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I personaggi della Commedia: Tutti i 771 personaggi della Commedia di Dante
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I personaggi della Commedia: Tutti i 771 personaggi della Commedia di Dante
E-book3.284 pagine19 ore

I personaggi della Commedia: Tutti i 771 personaggi della Commedia di Dante

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In due volumi di complessive 1542 pagine (771+771) tutti i 771 personaggi della Commedia, nessuno escluso. Lo scopo di questo libro è ricostruire la mente di Dante. Impossibile? Sì, è impossibile ricostruire nella sua pienezza la mente di Dante. Ma sicuramente non c’è modo migliore per avere un’idea di quella mente superiore che vedere ad uno ad uno i personaggi che l’hanno abitata e che sono passati a brulicare nei suoi versi. Certo la mente di Dante era piena di idee, idee che spesso il poeta ci espone tramite la voce di Beatrice, madonna Teologia, e di qualcun altro: Virgilio, Papinio Stazio, Marco Lombardo, Carlo Martello… ma molto più spesso, quasi sempre, come in tutti gli artisti gotici, le idee s’incarnano in caratteri, in personaggi che parlano e agiscono. Molti di essi Dante li incontra nel suo viaggio oltremondano, e sono in prevalenza personaggi che hanno agito nella loro vita generando effetti nella vita del poeta. Con alcuni di quelli che incontra parla, con altri, pochi, interagisce. Ma molti di più sono quelli che nomina soltanto, qualche volta in elenchi apparentemente inerti, come quello degli Spiriti Magni del Limbo o dei Sapienti del Cielo del Sole. E che inerti non sono, perché il neofita della Filosofia Dante Alighieri era con loro in rapporto di amorosa gratitudine. Gli innumerevoli attori della sua vita, le “persone”, animano la Commedia, e dobbiamo superare, noi moderni apprezzatori della scienza storica, una spessa barriera d’incomprensione per capire che quelle persone erano sì, in buona parte, persone che noi definiamo “storiche”, cioè delle quali abbiamo qualche prova documentaria che siano esistiti, messe però a fianco a persone “non storiche”, “mitologiche” “letterarie” “allegoriche” con la stessa dignità ontologica delle altre. Nel poema che è la trascrizione sulla carta della sua mente, Dante ha messo fianco a fianco le persone provenienti da tre mondi diversi: quello della Storia, quelli della Bibbia, quelli dell’Antichità. Di alcuni di essi ha avuto esperienza diretta, degli altri sa perché di loro ha ascoltato racconti o letto libri. Lo scopo della Commedia è pedagogico. Il poeta si propone come padagogo dell’umanità, e lo fa proponendo il proprio ravvedimento come esemplare. Di conseguenza i personaggi della sua opera valgono tutti, uno per uno, come “exempla”. Sulla carta, dal punto di vista della consistenza, “uno vale uno”, Cianghella vale Adriano V, Glauco Guido da Montefeltro, Amiclate Federico II, la Lupa Bonifacio VIII…
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2024
ISBN9791222496139
I personaggi della Commedia: Tutti i 771 personaggi della Commedia di Dante

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    Anteprima del libro

    I personaggi della Commedia - Nazzareno Lugi Todarello

    L’universo di Dante – Mito cosmogonico e destino dell’uomo

    Dante guarda l’universo. Si pone davanti a esso come un punto interrogativo. Come tutti noi. Chi ha fatto tutto questo? Perché l’ha fatto? Per chi l’ha fatto? Tutto si muove. Niente sta fermo. Perché? Ecco la grande domanda di sempre: perché? Gli scienziati hanno finito per non farsela più. Solo ciò che si può misurare è fisica. La scienza risponde alla mia mente non al mio essere in vita. Dante voleva risposte al suo essere in vita. Nel mezzo del cammin di nostra vita. Domande esistenziali.

