Il destino del milionario: Harmony Collezione
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Meg Imsey, giovane botanista, è stata assunta dal conte di Castelfino per occuparsi delle sue serre. Con stupore, però, al suo arrivo in Toscana scopre di dover stare tutti i giorni a contatto non con il vecchio aristocratico, ma con suo figlio Gianni. L'affascinante rampollo di famiglia, prima o poi dovrà abbandonare la sua vita di playboy, e l'arrivo di Meg sembra il classico segno del destino.
Christina Hollis
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Il destino del milionario - Christina Hollis
Prologo
Meg non riusciva a credere alla propria fortuna. Era stata invitata a esporre alla Mostra di Floricoltura di Chelsea, conosciuta in tutto il mondo! Notando personaggi ricchi e famosi che si soffermavano davanti al suo stand per ammirare i fiori tropicali, trasse un sospiro di soddisfazione, inalando la fragranza di milioni di fiori e di acri di erba tagliata. La sua carriera poteva anche essere in una fase di stasi, considerò tra sé, ma quell’esperienza era un vero balsamo per la sua autostima.
All’improvviso un movimento catturò la sua attenzione. Un uomo distinto si stava facendo strada tra il pubblico, composto per la maggior parte da persone famose e milionari. Una pacca sulla spalla qui, un bacio a una donna là, sembrava quasi che fosse l’organizzatore della mostra. Alto, atletico, i movimenti sicuri, pareva nato in quell’ambiente. Meg non poté fare a meno di seguirlo con lo sguardo. Il volto serio e attraente si illuminava di un sorriso abbagliante ogniqualvolta qualcuno cercava di catturarne lo sguardo. Meg si chiese cos’avrebbe provato nel far parte della sua cerchia altolocata. Osservarlo era come affacciarsi a una finestra che dava su un mondo sconosciuto. Quando la folla si chiuse intorno a lui, nascondendolo alla sua vista, le parve che nella sala fosse stata spenta la luce. Riportò l’attenzione sul suo mondo - l’Imsey’s Plant Centre - chiedendosi che effetto le avrebbe fatto essere oggetto, anche solo per un attimo, della sua attenzione.
E un brivido la percorse, quando si rese conto che il desiderio si stava avverando. L’uomo dei suoi sogni, infatti, si stava dirigendo proprio verso di lei, un sorriso che gli illuminava il volto.
«Buonasera, signorina.» L’accento italiano era inconfondibile, e musicale. «Sto cercando dei regali per... delle persone speciali. Mi hanno detto che queste piante non richiedono molta cura...» proseguì, lo sguardo abbassato sul blocco che teneva in mano. Aggrottando la fronte, sollevò gli occhi su di lei, rivolgendole un sorriso devastante. «Mmh... mi sto chiedendo... per caso, riesce a decifrare cosa c’è scritto?»
Dato che non faceva cenno di porgerle il blocco di appunti, Meg si avvicinò. Lo fece timidamente, ma ne valeva la pena. Più si avvicinava, più l’uomo le sembrava attraente. Non era soltanto splendido, ma anche molto raffinato, notò. L’abito di sartoria era nuovo, un Rolex gli scintillava sul polso abbronzato e, a ogni suo movimento, veniva avvolta da un’ondata di colonia discreta e costosa.
«È la prima occasione che ho, oggi, di uscire da questo stand, signore.»
«Non si preoccupi, farò in modo che ne valga la pena.»
Percorsa da un nuovo brivido di piacere, Meg udì nella voce ogni sorta di promesse. Ed era proprio ciò che lui intendeva. Sorridendole con indulgenza, le porse il blocco. Per prima cosa, lei notò il modo in cui le dita affusolate si piegavano sulla copertina di pelle. Erano lunghe, abbronzate, dello stesso colore di quelle degli uomini che lavoravano con lei nella serra. Ma con la differenza che le unghie di lui erano curate e pulite.
Il cliente si schiarì la gola, e Meg si concentrò sul blocco. Pagine scritte in italiano, con tratto deciso. Si avvicinò ancora di più e di nuovo fu avvolta da un’ondata di colonia. Inalandola, assunse un’espressione concentrata. Era l’occasione di una vita. Dopo averlo servito, quel cliente affascinante se ne sarebbe andato per sempre. Valeva la pena di approfittare il più possibile del momento.
