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L’emigrato sardo: Verso il continente italiano ed europeo
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E-book564 pagine7 ore

L’emigrato sardo: Verso il continente italiano ed europeo

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Info su questo ebook

Una carrellata sulla vita e la fatica di un giovane emigrato sardo, attraverso gli anni Quaranta e Cinquanta della Sardegna, dell’Italia e dell’Europa. Una preziosa testimonianza di un sapere che non deve andare perduto.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2023
ISBN9788892967939
L’emigrato sardo: Verso il continente italiano ed europeo

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    Anteprima del libro

    L’emigrato sardo - Peppino Mureddu

    MNEMOSYNE

    frontespizio

    Peppino Mureddu

    L’emigrato sardo – Verso il continente italiano ed europeo

    III^ Edizione

    ISBN 978-88-9296-793-9

    © 2023 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Indice

    Prefazione 11

    Riassunto 17

    Lodine 23

    Il nuraghe di Lodine 26

    Le case di Lodine 26

    L’acqua di Lodine 27

    I lodinesi e i sardi 28

    Il periodo dell’infanzia 35

    Lavanderia sul fiume, anni Quaranta 40

    I familiari 56

    Il monte di Teti (o Monte su Ballu) 57

    Il furto dei maiali 60

    La fase della vendita 61

    La patente di guida 64

    Il servizio militare 65

    Patente di guida D-E (per tutti i servizi) 66

    Guida di un autocarro e scampato incidente 68

    Corso (per corrispondenza) di costruzione

    di macchine 71

    Emigrazione in Belgio 72

    Nella miniera La Petit Try 74

    In Germania 81

    Alla Ford 82

    A Colonia 88

    La Ercole Marelli 94

    La Sauter 105

    A Monza 107

    La Hasler Italiana 116

    L’Autelca 119

    Hasler-Autelca, Atm, sviluppo tecnologico

    dell’elettronica, corso microprocessori 125

    Huber 138

    La Spotlight 140

    Antifurti elettronici per auto e appartamenti 147

    Ina Assitalia 155

    I figli 160

    L’aspetto dell’atomo e il confronto con i corpi

    celesti 165

    Alcuni componenti elettronici e loro uso 172

    Semiconduttori discreti 174

    Transistor a semiconduttore 176

    Il condensatore 178

    Le resistenze 179

    Circuiti integrati 181

    Cenni sulla procedura di lavoro nei programmi

    dei computer 186

    Antiche teorie sulla Terra e sull’universo 191

    Expo 1958 (Bruxelles) 192

    Il Sistema Solare 194

    Mercurio 196

    Venere 197

    La Terra 198

    Marte 201

    Giove 203

    Saturno 205

    Urano 207

    Nettuno 208

    Plutone 209

    L’universo 210

    Il consueto comportamento dell’emigrato sardo 227

    Argomenti famigliari 240

    Giovanna 244

    Franco 246

    Gite familiari 248

    Consigli reali su come vivere meglio e più a lungo 258

    Brevi suggerimenti sull’igiene dentale 279

    Lettere spedite ai vari governi, a personaggi politici,

    e seguono poi alcune loro risposte,

    nel lungo periodo che va dal 1984 al 2023 283

    Lettere ricevute in risposta a quelle scritte,

    spedite e pubblicate finora, in questo libro.. 475

    PREFAZIONE

    Fino a qualche anno fa non mi era mai venuta neanche la minima idea di scrivere alcun libro.

    È stato il suggerimento e l’insistenza di alcune care persone, a convincermi a descrivere quanto ho visto e provato, dall’età della mia infanzia fino a oggi. Dopo la loro insistenza, ho accettato, soprattutto con la convinzione e la speranza che l’itinerario percorso da me (e da altri qui avanti descritti) possa servire da esempio, almeno in alcune sue parti e per alcune persone (tra le più giovani magari) in quanto potrebbe essere così utile per trovare lavoro (sia per chi non lo ha mai avuto, sia per chi lo aveva e poi lo ha perso). Oggi alcuni disoccupati si disperano, altri protestano energicamente contro le autorità statali, regionali o comunali, altri, invece, non potendo risolvere il problema, si rassegnano a restare a casa, magari a carico dei familiari. La situazione (oggi) è critica (per il problema di tantissimi italiani disoccupati). Ma, nel dopo guerra, dagli anni Quaranta alla fine degli anni Cinquanta, questo tipo di crisi era ancora peggiore di quella odierna. Questo si noterà leggendo quanto scritto più avanti.

    Lo scopo del libro, dunque, dovrebbe essere quello, almeno in parte, di esporre l’esempio della situazione di allora, confrontata poi con quella attuale e correggere quindi eventuali errori simili, che si commettono ancora oggi. Per questo motivo, ai giovani che cercano lavoro, suggerisco i seguenti punti: non aspettate mai che siano gli altri a risolvere il vostro problema ma muovetevi autonomamente, siate dinamici. Conta molto di più il poco che siete in grado di risolvere voi stessi, rispetto al tanto di cui si possono occupare quelli più in alto di voi. Per trovare lavoro mettete tutto il vostro impegno, tutta la vostra buona volontà, anche un pizzico di sacrificio, rinunciando, per esempio, a ore o a giorni di svago, utilizzando quel tempo per dedicarvi a opere più utili per il lavoro. Se non trovate lavoro vicino, allora andate più lontano, e se neanche lì non ne troverete, spostatevi ancora più in là. Se in nessuno di questi posti troverete il lavoro desiderato, allora adeguatevi al lavoro che c’è a vostra disposizione, anche se non vi piace. Svolgere un lavoro umile, non vuol dire affatto essere umiliati! È molto più umiliante stare fermi a far niente, anche per l’intera società e per il progresso generale. Il parassita è una zavorra per i famigliari e per l’intera comunità.

