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Tre mogli
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E-book310 pagine4 ore

Tre mogli

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Info su questo ebook

Ai primi posti delle classifiche del New York Times

Un grande thriller

«Imperdibile fino all’ultima pagina.»

«Un viaggio nell’abisso più oscuro.»

Quanto saranno disposte a sacrificare per scoprire la verità sul loro marito?

Il marito di Thursday, Seth, ha altre due mogli. Lei ne è al corrente, ma non le conosce. 
Non sa assolutamente niente di loro, e neppure le interessa, perché è pazza di lui. Tra loro c’è un patto: Thursday non tenterà mai di avvicinarsi alle altre due, e in cambio avrà Seth tutto per sé una volta alla settimana. Non è certo il matrimonio perfetto, ma è un sacrificio che lei è disposta ad accettare. Eppure, la curiosità sa essere più forte di qualsiasi promessa e quando Thursday trova tra i vestiti del marito una ricevuta con su scritto il nome di una di loro, decide di provare a mettersi in contatto con la fantomatica “Hannah”. Scoprirà così che Seth non è l’uomo meraviglioso che finge di essere, e che nasconde molti più segreti di quanti lei potesse immaginare…

Ai primi posti della classifica dei libri più venduti del New York Times
In corso di traduzione in 22 Paesi 
Mezzo milione di copie vendute negli Stati Uniti

«I fan di L’amore bugiardo di Gillian Flynn adoreranno Tre mogli.» 
USA Today 

«Mentre conduce i lettori attraverso la complicata vita di Thursday, Tarryn Fisher insinua nel lettore il dubbio che la protagonista sia preda della paranoia… Gli amanti della suspense saranno ben ricompensati.» 
Publishers Weekly 

«Una trama intrigante, che si nutre di colpi di scena ben orchestrati, allontanando i lettori da una verità estremamente sfuggente.» 
Booklist 

«Fisher è una scrittrice da tenere d’occhio.» 
Kirkus
Tarryn Fisher
È un’autrice bestseller di «New York Times» e «USA Today». Ha scritto sedici romanzi. Vive attualmente a Seattle con il marito, i figli e il suo husky. Adora usare Instagram per essere sempre in contatto con i suoi lettori.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2021
ISBN9788822744357
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    Anteprima del libro

    Tre mogli - Tarryn Fisher

    Capitolo uno

    Arriva ogni settimana di giovedì. Quello è il mio giorno, io sono Thursday, giovedì, per l’appunto. È un giorno pieno di speranze, nel bel mezzo di altri più importanti; non è un inizio né una fine, ma una pausa. Un antipasto in vista del fine settimana. Ogni tanto penso agli altri giorni e mi domando se anche loro pensino a me. Le donne sono fatte così, giusto? Pensano sempre alle altre, sguazzando in un misto di curiosità e cattiveria. E non ci giova affatto; se pensi troppo, fraintendi tutto.

    Apparecchio per due. Un po’ brilla, prendo le posate e rifletto su dove vadano secondo il galateo. Mi passo la lingua sui denti e scuoto la testa. Che sciocca; questa sera saremo solo io e Seth, per una romantica cenetta casalinga. Non potrebbe essere altrimenti, visto che non usciamo spesso per il rischio di essere visti insieme. È difficile da immaginare… non voler essere vista con tuo marito. O tuo marito che non vuole farsi vedere con te. Mi sono riscaldata con un po’ di vodka e i miei movimenti sono sciolti e disattenti. Nel sistemare una forchetta accanto a un piatto, per poco non rovescio il vaso di fiori: un mazzo di rose di un rosa pallidissimo. Le ho scelte per l’allusione sessuale perché, quando ti trovi in una posizione come la mia, è essenziale essere sempre al top della forma in quest’ambito. Guarda questi petali, delicati e rosa. Ti fanno pensare al mio clitoride? Bene!