    Noi sappiamo che tutto l’universo è vibrazione. Da dove viene questa vibrazione universale? Vibrano le particelle piccolissime. Vibrano gli immensi buchi neri. E le velocità sono inimmaginabili, anche se misurabili. Tutto vibra vorticosamente. Perché? Dante lo sa: perché nel momento della creazione il Primo Mobile, cioè il primo Cielo creato, quello che si trova più vicino a Dio, improvvisamente altro da Dio, vuole tornare nell’unità di Dio. Per questo corre a velocità inimmaginabile. Corre verso Dio, ma essendo di forma sferica il suo correre è una rotazione. Una rotazione che ha la sua spinta nel desiderio, cioè nell’amore. E questa rotazione è talmente potente che si propaga ai cieli inferiori. Così tutti i cieli vibrano, in maniera decrescente, dello stesso desiderio del primo. Quei cieli che Dante attraversa condotto da Beatrice. E ogni volta che si trova in uno di essi, sempre più su, è colpito da una luce più pura e da una musica più celeste. In ognuno di quei cieli si presentano a lui anime beate. Non perché stanno lì di solito, ma perché, spinti dalla carità, gli corrono incontro per accoglierlo, per spiegargli. E così gli fanno anche capire il grado della loro beatitudine. Stanno tutti nell’Empireo, ma non hanno tutti la stessa capacità di guardare in Dio, cioè non hanno tutti lo stesso grado di felicità.

    La vibrazione del primo mobile quindi, scendendo dall’alto verso il basso, attraverso le vibrazioni dei cieli, arriva sulla terra. L’origine del moto è questa. La vita c’è perché c’è il Cielo. Sappiamo anche noi che la sostanza di cui siamo fatti viene da quelle immense fornaci che sono le stelle. E Newton ha sottoposto alle stesse regole il movimento dei pianeti e la meccanica dei corpi sulla terra.

    L’universo di Dante è un tutt’uno compatto e ordinato, una struttura razionalmente organizzata. Dante aveva una mente logica. Cresciuto e vissuto in tempi disordinati e violenti, il suo più grande desiderio finisce per diventare l’ordine. Di che ordine si tratta? Cosa intende Dante quando dice ordine? Lo dice lui stesso nel Monarchia, il suo trattato politico, dove con ragionamenti serrati, il poeta, che era anche filosofo, con una arcana mescolanza di logica e di passione, spiega ai suoi contemporanei perché l’impero universale è il migliore dei sistemi politici. Il più grande bene dell’uomo sulla terra, dice, è la pace. La pace universale è la condizione necessaria alla felicità del genere umano. Infatti gli angeli che annunziarono al mondo la nascita del Dio incarnato non lo fecero promettendo ricchezze, piaceri, onori, lunghezza di vita, salute, forza, bellezza, ma solo pace. Perché ci sia la pace è necessario che i singoli appetiti vengano governati da una sola autorità, che sappia distinguere il bene dal male e abbia la forza per attuare la giustizia. I principi locali non hanno l’autorità per imporsi a tutti gli altri pari grado. Questo dà origine ai conflitti sul territorio e alle guerre. Occorre una Monarchia Universale, un potere politico centralizzato, superiore agli altri poteri, che governi tutti gli esseri umani. Questo potere esiste, è il Sacro Romano Impero, erede dell’Impero Romano, voluto da Dio. Tutti devono sottomettersi all’autorità dell’imperatore. Solo così ci sarà la pace universale, l’ordine gerarchico, immagine della gerarchia celeste. In questo ordine terreno il genere umano potrà perseguire il suo fine ultimo: attuare sempre tutta la potenza dell’intelletto. Per Dante felicità e conoscenza sono la stessa cosa.

    Et quia quemadmodum est in parte sic est in toto, et in homine particulari contingit quod sedendo et quiescendo prudentia et sapientia ipse perficitur, patet quod genus humanum in quiete sive tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere divinum est iuxta illud Minuisti eum paulominus ab angelis, liberrime atque facillime se habet. Unde manifestum est quod pax universalis est optimum eorum que ad nostram beatitudinem ordinantur. Hinc est quod pastoribus de sursum sonuit non divitie, non voluptates, non honores, non longitudo vite, non sanitas, non robur, non pulcritudo, sed pax; inquit enim celestis militia: ‘Gloria in altissimis Deo, et in terra pax hominibus bone voluntatis’. (Mon. I iv 2-3).

    E siccome ciò che si attua nella parte si attua nel tutto, e nell’individuo umano si verifica che si perfezioni in saggezza e sapienza rimanendo in stato di quiete, ne risulta che il genere umano, nella quiete e nella tranquillità della pace, è nelle migliori condizioni di libertà e di agio per assolvere quel compito speculativo che gli è proprio, e che è quasi divino secondo il detto: ‘Lo hai reso di poco inferiore agli Angeli’. Di qui è chiaro che la pace universale è il massimo dei beni disposti per la nostra felicità: ecco perché la parola che risuonò dall’alto ai pastori non era ricchezze, né piaceri, né onori, né lunga vita, né salute, né forza, né bellezza, ma pace: disse infatti la milizia celeste: ‘Gloria a Dio nelle altezze supreme e pace in terra agli uomini di buona volontà’.

