sistemi di relazioni

    1

    SENSI DI COLPA, INNOCENZA E LIMITI DELLA COSCIENZA

    Siamo portati a credere una bugia quando non vediamo attraverso l’Occhio che nasce di Notte, per perire di Notte, quando l’Anima dorme immersa nella Luce.

    William Blake

    Osservando attentamente i motivi per cui le persone si sentono con la coscienza a posto o in colpa, scopriremo che la coscienza non è ciò che siamo portati a credere. Constateremo infatti quanto segue:

    •Il fatto di sentirsi a posto con la coscienza o in colpa ha ben poco a che fare con il bene e il male; c’è chi commette le peggiori atrocità e ingiustizie senza provare rimorso, mentre può accadere di sentirsi in colpa pur facendo del bene, se ciò devia da quello che gli altri si aspettano da noi. Chiamiamo coscienza personale il sentimento che percepiamo di volta in volta come colpa o innocenza.

    •La nostra coscienza personale funziona in base a molti criteri diversi, che sono tanti quante le nostre diverse relazioni affettive: esiste un determinato criterio che vale per il rapporto con nostro padre, un altro per quello con nostra madre, uno per la Chiesa, un altro che usiamo sul posto di lavoro; ne esiste, cioè, uno per ogni gruppo cui apparteniamo.

    •Oltre alla coscienza personale, siamo soggetti a una coscienza sistemica. Non ne avvertiamo la presenza, non la sentiamo, ma quando la sofferenza si trasmette da una generazione all’altra ne viviamo gli effetti. Questa invisibile coscienza sistemica, le sue dinamiche e gli ordini dei Due volti dell’Amore costituiscono il tema principale di questo libro.

    •Bisogna poi aggiungere che accanto alla coscienza personale, di cui siamo consapevoli, e alla coscienza sistemica, che opera in noi anche se non ce ne rendiamo conto, esiste una terza coscienza che ci guida verso la realtà superiore. Seguirla richiede un notevole sforzo, perché ci allontana dall’obbedienza ai dettami della nostra famiglia, religione, cultura, identità personale; ci chiede, per amor suo, di lasciarci alle spalle tutto ciò che abbiamo imparato e di seguire la Coscienza Superiore. Questa è ineffabile e misteriosa e non obbedisce alle leggi della coscienza personale e sistemica, che conosciamo più intimamente.

    Domanda

    Noi conosciamo la nostra coscienza come un cavallo conosce il cavaliere che lo monta e come un timoniere conosce le stelle che guidano la rotta della nave. Ma molti sono i cavalieri che vanno a cavallo e molti i timonieri che guidano la nave, ognuno seguendo una diversa stella. Allora la domanda è questa: chi comanderà i cavalieri e quale rotta sceglierà il capitano?

    Risposta

    Un discepolo chiese al suo maestro: «Dimmi che cos’è la libertà».

    «Quale libertà?», domandò il maestro.

    «La prima libertà è la stoltezza. Come quando un cavallo disarciona il cavaliere con un nitrito trionfale, solo per poi sentirsi stringere ancora di più il sottopancia.

    «La seconda libertà è il rimorso. Come quando un timoniere, invece di mettersi in salvo con gli altri su una scialuppa, affonda con la nave dopo averla portata contro gli scogli.

    «La terza libertà è la comprensione, che purtroppo viene solo dopo la stoltezza e il rimorso. È come quando una spiga di frumento è piegata dal vento e, proprio piegandosi nel punto in cui è più debole, resiste».

    «Tutto qui?», domandò il discepolo.

    E il maestro rispose: «Molti credono di essere alla ricerca della verità della propria anima, ma è l’Anima Superiore che medita e cerca in loro. Come la natura, essa concede ampio spazio alla varietà, ma rimpiazza facilmente coloro che cercano di imbrogliare. Diversamente, contraccambia chi le permette di pensare in lui con una certa libertà, soccorrendolo così come un fiume aiuta il nuotatore che si arrende e si lascia trasportare dalla corrente ad attraversarlo fino all’altra riva».

    LA COSCIENZA PERSONALE E I SENTIMENTI DI COLPA E DI INNOCENZA

    Nella varietà dei rapporti interpersonali entrano in gioco bisogni fondamentali che interagiscono in modo complesso.

    1.Il bisogno di sentirsi parte di qualcosa, di avere cioè dei legami(1) forti.

    2.Il bisogno di mantenere un equilibrio tra il dare e il ricevere.(2)

    3.Il bisogno di salvaguardare le convenzioni e le abitudini sociali, ovvero l’ordine sociale.

    Avvertiamo questi tre diversi bisogni con l’urgenza di una pulsione o di una reazione istintiva; essi ci sottopongono a forze che ci sfidano ed esigono la nostra collaborazione, che ci contengono e ci controllano. Tali forze limitano le nostre scelte e, che ci piaccia o no, ci spingono a raggiungere obiettivi in contrasto con i nostri desideri e piaceri personali.