    A destra dei fiori che ricordano la vagina ho messo due portacandele d’argento con delle candele bianche. Una volta mia madre mi ha detto che, alla fioca luce di una candela, una donna può dimostrare quasi dieci anni di meno. Mia madre ci teneva a cose del genere. Ogni sei settimane si faceva iniettare trenta cc. di Botox nel derma sulla fronte. Era abbonata a ogni rivista patinata di moda esistente e collezionava libri su come tenersi un marito. Nessuno si sforza tanto per tenerselo a meno che non l’abbia già perso. La ritenevo una persona superficiale, quando ancora la realtà non aveva intaccato i miei ideali. Il mio piano era di diventare tutto fuorché come lei: volevo essere amata, avere successo, dei bellissimi bambini. Ma la verità è che i desideri più profondi sono una semplice corrente rispetto alla marea delle nostre qualità innate e acquisite. Puoi passare tutta la vita a nuotare controcorrente ma, prima o poi, ti stancherai e il flusso dei geni e dell’educazione ricevuta ti trascinerà a fondo. Io sono diventata più come lei e meno come me.

    Aziono l’accendino con il pollice e avvicino la fiamma allo stoppino. È uno Zippo, con stampata sopra una bandiera britannica ormai sbiadita. La fiammella crepitante mi ricorda il breve periodo in cui fumavo. Più che altro per tirarmela, perché non ho mai aspirato, ma avevo bisogno di vedere la ciliegina incandescente appena oltre la punta delle dita. Sono stati i miei genitori a comprarmi i portacandele, che avevo visto in un catalogo di Tiffany, come regalo di inaugurazione della casa. Mi erano sembrati inevitabilmente distinti. Quando sei una sposina, ti basta vedere due candelabri per immaginare una vita di cenette ad accompagnarli. Cene come quella di stasera. La mia vita è quasi perfetta.

    Mentre piego i tovaglioli, guardo fuori dalla finestra, verso il parco che si estende sotto di me. Fuori il cielo è grigio, tipico di Seattle. È proprio per la vista che ho scelto questo appartamento rispetto a quello più grande e più bello affacciato su Elliott Bay. In molti avrebbero preferito la distesa d’acqua, ma io preferisco vedere la vita degli altri. Su una panchina siede una coppia attempata, intenta a fissare il sentiero su cui, a intervalli di qualche minuto, sfilano ciclisti e persone che fanno jogging. Non si toccano, anche se muovono la testa all’unisono quando passa qualcuno. Chissà se un giorno anche io e Seth saremo così. Subito arrossisco al pensiero delle altre. È difficile immaginare il futuro se devi tenere in conto le altre due donne con cui condividi tuo marito.

    Tiro fuori la bottiglia di pinot grigio che ho comprato prima. L’etichetta è insulsa, non salta all’occhio, ma il commesso dall’aria austera che me l’ha venduto ha descritto il gusto nel dettaglio, sfregandosi le dita mentre parlava. Sono passate poche ore, eppure non ricordo le sue parole. Ero distratta, concentrata sulla ricerca degli ingredienti. Cucinare è l’unico modo per essere una moglie, così mi ha insegnato mia madre.

    Faccio un passo indietro e contemplo l’opera. Nel complesso è una bella tavola ma, dopotutto, sono la regina della presentazione. È tutto perfetto, come piace a lui e, di conseguenza, come piace a me. Non che non abbia una mia personalità; semplicemente, ciò che sono è solo per lui. Come è giusto che sia.

    Alle sei in punto, sento girare la chiave nella serratura e poi il cigolio della porta che si apre. La sento richiudersi e poi le sue chiavi poggiate sul tavolo nell’ingresso. Seth non è mai in ritardo e, se hai una vita complicata come la sua, l’ordine è importante. Ravvio i ricci che mi sono fatta con estrema cura e, dalla cucina, vado in corridoio a salutarlo. Con qualche gocciolina di pioggia intrappolata sulla punta dei capelli, sta guardando le buste che tiene in mano.