    Quello che colpisce i lettori moderni è la relazione stretta che Dante stabilisce tra l’ordine terreno e l’ordine del creato, a sua volta specchio dell’ordine divino. Per l’autore della Commedia tutto è coeso. Non c’è nulla che non sia in relazione gerarchica con le altre cose e con il tutto. Perché tutto ciò che esiste è il prodotto di un solo atto di volontà creatrice. Ogni cosa ha la sua funzione. Nulla di inutile è stato creato.

    Guardando nel suo Figlio con l’Amore

    che l’uno e l’altro etternalmente spira,

    lo primo e ineffabile Valore

    quanto per mente e per loco si gira

    con tant’ordine fè, ch’esser non puote

    sanza gustar di lui chi ciò rimira.

    Par. X 1-6

    Dio Padre (‘lo primo Valore’), guardando in Cristo (‘suo Figlio’) con quell’amore reciproco che è lo Spirito Santo, ha creato ciò che è nello spazio (‘per loco si gira’) e nelle menti [degli angeli, che sono intelligenze che governano il moto delle sfere] con tanto ordine che non può succedere che chi lo ammiri non gusti il suo valore.

    Dio ha creato il mondo con un ordine meraviglioso. L’uomo, che fa parte di quest’ordine, ha il compito di esercitare la propria intelligenza, dono anch’essa di Dio, per percepire quest’ordine, per comprenderlo come meglio può, per gustarlo nella contemplazione, per uniformarsi a esso nell’azione. L’azione dell’uomo è essenziale al creato. L’uomo è proprio nel mezzo tra sommo bene e sommo male. L’universo è una sfera avvolta da una luce intensa, eterna, perfetta di intelligenza e di amore. Questa luce è Dio: Luce intellettual piena d’amore (Par. XXX 40). Il centro della sfera è Lucifero, signore dell’ottusità e dell’odio. Un po’ più su c’è la superficie terrestre abitata, la gran secca come la chiama Dante, il campo dell’azione umana. Qui, nella aiuola che ci fa tanto feroci (Par. XXII, 151), si gioca la grande partita tra bene e male. Sopra le teste degli uomini, i Cieli, perfetto bene, ordinati in progressione verso Dio, al quale aspirano ruotando. Sotto i piedi, il perfetto male, l’Inferno, costituito da nove cerchi, immagine al negativo dei nove cieli, anch’essi in ordine progressivo, ma verso Lucifero, sul quale, tutti, aggettano, come terrazzi circolari. La gran secca, cioè le terre emerse, alla fine dei tempi resterà vuota. Tutti saranno arrivati alla loro destinazione finale, che si sono guadagnati con la loro azione. Una parte dell’umanità avrà scelto di salire ‘alle stelle’, un’altra avrà scelto di sprofondare nel cono degli orrori senza speranza. L’universo quindi è stato creato per l’uomo, come sua casa e come suo campo d’azione, come suo premio e come suo castigo. È un universo ‘morale’, quello di Dante. Spazio e tempo sono spazio e tempo dell’azione umana. Sopra e sotto, prima e dopo, domina l’eternità.

    Il mondo di Dante è ordinato in quanto creazione divina, ma spetta all’uomo completare questo ordine con la propria azione. Si tratta di una collaborazione. Dio ha creato gli uomini. Gli uomini devono creare una società che sia completamento della creazione divina, cioè una società ordinata gerarchicamente. Ognuno deve sapere qual è il suo compito sulla terra e, adeguandosi a esso, otterrà la felicità eterna, dopo aver felicemente vissuto.