    La persona che produce, invece, costituisce sempre un grande elemento di valore positivo per sé, per i suoi cari, per lo stato e per tutta la comunità!

    Vi aggiungo ancora: cercate di migliorare sempre il vostro grado di cultura. Imparate sempre nuovi mestieri, nuovi lavori; può arrivare il giorno in cui quella conoscenza sarà utile e necessaria. Aggiornatevi sempre e in continuazione sul lavoro che svolgete. Se potete, imparate qualche lingua in più, perché può sempre servire. Imparate bene a usare il computer (oggi necessario), così come l’uso degli apparecchi e strumenti elettronici ausiliari; ma non dimenticate, per questo, i relativi lavori manuali (sostitutivi). Se, per qualsiasi motivo perdete il lavoro, non restatevene troppo tempo in parcheggio, cercatene subito un altro, possibilmente prima ancora di perderlo. Cercate di alternare sempre studio e lavoro. Aggiornatevi sempre sulle nuove tecnologie legate al lavoro che svolgete. Se svolgete un lavoro autonomo, non esitate a confrontare il vostro sistema di produzione con quello dei vostri concorrenti; confrontate la qualità del prodotto finito, confrontate il prezzo al pubblico, correggete eventuali valori a voi sfavorevoli. Cercate di adeguarvi alle regole e al sistema internazionale. Se qualcosa vi va storta, non piangete troppo sul latte versato, cercate di rimediare come potete e comunque servirà di lezione per una prossima volta. Anche il pentirsi degli errori commessi non serve a niente. Sforzatevi di lavorare sempre e di lavorare bene. Siate anche umili con le persone con le quali trattate. Abbiate il coraggio e la perseveranza di portare sempre a termine il programma dei lavori che vi siete proposti. Auguro che, almeno una parte di quanto descritto più avanti in questo piccolo volume, possa essere di utile e positiva esperienza, almeno ad alcuni dei volenterosi lettori.

    Dedicato a Leonardo, per il piacere di essere suo nonno.

    RIASSUNTO

    Il libro inizia con la descrizione della situazione di Lodine (paese d’origine) e dintorni, come è oggi. Poi, oltre ai caratteri e i costumi delle persone di Lodine, vengono descritti i principali lavori dei suoi abitanti, quelli svolti attualmente. E successivamente, viene esposta un’altra situazione: il periodo tra la Seconda guerra mondiale (anni Trenta e Quaranta) e gli anni Quaranta e Cinquanta, allorquando a Lodine non esisteva la luce elettrica, né il telefono, né l’acqua dentro le case, né i mezzi automobilistici per collegare Lodine al resto del mondo. Si accenna alle prime automobili viste a Lodine. Viene descritto come vivevano e come lavoravano gli uomini e le donne sia in campagna che nelle case. Come vivevano i ragazzi di Lodine, dall’età delle scuole elementari in poi. Segue, sulla vita del sottoscritto, la descrizione del servizio militare, il servizio di conducente di autocarro per le strade della Sardegna, il concorso per l’assunzione, come conducente, alla Società Autolinee della Provincia di Nuoro e l’attesa di tale assunzione. Segue poi il racconto dell’emigrazione, da solo, con passaporto turistico, in Belgio, dove scoprii che l’unica possibilità di lavorare in Belgio era quella di lavorare in miniera (per tutti gli stranieri, anche gli italiani). Accettai così di lavorare nella miniera di carbone per oltre tre anni. Di questa miniera descriverò la disposizione delle gallerie, delle «taglie» e il lavoro nel sottosuolo. Narro la frequenza di due corsi di specializzazione in meccanica e l’ottenimento dei relativi certificati e la frequenza di un corso di lingua tedesca, per poter poi andare a lavorare in Germania. I suddetti corsi li frequentai contemporaneamente alle otto ore di lavoro in miniera (senza mai perdere un giorno di lavoro). Poi descrivo l’emigrazione dal Belgio alla Germania.

    Vi è poi la descrizione dei vari lavori nel reparto «organi di trasmissione» alla fabbrica Ford di Colonia. Lavorai inizialmente come operaio semplice alle perforatrici, poi ai torni, alle rettificatrici, alle fresatrici, alle macchine per la costruzione di tutti i tipi di ingranaggi per automobili. Poi ebbi la promozione a capo squadra di dodici dipendenti tecnici.

    Sono inserite le descrizioni della città di Colonia sul Reno e di alcuni brevi soggiorni turistici a Parigi, ad Amsterdam, a Londra, a Copenaghen. Rientrai in Italia, dopo oltre cinque anni dalla data della partenza dalla Sardegna. Si racconta il proseguimento, dello stesso tipo di lavoro svolto alla Ford, anche alla E. Marelli di Sesto San Giovanni, confinante con Milano. Frequentai l’Istituto Tecnico Industriale, contemporaneamente alle otto ore di lavoro, al termine del quale, ottenni il diploma di Perito Tecnico in Elettronica Industriale. Cambiai lavoro e fui assunto, successivamente, in altre tre società che producevano apparecchiature elettroniche di precisione. Per ciascuna di queste società si descrivono i vari tipi di lavori svolti, nonché le varie città visitate per lunghe trasferte di lavoro: dalla sede di Milano a Berna, a Zurigo, a Genova, a Roma, a Messina, a Cagliari, a Firenze e a Venezia. Si descrive inoltre l’aspetto della città di Monza (residenza del sottoscritto), con il suo parco, così pure si fa un accenno all’aspetto dei luoghi di residenza dei due figli (Lovere, sul lago d’Iseo e Crespi d’Adda). Si descrive inoltre il progetto, la costruzione e l’installazione di dispositivi antifurto elettronici per auto, per case, negozi ecc.