    Questi bisogni limitano le nostre relazioni e le rendono possibili, perché riflettono e attivano il fondamentale bisogno umano di rapportarsi intimamente agli altri. Se sapremo soddisfarli e riequilibrarli, le nostre relazioni saranno positive, mentre, in caso contrario, diventeranno disfunzionali e distruttive. Ogni volta che una nostra azione si riflette direttamente sugli altri, ci sentiremo colpevoli o innocenti. Così come l’occhio distingue continuamente tra la luce e il buio, anche un organo interno discrimina tra ciò che aiuta e ciò che invece danneggia una relazione.

    Quando facciamo cose che mettono a repentaglio o distruggono i nostri rapporti, ci sentiamo in colpa, mentre quando riusciamo a farli crescere, ci sentiamo liberi dai sensi di colpa, ovvero innocenti. Ci riferiamo poi a questa nostra esperienza di colpa e di innocenza, cioè al nostro senso di ciò che può essere utile o dannoso a una relazione, come alla nostra coscienza personale. Così, i nostri sentimenti di colpa e di innocenza costituiscono in primo luogo un fenomeno sociale che non necessariamente ci orienterà verso più alti valori morali. In effetti, il forte legame con gruppi necessari alla nostra sopravvivenza alimenta in noi sentimenti di colpa e di innocenza che spesso ci rendono ciechi verso ciò che è bene e ciò che è male.

    BISOGNI DIVERSI RICHIEDONO COMPORTAMENTI DIVERSI

    Il nostro bisogno di appartenenza, l’equilibrio tra il dare e il ricevere e le convenzioni sociali contribuiscono, nel loro insieme, a preservare i gruppi sociali ai quali apparteniamo, ma ogni bisogno che tentiamo di soddisfare comporta particolari sensi di colpa e di innocenza; accade così che viviamo questi sentimenti in modo diverso a seconda di quale bisogno e quale scopo siano in gioco.

    •Quando il nostro senso di appartenenza è messo a repentaglio, la colpa assume la connotazione dell’esclusione e dell’alienazione. Quando invece è ben sostenuto, proviamo un sentimento di innocenza sotto forma di intima compartecipazione e vicinanza.

    •Quando non c’è equilibrio tra il dare e il ricevere, i sensi di colpa si manifestano attraverso un senso di indebitamento e di obbligo. Quando invece le due esigenze vengono soddisfatte, proviamo un sentimento di innocenza sotto forma di legittimazione e libertà.

    •Nel momento in cui ci allontaniamo dall’ordine sociale, la consapevolezza di avere trasgredito e la paura delle possibili conseguenze e di una punizione diventano espressione di un senso di colpa latente. La lealtà e la rettitudine rispetto all’ordine sociale ce ne fanno invece provare uno di innocenza.

    Trovandosi al servizio di un determinato bisogno, la coscienza esige ciò che vieta quando è al servizio di un altro e, sempre volendo soddisfare un bisogno, potrebbe consentire a noi ciò che vieta ad altri. Per esempio:

    Amore e ordine

    Una madre, al figlio che aveva infranto una regola della famiglia, disse che avrebbe dovuto giocare da solo per un’ora. Se avesse deciso di lasciarlo nella sua stanza per tutta quell’ora, avrebbe sì rispettato il bisogno di mantenere l’ordine sociale, ma il ragazzino si sarebbe sentito comprensibilmente abbandonato, perché l’amore e il senso di appartenenza sarebbero stati del tutto ignorati. Per questa ragione, la madre come fanno molti genitori, ridusse la punizione. Pur avendo, con questa sua scelta, contravvenuto almeno in parte alle esigenze dell’ordine sociale, ed essendo quindi in tal senso colpevole, la donna ha innocentemente obbedito alle leggi dell’amore.

    La coscienza rimane al servizio di questi bisogni anche quando sono in contrasto tra loro, e noi li viviamo come conflitti di coscienza. Chiunque si avvicini all’innocenza rispetto a un dato bisogno, al tempo stesso si avvicinerà alla colpa rispetto ad un altro; chiunque affitti una stanza nella casa dell’innocenza scoprirà ben presto che in subaffitto c’è anche la colpa. Non importa quanto ci sforziamo di seguire la nostra coscienza: avvertiremo sempre sia la colpa, rispetto a un bisogno, sia l’innocenza, rispetto a un altro bisogno. Il sogno di un’innocenza priva di sensi di colpa è soltanto un’illusione.