    «Hai preso la posta! Grazie». Sono imbarazzata dall’entusiasmo nella mia voce. È solo la posta, per l’amor del cielo.

    La appoggia sul tavolo in marmo accanto alle chiavi e sorride. Avverto un fremito nella pancia, di calore ed eccitazione. Mi abbandono contro il suo corpo imponente, inspiro il suo profumo e gli affondo il viso nell’incavo del collo. Ha un bel collo, abbronzato e largo, che sostiene la testa con una zazzera di capelli e un viso bello secondo i canoni tradizionali, con un malizioso accenno di barba. Mi accoccolo contro di lui. Cinque giorni senza l’uomo che ami sono tanti. Da giovane, ero convinta che l’amore fosse un peso. Come si fa a combinare qualcosa se pensi a qualcun altro in ogni secondo della giornata? Quando ho conosciuto Seth, tutte le mie convinzioni sono andate a farsi benedire. Sono diventata mia madre: fin troppo affettuosa, remissiva, sempre pronta ad aprire le braccia e le gambe, emotivamente e sessualmente. Ne sono rimasta emozionata e nauseata al tempo stesso.

    «Mi sei mancato», gli dico.

    Lo bacio sotto al mento, poi nel punto sensibile sotto l’orecchio e infine mi sollevo in punta di piedi per arrivare alla bocca. Bramo la sua attenzione e lo bacio a fondo e con foga. Gli sfugge un gemito gutturale e lascia cadere per terra la valigetta con un tonfo. Mi cinge con le braccia.

    «Che bel modo di salutarmi», commenta. Muove due dita lungo la mia colonna vertebrale, come se stesse suonando un sassofono. Mi massaggia piano, facendomi strusciare contro di lui.

    «Ne conosco uno migliore, ma è pronta la cena».

    Il suo sguardo si offusca e io gongolo in silenzio. Sono riuscita a eccitarlo in meno di due minuti. Vorrei dire Prova a battermi, ma a chi? Avverto una strana sensazione allo stomaco, come un nastro che si srotola all’infinito. Cerco di afferrarlo prima che si allontani troppo. Perché devo sempre pensare a loro? La chiave perché tutto questo funzioni è non farlo.

    «Che cosa hai preparato?». Si sfila la sciarpa e me la passa intorno al collo, tirandomi a sé per un altro bacio. Grazie alla sua voce calda, mi riscuoto dal freddo torpore in cui ero piombata e metto da parte le emozioni, decisa a non rovinare la serata insieme.

    «Che profumino».

    Con un sorriso, mi avvio sculettando verso la sala da pranzo; ancheggio un po’ per accompagnare la cena. Mi fermo sulla soglia per osservare la sua reazione davanti alla tavola.

    «Riesci a rendere tutto bellissimo». Allunga verso di me le mani forti e abbronzate, con le vene in rilievo, ma io mi ritraggo per scherzo. Alle sue spalle, il vetro della finestra è bagnato di pioggia. Lancio un’occhiata fuori; la coppia sulla panchina non c’è più. Chissà che cosa li aspetta a casa. Del cinese d’asporto? Una zuppa in scatola?

    Vado in cucina, accertandomi di avere addosso lo sguardo di Seth. So per esperienza che, per attirarlo, basta muoversi nel modo giusto.

    «Carré d’agnello», rispondo senza voltarmi. «E couscous…».

    Prende la bottiglia dal tavolo e, tenendola per il collo, osserva l’etichetta. «È un buon vino». Seth non dovrebbe bere; con le altre non lo fa. Per motivi religiosi. Con me fa un’eccezione e la considero l’ennesima piccola vittoria. Gli ho fatto scoprire i rossi corposi, i merlot e gli chardonnay con la loro acidità. Da ubriachi, ci siamo baciati, abbiamo riso e abbiamo scopato. Solo con me; con le altre non l’ha mai fatto.

    È stupido, lo so. Ho scelto io questa vita e non ruota intorno alla competizione, ma piuttosto intorno alla cura dell’altro, però, quando ci sono di mezzo altre donne, non puoi fare a meno di tenere il punteggio.