    Si prosegue con la descrizione dei principali componenti elettronici a valvole, discreti e dei circuiti integrati, e ci sarà anche un breve riassunto sui computer. Raggiunta poi l’età della pensione, sono stato chiamato (dopo un adeguato corso) a svolgere il servizio di consulente assicurativo: racconto anche questa esperienza.

    Ho descritto l’atomo, con il suo aspetto fisico e il suo comportamento dinamico, che è identico al comportamento dei grandi, mastodontici, corpi celesti (stelle, sistemi solari, galassie) e di conseguenza ho parlato anche di astronomia, perché sono curioso di conoscere l’origine dell’Universo, del nostro pianeta Terra e soprattutto dei suoi primi esseri viventi, tra i quali anche tutti noi.

    Vi è pure la descrizione degli emigrati sardi, in generale, nel capitolo Consueto comportamento dell’emigrato sardo. Per richiesta di alcune persone, ho inserito pure: Argomenti famigliari.

    Infine, per i gentili lettori, ho voluto suggerire alcuni consigli circa il comportamento da adottare per conservare una buona salute: tali consigli potranno essere utili per vivere meglio, e forse anche più a lungo, come auguro a tutti!

    Al termine di tutte queste spiegazioni, seguiranno una serie di lettere che, nel corso degli anni (dal 1984 al 2023) ho spedito ai vari governi allora in carica, a personaggi del potere politico (statali, regionali o comunali) e a sedi internazionali, per importanti problemi di interesse generale. Non vi è nessuna lettera scritta per motivi personali o privati. Alla fine del libro vi sono circa altrettante lettere, risposte da parte di alcuni di questi noti personaggi (di notorietà nazionale e internazionale).

    Chiedo scusa anche ai lettori, se apparirà troppo particolareggiata la descrizione di alcuni vecchi sistemi di lavoro, eseguiti nel periodo passato. Però questo sistema l’ho voluto mettere in evidenza al fine di confrontare la vita di allora, con quella odierna. Questo anche per dimostrare la differenza reale, del progresso umano, nel Mondo di oggi, dominato dai computer, dalle tantissime apparecchiature robotizzate e dai cellulari, che producono variatissimi e utilissimi risultati al servizio di tutta la comunità mondiale (purtroppo, per alcune persone, qualche volta distraenti). A tal proposito, sento il dovere di suggerire, alle persone che non sono interessate a sapere certe descrizioni tecniche, minuziose, di superare tali letture e andare avanti fin dove terminano questi argomenti particolareggiati. Per esempio, ho dato spazio alla descrizione dell’antica produzione di tegole a Lodine, della trebbiatura del grano, della preparazione del pane, del divertimento dei ragazzi. Poi, in Belgio, ho descritto le miniere e la vita dei minatori. Ho descritto i componenti elettronici, il funzionamento di alcune macchine elettroniche, la riparazione delle loro schede, gli antifurto elettronici, le memorie dei computer. Infine, ho descritto anche la costruzione manuale, artistica, dei lampadari speciali di Murano. Si troveranno, inoltre, diversi accenni privati sui famigliari.

    Peppino Mureddu

    Lodine

    Lodine è un piccolo paese situato al centro della Sardegna, tra la Barbagia di Ollolai e la catena montuosa del Gennargentu.

    Il villaggio, con circa quattrocento abitanti, è come adagiato, per circa un terzo della sua estensione, sulla parte superiore della collina più elevata della zona e per due terzi sul costone sudorientale della medesima. Il territorio di Lodine confina a sudest con proprietà del comune di Fonni e sugli altri lati con il territorio del comune di Gavoi. Il sito più elevato di Lodine si raggiunge con gli edifici dell’antica chiesetta di San Giorgio (del XIV secolo), con il belvedere, realizzato sopra il vecchio deposito dell’acquedotto e sulle rovine del nuraghe preistorico, arroccato in cima all’estremità superiore granitica di questa collina (dietro la chiesetta).

    La quota, in questo punto di Lodine, è di circa 1.000 metri sul livello del mare. Da questa posizione (sopra il nuraghe di Lodine) si può ammirare un vastissimo e stupendo panorama tutt’intorno, per una profondità di raggio di decine di chilometri. In particolare, lo scenario del panorama si presenta, agli occhi del visitatore, simile a un enorme modello plastico, completo di tutti i suoi rilievi particolareggiati sulla bellezza della natura. Osservando in direzione orientale, si susseguono all’orizzonte i monti calcarei di Galtellì e di Oliena, di color argento brillante; più a destra, quelli del Supramonte di Orgosolo, la torre di roccia granitica, verticale e rettangolare di San Giovanni e, proseguendo ancora con lo sguardo in senso orario, da oriente verso occidente si vedono il monte di Correboi, il monte Spada e, all’orizzonte sud, tutta la catena del Gennargentu, con le sue cime arrotondate, di scisti paleozoici, nel territorio di Fonni, poi di Desulo, di Tonara e di Ovodda. Proseguendo ancora l’osservazione in direzione del tramonto, si vedono i monti e il paese di Teti, i monti di Austis e, in lontananza a ciel sereno, quelli di Macomer. Poi, più vicini a noi, quelli di Ollolai e infine, per chiudere il cerchio a nord, il monte di Pisanu Mele, già in prossimità con il territorio di Mamoiada.