    La coscienza a salvaguardia dei legami

    Agendo in nome del nostro bisogno di appartenenza, la coscienza ci lega alle persone e ai gruppi necessari alla nostra sopravvivenza, indipendentemente da quali siano le condizioni poste per questa nostra appartenenza. Una quercia non sceglie il terreno in cui crescere; l’ambiente circostante la condiziona tuttavia a svilupparsi diversamente a seconda che si trovi in un campo aperto, nel folto di una foresta, in una valle riparata, oppure in alto, su una collina battuta dal vento. Allo stesso modo, i bambini si adattano naturalmente ai gruppi in cui nascono, legandosi ad essi con una tenacia che ricorda l’imprinting. Per i piccoli il legame con la famiglia significa amore e benessere, a prescindere dall’effettiva capacità della famiglia di nutrirli e di prendersene cura, ed essi vivono i suoi valori e le sue abitudini come qualcosa di positivo, senza valutare ciò che credono o fanno i membri di essa.

    Essendo al servizio del senso di appartenenza, la coscienza reagisce a tutto ciò che rafforza o minaccia i nostri legami. Ce la sentiamo pulita quando agiamo in modo tale da assicurare la continuità della nostra appartenenza, mentre ce la sentiamo sporca quando deviamo dalle norme del gruppo e dobbiamo temere che il nostro diritto di appartenervi sia messo in discussione. La colpa e l’innocenza, come una mela tenuta davanti al naso di un pony e una frusta in mano al fantino, si prefiggono lo stesso scopo. Ci attirano e ci spingono nella medesima direzione, custodendo gelosamente il nostro legame con la famiglia e con una cerchia ristretta della comunità.

    È bene tenere presente che la coscienza che preserva i nostri legami non si eleva al di sopra dei falsi valori e delle superstizioni dei gruppi cui apparteniamo; non aspettiamoci che possa guidarci verso una verità più elevata. È vero, piuttosto, che essa è al servizio di tali valori e li conserva, rendendo difficile per noi vedere, sapere e ricordare qualsiasi cosa la nostra coscienza escluda. I legami e il senso di appartenenza così necessari alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere stabiliscono anche ciò che ci è consentito percepire, credere e conoscere.

    Quando si nega l’evidenza

    Un medico raccontò ad un gruppo di persone che un mattino sua sorella l’aveva chiamato chiedendogli di andare da lei perché non si sentiva bene e desiderava avere il suo parere professionale. Si era recato da lei come richiesto e avevano parlato per un’ora senza giungere ad alcuna chiara conclusione. Seguendo il consiglio che lui le aveva dato, la donna andò da un ginecologo e dopo pochi mesi dette alla luce un bel bambino.

    Il medico non aveva capito che sua sorella era incinta, e neanche lei, che pure era medico, ne era stata consapevole. Nella loro famiglia i bambini non dovevano sapere nulla della gravidanza, e nemmeno i lunghi studi in medicina erano riusciti ad eliminare il loro blocco percettivo.

    I criteri cambiano da un gruppo all’altro

    Gli unici criteri seguiti dalla coscienza al servizio della formazione di legami sono i valori del gruppo al quale apparteniamo. Ecco perché persone provenienti da gruppi diversi hanno valori diversi, e le persone che appartengono a vari gruppi si comportano diversamente in ciascuno di essi. Quando cambia il contesto sociale, la coscienza muta i propri colori come un camaleonte allo scopo di proteggerci nella nuova situazione in cui ci troviamo. Avremo dunque un certo tipo di coscienza con nostra madre e un altro con nostro padre; una coscienza per la famiglia e una per il posto di lavoro; una per quando andiamo in chiesa, e un’altra se passiamo la serata fuori. In ciascuna di queste diverse situazioni, la coscienza si sforza di salvaguardare il nostro senso di appartenenza e di proteggerci dall’abbandono e dalla perdita. Ci tiene stretti al nostro gruppo come un cane tiene unite le pecore di un gregge, abbaiando e mordicchiandoci i calcagni finché non ci uniamo agli altri.

    Ma ciò che ci appare del tutto lecito in una relazione potrebbe farci sentire molto in colpa in un’altra. In un gruppo di ladri i membri devono rubare, e lo fanno con la coscienza pulita. In un altro gruppo, rubare sarà proibito. In un caso e nell’altro, i sensi di colpa per aver violato le condizioni di appartenenza saranno gli stessi.

    Ciò che è utile a una relazione potrebbe danneggiarne un’altra. La sessualità, ad esempio, può essere considerata la realizzazione di un rapporto e la violazione di un altro. Ma cosa accade quando il fatto di essere coinvolti in una relazione si scontra con un altro legame affettivo? Quando ciò che ci fa sentire colpevoli in un rapporto è proprio ciò che ci viene richiesto nell’altro? Per uno stesso atto, ci ritroviamo davanti a diversi giudici, e uno potrebbe trovarci colpevoli, un altro dichiararci innocenti.