    Quando torno dalla cucina reggendo la cena con due strofinacci, lui ha versato il vino e lo sta sorseggiando guardando fuori dalla finestra. Sotto il nostro appartamento al dodicesimo piano, la città ferve per il suo ritmo notturno. Davanti al parco passa una strada trafficata. Sulla destra, appena fuori dalla visuale, c’è lo Stretto di Puget, costellato di barche a vela e traghetti d’estate e avvolto nella nebbia d’inverno. Si può vedere dalla camera da letto: una distesa di acqua a tratti immobile, a tratti mossa dalla corrente. La perfetta vista su Seattle.

    «Non mi importa della cena», dice lui. «Ti voglio adesso». Usa un tono perentorio; Seth non lascia spazio alle richieste. È una caratteristica che gli è stata utile in ogni ambito della vita.

    Appoggio i piatti da portata sul tavolo. La fame è stata sostituita da un altro tipo d’appetito. Lo osservo spegnere le candele, senza staccare gli occhi da me, e poi mi avvio verso la camera, abbassando la cerniera del vestito mentre cammino. Lo faccio con calma, perché lui possa guardare mentre mi tolgo lo strato di seta. Lo sento alle mie spalle: la sua forte presenza, il calore, il pensiero di ciò che mi aspetta. La mia cena perfetta si raffredda in tavola, il grasso dell’agnello si rapprende sull’orlo del piatto da portata in sfumature arancioni e color panna mentre mi libero del vestito e mi chino in avanti, affondando con le mani sul letto. Sprofondata fino ai polsi nel piumino di piume d’oca, le sue dita mi afferrano i fianchi e si insinuano sotto l’elastico delle mutandine. Me le abbassa fino alle caviglie e le calcio via.

    Un rumore metallico e poi il fruscio della cintura che si sfila. Lui non si spoglia; c’è solo il suono attutito dei pantaloni che scivolano fino ai piedi.

    Più tardi, riscaldo la cena nel microonde, avvolta nella vestaglia. Mi sento pulsare tra le gambe e ho un rivolo di sperma sulla coscia; sono dolorante, ma nel miglior senso possibile. Gli porto il piatto sul divano, dove è sdraiato a torso nudo con un braccio sopra la testa: l’incarnazione della stanchezza. Per quanto mi sforzi, non riesco a togliermi un sorrisetto dalle labbra. Un sorriso da scolaretta, una breccia nella mia facciata abituale.

    «Sei bellissima», commenta appena mi vede. Ha la voce roca, come sempre dopo il sesso. «È stato davvero bello». Nel prendere il piatto, mi accarezza la coscia. «Ricordi quella vacanza di cui parlavamo? Dove vorresti andare?». Ecco l’essenza delle conversazioni con Seth dopo l’amplesso: una volta venuto, gli piace parlare del futuro.

    Se me lo ricordo? Certo. Mi ricompongo per sembrare sorpresa.

    È un anno che me la promette, questa vacanza. Solo noi due.

    Il mio cuore accelera. Aspettavo questo momento. Non volevo fare pressioni visto che è molto occupato, ma ci siamo: è il mio anno. Ho immaginato tutti i posti in cui potremmo andare e ho ristretto la scelta a una spiaggia. Sabbia bianca e acqua color lapislazzuli, lunghe passeggiate in riva al mare mano nella mano in pubblico. In pubblico.

    «Pensavo a un posto caldo», rispondo. Non lo guardo negli occhi, non voglio che veda quanto sono impaziente di averlo tutto per me. Ne ho bisogno, e sono gelosa e meschina. Mi piego per mettere il suo bicchiere di vino sul tavolino e lascio che la vestaglia si apra. Lui allunga una mano e mi afferra il seno, proprio come presagivo. Per certi versi, è prevedibile.

    «Turks e Caicos?», propone. «Trinidad?».

    Sì! Sì!