    Tra gli orizzonti dei monti più lontani e il sito del nuraghe di Lodine appare, all’osservatore, oltre alla vista delle case di Lodine, di Fonni e di Teti, anche un vasto e variatissimo panorama intermedio.

    Come dall’alto di un pulpito si osserva lo spettacolo. Così, per esempio, se si guarda in direzione sudovest verso il basso, dalla cima del nuraghe, si apre il panorama di una profonda e vastissima vallata dove, in principio, tutto è coperto di estese rocche di granito, poi, man mano che si scende con lo sguardo, terminano le bianche pietre granitiche e compaiono le quercette e le querce, inizialmente rade, poi sempre più vicine tra loro fino a divenire un folto bosco. Poi, più in basso, alle querce si mescolano i lecci. A circa metà della profonda vallata il bosco è, in alcuni tratti, interrotto da pianori, con qualche casetta e qualche fattoria di pastori. Da quel principale promontorio poi la valle prosegue ancora in discesa verso il fondo, fino a terminare nello specchio piatto del famoso lago di Gusana che giace a 400 metri sul livello del mare e a circa 600 metri sotto il nostro nuraghe. Questa vallata viene chiamata Monte Haùdu (Monte Cavo o Monte Profondo). Il lago di Gusana si estende per diversi chilometri con numerose e svariate insenature, incuneate sui contorni del limpido specchio del lago. In prevalenza il lago è circondato da folti boschi di querce, lecci e da qualche albero da frutta. L’aspetto della superficie del lago appare quasi sempre di color verde smeraldo, colore suscitato dal riflesso del consueto cielo azzurro e dal verde intenso dei boschi circostanti. Il panorama è altrettanto spettacolare e stupendo, visto dal nuraghe di Lodine, in tutte le altre direzioni attorno. Infatti, osservando verso qualsiasi altra parte della regione vediamo diverse e numerose colline; alcune ampie, altre piccole; alcune con il piano superiore coperto dal prato, altre con il pianoro interrotto da robuste querce, lecci o castagni secolari; altre ancora coperte interamente da piante di quercette, ciliegi, peri, meli, noci o altre piante da frutta. L’intero panorama delle vaste campagne, è comunque assai vario e diversificato. La superficie territoriale di tutto questo centro della Barbagia è intersecato da numerose, profonde e variatissime valli. Alcune di queste solcano il territorio in direzione levante-ponente, altre in direzione nord-sud e in altre direzioni. Alcune colline sono più elevate di altre (come sa Serra ‘e Puddis e Pradu ‘e Lodine) altre valli invece sono più profonde (come Marghinores-Gosogoleo-Orrùi-s’Iscrizlola) ma tutte diverse l’una dall’altra. Altre sono folte di verdi boschi. Altre ancora meno folte, ma disseminate di robuste piante secolari ad alto fusto, prolifere di ghiande o altri frutti di montagna. Tutto lo spettacolare panorama ammirato da questo pulpito infonde nello spettatore un senso di rilassamento assoluto, di riposo e di pace. Forse il segreto di questa sensazione sorge dal fatto che, a tutto quello che è stato descritto finora, c’è da aggiungere il profondo e completo silenzio che permane costante e sovrano nel singolare sito di questo paesaggio.

    Il nuraghe di Lodine

    Il nuraghe di Lodine è famoso più per l’altezza della sua posizione geografica che per la sua struttura muraria. È stato, nei secoli passati, quasi completamente demolito, probabilmente per la costruzione di altri edifici vicini. Infatti, visto da lontano non si nota se non si arriva sul posto per osservarne il suo ingresso e il suo robustissimo muro di cinta. Esternamente, e osservato da lontano, appare solo un cumulo di rocce granitiche. Comunque l’età della sua fondazione, sopra queste rocche granitiche, come quella dei circa ottomila nuraghi sparsi sui rilievi della Sardegna, sembra risalire, secondo dati della protostoria (e da reperti archeologici) a un’epoca posta tra il 2000 e il 1300 a. C. All’interno di questo nuraghe è stato rinvenuto (non da persone di Lodine) qualche reperto archeologico di bronzo (l’età del bronzo va dal III° al II° millennio a. C.). Quando l’esercito spartano stava combattendo contro quello troiano, e al tempo in cui Ulisse, con le sue eroiche avventure, approdava su varie isole del Tirreno (1100 a. C. circa), questo nuraghe era già vecchio, ma intero, in quanto (allora) abitato dai suoi legittimi padroni.