    La Terra per Dante è un globo coperto in gran parte d’acqua, con terre emerse abitate da uomini e animali. Come per noi moderni. Ma le terre emerse per Dante sono tutte unite in una specie di losanga incurvata che occupa tutto l’emisfero boreale estendendosi per 180° dallo stretto di Gibilterra alle foci del Gange. Perfettamente nel mezzo, a 90° dallo stretto di Gibilterra e a 90° dalle foci del Gange, c’è Gerusalemme, punto centrale delle terre emerse, destinate da Dio al dramma umano. Gerusalemme è al centro della geografia come è al centro della storia, capitale morale e luogo santissimo, perché è lì che Dio si è fatto uomo e ha riscattato l’umanità con il suo sacrificio. Quindi a Gerusalemme, punto di contatto tra il mondo divino e quello umano, città-antenna capace di percepire lo spirito, tocca il centro. Lo stretto di Gibilterra e le foci del Gange gettano, da una parte e dall’altra, nell’Oceano, che occupa tutto l’emisfero australe.

    È caratteristica della mentalità medievale la coincidenza morale di spazio e tempo. L’incarnazione è cronologicamente al centro del tempo, tra la creazione e la fine del mondo, termini ultimi del tempo. Gerusalemme, teatro dell’Incarnazione, è al centro delle terre emerse, tra la sponda occidentale e quella orientale dell’Oceano, termini ultimi dello spazio umano. È l’Incarnazione, evento cardine dello spazio-tempo cristiano, che crea ordine e dà senso a ogni cosa.

    Nel mezzo dell’Oceano, quindi agli antipodi di Gerusalemme, c’è una grande isola, una montagna altissima a tronco di cono, circondata da una sottile spiaggia. È la montagna del Purgatorio. È alta più delle nuvole perché sulla sua cima c’è il Paradiso Terrestre e lì le perturbazioni meteorologiche non devono arrivare. Le anime purganti, cioè di coloro che hanno commesso peccati nella vita ma si sono pentiti prima di morire, approdano alla spiaggia, e, quando tocca a loro, iniziano una durissima scalata, soffermandosi a soffrire sulle varie balze. Su ogni balza, cornice, è predisposto un supplizio particolare, adatto a purificare un particolare peccato. Si sale da una cornice all’altra tramite strette scale scavate nella roccia. Man mano che si sale le scale si fanno più agevoli. Una volta purgate, le anime hanno accesso al Paradiso Terrestre, che occupa l’altopiano in cima alla montagna. In questo luogo perfetto, creato da Dio per l’umanità senza peccato e dal quale invece l’umanità si è esclusa con il peccato originale, ogni ex-peccatore si bagna nel fiume Lete, che dei peccati cancella anche la memoria, e nell’Eunoè, che riporta alla memoria il bene fatto. Poi l’anima, libera da ogni impedimento terreno, spicca il volo verso il Paradiso, attraversando uno dopo l’altro i nove Cieli per raggiungere l’Empireo.

    Sotto le terre emerse, come abbiamo visto, sprofonda il grande spazio vuoto dell’Inferno. La terra abitata dagli uomini è il soffitto dell’Inferno. L’Inferno è la cantina degli uomini, che sta lì sotto i loro piedi, pronta a inghiottirli. Anche qui abbiamo balze di roccia, i cerchi. In ogni cerchio c’è lo spazio adibito alla punizione eterna di una categoria di peccatori. Questi spazi hanno quindi la forma di piste, delimitate, da una parte, dalla parete rocciosa, e, dall’altra, dal vuoto, in quanto aggettano sul cerchio che sta sotto, di minore circonferenza e di maggiore sofferenza. Nel fondo, al centro della terra, c’è una palude gelata a forma di cerchio, Cocito, dove sono puniti i Traditori, per Dante i peggiori tra i peccatori. La forma dell’Inferno è il negativo del Purgatorio, quindi Cocito ha nella voragine dell’Inferno la posizione che sulla montagna del Purgatorio ha il Paradiso Terrestre.

    Nel centro di Cocito, che è anche il centro della Terra e il centro dell’universo, sta, piantato fino alla vita, Lucifero. Ha tre facce e sotto ogni faccia un paio di enormi ali da pipistrello, mai ferme. Il movimento di queste ali soffia il vento gelido che ghiaccia la palude dei traditori. Quindi Cocito tutto s’aggelava (Inf. XXXIV 52) dice memorabilmente Dante. Il poeta descrive con stupefatto realismo il primo dei peccatori, l’ex-angelo Lucifero, angelo della luce, ora diventato ‘mperador del doloroso regno (XXXIV 28), visto che il suo peccato è consistito nel voler diventare Dio, imperatore del Cielo. Lui, che è all’origine di ogni male, è il più grandioso esempio di contrappasso, cioè di quella regola che stabilisce una punizione in qualche modo legata al tipo di peccato, per analogia o per contrasto.