    La dipendenza rafforza i legami

    La coscienza ci lega più strettamente al nostro gruppo nel momento in cui siamo più indifesi e vulnerabili. Via via che acquistiamo potere all’interno di un gruppo e conquistiamo una certa indipendenza, sia il legame che la coscienza inizieranno a rilassarsi; se invece rimarremo deboli e dipendenti, continueremo anche ad essere obbedienti e leali. Nelle famiglie, sono i bambini a occupare questa posizione; in una ditta, i lavoratori delle categorie più basse; in un esercito, le reclute; in una chiesa, la congregazione dei fedeli. Per il bene dei più forti, tutti gli altri mettono a repentaglio la propria salute, felicità, la vita stessa e si sentono in colpa anche quando i loro leader, in nome di quelli che definiscono più alti scopi, li sfruttano senza tanti scrupoli. Stiamo parlando delle figure tipiche che si espongono in prima persona per proteggere i più forti, dei boia che sbrigano il lavoro sporco al posto di altri, degli eroi sconosciuti che rimangono al loro posto sino alla fine; parliamo di pecorelle che seguono fedelmente il loro pastore fino al mattatoio, di vittime che pagano i danni di tasca propria. Sono i ragazzi che si gettano nel fuoco per i loro genitori e parenti, che realizzano ciò che non hanno mai progettato, che chiedono perdono per cose che non hanno mai fatto e che sopportano pesi che non hanno creato.

    Non c’è spazio

    Un vecchio che ormai si avvicinava alla fine della vita cercò un amico che lo aiutasse a trovare la pace. Quando era un giovane padre, una volta aveva sgridato suo figlio e quella stessa notte il ragazzo si era impiccato. La reazione del figlio era stata del tutto sproporzionata al lieve rimprovero del padre, che non si era mai più ripreso dal grande peso di quella perdita e dai sensi di colpa.

    Parlando con il suo amico, improvvisamente si ricordò di una conversazione avuta con il giovane alcuni giorni prima che si suicidasse. Durante la cena sua moglie aveva annunciato che avrebbe avuto un altro bambino. Il figlio, fuori di sé, aveva gridato: «Oh, Dio mio! Non c’è abbastanza spazio».

    Ricordando questa conversazione, il vecchio considerò la tragedia in un più ampio contesto: suo figlio si era impiccato per prendere su di sé, almeno in parte, il peso della povertà dei genitori e per fare spazio a un altro bambino, e non solo in reazione a un piccolo rimprovero. L’uomo, rendendosi conto che anche suo figlio aveva amato, trovò un senso in ciò che era accaduto. Disse allora: «Finalmente mi sento in pace, come se fossi seduto sulla riva di un tranquillo lago di montagna».

    Il senso di appartenenza e l’esclusione dei diversi

    Ogni volta che la coscienza, agendo in nome del nostro senso di appartenenza, ci lega agli altri appartenenti al gruppo, al contempo ci spinge ad escludere i diversi, a spaventarli, negando loro quel diritto di fare parte che rivendichiamo per noi. La coscienza che salvaguarda la nostra appartenenza ci porta a fare, a quanti sono diversi da noi, la cosa che più temiamo e che consideriamo la peggiore conseguenza della colpa: li escludiamo. Trattandoli male deliberatamente, tuttavia, otteniamo che anche loro, in nome della coscienza del gruppo cui appartengono, si comportino con noi allo stesso modo. La coscienza che salvaguarda il senso di appartenenza inibisce il male all’interno del gruppo, ma libera da tale inibizione nei confronti di chi ne è al di fuori. Facciamo agli altri, del tutto consapevolmente, ciò che la nostra coscienza ci impedisce di fare ai membri del nostro stesso gruppo. Nei conflitti religiosi, razziali e nazionali, la sospensione delle inibizioni che vigono all’interno di una comunità consente ai suoi membri di commettere atrocità e crimini contro persone che appartengono ad altri gruppi senza provare il minimo senso di colpa.

    Perciò, l’innocenza e la colpa non coincidono con il bene e il male. Se le nostre azioni, per quanto distruttive e malvagie, servono gli interessi di gruppi necessari alla nostra sopravvivenza, agiremo con la coscienza tranquilla; per contro, pur compiendo azioni costruttive, ci sentiremo in colpa quando il nostro comportamento metterà a repentaglio la nostra appartenenza a questi stessi gruppi.

    Alcune considerazioni aggiuntive

    Le testimonianze rese da ex agenti segreti della polizia del Sud Africa alla Truth and Reconciliation Commission [Commissione per l’accertamento della verità e la riconciliazione], che catturarono l’attenzione internazionale, costituiscono un’eccellente dimostrazione del fenomeno in esame. La decisione presa dal governo di Nelson Mandela di concedere un’amnistia agli ex agenti della polizia segreta disposti a rendere pubblica testimonianza delle precedenti attività creò un’atmosfera nella quale gli effetti dell’appartenenza ai vari gruppi sociali si fecero chiaramente sentire nella percezione del bene e del male. In qualità di membri della polizia segreta, durante i governi dell’apartheid queste persone avevano torturato e ucciso nella convinzione di fare la cosa giusta, di agire per difendere la loro nazione dai pericoli che la minacciavano. Ora però, nel mutato contesto politico, avendo potuto beneficiare dell’amnistia, molti considerano le attività passate in modo diverso, riferendo di provare un sincero e profondo rimorso. [H.B.]