    Le case di Lodine

    Le case di Lodine oggi appaiono quasi tutte nuove o ristrutturate a nuovo. Al centro del paese, però, conservano le caratteristiche antiche, pur essendo state ristrutturate. Le loro dimensioni, in generale, non sono né grandi né piccole, ma costituiscono le dimensioni delle normali e comuni abitazioni, quasi tutte adeguate alle esigenze familiari. Sono vistosamente pulite e ordinate, sia all’esterno che all’interno. Inoltre, specialmente nel periodo estivo, sono prevalentemente adornate con abbondanti fiori di colori diversi e con varie piante ornamentali, distribuite ordinatamente nei loro giardini o nei cortili circostanti. A fianco delle porte d’ingresso, o sui davanzali delle proprie finestre compaiono sempre schierati i bei fiori. Anche le strade e i marciapiedi del paese sono altrettanto puliti e ordinati. Inoltre, sulle pareti di varie case e casette ci sono dipinte figure di persone in costumi antichi o scene diverse colorate, in grandezza naturale, molto simili all’antica realtà. Questi sono sos Murales, disegnati, in prevalenza, da bravissimi ragazzi, artisti di Lodine.

    L’acqua di Lodine

    Il paese possiede due impianti di acqua potabile. Una è la rete idrica diffusa all’interno di tutte le abitazioni, con la stessa acqua dei paesi vicini. L’altro acquedotto, invece, è quello antico, ma ristrutturato, che fornisce acqua pregiata, esclusivamente alle sei fontanelle esterne distribuite a distanze uniformi nel paese. La sorgente di quest’acqua si trova in un’alta collina granitica, in direzione del monte Pisanu Mele, ad alcuni chilometri da Lodine. L’acqua sgorga da uno scavo fra le rocche granitiche. Quest’acqua è leggerissima e pura. È famosa in tutti i paesi della zona, tanto è vero che vengono a rifornirsi non solo le persone dei paesi vicini, ma anche da Sassari e da Oristano, città distanti oltre 100 chilometri da questo paese.

    Da Gennargentu ci sorge il sole

    che c’illumina all’istante la collina,

    dove ci arriva l’acqua pura e cristallina

    e dove fauna e flora è luogo di prole.

    Ha sormontata di nuraghe una rovina,

    con chiesa e rocche forma alta mole.

    È da qui che Lodine gode fama

    d’ammirare tutt’intorno il panorama.