    Arrivati, Dante e Virgilio, al fondo dell’Inferno e dell’universo, al centro della Terra, intirizziti dal vento del male, gli occhi allibiti e fissi nel buio quasi totale alla più brutta di tutte le creature²⁵, coi piedi sopra il disco gelato²⁶, come possono procedere nel loro viaggio oltremondano? Virgilio prende Dante a cavalluccio, poi comincia a scendere, aggrappandosi ai peli di Lucifero, nello stretto spazio libero che c’è tra il corpo del demonio e la crosta gelata. Quindi Lucifero non è davvero incastrato nel ghiaccio, ma è sospeso nel foro che permette ai due pellegrini di passare da un emisfero all’altro, attraversando il centro del mondo al qual si traggon d’ogne parte i pesi (XXXIV 111). A un certo punto Virgilio si volta e a Dante sembra di ritornare. Infine Virgilio lo mette a sedere sul bordo della crosta. Dante guarda in su e, dove pensava di vedere il tronco, vede le gambe all’aria di Lucifero. L’imperatore del male è ridicolo, sospeso com’è metà di qua e metà di là, al centro della Terra, che si rifiuta di toccarlo. Non può cadere più in basso, perché non c’è un più in basso. Nulla è peggiore e nulla è più grottescamente volgare. Di qua un mascherone da fiera con tre bocche che sbavano sangue masticando meccanicamente i tre peggiori traditori, Giuda, Cassio e Bruto. Di là le gambe all’aria come un animale rovesciato, incapace di muoversi.

    Il viaggio di Dante all’Inferno è finito. Ma la notte risurge e oramai/è da partir che tutto avem veduto (XXXIV 68-69) gli ha detto Virgilio.

    La Terra non è sempre stata così. Ha preso questa forma quando Lucifero è stato buttato giù dal Cielo, come spiega Virgilio a Dante, subito dopo aver superato il centro della Terra:

    Da questa parte²⁷ cadde giù dal cielo;

    e la terra, che pria di qua si sporse,

    per paura di lui fé del mar velo,

    e venne a l’emisperio nostro²⁸; e forse

    per fuggir lui lasciò qui loco vòto

    quella ch’appar di qua, e sú ricorse²⁹».

    Inf. XXXIV 121-126

    All’atto della sua ribellione, Dio ha fatto piombare Lucifero al centro della Terra, a testa in giù, nel punto più lontano da lui. Le terre emerse, che erano in quel tempo tutte nell’emisfero australe, al suo precipitare, si sono immerse nel mare (hanno fatto velo del mare) e sono emerse dall’altra parte del globo. Un’altra gran massa di materia, al passaggio delle terre emerse in fuga da Lucifero, si è auto vomitata in senso contrario formando la voragine dell’Inferno e la montagna del Purgatorio. Così Lucifero si trova con la testa e il busto nell’emisfero boreale e le gambe nell’emisfero australe. Le terre emerse, sulle quali scorre la storia umana, da allora sono nel lato debole del mondo. Infatti, secondo la teoria aristotelica elaborata da Averroè, che Dante fa propria, anche il mondo, come il corpo umano, ha la sua destra e il suo alto. L’alto del mondo è lo zenit australe, a picco sul Paradiso Terrestre. La caduta di Lucifero ha generato in un solo colpo terre emerse, Inferno e Purgatorio. Questo è il grande mito cosmogonico del poeta fiorentino.

    Inferno e Purgatorio sono realtà materiali. Anche se l’Inferno è una destinazione eterna e il Purgatorio invece alla fine dei tempi resterà disabitato, entrambi appartengono alla Terra. Il Paradiso invece appartiene alla dimensione eterea dell’universo, è un mondo di pura luce, luce intellettual piena d’amore (Par. XXX 40). Per arrivarci bisogna attraversare i Cieli, che hanno sostanza, ma una sostanza incorruttibile, pura, trasparente, molto diversa dalla materia della quale è fatta la Terra. Le anime purificate possono attraversare questi corpi come la luce attraversa il vetro. La struttura portante della Commedia, e la sorgente principale del suo grande fascino, è proprio questa: la commistione di eternità e di materia.

    Ordinamento morale dell’Inferno.