    Ciò che appare come una colpa o uno stato di innocenza può trarre in inganno

    La colpa e l’innocenza spesso si vestono l’una dei panni dell’altra, così che la prima viene scambiata per la seconda, e viceversa. Le apparenze ingannano, ed è solo dal risultato finale che possiamo conoscere la verità.

    I giocatori

    Si dichiarano

    Avversari.

    L’uno di fronte all’altro

    Giocano

    Su una comune scacchiera

    Con molte figure,

    E regole complesse,

    Mossa per mossa,

    L’antico Gioco dei Re.

    Ognuno sacrifica

    Molte pedine

    In questo gioco,

    E cerca il vantaggio,

    Finché non rimane alcuna mossa da fare

    E allora la partita è conclusa.

    Poi, scambiandosi di posto,

    E di colore,

    Cominciano un’altra partita

    Di quello stesso Gioco dei Re.

    Ma chiunque giochi abbastanza

    E vinca spesso

    E perda spesso

    Diventa padrone

    Di entrambe le parti.

    Così come un’apparenza di colpa o innocenza può trarre in inganno, la coscienza del gruppo un po’ alla volta plasma l’esperienza che il bambino ha del mondo, colora la sua percezione di ciò che è attraverso i valori della famiglia.

    Imparare a essere buoni

    Una bambina esce in cortile e prova stupore per le cose che crescono. La mamma le dice: «Guarda, che bello». Ora la bambina deve stare attenta alle parole; smette di guardare e di ascoltare e il suo coinvolgimento diretto con ciò che esiste viene sostituito da giudizi di valore. La bambina non può più fidarsi della sua esperienza di fascinazione per ciò che è, e deve invece fare riferimento a un’autorità esterna, che stabilisce ciò che è bello e positivo.

    La coscienza diventa allora la grande simulatrice, che attiva sentimenti di colpa e di innocenza in luogo della conoscenza del bene e del male. Il bene latore di riconciliazione deve andare oltre le ingannevoli apparenze che nascono dal fatto che apparteniamo a vari gruppi. La coscienza parla; il mondo esiste.

    LA COSCIENZA E L’EQUILIBRIO TRA DARE E RICEVERE

    Le nostre relazioni, così come le nostre esperienze relative alla colpa e all’innocenza, prendono le mosse dall’equilibrio tra il dare e il ricevere. Ci sentiamo in credito quando diamo e in debito quando prendiamo. L’oscillazione tra questi due estremi costituisce, in ogni rapporto, la seconda dinamica fondamentale della colpa e dell’innocenza. Alimenta tutte le relazioni, perché sia chi dà sia chi riceve si sentirà in pace solo quando avrà donato e preso in egual misura.

    Un dono d’amore

    Un missionario che viveva in Africa fu trasferito in una nuova zona. Quando arrivò il giorno in cui doveva partire, ricevette la visita di un uomo che aveva camminato ore ed ore per venire a portargli una piccola somma di denaro come regalo di addio. Il valore di quella somma era di circa 30 centesimi. Il missionario capiva che l’uomo lo stava ringraziando per tutte quelle volte che, sapendolo ammalato, si era preoccupato ed era andato a trovarlo. Capiva che per quell’uomo 30 centesimi erano un’enorme quantità di danaro. Fu tentato di restituirli, magari aggiungendone altri ma, dopo averci riflettuto, li prese e ringraziò l’uomo. Avendo dato amore, dovette anche accettarlo.

    Quando riceviamo qualcosa da qualcuno, perdiamo l’innocenza e l’indipendenza. Il fatto di prendere ci fa sentire in debito verso la persona che ci dà qualcosa. Così, ci sentiamo a disagio e sotto pressione, e cerchiamo di superare questi stati d’animo dando qualcosa in cambio. Siamo praticamente incapaci di accettare alcunché senza sentire a nostra volta il bisogno di dare. Prendere ci fa sentire in colpa.

    L’innocenza, in questo scambio, è il senso di soddisfazione che proviamo per aver preso a piene mani e aver dato in cambio un po’ di più. Quando abbiamo preso fino a soddisfare appieno i nostri bisogni, ma abbiamo anche dato generosamente, ci sentiamo innocentemente spensierati e il nostro cuore è leggero.

    Esistono tre tipici modelli relativi al modo in cui la gente conquista e conserva l’innocenza in quella dinamica di dare e ricevere che ha luogo in qualsiasi relazione: il digiuno, il soccorso e lo scambio completo.

