La lunga scia del tramonto
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Fantascienza - romanzo breve (56 pagine) - Il Mondo Quieto non doveva essere gentilezza, redenzione, perdono e pace?
Nel Mondo Quieto, la civiltà del futuro prossimo post-industriale, Alina è una Itinerante del Reticolo, il web che tiene in piede la struttura sociale nella quale si sono organizzati i sopravvissuti alla Grande Epidemia. Suo compito è girare insieme a una piccola squadra di aiutanti tra gli insediamenti dispersi su un vasto territorio spopolato, per ricercare piante alimentari e per insegnare alle comunità umane le buone pratiche agricole. Quando arriva a Belcolle, un abitato in fondo a una valle, si scopre che è qui anche per un motivo segreto: un messaggio, quasi una convocazione, che la porterà nel recinto delle terre ancora contaminate, dove vivono i condannati dalla giustizia, banditi dalla civiltà e organizzati con leggi proprie e un’etica particolare. Qui verrà costretta a guardare in faccia la realtà del proprio passato, strettamente intrecciata con ciò che è accaduto al pianeta durante la Grande Epidemia.
Catastrofe climatica, agricoltura, civiltà post-industriale in un romanzo breve di Milena Debenedetti.
Milena Debenedetti, savonese, ha esordito all'inizio degli anni Novanta. I suoi racconti sono stati segnalati o risultati finalisti in praticamente tutti i premi per racconti fantastici dell'epoca. La sua narrativa breve è apparsa in antologie di genere di vari editori, nonché su siti internet come fantascienza.com e sulla rivista Robot.
Laureata in chimica, ha lavorato per quasi vent’anni come ricercatrice in una industria fotografica e poi si è occupata di redazione testi, collaborando con siti Internet e giornali locali; nel 2011 è stata candidato Sindaco e poi fino al 2020 consigliere comunale nella sua città. Coltiva da sempre con passione un piccolo appezzamento di terra. È sposata, ha una figlia e un nipotino.
Ecologista, oltre alla natura ama la sottocultura in tutte le sue espressioni, nutre profonde passioni per la musica rock, il cinema e il fumetto, che spesso ispirano la sua narrativa. Con Delos Digital ha pubblicato cinque romanzi, due dei quali, Il Dominio della Regola e Il Popolo Spezzato, hanno vinto il Premio Italia. L’ultimo, Il risveglio di Empatia pubblicato nel 2021, è stato due volte finalista al Premio Urania, nel 2004 e 2005.
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La lunga scia del tramonto - Milena Debenedetti
1
Il piccolo carro da trasporto si accostò ronzando, poi il motore tacque. Alina saltò leggera dal predellino.
La strada correva ampia e diritta sul fondovalle. Era sterrata ma ben tenuta.
Ogni traccia di asfalto era stata rimossa da molto tempo. Ogni buca creata dalle piogge occasionali e dirompenti veniva colmata con tempestività, e un gioco di cunette e tubazioni portava via gli eccessi d’acqua; un leggero velo di ghiaia fine e bianca di dolomia, mantenuto costantemente spianato, creava un sottostrato uniforme e compatto. Il fatto che il percorso fosse in piano aiutava a limitare le manutenzioni.
I particolari contavano, lo stato dei luoghi andava menzionato nei rapporti, ogni buona nota faceva guadagnare punti e risorse nel Reticolo, ma non era per questo che Alina aveva osservato a lungo, se non per una sorta di abitudine ad annotare mentalmente ogni singolo minuscolo aspetto, ad archiviare e mettere insieme indizi.
Non era per questo che lei era lì, né si trattava del suo compito principale. Altre erano le idee che ronzavano delicate come moscerini, nella quiete sempre ovattata della sua mente analitica.
Doveva essere sicura. Tutto doveva sembrare casuale e naturale. Non era una missione programmata e non doveva figurare nei resoconti.
Il pretesto doveva essere plausibile: Alina non poteva sbagliare, né fidarsi del tutto di alcuno, persino dei suoi ragazzi di scorta, che viaggiavano con lei da così tanto tempo. Era uno dei primi insegnamenti del Mondo Quieto, dove passioni e conflitti non avevano cessato di esistere, solo ribollivano sotto strati di condizionamenti e comportamenti obbligati, trattenuti dalle regole e dalla sorveglianza reciproca della società condivisa, ma pronti a esplodere comunque.