    I lodinesi e i sardi

    La popolazione di Lodine, fino agli anni Cinquanta, era dedita, per oltre il 90%, all’agricoltura e alla pastorizia (pecore, capre, maiali, bovini…). C’è stata anche una piccola industria artigianale per la produzione di tegole e mattoni. Vi partecipavano quasi tutte le famiglie del paese. Specialmente le tegole erano note e vendute in tutti i paesi della Barbagia, grazie alla loro robustezza e tenacia dovuta al tipo di argilla e alla cottura su grandi fornaci, con legnami di querce. C’è anche il tipo di argilla rossa, esistente nelle zone di sas Ishàlas (le Scale) e sa Teùla (la Tegola). In quest’ultimo luogo (terreno di mio nonno) ho assistito alla cottura dell’ultimo forno di tegole. Ho visto migliaia di tegole disposte in verticale, impilate uno strato sopra l’altro, fino al riempimento dell’enorme forno. Alla base di tutte le tegole, così disposte, c’era la robusta griglia in mattoni refrattari. Sotto tutto ciò, vi era la grande fornace ardente alimentata, attraverso un’apertura orizzontale (a forma di grande bocca aperta), con tronchi di querce. Qui si sviluppava una temperatura intorno a qualche migliaio di gradi. La cottura di quest’ultimo forno di tegole, presso sa Teùla di Lodine, è avvenuta all’inizio degli anni Cinquanta. La produzione delle tegole avveniva nel seguente modo: nelle zone di sa Teùla o sas Ishalas veniva prima scavato un grande fossato, nella terra rossa e argillosa, di forma pentagonale o tonda del diametro di circa 6-8 metri e della profondità di 30-40 centimetri. Questa terra zappata dagli uomini, veniva poi, dagli stessi, frantumata fino a scioglierla e a renderla farinosa. A questo punto sul fossato veniva condotta l’acqua, attraverso un canale, in quantità sufficiente da formare un impasto di fango duro. Per mescolare bene e rendere omogeneo l’impasto d’argilla, veniva introdotta, dentro al fossato, una copia di buoi uniti da un giogo in legno e condotta da un uomo a gambe nude. Qualche volta, ai tre calpestatori, s’aggiungeva qualche altro volontario (o volontaria) per migliorare e velocizzare l’impastatura. Le gambe nude delle persone riemergevano lentamente e faticosamente, poi si rituffavano nel denso impasto. Il gruppo di buoi e persone continuava a girare dentro la grande vasca d’argilla finché l’omogeneità e la densità del grande impasto non avesse raggiunto quel grado di malleabilità necessario e ideale per la sagomatura delle tegole. A questo punto, buoi e persone uscivano e iniziava il lavoro delle donne. Generalmente, le donne che intervenivano per la formazione delle tegole erano una decina. Ognuna aveva, vicino all’impasto d’argilla, un proprio banchetto con il piano superiore in pietra o in legno massiccio e con la superficie ben piana e liscia. Ciascuna operatrice andava a rifornirsi, dal cumulo comune d’argilla, oppure la porzione necessaria per formare ogni tegola gliela portava, fra le mani, una sua collega. Sopra il banchetto ogni lavoratrice aveva un telaino metallico o in legno resistente delle dimensioni dello sviluppo della tegola, di forma rettangolare ma leggermente trapezoidale e con l’altezza dei bordi uguale allo spessore della tegola, corrispondente esattamente allo sviluppo in orizzontale della tegola distesa. La porzione d’argilla prelevata andava posata al centro del telaino sul tavolino, dopo aver cosparso il suo piano d’appoggio di polvere, per evitare che l’argilla si attaccasse al fondo. Poi veniva schiacciata fortemente con entrambe le mani in modo da distribuire l’argilla su tutta la superficie interna del telaino e riempire l’intero spazio fino ai suoi angoli estremi. Per togliere l’esubero d’argilla, dal livello superiore del telaio veniva poi fatta strisciare orizzontalmente una barretta di legno ben dritta, afferrata con le due mani agli estremi. Poi, per conferire una struttura più uniforme, compatta e resistente alla sagoma d’argilla e poi alla tegola finita, le laboriose operatrici picchiavano, con entrambe le mani, in modo alternato e veloce sopra il rettangolo di pasta d’argilla divenuta dura e gommosa, comunque malleabile, similmente alla pasta del pane o al pongo da modellare. Il rumore dovuto al battere forte e ripetutamente con le mani, sopra la forma d’argilla da rinforzare, si sentiva a Lodine da sas Ishàlas, a una distanza di circa 2 chilometri in linea d’aria. Terminato il lavoro di sagomatura, seguiva il trasferimento della forma d’argilla, distesa all’interno del telaino in orizzontale, sulla sagoma in legno, dove assumeva il suo aspetto definitivo. Questa sagoma di supporto era costituita da un corpo unico in legno, di sezione semi cilindrica, con l’estremità anteriore leggermente più sottile, di figura tronco conica, corrispondente alla stessa forma della parete interna della tegola finita. Il manico della sagoma si trovava sulla parte posteriore più larga. Il trasferimento della molle tavoletta d’argilla trapezoidale, dalla posizione in cui si trovava distesa orizzontalmente dentro il suo telaino, alla posizione accavallata sopra la sagoma della tegola, avveniva con uno scatto veloce ma insieme preciso e delicato, da parte delle donne esperte e attente. A questo punto l’operatrice afferrava la sagoma dal manico posteriore, con la tegola accavallata sopra e andava a posarla delicatamente per terra, in una grande piattaforma perfettamente spianata, priva di sporgenze e di sassi, appositamente preparata. Così facevano tutte le donne con le loro tegole, in questa forma sagomata. Su questi estesi campi di terreno, se pur leggermente inclinati per la posizione geologica dei luoghi, lo schieramento delle tegole cresceva progressivamente in file e colonne, per il lungo e per il largo, prima a centinaia e poi a migliaia, finché il grande cumulo d’argilla non veniva completamente esaurito o non venivano costruite le migliaia di tegole sufficienti da riempire il grande forno per la loro cottura. Generalmente la costruzione di un’infornata di tegole andava terminata in giornata, per evitare che il grande impasto d’argilla s’indurisse. Per questo motivo le donne erano numerose e indotte necessariamente a lavorare, oltre che bene, anche in fretta. Le tegole, così distese al suolo, giacevano per alcuni giorni a seccare sotto il sole, poi venivano trasportate e introdotte delicatamente dentro il grande forno adiacente. Qui venivano appoggiate una di fianco all’altra, tutte in piedi, poi uno strato sopra l’altro, iniziando dalla griglia in fondo, fino al riempimento completo del forno. Se nell’intervallo di tempo tra la formazione delle tegole e la cottura, durante la seccatura al sole, le condizioni meteorologiche avessero minacciato pioggia, oppure il forno fosse ancora occupato dalla cottura di altre tegole, allora quelle distese a terra venivano prelevate delicatamente e portate sotto le grandi tettoie, appositamente predisposte e adiacenti. Il nome sas Ishalas (le Scale) è stato attribuito, forse in seguito alla produzione delle tegole, per l’aspetto che ha assunto tutta quella zona, dissestata, frastagliata, a causa dei vari fossati zappati per ricavare e impastare la terra, nonché delle piattaforme per stendere le tegole, dei canali per portarvi l’acqua, in modo da far assomigliare quella zona, effettivamente, alle scalinate di Trinità dei Monti, a Roma. Per fortuna, oggi, con le potenti e moderne ruspe e trattori, tutto quel territorio è stato bonificato diligentemente e ben spianato, risanato e ripristinato, forse meglio di com’era prima della produzione di tante tegole. In questi ultimi decenni, invece, l’attività lavorativa e l’occupazione a Lodine si è capovolta. Attualmente, soltanto circa il 20% della popolazione si occupa di pastorizia e agricoltura. Un buon numero di persone si sposta giornalmente per lavorare fuori paese. La maggior parte si reca a Nuoro, a Ottana e a Fonni, mentre un elevato numero risiede più lontano per motivi di lavoro o di studio. La maggior parte di questi vivono nei dintorni di Cagliari e di Olbia ma anche presso Roma, Milano, Torino e all’estero. Questi emigrati, però, rientrano quasi tutti, durante le loro vacanze, a Lodine. Tra i Lodinesi c’è oggi, mediamente, un buon grado di istruzione e di cultura generale. Circa l’80% dei giovani, di età tra i venti e i cinquantacinque anni, possiede un diploma, e oltre il 50% di questi possiede una laurea.

    Il carattere dei lodinesi è generalmente un po’ chiuso, mite e solitario, poco espansivo ma leale, sincero e generoso verso gli amici meritevoli. Questo è anche simile al carattere di quasi tutti i barbaricini,agli abitanti della Sardegna centrale e un po’ anche a tutti i sardi. Hanno, generalmente, massima serietà nel lavoro, attenti alle regole e usanze locali, rispettosi delle buone leggi.