    Il digiuno

    Certe persone si aggrappano ad un’illusione di innocenza riducendo al minimo la propria partecipazione alla vita. Invece di accettare tutto ciò di cui hanno bisogno e di sentirsi conseguentemente in debito, si isolano e prendono le distanze dalla vita e dalle proprie necessità. Si sentono, in tal modo, libere dal bisogno e dall’obbligo della riconoscenza, così che non hanno necessità di prendere niente. Ma anche se non si sentono in debito con nessuno, l’innocenza che si attribuiscono è quella di chi rimane ad osservare dall’esterno. Loro non si sporcano le mani, e spesso si considerano esseri superiori o speciali. Poiché il loro godimento della vita è limitato dalla superficialità del loro coinvolgimento, queste persone provano un inevitabile senso di vuoto e di insoddisfazione.

    Questo atteggiamento è abbastanza tipico di chi ha problemi di depressione. Il rifiuto di accogliere positivamente ciò che la vita ha da offrire si manifesta in un primo tempo nella relazione con uno o entrambi i genitori, per essere in seguito trasferito ad altri rapporti e, in generale, a ciò che di più bello vi è al mondo. Qualcuno giustifica il proprio rifiuto a prendere lamentandosi che ciò che ha avuto non era sufficiente, o che non si trattava della cosa giusta; altri sottolineano gli errori e i limiti di chi ha dato. In ogni caso il risultato sarà lo stesso, perché rimarranno passivi e vuoti. Chi, per esempio, ripudia o giudica i propri genitori, a prescindere da ciò che possono aver fatto, nella maggior parte dei casi si sentirà incompleto e smarrito.

    Al contrario, nelle persone che sono riuscite ad accettare i propri genitori così come sono e a prendere da loro tutto ciò che hanno saputo dare avviene esattamente l’opposto. Costoro vivono il fatto di prendere come un flusso continuo di forza e di nutrimento che permette loro di stabilire relazioni in cui potranno a loro volta accettare e dare a piene mani, anche nel caso in cui siano stati trattati male in famiglia.

    Il soccorso

    Altre persone cercheranno di conservare l’innocenza negando i propri bisogni finché, avendo donato a sufficienza, non sentiranno di essersi guadagnate qualche diritto. Il fatto di dare prima di prendere crea un provvisorio senso di legittimità che si dissolve non appena abbiamo avuto lo stretto indispensabile. Coloro che preferiscono mantenere questo senso di legittimità piuttosto che permettere agli altri di dare liberamente, in realtà dicono: «È meglio che tu ti senta in debito con me piuttosto che io con te». Molti idealisti hanno tale atteggiamento, ampiamente noto come sindrome del soccorritore.

    Questo egocentrico sforzo per conquistare la libertà dal bisogno è fondamentalmente ostile alle relazioni affettive. Chiunque preferisca limitarsi a dare, senza prendere nulla, si aggrappa a un’illusione di superiorità, rifiuta la ricchezza della vita e non riconosce la parità del partner. Presto le persone che non vogliono nulla da chi si rifiuta di prendere diventeranno sempre più numerose e, provando risentimento, si allontaneranno. Ecco perché i soccorritori cronici sono spesso soli e finiscono per soccombere all’amarezza.

    Il pieno scambio

    Il terzo percorso per giungere a dare e a prendere con innocenza è anche il più bello, e consiste nella soddisfazione che si prova quando si dà e si riceve a piene mani. Questo genere di scambio è il punto centrale di ogni relazione: chi dà prende, e chi prende dà. Entrambe le parti donano e ricevono al tempo stesso.

    L’equilibrio nel dare e nel ricevere non è l’unico aspetto rilevante di questa innocenza: conta anche la misura. Un piccolo volume di scambi non apporta alcun beneficio; un volume importante, invece, ci arricchisce, portando con sé un senso di abbondanza e di felicità.

    Intensificazione dello scambio

    Un uomo ama sua moglie e desidera regalarle qualcosa. Poiché anche lei lo ama, gli è grata del regalo e vuole contraccambiare. Prestando ascolto a questo suo desiderio, anche lei dona qualcosa al marito e, per essere sicura di non sbagliare, gli dà un po’ di più di quanto ha ricevuto. Dal momento che il dono della moglie è l’amore, lui lo accetta senza remore, ma desidera anche ricambiare dandole un po’ di più. In questo modo, la coscienza mantiene uno squilibrio dinamico e il rapporto d’amore della coppia prosegue in un crescendo di dare e ricevere.

    Una gioia così non cade dal cielo, ma è conseguenza della nostra disponibilità ad alimentare l’amore riconoscendo di avere dei bisogni e accettando quanto ci viene donato in un rapporto affettivo. Quando lo scambio è molto intenso, ci sentiamo leggeri e liberi, sereni e soddisfatti. Di tutti i modi in cui si può conoscere l’innocenza nel dare e nel ricevere, questo è di gran lunga quello che più profondamente ci soddisfa.

