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Queste non sono storie d’amore
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E-book79 pagine1 ora

Queste non sono storie d’amore

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Info su questo ebook

È un fantastico spogliato dalle illusioni graziose e proiettato a comporre relazioni avvincenti e tormentate, attraverso la raffinatissima indagine di passioni totalizzanti.
In ogni incontro non sono solo due individui a intrecciarsi, ma due universi interi. E lo svelamento di una dimensione ulteriore, in grado di trascendere la realtà e di misurarsi su un livello emotivo più profondo, regala un’intensità incomparabile.
Dal segreto torbido di un Giardino dei Semplici medievale, profumato di Vischio e passiflora, alle fatali Melodie d’acqua che danno forma alle leggende celtiche, e alle oscurità romantiche e disperate del vampirismo di Cenere; dalle antiche, carnali e fameliche presenze demoniache di Blu, agli spiriti crepuscolari e ardenti di vendetta di Come benzina sul fuoco, fino alle dilanianti Cose selvagge che accadono su remote spiagge irlandesi.
In sei storie di impronta diversa sono sempre un essere umano e un essere sovrannaturale a fondere le proprie esistenze. Creature originali e intriganti si legano, in un ventaglio di sentimenti squassanti, a protagonisti mortali, spinti verso nuovi estremi di se stessi.
A innervare la narrazione non è la luminosità del fantasy tradizionale, ma un’atmosfera sempre tesa e struggente, convulsa di fragilità e di ossessione, che sa catturare impulsi emotivi sottili ma devastanti restituendone, in una silloge narrativa commovente e di grande suggestione, le profondità abissali e ammalianti.
Una scrittura preziosamente inquieta, materica e malinconica sa suggerire la poesia straziante di confronti che sono incanto e insieme dannazione.
LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2023
ISBN9791254572870
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    Anteprima del libro

    Queste non sono storie d’amore - Martina Del Terra

    Vischio e passiflora

    Quiet as that secret you keep

    Still in your heart as you sleep

    Old as the lay of the land

    Cold as all matters at hand

    Long as the river of song

    Mad as the world it moves on

    High as the heavenly sea

    Low lays the devil in me

    The Veils, Low Lays the Devil

    Fra Michele stava finendo di filtrare dell’olio essenziale al rosmarino quando Matilde entrò nel laboratorio con la solita irruenza, senza nemmeno disturbarsi ad annunciare il suo arrivo. Per un attimo si fissarono l’un l’altra, immobili, mentre nell’aria permaneva l’odore mentolato del liquido, le cui gocce viscose cadevano una a una nell’ampolla di vetro. Come sempre accadeva nel monastero, il silenzio li avvolgeva come una grande coperta calda, interrotto soltanto dai lievi rumori del Giardino dei Semplici.

    Fu Matilde a spezzare la stasi in cui entrambi erano caduti. Il novizio sta portando un malato, annunciò con la voce che frusciava nell’aria come una foglia mossa dal vento. Uno dei pellegrini, un bambino.

    Michele si pulì le mani sul grembiule che indossava sopra la tunica. Cercò con difficoltà di non guardarla. È grave?

    No… Lei gli rivolse un sorriso storto che tremolò un poco e subito si mutò in una smorfia arrabbiata. È solo un piccolo ladro.

    Con un sospiro Michele scosse il capo, girò attorno al tavolo e, ben attento a non avvicinarsi troppo alla donna, uscì dal laboratorio, entrando direttamente in giardino. Le piante verdeggiavano attorno a lui, i loro profumi mescolati coloravano l’aria, penetravano sottopelle, si attaccavano ai tessuti con lunghe dita odorose. Michele scorse subito Anselmo, il novizio, che si stava muovendo a grandi passi verso di lui, camminando con attenzione sulle pietre bianche che delimitavano il vialetto, come gli era stato insegnato.

