La duchessa di Paliano/La Duchesse de Palliano
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Anteprima del libro
La duchessa di Paliano/La Duchesse de Palliano - M. H. Stendhal
I LEONCINI
frontespizioStendhal
La duchessa di Paliano
ISBN 978-88-9296-770-0
© 2023 Leone Editore, Milano
Traduttore: Giulia Pesavento
www.leoneeditore.it
FRA
Palermo, 22 luglio 1838
Non sono un naturalista, conosco il greco in modo assai mediocre; lo scopo principale del mio viaggio in Sicilia non è stato di osservare i fenomeni dell’Etna, né di fare un po’ di chiarezza, per me o per gli altri, su tutto ciò che gli antichi autori greci hanno detto della Sicilia. Cercavo innanzitutto il piacere degli occhi, che è grande in questa singolare regione. Si dice che sia simile all’Africa, ma quello che, per me, è certo, è che ciò che la accomuna all’Italia sono solo le passioni divoranti. Si può dire che la parola «impossibile» non esiste per i siciliani quando si infiammano per amore o per odio, e l’odio, in questo bella regione, non è mai provocato dall’interesse per il denaro.
Noto che in Inghilterra, e soprattutto in Francia, si parla spesso della passione italiana, quella sfrenata passione che caratterizzava l’Italia nel xvi e xvii secolo. Ai giorni nostri, questa bella passione è morta, completamente morta, nelle classi che hanno voluto imitare le maniere francesi e i modi di fare alla moda a Parigi o a Londra.
So bene che, dall’epoca di Carlo v (1530), si può dire che Napoli, Firenze e persino Roma imitarono un po’ le usanze spagnole, ma queste abitudini sociali così nobili non trovavano forse fondamento nel rispetto infinito che ogni uomo degno di questo nome deve avere per i moti della sua anima? Ben lungi dall’escluderne l’energia, le esasperavano, mentre la prima regola degli uomini vanesi che imitavano il duca di Richelieu, verso il 1760, era di sembrare impassibili. Il principio dei dandy inglesi, che adesso vengono imitati a Napoli al posto dei vanesi francesi, non è quello di sembrare annoiati da tutto, superiori a tutto?
Così la passione italiana da un secolo non è più presente nella buona società di questo Paese.
Per farmi un’idea della passione italiana, di cui i nostri romanzieri parlano con tanta sicurezza, ho dovuto far appello alla storia e, nonostante ciò, la grande storia fatta dalle persone di talento, spesso troppo imponente, non dice quasi nulla a riguardo. Si degna di annotare soltanto le follie che vengono compiute da re e principi. Sono ricorso alla storia specifica di ogni città, ma mi sono spaventato per l’abbondanza del materiale. Una piccola città presenta con orgoglio la sua storia in tre o quattro volumi stampati e sette o otto volumi scritti a mano; questi ultimi sono quasi indecifrabili, pieni di abbreviazioni che danno alle lettere una forma singolare, e, nei momenti più significativi, zeppi di modi di dire in uso nel paese, che sono incomprensibili a cento chilometri di distanza. Questo perché, in tutta la meravigliosa Italia, dove l’amore ha seminato tanti tragici eventi, solo tre città, Firenze, Siena e Roma, parlano più o meno come scrivono; altrove, la lingua scritta è distante anni luce da quella parlata.
La cosiddetta passione italiana, quella che cerca la propria soddisfazione, e non vuole dare al vicino un’idea magnifica dell’individualità, comincia con la rinascita della società, nel xii secolo, e si spegne, almeno per quanto riguarda la nobiltà, verso l’anno 1734. A quest’epoca, i Borbone regnavano a Napoli nella persona di Carlo, figlio di una Farnese, sposata, in seconde nozze, con Filippo v, quel triste nipote di Luigi xvi, molto intrepido in mezzo alle palle di cannone, ma assai annoiato e appassionato di musica. A quanto pare, per ventiquattro anni il sublime castrato Farinelli gli cantò ogni giorno le sue tre arie preferite, sempre le stesse.
Una mente filosofica può trovare curiosi i dettagli di una passione provata a Roma o a Napoli, ma confesso che niente mi sembra più assurdo di quei romanzi che danno dei nomi italiani ai loro personaggi. Non siamo d’accordo sul fatto che le passioni cambiano ogni volta che ci si sposta di cinquecento chilometri verso nord? L’amore è lo stesso a Marsiglia e a Parigi? Al massimo si può dire che i paesi che per tanto tempo hanno avuto un governo simile tra loro possono all’apparenza assomigliarsi nelle abitudini sociali.
I paesaggi, come le passioni e la musica, cambiano non appena ci si sposta di tre o quattro gradi verso nord. Un paesaggio napoletano sembrerebbe assurdo a Venezia se non si fosse d’accordo, anche in Italia, sulla bellezza della natura di Napoli. A Parigi facciamo di meglio: crediamo che l’aspetto delle foreste e delle pianure coltivate sia assolutamente lo stesso a Napoli e a Venezia, e vorremmo che il Canaletto, per esempio, avesse esattamente gli stessi colori di Salvator Rosa.
Il colmo del ridicolo non è forse una dama inglese che incarna tutti i pregi della sua isola, ma che è considerata incapace di rappresentare l’odio e l’amore