    Come ristabilire l’equilibrio tra il dare e il ricevere quando la reciprocità è impossibile

    In certe relazioni si crea un’insormontabile discrepanza tra chi dà e chi riceve; per esempio, tra genitori e figli o tra insegnanti e allievi. I genitori e gli insegnanti sono soprattutto donatori, mentre i figli e gli studenti sono beneficiari. Ovviamente, in una certa misura anche i genitori ricevono dai loro figli e gli insegnanti dagli allievi. Tuttavia, questo al massimo riduce la discrepanza, ma non la cancella. In tutte le situazioni in cui non è possibile raggiungere un equilibrio attraverso uno scambio reciproco, la soddisfazione e l’equilibrio stesso andranno conquistati con altri mezzi.

    Anche i genitori un tempo erano figli, così come gli insegnanti sono stati a loro volta studenti. Potranno così raggiungere un equilibrio nello scambio dando alla generazione successiva ciò che hanno ricevuto da quella precedente. E anche i figli e gli studenti possono farlo.

    Nella poesia che segue, Börries von Münchausen descrive splendidamente tale processo.

    La sfera dorata

    L’amore che mio padre mi ha dato

    Non l’ho riconosciuto.

    Da bambino, non capivo il valore di quel dono.

    Da adulto, sono diventato troppo duro, troppo simile a un uomo.

    Ora anche mio figlio sta diventando un uomo, e lo amo con tutto il mio cuore,

    Dove è presente, come nessun altro.

    Do ciò che un tempo presi, a qualcuno

    Che non me lo ha dato e che non me lo restituirà.

    Quando sarà un uomo e penserà da uomo,

    Andrà, come me, per la sua strada.

    Resterò a guardare, con un desiderio senza invidia mentre

    Darà a suo figlio l’amore che do a lui.

    Il mio sguardo segue il gioco della vita

    Nei profondi meandri del tempo

    Dove ciascuno lancia sorridendo la sfera dorata,

    E nessuno la restituisce

    A colui che per primo l’ha lanciata.

    Ciò che abbiamo detto sul rapporto tra genitori e figli o tra insegnanti e allievi può valere ogni volta che non è possibile raggiungere un equilibrio tra dare e ricevere attraverso uno scambio pieno e reciproco. In tutte le situazioni di questo tipo, per esempio nel caso di persone che non hanno figli, rimane la possibilità di sollevarsi da un senso di indebitamento donando ad altri ciò che si è ricevuto.

    Esprimere gratitudine

    Per chi deve prendere più di quanto possa ricambiare, esprimere una sincera gratitudine è un altro modo per ristabilire l’equilibrio tra il dare e il ricevere. Naturalmente, non si dovrà usare la gratitudine a proprio vantaggio, evitando di dare altre cose anche quando sarebbe giusto e possibile farlo; a volte, invece, questa è l’unica risposta adeguata, per esempio per i portatori di handicap, gli ammalati gravi, i pazienti terminali e talvolta anche per gli innamorati.

    In tutte queste situazioni, oltre al bisogno di equilibrio, entra in gioco un amore elementare che attira l’uno verso l’altro i membri di un sistema sociale e li tiene uniti come la forza di gravità tiene insieme i pianeti e le stelle. Questo amore accompagna il dare e il ricevere e si manifesta in forma di gratitudine.

    Chiunque provi una sincera gratitudine, in sostanza afferma questo: «Mi stai dando, anche se non sai se potrò ripagarti o meno, ed io accetto il tuo dono con amore». Chiunque accetti tale gratitudine afferma: «Il tuo amore ed il fatto che tu riconosca il mio dono, per me valgono di più di qualunque altra cosa tu possa darmi».

    Con la gratitudine non solo riconosciamo ciò che ci diamo, ma anche ciò che siamo gli uni per gli altri.

    Una gratitudine degna di Dio

    Un uomo la cui vita era stata in pericolo ma che si era salvato sentì di avere un grande debito con Dio. Chiese allora a un amico cosa avrebbe dovuto fare per esprimere la propria gratitudine in un modo che fosse degno del Signore. L’amico gli raccontò una storia:

    Un uomo che amava una donna con tutto il cuore le chiese di sposarlo. Lei rispose di no, perché aveva altri progetti. Un giorno, mentre erano insieme, ella si ritrovò in mezzo alla strada che stavano attraversando e sarebbe stata investita da un’auto se l’uomo non l’avesse prontamente afferrata e tirata indietro. Allora si girò verso di lui e disse: «Adesso sono pronta a sposarti!».

    «Come credi che si sia sentito quell’uomo?», chiese l’amico. L’altro fece una smorfia e non rispose. «Vedi», disse l’amico, «forse anche Dio si sente così nei tuoi confronti».