    Li ho fatti aspettare nella stanza per i pazienti, fratello, spiegò Anselmo, affannato. Era appena un ragazzo, ma preciso, attento e con un grande desiderio di farsi voler bene. Aveva, tuttavia, ancora qualche difficoltà col voto di silenzio. Il bambino ha preso a respirare con fatica e gli sono comparse strane macchie sulle mani e sui polsi. Gli altri pellegrini lo hanno allontanato per paura dell’epidemia, ma io ho pensato che nessuno meglio di te avrebbe potuto…

    Vista l’occhiata divertita, ma severa che Michele gli spedì, Anselmo pensò bene di zittirsi, arrossendo e il suo discorso cadde nel vuoto. Dietro di loro, a qualche passo di distanza, Michele poteva scorgere l’orlo strappato dell’abito di Matilde, che li seguiva in silenzio.

    Nell’infermeria madre e figlio attendevano, lei in piedi, i capelli coperti da un velo scuro, da lutto, l’abito usurato e di lana grezza. Il bambino, che le arrivava a malapena alla vita, le stava stretto addosso. Respirava male, con la bocca aperta e il naso tappato, aveva gli occhi rossi e gonfi, mezzi coperti da una zazzera di capelli sporchi. Le sue dita erano arrossate e screpolate. Ignorando le parole di preghiera e di ringraziamento della donna, Michele si piegò in ginocchio di fronte al bambino, guardandolo in faccia, sperando che il suo volto austero, barbuto e con qualche ruga, avrebbe indotto il piccolo a dire subito la verità.

    Che cosa hai rubato dal mio giardino? gli domandò infatti, senza inutili giri di parole.

    Matilde d’improvviso fu accanto a lui, torreggiante, le braccia incrociate, la lunga treccia bionda posata su una spalla e gli occhi chiari, tempestosi, che lanciavano lampi. Tutti la ignorarono.

    Il bambino tentò di aprire gli occhi gonfi, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu tirare il fiato per rispondere: Fiori, padre… solo dei fiori. Alti e bianchi, col dentro giallo. Per la mamma.

    Ah, commentò Michele rivolgendo al bambino il primo e unico sorriso della giornata. Si sollevò in piedi, fregandosi le mani al grembiule. "Lilium auratum."

    A quelle parole sconosciute, la donna si fece il segno della croce, ma Matilde roteò gli occhi. "Dei gigli. Dal mio giardino, Michele," aggiunse poi, correggendolo e allontanandosi di qualche passo.

    Il bambino è allergico ai fiori, spiegò il monaco al suo confratello, lanciando a Matilde solo una breve occhiata. Puoi tornare alla foresteria e rassicurare i nostri ospiti: la peste non li ha seguiti fin qui.

    Senza preoccuparsi di controllare che Anselmo obbedisse alla richiesta, Michele si voltò verso gli scaffali che aveva costruito lui stesso, e su cui da tempo immemore conservava i suoi rimedi, le sue piante officinali, i fiori pestati al mortaio, le erbe seccate nel buio di una celletta. Il suo raccolto, lo chiamava Matilde, come uno scoiattolo che ammucchia ghiande in previsione dell’inverno.

    Non avrai intenzione di curarlo? sbottò la donna, incrociando le braccia. La sua voce, vagheggiante come il denso profumo che li avvolgeva tutti, riverberò nel petto di Michele, come fosse stato lui a pronunciare quelle parole.

    "Ribes nigrum, recitò lui chiudendo gli occhi, con lo stesso fervore che usava quando si univa al coro o pregava di fronte all’altare. Rosa canina, Matricaria recutita…"

    Ribes, rosa selvatica e camomilla! fu la replica immediata di Matilde, che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo in pace. I loro due ospiti lo fissavano con sgomento. Doveva essere un bello spettacolo, quel monaco di mezza età che ripeteva a occhi chiusi i nomi latini delle piante che stava per usare, ma lui non si curò dei loro sguardi. Aveva la nomea di essere quello strano, tra i suoi fratelli, e non poteva certo dar loro tutti i torti.

    Michele prese un grande respiro e recuperò le erbe di cui aveva bisogno, iniziando a preparare due decotti. Il primo lo mise in mano al bambino, ordinandogli di respirare a fondo i fumi che si alzavano dalla tazza di legno. Il secondo, di camomilla, lo lasciò in infusione più a lungo e poi raccolse i fiori infradiciati dentro un pezzo di tela. "Mettetelo sugli occhi e le mani del

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