    Mi siedo sulla poltrona davanti al divano e accavallo le gambe, con una coscia in bella vista.

    «Scegli tu», gli dico. «Sei stato in molti più posti di me». So che gli piace, prendere decisioni. Chissenefrega di dove andremo. Mi basta averlo per una settimana, senza interruzioni e senza condividerlo con nessuno. Per quella settimana, sarà soltanto mio. È un sogno. Adesso arriva il momento che temo e bramo al tempo stesso.

    «Raccontami della tua settimana, Seth».

    Mette giù il piatto e si sfrega la punta delle dita. Sono unte del grasso della carne. Vorrei andare da lui, prenderle in bocca e leccarle.

    «Monday sta male, il bambino…».

    «Oh, no», esclamo. «È ancora nel primo trimestre, sarà così ancora per qualche settimana».

    Annuisce e accenna un sorriso. «È molto emozionata, nonostante la nausea. Le ho comprato un libro di nomi. Lei sottolinea quelli che le piacciono e poi li guardiamo insieme quando ci vediamo».

    Provo una stilettata di gelosia e la accantono all’istante. Per me questo è il momento clou della settimana, quando ho notizie delle altre. Non voglio rovinarlo con questa meschinità.

    «Chissà che emozione», dico. «Preferirebbe un maschio o una femmina?».

    Ridendo, va a mettere il piatto nel lavandino. Sento l’acqua che scorre e il coperchio della spazzatura quando butta il tovagliolo di carta.

    «Un maschio. Con i capelli scuri, come me. Ma, secondo me, maschio o femmina che sia, avrà i capelli biondi, come lei».

    Mi immagino Monday, lunedì: lunghi capelli biondi liscissimi e abbronzatura da surfista. È snella e muscolosa, con i denti bianchi perfetti. Ride molto, soprattutto per quello che dice lui, ed è innamorata come solo le ragazze sanno essere. Una volta, Seth mi ha detto che ha venticinque anni ma che sembra una studentessa universitaria. Di norma, lo giudicherei per una cosa come questa, il cliché degli uomini che vogliono donne più giovani, ma per lui non vale. A Seth piace provare un’affinità.

    «Me lo dirai appena saprete che cos’è?»

    «Manca ancora molto, ma sì». Sorride, sollevando gli angoli della bocca. «Abbiamo appuntamento dal medico la settimana prossima. Ci andrò direttamente lunedì mattina». Mi fa l’occhiolino e non riesco a nascondere il rossore. Seduta a gambe accavallate e con un piede che dondola su e giù, sento il calore risalirmi nella pancia. Mi fa ancora lo stesso effetto del primo giorno.

    «Ti preparo da bere?», gli chiedo, e mi alzo.

    Vado al mobile bar e accendo lo stereo. Certo che vuole bere, lo vuole sempre quando siamo insieme. Mi ha confidato che adesso tiene una bottiglia di scotch nascosta in ufficio, e dentro di me gongolo per la mia cattiva influenza. Tom Waits comincia a cantare e prendo il decanter con la vodka.

    In passato gli chiedevo di Tuesday, martedì, ma Seth è più riluttante a parlare di lei. Ho sempre pensato che fosse perché, in quanto prima moglie, lei si trova in una posizione di autorità. La prima moglie, la prima donna che ha amato. In un certo senso, è sconfortante sapere di essere la seconda scelta. Mi consola il fatto di essere legalmente sua moglie e che, anche se stanno ancora insieme, ha dovuto divorziare da lei per sposare me. Tuesday non mi piace. È egoista; la parte principale della sua vita è occupata dalla carriera, la parte che io riservo a Seth. Ma, pur disapprovando, non riesco nemmeno a darle tutti i torti. Lui è via cinque giorni a settimana. Possiamo averlo per un giorno a rotazione, ma poi sta a noi riempire il resto del tempo con altre cose: io lo faccio con stupidate, come la ceramica, i romanzi rosa e Netflix, invece Tuesday lo fa con la carriera. Frugo nella tasca della vestaglia, in cerca del burro di cacao. Abbiamo una vita intera al di fuori del matrimonio. È l’unico modo per preservare la salute mentale.