    Noi tendiamo a vivere ogni fortuna che non ci siamo guadagnati come qualcosa di minaccioso, qualcosa che genera ansia, perché siamo segretamente convinti che la nostra felicità susciterà l’invidia degli altri o del fato. Noi tutti tendiamo a pensare che la felicità infranga un tabù e ci renda colpevoli, come se costituisse un pericolo. Un sincero sentimento di gratitudine avrà l’effetto di ridurre quest’ansia. In ogni caso, riconoscere la propria buona sorte rispetto a quella cattiva di un altro richiede una certa dose di umiltà e di coraggio.

    I reduci

    Degli amici di infanzia furono mandati in guerra dove corsero pericoli inenarrabili, e molti rimasero uccisi o feriti. Due di loro, tuttavia, tornarono a casa sani e salvi.

    Uno dei due era molto sereno e in pace con se stesso. Sapeva di essere salvo perché così aveva voluto il destino, e accettava la propria vita come un dono, come una grazia.

    L’altro prese il vizio di bere insieme ad altri reduci e rivangava continuamente il passato. Gli piaceva riempirsi la bocca dei pericoli cui era scampato e dei suoi atti di eroismo. Era come se per lui quell’intera esperienza fosse accaduta invano.

    Il dare e il ricevere sono regolati dall’amore

    Il dare e il ricevere, nelle relazioni intime, sono regolati da un bisogno di equilibrio reciproco, ma nessuno scambio significativo può nascere tra partner che non siano disposti a vivere di tanto in tanto una certa disparità. È un po’ come camminare: mantenendo l’equilibrio statico rimaniamo fermi in piedi, mentre se ci arrendiamo del tutto alla mobilità cadiamo giù e rimaniamo per terra. Ma perdendo e riconquistando ritmicamente l’equilibrio, ci spostiamo in avanti. In modo analogo, non appena si raggiunge un equilibrio una relazione può finire oppure rinnovarsi e proseguire grazie a un nuovo scambio.

    I partner coinvolti in una relazione intima, pur nella loro diversità, sono tra loro uguali nello scambio e, perché il loro amore possa crescere, è necessario che tra dare e ricevere esista un equilibrio, che potrà essere tanto positivo quanto negativo. Lo scambio tra i due avrà fine nel momento in cui raggiungeranno una condizione di stasi. Quando uno di loro prende senza dare nulla in cambio, l’altro perderà presto il desiderio di donare ancora. D’altra parte, quando qualcuno dona all’altro senza prendere niente, il partner prima o poi non vorrà avere più nulla da quella persona. Una relazione può finire anche quando uno dà all’altro più di quanto questi possa o voglia contraccambiare. L’amore traccia i confini del dare secondo la capacità di ricevere del beneficiario, così come circoscrive la possibilità di ricevere in base alla disponibilità a dare del donatore. Questo significa che il bisogno di un equilibrio di coppia tra l’atto di dare e quello di ricevere delimita ad un tempo l’amore e l’affiatamento dei partner. Così, il nostro bisogno di equilibrio costituisce un freno e un limite all’amore.

    D’altra parte l’amore, a propria volta, limita l’equilibrio. Quando uno dei partner fa qualcosa che addolora o ferisce l’altro, per mantenere l’equilibrio tra dare e ricevere la persona ferita dovrà in qualche modo attuare una ritorsione, evitando però di distruggere l’amore. Quando chi è stato ferito si sente troppo superiore per abbassarsi alla giusta reazione necessaria all’amore, l’equilibrio risulterà compromesso e la relazione sarà in pericolo. Una delle situazioni difficili che alcune coppie devono affrontare è quella che viene a crearsi quando uno dei partner ha un’avventura. Se dopo un tradimento uno rimane caparbiamente legato all’innocenza, creando così una forte polarizzazione tra colpa e innocenza, la riconciliazione risulterà impossibile.

    D’altro canto, se il partner ferito fosse disposto a rendersi a propria volta colpevole restituendo parte del dolore, la relazione potrebbe anche continuare. Tuttavia, la sofferenza restituita non dovrà essere uguale a quella provata, altrimenti non rimarrebbe alcuna disparità a tenere unita la coppia. Se fosse maggiore, inoltre, il colpevole si sentirebbe ferito e giustificato a vendicarsi, e questo innescherebbe un crescendo di torti sempre maggiori. Il dolore restituito dovrà essere un po’ meno forte di quello provocato in origine. Allora, sia le ragioni dell’amore che quelle della giustizia verranno soddisfatte e lo scambio potrà continuare. È così che l’amore traccia i confini dell’equilibrio.

    Certe persone provano disagio quando scoprono che, in situazioni del genere, la riconciliazione che consente all’amore di riprendere a scorrere come un fiume in piena è possibile solo se l’innocente si rende colpevole ed esige una giusta compensazione. Tuttavia, così come si riconosce l’albero dai suoi frutti, basta confrontare le coppie che adottano questo approccio con altre che si comportano in modo diverso per constatare ciò che è effettivamente valido e ciò che invece

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1