    Tuttavia questo carattere solitario, venato di diffidenza verso gli sconosciuti, caratterizza molti sardi. Forse ciò è anche dovuto sia a cause geografiche (isolati dal continente europeo) sia dalle origini storiche della nostra Ichnusa, poco invasa e poco sconvolta da diverse razze e incursioni straniere (dove avevano costumi e caratteri spesso molto diversi da noi) al contrario di quanto è avvenuto sul continente italiano, dove, alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la penisola (continentale italiana) è stata invasa, nei vari secoli, da visigoti, ostrogoti, unni, più avanti longobardi, franchi ecc. Tutti questi non invasero la Sardegna. La Sardegna, invece, è stata colonizzata e civilizzata quasi esclusivamente dalla civiltà nuragica, dai fenici, punici e romani. Durante il Medioevo anche da genovesi e pisani. Poi, gli ultimi secoli da spagnoli e infine dai nostri sabaudi, con il Regno di Sardegna e Piemonte. Qualche breve incursione la Sardegna l’ha subita (durante il Medioevo) lungo le sue coste del sud, da parte di vandali, saraceni (della durata di soli 4 o 5 anni). Ma questi non hanno mai dominato il centro dell’isola (diversamente dalle altre regioni italiane, dove, durante e dopo il Medioevo, si sono alternate dominazioni diverse ).

    Al contrario, in Sardegna invasioni barbariche e dominanti nordici (di lunga permanenza), non ve ne sono mai stati, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino alla nascita del Regno d’Italia (del 1861).

    Penso che il puro popolo sardo sia forse l’unico che abbia ereditato indelebilmente un po’ di quella civiltà e di quel carattere, durante il lunghissimo dominio, di cinquecento anni, dell’Impero Romano in Sardegna. Sia ben inteso che il carattere ereditato dai Romani di allora, non è affatto il medesimo carattere dei romani di oggi! Quelli di oggi, invece, hanno assunto ed ereditato il carattere degli invasori e dei dominanti a Roma, dall’età di Costantino, lV° secolo d. C., a oggigiorno.

    La Sardegna è considerata (dai più esperti storici di tutto il Mondo) la Regione che, col suo dialetto, conserva meglio la lingua più vicina al latino, usata dai romani durante tutta l’età imperiale.

    Ritornando al carattere dei lodinesi e di tutti i sardi in generale, attualmente con la globalizzazione e con il sistema telematico dell’informazione capillarmente diffusa, il diverso carattere del giovane sardo o continentale di oggi, si può ritenere completamente scomparso. Il vero lodinese, tuttavia, ha un elevato senso sociale e affettivo, ricco di generosità e lealtà. Con queste caratteristiche egli spicca anche rispetto alle persone di alcuni paesi vicini. Le qualità suddette si notano anche nei costumi, nelle abitudini e nelle usanze praticate in questo paese, meno diffuse in altre parti. Si possono citare numerosissimi casi di collaborazione e generosità. È emblematico il matrimonio. Infatti, quando due giovani si vogliono sposare, è usanza comune a Lodine invitare tutti gli abitanti del paese, nessuna persona esclusa. Questo invito generalmente è accettato da quasi tutti, o almeno da una persona di ogni famiglia. Per partecipazione al matrimonio s’intende sia alla cerimonia nuziale da celebrare in chiesa (se questa è la scelta degli sposi) sia al ristorante. E al ristorante, di solito, sono compresi i sontuosi pranzi e cene, dall’aperitivo ai dolci e digestivo, con musica e balli fino a tarda notte. Qualche volta viene offerto anche un ulteriore pranzo il giorno dopo, a Lodine, preparato dai parenti volontari degli sposi. Come dono agli sposi non si usa offrire oggetti o elettrodomestici, per evitare il rischio di ricevere cose identiche da più di una persona. Per questo motivo, ogni lodinese offre agli sposi una busta, contenente gli auguri e i soldi. Mediamente si offre l’importo di almeno cento euro a persona. Naturalmente i parenti intimi donano di più. Invece, i lodinesi che, per qualsiasi motivo, non possono partecipare, solitamente fanno recapitare una busta (tramite un altro partecipante) contenente auguri e soldi. In questo caso l’importo è, normalmente, circa la metà di quello del partecipante al ristorante. Questa usanza, di partecipare e donare qualcosa a ogni matrimonio serve, oltre che per festeggiare in allegria gli sposi, anche per aiutarli e incoraggiarli ad affrontare le consuete spese del dopo matrimonio. Quanto qui descritto, è uno dei tanti esempi di solidarietà, di normale e comune usanza tra i lodinesi. I partecipanti a tutti i matrimoni a Lodine sono, generalmente, da duecento a quattrocento persone. Si supera questo numero quando uno dei due sposi proviene da un altro paese vicino, con gli invitati anche di quel posto. Il ristorante scelto per questi pranzi e feste di matrimonio è, generalmente, uno dei tre dislocati sulle diverse rive del vicino lago di Gusana. La maggior parte dei matrimoni di Lodine si festeggia sul più famoso e più grande dei tre, l’Hotel Taloro (a quattro stelle) il quale ha una capienza di oltre cinquecento coperti e circa cento camere da letto. Di questo ristorante è apprezzato, da tutti i clienti, il vasto e variatissimo menù, in cui sono sempre comprese tutte le specialità locali del centro Sardegna e tutto quello che gli sposi o gli invitati vorranno scegliere.