    Di nuovo pizza per cena? gli chiedevo. Una volta, aveva ammesso che Tuesday era il tipo che preferisce ordinare cibo d’asporto piuttosto che mettersi ai fornelli.

    Sei sempre pronta a giudicare le doti culinarie altrui, mi prendeva in giro lui.

    Preparo due bicchieri e li riempio di ghiaccio. Sento Seth muoversi alle mie spalle, alzarsi dal divano. Con un sibilo, tolgo il tappo alla soda e la verso. Non ho ancora finito con i drink che lui mi raggiunge e mi bacia sul collo. Inclino la testa di lato per facilitargli il lavoro. Prende il suo bicchiere e si avvia alla finestra, mentre io mi siedo.

    Lo scruto dal divano, con la condensa del bicchiere a bagnarmi il palmo della mano.

    Seth si siede accanto a me e lascia il drink sul tavolino. Mi massaggia il collo e ride.

    Ha uno sguardo vivace, provocante. Mi sono innamorata dei suoi occhi, che sembrano ridere sempre. Accenno un sorriso e mi appoggio a lui, godendomi la sensazione del suo corpo robusto contro la schiena. Mi accarezza il braccio su e giù.

    Di che altro possiamo parlare? Voglio conoscere ogni aspetto della sua vita. «Il lavoro?»

    «Alex…». Si blocca. Si passa il polpastrello del pollice sul labbro inferiore, un’abitudine che ho imparato ad amare.

    Che cosa ha combinato adesso?

    «L’ho di nuovo beccato a mentire», aggiunge.

    Alex è il suo socio in affari; hanno avviato insieme la società. Da che ho memoria, Alex è sempre stato il volto dell’azienda: incontra i clienti e si assicura gli incarichi, mentre Seth si occupa della costruzione delle case, gestisce gli appaltatori e le ispezioni. Seth mi ha raccontato che la prima volta che si sono scontrati è stato per il nome della società: Alex voleva che includesse il suo cognome, mentre Seth che facesse riferimento alla costa nordoccidentale del Pacifico. Dopo essersela vista tra di loro, hanno optato per Emerald City Development. Negli ultimi anni, grazie all’attenzione al dettaglio e alla bellezza delle case che hanno costruito, si sono assicurati diversi clienti di alto profilo. Non ho mai incontrato Alex; lui non sa della mia esistenza. Pensa che la moglie di Seth sia Tuesday. Quando Seth e Tuesday si erano appena sposati, erano andati in vacanza con Alex e sua moglie, una volta alle Hawaii e un’altra a sciare a Banff. Ho visto Alex in foto. È poco più basso della moglie, Barbara, una ex Miss Utah. Tozzo e con una calvizie incipiente, ha un’aria compiaciuta.

    Ci sono così tante persone che non ho mai conosciuto. I genitori di Seth, per esempio, e i suoi amici d’infanzia. In quanto seconda moglie, forse non li incontrerò mai.

    «Oh?», commento. «Che cosa succede?».

    È estenuante questa esistenza, con tutti i giochetti che faccio. È la maledizione di ogni donna. Mostrarsi diretta, ma non troppo. Mostrarsi forte, ma non troppo. Fare domande, ma non troppe. Bevo un sorso e mi sistemo accanto a lui.

    «Ti piace?», mi chiede. «È piuttosto strano che tu mi faccia domande su…».

    «Mi piaci tu». Sorrido. «Conoscere il tuo mondo, quello che provi e che fai quando non siamo insieme». Ed è vero. Amo mio marito, ma non sono l’unica. Ci sono altre donne. Il mio unico potere sono le informazioni. Posso difendermi, passare in vantaggio, scoparlo fino a farlo impazzire e fingere un interesse distaccato, il tutto con poche domande poste al momento giusto.