«Si tratta di un ibrido Imsey, signore. Si trovano solo nel vivaio della mia famiglia» spiegò, scostandosi da lui suo malgrado. Venne ricompensata da un’occhiata che parve illuminare l’intero stand. I suoi occhi scuri brillavano, e quando Meg li fissò, si sentì perduta.
L’uomo si sporse verso di lei con un sorriso malizioso. «In realtà, sto cercando di capire se le donne li apprezzerebbero.»
«Non sanno resistere a questi fiori, signore» ridacchiò Meg, sorprendendosi per la propria sfacciataggine. Non aveva mai trovato niente di divertente nel suo lavoro... fino a quel momento. «Le nostre orchidee sono il regalo perfetto per una signora.»
«E per... diverse signore?»
Meg lasciò cadere la precisazione. A casa, troppe persone contavano su di lei, per lasciarsi distrarre da un bel volto. Distogliendo lo sguardo dal magnetismo di quegli occhi, indicò il proprio stand, invitando il cliente ad ammirare le composizioni floreali che aveva realizzato. Orgogliosa, si concesse un altro sorriso. «Vengono anche chiamate delizie danzanti. Le piacciono, signore?»
Lui chinò il capo da un lato. «Dipende. Delizie danzanti, ha detto?» La studiò per un istante. «Lei balla?»
Meg ridacchiò di nuovo. In qualsiasi altra occasione si sarebbe rimproverata per la scarsa professionalità. Ma quella sera le sembrava giusto. Era sufficiente guardare quell’uomo per sentirsi allargare il cuore.
«Immagino che non abbia bisogno di ballare, con un sorriso come il suo.»
Meg, confusa, riportò l’attenzione sulle piante. «Non ho tempo per ballare, signore... e per la verità, per nient’altro che non sia il lavoro in serra. Curare le piante richiede un impegno a tempo pieno.»
«E lei deve farlo molto bene. È tutto perfetto.»
«Grazie» rispose Meg con una gioia che fece evaporare la timidezza. E poi si rese conto che lui non stava osservando le piante, ma lei. Immediatamente si sentì pervadere da un calore diffuso che sfociò in un rossore acceso alle guance.
«Ne prendo una dozzina» stabilì lui. «Le mandi a casa mia, a Mayfair. Terranno tranquille le mie donne per qualche giorno. Sono Gianni Bellini. Ecco il mio biglietto da visita, e grazie... questa conversazione è stata un vero piacere.» Il sorriso malizioso lasciava intendere che le piante erano l’ultimo dei suoi pensieri. Estrasse il portafogli e le porse delle banconote, poi le prese la mano e se la portò alle labbra per un bacio sensuale che le ridusse le gambe a un ammasso di gelatina.
«Alla prossima volta... mia dolce...»
Gli occhi scuri che lampeggiavano, la salutò. Poi, prima che Meg potesse ridere, o ansimare, o replicare qualcosa, svanì tra la folla.
1
Svegliandosi di soprassalto, Meg si rese conto di trovarsi ancora a bordo dell’aereo. Erano successe moltissime cose dopo la Mostra di Floricoltura di Chelsea, ma l’immagine di Gianni Bellini la tormentava ancora. Solo l’entusiasmo per il nuovo lavoro a Villa Castelfino riusciva a distoglierla da quell’idea fissa. Nelle ultime due settimane si era recata regolarmente in Toscana, e quel giorno avrebbe dovuto assumere l’incarico permanente di responsabile per le piante esotiche del conte di Castelfino. Era l’inizio ufficiale di un nuovo rapporto di lavoro. Pur non vedendo l’ora di iniziare, Meg si sentiva nervosa. Per la prima volta si allontanava dai genitori, e le dispiaceva lasciarli soli a gestire l’azienda.
Il pensiero che Franco, l’autista del conte, sarebbe venuto a prenderla, occupandosi anche dei bagagli, le diede un po’ di conforto.