Il sole stava declinando all’orizzonte della vasta pianura, davanti ai suoi occhi, sul lato sinistro della strada, con riflessi a tonalità verdognole che segnalavano vicinanze sinistre. Ma c’era ancora abbastanza luce per una ispezione. Dietro di lei, la cerchia di morbide colline, che digradando verso la piana ne sottolineavano i confini.
Se non si era sbagliata, quel che cercava era esattamente oltre quella collina, perciò ne doveva raggiungere la sommità, in qualche modo, per controllare.
C’era un sentiero, molto meno curato dello stradone ma ben visibile. Saliva dolce e ondeggiante, e certo non avrebbe messo in difficoltà i suoi stivali da cammino.
Il profilo di un prezioso bosco incorniciava il pendio.
– Le querce – spiegò ai tre uomini che la circondavano, il guidatore e i due di scorta. – Voglio dare un’occhiata e prendere campioni del sottobosco. Porta due contenitori, Ale, e la carotatrice.
Come d’abitudine, l’uomo chiamato Ale e il suo collega la seguirono, il guidatore restò dal veicolo.
– Non qui – osservò Alina, fermandosi a mezza costa, il respiro lievemente ansimante.
Dopotutto non era più giovane, e anche se faceva vita attiva e sana, molte vicissitudini iniziavano a minarle la salute.
Raggiunsero la cima, per un attimo Alina si affacciò come volesse scollinare, per poi cambiare idea, visto che il sentiero si interrompeva. In realtà voleva aver conferma delle sue ipotesi. E così era: l’agglomerato di case che cercava era appena a due colline di distanza, metà arrampicato, metà proteso verso la piana.
Sollevata, poté continuare la sua finzione, che finzione del tutto non era: i campioni erano importanti.
Per prima cosa osservò le querce di rovere. I tronchi erano a posto, sani e con la corteccia integra. I rami secchi erano nella norma. Nessun segno di lesioni cancerose.
Si avvicinò a osservare le foglie ondulate, con una sorta di speranza, ma sospirò, delusa.
– Quest’anno la malattia è in ritardo. Sembravano belle verdi e robuste, ma la ticchiolatura è arrivata anche qui. Vedete? Sono puntinate di giallo. Ancora piogge acide. Prendiamone una per l’analisi. Vediamo lo stato del sottobosco. Prendi un campione qui, Ale. Non danneggiamo troppo le ife.
Il micelio era il miglior indicatore dello stato di salute. Si estendeva ovunque, nel sottosuolo, ed era rimasto dormiente nei momenti cupi, ma pronto a reagire di nuovo. Quasi una rete di comunicazione del bosco, respiro e vita che scorre. Un concetto che l’aveva sempre affascinata. Dava speranza.
Mentre un uomo perforava il suolo avvitando la carotatrice manuale, l’altro, che si era allontanato di qualche passo esplorando i dintorni, ebbe una esclamazione.
– Alina, guarda!
Si precipitò, notando qualcosa di arancione ai piedi di un albero.
Quasi le batteva il cuore, per una inconfessata speranza. Ma già avvicinandosi fu delusa.
Si chinò verso la piccola macchia colorata.
– È un fungo? Si può mangiare? – chiese, eccitato, l’uomo che l’aveva chiamata.
Alina scosse la testa.
– No, Samu. È un fungo, ma non commestibile.
Desiderosa di diminuire, almeno, la delusione altrui, si affrettò ad aggiungere: – Ma è comunque importante, e sei stato bravo a segnalarlo. Da anni i funghi sono una rarità, troppo irregolari le piogge, troppo forti i venti che disseccano. Se spuntano quelli velenosi, presto arriveranno anche gli altri. Almeno vuol dire che il sottosuolo è ancora fertile. Prendiamo un campione per l’analisi. Senza danneggiarlo troppo.
Le sue mani ossute, dalle lunghe dita, estrassero un bisturi sterile dalla cassetta da viaggio, tagliarono un campione dal cappello del fungo, lo fecero cadere in un contenitore, serrarono il coperchio.