    Seth sospira e si sfrega gli occhi.

    «Andiamo a letto», dice.

    Gli scruto il viso. Per stasera, non parlerà più di loro. Mi porge una mano e io gliela afferro e mi alzo in piedi.

    Questa volta facciamo l’amore e, cingendolo con le gambe, lo bacio intensamente. Non dovrei pensarci, ma lo faccio comunque. Come fa un uomo ad amare tante donne? Una diversa ogni due giorni. E in quale categoria rientro io tra le sue preferenze?

    Lui si addormenta quasi subito, ma io no. Il giovedì non dormo.

    Capitolo due

    Venerdì mattina, Seth se ne va prima che mi svegli. Mi sono rigirata nel letto fino alle quattro e poi devo essere sprofondata nel sonno, perché non l’ho sentito uscire. Ogni tanto ho l’impressione di essere una donna che si sveglia da sola dopo una notte di sesso e scopre che il partner è sgattaiolato via prima di potergli chiedere come si chiama. Il venerdì mi attardo sempre a letto, a guardare il segno sul suo cuscino fino a quando il sole entra dalla finestra e mi colpisce gli occhi. Ma il sole non si è ancora affacciato all’orizzonte e io fisso il segno sul cuscino come se mi donasse la vita.

    Le mattine sono difficili. In un matrimonio normale, ti svegli accanto a una persona, in quel corpo ancora addormentato trovi conferma della tua esistenza. Ci sono abitudini e orari, che col tempo diventano noiosi, ma anche confortanti. Io non ho il conforto della normalità: un marito che russa a cui rifilare calci di notte o la frustrazione di dover pulire le macchie di dentifricio incrostato nel lavandino. Seth non c’è nell’essenza di questa casa e, la maggior parte dei giorni, questa consapevolezza mi rende il cuore pesante. Resta pochissimo e poi se ne va, nel letto di un’altra mentre il mio si raffredda.

    Lancio un’occhiata al telefono, con l’apprensione che mi svolazza nello stomaco. Non mi piace scrivergli. Immagino che ogni giorno sia inondato di messaggi delle altre ma, questa mattina, provo l’impulso di scrivergli Mi manchi. Lui lo sa, sicuramente. Se non vedi tuo marito per cinque giorni a settimana, lui dovrà pur saperlo che gli manchi. Invece non prendo il telefono e non gli scrivo. Risoluta, allungo le gambe oltre il bordo del letto, infilo i piedi nelle pantofole e piego le dita nella morbida lana all’interno. Le pantofole fanno parte della mia routine, della ricerca di una normalità. Vado in cucina e dalla finestra guardo la città sotto di me. Lungo la State Route 99 serpeggia una fila di fari rossi, gli stop dei pendolari in coda al semaforo. I tergicristalli si muovono avanti e indietro, per pulire i parabrezza dalla pioggia fine. Chissà se tra loro c’è anche Seth, ma no, lui prende la Interstate 5 quando se ne va da qui. Quando se ne va da me.

    Apro il frigo, prendo una bottiglietta di Coca-Cola e la metto sul bancone. Cerco l’apribottiglie nel cassetto delle posate e impreco quando uno stuzzicadenti mi si conficca sotto un’unghia. Mi infilo il dito in bocca e, con la mano libera, stappo la bottiglia. Ne tengo una sola in frigo e nascondo le altre sotto al lavandino, dietro all’innaffiatoio. Ogni volta che la bevo, ne metto una nuova. Così sembra che sia sempre la solita bottiglia. Ma l’unica persona da ingannare sono io. E forse non voglio far sapere a Seth che per colazione bevo una Coca-Cola. Mi prenderebbe in giro e, anche se non mi dispiace quando lo fa, bere una bevanda gassata prima di iniziare la giornata non è una cosa che ti fa piacere far sapere agli altri. Quando ero piccola, ero l’unica tra le mie amiche a cui piacesse giocare con le Barbie. A dieci anni, loro erano già passate ai trucchi e a

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