    Altri segni di generosità, tra i lodinesi, si manifestano quotidianamente tra amici, parenti e vicini. Per esempio, è consuetudine, se si vede un amico, un parente ma anche uno sconosciuto intento allo svolgimento di un lavoro difficoltoso o complicato, intervenire in suo aiuto. Ciò, naturalmente, rinunciando a qualsiasi ricompensa.

    Il periodo dell’infanzia

    A quel tempo non esisteva né la luce elettrica né l’impianto dell’acqua potabile nelle abitazioni di Lodine. Gli unici edifici dove c’era l’acqua dentro le abitazioni erano la scuola elementare e la casa del parroco. La luce elettrica, invece, non l’aveva nessuno (non esisteva linea elettrica per Lodine). Per l’illuminazione notturna si usavano le candele a petrolio, a carburo e quelle in cera. Non esisteva linea telefonica, di conseguenza non esistevano telefoni nel paese. Non esistevano impianti di riscaldamento nelle abitazioni e neanche le robuste stufe in ghisa, ma si usavano i grandi focolari sotto i camini. In alcune case, addirittura, il fuoco ardeva al centro dell’ampia cucina, senza il camino: la famiglia, in inverno, se ne stava schierata a cerchio tutt’intorno a quel focolare. La legna necessaria da ardere alcuni la recuperavano alla fine dell’estate e se la tenevano vicino a casa per l’inverno (come usava mio padre), altri invece se la procuravano ogni settimana circa, altri andavano in campagna quasi tutti i giorni a raccoglierla (questo era un problema per le donne che vivevano da sole o per le persone molto anziane).

    A proposito di persona anziana, voglio raccontare un episodio: in un freddo giorno d’inverno mi trovai, con alcuni amici, all’uscita del paese in direzione del sentiero per Fonni, quando vedemmo arrivare dalla campagna un uomo anziano, non tanto alto, tarchiato, con un tronco di quercia secco, scortecciato, sulle spalle. Era tiu Zicheddu, il più vecchio di Lodine, ultra novantenne. A questo punto un mio cugino, di tre anni più grande di me, ci disse: «Non ho mai sentito tiu Zicheddu arrabbiato. Oggi voglio farlo arrabbiare, però voi state tutti zitti, parlerò solo io». Si avvicinò a lui e gli chiese: «Tiu Zicchè, ma vois hando zessaes de triballare? E hando bo che mories?». («Zio Franceschino, ma voi quando cessate di lavorare? E quando ve ne morirete?»). Il nonno di Lodine non si scompose più di tanto, si soffermò un momento, posò il suo tronco sulla sporgenza di una rupe, posò l’avambraccio sopra il tronco, emise un lungo sospiro di sollievo per la pausa momentanea imprevista e, con un sorriso furbesco, disse: «Eh, si vie hi non cumprendes, poite ses galu troppu minore! Prima ‘e tottu: tue no ‘ishis né cando né ‘homente hasa diventare vezzu, e nemmancu si hasa diventare. Segundu: so pensande hi, prima de mene, ndada partire ateros de Lodine in cavalleria». («Eh, si vede che capisci poco, perché sei ancora troppo giovane! Prima di tutto tu non sai né quando né come diventerai vecchio, e nemmeno se lo diventerai. Secondo, sto pensando che, prima di me, ne partiranno altri di Lodine in cavalleria»). Riprese il suo tronco e proseguì la salita verso casa sua.

    Tiu Zicheddu continuò ad andare avanti e indietro per almeno altri dieci anni. Superò, così, abbondantemente i cento anni di età, prima di andarsene. Egli aveva un piccolo podere, a circa tre chilometri da Lodine, chiamato su Vadizòlu dove andava quasi tutti i giorni dell’anno e dove aveva un grande orto di patate, un’abbondante estensione di fagioli (borlotti striati), cipolle, zucche, cavoli, pomodori, qualche pianta di noce, di castagno, altre ancora di frutti vari di montagna e alcune querce (per le ghiande del suo maiale). Di tutti questi alimenti, verso settembre o ottobre di ogni anno, si preparava la grande provvista per tutto l’anno. A Lodine possedeva anche la capra, per il latte quotidiano, le galline per le uova e il maiale per la provvista di pancetta affumicata, di lardo e di strutto, che la sua seconda moglie, tia Mallenedda, usava come condimento, insieme alla provvista degli ortaggi. Per sentito dire, da parte dei suoi parenti e vicini di casa, gli alimenti preferiti e quotidiani di tiu Zicheddu erano le sue patate arrosto, cucinate intere sotto la brace e la cenere del suo focolare, insieme al formaggio pecorino. Oppure, in alternativa, il minestrone di pasta e fagioli. (Noi sappiamo solo adesso che le patate arrosto così preparate hanno, oltretutto, un elevato potere antiossidante; lui, naturalmente, non lo poteva sapere allora.) Tiu Zichceddu morì ultracentenario, più per dispiacere che per malattia, quando suo figlio Francesco, rientrato durante una licenza di quindici giorni dal servizio militare di leva, morì in una gara di tuffi in compagnia dei suoi amici, nel fiume Gosògoleo all’età di vent’anni (o ventidue).

    A quel tempo, quasi tutte le famiglie di Lodine possedevano una o due capre, un maiale e le galline. Tutte, o quasi, le famiglie possedevano anche un orto (chi non lo possedeva lo coltivava su terreno altrui, preso in

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