Ma purtroppo, al terminal, non trovò nessuno ad attenderla. Colta da apprensione si domandò se non ci fossero dei problemi, a Villa Castelfino. Frequentando il conte aveva appreso che i rapporti tra il vecchio gentiluomo e il figlio erano abbastanza tesi. Lei non aveva mai visto il ragazzo, come il suo aristocratico datore di lavoro definiva in tono sprezzante l’erede, ma ne sapeva abbastanza per provare antipatia per lui. Il conte di Castelfino aveva piantato nella sua proprietà alberi d’ulivo, querce e prati fioriti. Suo figlio, al contrario, avrebbe voluto trasformare il tutto in una monocoltura, nient’altro che filari ordinati di vite a perdita d’occhio. Ricordando la preziosa collezione di piante del conte, Meg non riuscì a trattenere un sorriso. La vita a Villa Castelfino doveva essere una lotta continua tra bellezza e profitto. L’hobby del vecchio gentiluomo correva sempre il rischio di soccombere davanti all’ambizione del figlio.
Meg attese, ma non si fece vedere nessuno. Era un brutto inizio per chi, come lei, aveva una gran quantità di bagagli. Si guardò intorno e scorse una freccia che indicava un parcheggio taxi. Stanca di aspettare invano, entrò in azione. Dopo aver spinto a fatica il trolley verso il parcheggio, rimase in attesa di un taxi libero. Quando finalmente fu a bordo di una vettura, era ormai ridotta a un fascio di nervi.
L’autista conosceva l’indirizzo che lei gli fornì. Almeno qualcosa va per il verso giusto, si consolò. Ma quando cercò di spiegare la propria situazione, servendosi di un vocabolario, l’autista trovò il suo tentativo molto divertente. Non riuscendo a capire la lingua, e sentendosi completamente isolata, Meg si accasciò sul sedile.
Il suo pensiero volò a Gianni Bellini, l’attraente italiano incontrato al Chelsea. Di sicuro in questo momento non vaga in un terminal!, pensò, immaginandolo mentre si liberava di una frotta di splendide donne che lo circondava, per correre in suo aiuto. Sospirò, domandandosi se l’avrebbe mai rivisto. Improbabile. La sua unica speranza era convincere il conte di Castelfino a partecipare con le proprie piante a una delle maggiori esposizioni di Londra. Nei suoi sogni, Gianni Bellini le frequentava alla ricerca di novità per il proprio harem.
Dedicò il tempo del tragitto in taxi a sognare cos’avrebbe provato a essere sedotta da un uomo così affascinante. Non c’è da stupirsi che abbia intorno tante donne, pensò. Il suo sorriso aveva sortito in lei un effetto del tutto sconosciuto. E Meg, che credeva ancora nel principe azzurro, avrebbe dovuto dar retta al proprio buonsenso, che l’avvertiva di stare alla larga da individui simili a Gianni Bellini. Eppure un’eccitazione perversa s’insinuò nel suo sogno a occhi aperti. Dopotutto, con la fantasia poteva fare ciò che voleva!
E così, Gianni...
Nello stesso momento in cui Meg lasciava che la sua immaginazione corresse a briglie sciolte, l’uomo dei suoi sogni faceva roteare un liquido color rubino in un calice di cristallo. Gianni Bellini sapeva perfettamente che il vino - seppure eccellente - non rappresentava una soluzione ai suoi problemi. L’avrebbe soltanto intontito. La mancanza di sonno era già di per sé dannosa, e bere avrebbe peggiorato la situazione, si disse mettendo giù il bicchiere.
«Posso servirle dello champagne, invece, signore?» Un servitore in livrea s’inchinò rispettosamente. Ma in risposta ottenne soltanto un grugnito e un gesto di congedo.
Poco meno di ventiquattr’ore dopo quella condanna a vita, Gianni non era ancora riuscito a venire a patti con quanto era accaduto. Aveva sempre saputo quale sarebbe stato il suo destino, ma aveva reagito con grande spirito di indipendenza, per non dover dipendere dalla ricchezza di famiglia. Così aveva intrapreso una brillante attività, contando solo su se stesso. Attualmente i vigneti di Gianni a Castelfino erano relegati in una zona ai confini della proprietà. Ma adesso tutto sarebbe cambiato. Ora era lui ad