    Dante dedica un intero canto, l’XI, a istruire il lettore sui principi morali che lo hanno guidato nel distribuire i dannati nei vari luoghi di pena:

    "Venimmo, sul bordo di un’alta parete rocciosa fatto da un cerchio di macigni franati, a una stiva di maggiori tormenti. Qui, per l’orribile puzza che sale dal profondo abisso, indietreggiammo e facemmo riparo con il coperchio di un grande avello, sul quale vidi una scritta che diceva: ‘Io chiudo papa Anastasio, tratto dalla dritta via da Fotino l’eretico’. ‘Dobbiamo ritardare un poco il nostro scendere, finché il nostro senso si abitui al terribile fiato’. Così il maestro, e io: ‘Nel frattempo insegnami qualcosa, per non buttare via il tempo’. Ed egli: ‘Vedi che ci sto pensando’. ‘Figlio mio’, cominciò poi a dire, ‘qui sotto ci sono altri tre cerchi, come quelli che abbiamo appena visto. Sono colmi di spiriti dannati, distribuiti e puniti come ora ti spiego. Ogni cattiva azione, che guadagna in Cielo quell’odio che qui si paga, ha come scopo nuocere al prossimo. E si nuoce al prossimo o con la violenza o con la frode. La violenza non è esclusiva dell’uomo. Anche gli animali sono violenti. La frode invece sì, è esclusiva dell’uomo. Per questo spiace di più a Dio, e per questo è punita nei cerchi che stanno più sotto. Quindi il primo cerchio è tutto pieno di violenti. Ma, siccome si può fare violenza a tre persone (Dio, il prossimo e se stessi), è suddiviso in tre gironi. Inoltre, come sai, la violenza si può esercitare direttamente nella persona o, indirettamente, negli averi. Quindi al prossimo si può fare violenza diretta con omicidio e ferimenti, violenza indiretta con distruzioni, incendi, rapine, e altro. Ecco che nel primo girone sono incarcerati per sempre assassini, guastatori e ladri. Poi l’essere umano può esercitare violenza contro se stesso o contro i suoi averi. Per questo, nel secondo girone, sono messi insieme suicidi e scialacquatori. Infine ci sono i Violenti contro Dio: nella sua persona, e sono i bestemmiatori e i negatori della sua esistenza, e nella natura, che è l’opera di Dio. Quest’ultima schiera comprende i sodomiti e gli usurai. Passiamo alla frode. Ci sono due grandi categorie di fraudolenti: quelli che frodano chi non si fida e quelli che frodano chi si fida di loro. Questa seconda categoria è la peggiore, ed è punita più duramente, perché non rompe solo il vincolo naturale tra gli uomini, ma anche vincoli speciali, che si aggiungono a quello: famiglia, patria, ospiti, benefattori’. E io: ‘Maestro mio, mi sono chiare le tue argomentazioni, che distinguono assai bene i luoghi del baratro e i dannati in esso contenuti. Ma dimmi: perché quelli percossi dal vento (Lussuriosi), quelli battuti dalla pioggia (Golosi), quelli che rotolano macigni insultandosi (Avari e Prodighi) o che stanno immersi nel fango (Accidiosi e Iracondi), non sono dentro la città di Dite? Se Dio li ha in ira dovrebbero essere qui. E se non è così, perché sono puniti?’. Ed egli a me: ‘Perché esci così dai solchi che conosci? A cosa tira la tua mente? Pensa ad Aristotele, alla sua Etica, nella quale tratta approfonditamente le tre disposizioni al peccato dell’uomo: incontinenza, malizia e matta bestialità. Delle tre l’incontinenza è quella che offende meno Dio e quindi riceve punizioni più lievi’. ‘Grazie, maestro mio’, dissi io. ‘Tu sei come il sole che con la sua luce viene a fugare i dubbi della notte. Ma dimmi ancora una cosa: perché mai l’usura offende Dio?’. ‘Dio crea la natura’ mi rispose, ‘essa è la sua arte, il suo lavoro. Gli uomini anch’essi lavorano, per procurarsi il necessario alla vita. Il lavoro dell’uomo è simile al lavoro di Dio, esso si esercita sulla natura che è figlia di Dio. Quindi l’arte dell’uomo, si può dire, è nipote di Dio. L’usuraio non lavora con la natura, come fanno tutti gli altri uomini, ma compra e vende denaro e approfitta del tempo intercorso tra una operazione e l’altra. Il suo è un esercizio contro la natura e contro il lavoro. Ma ora basta, è ora di riprendere il cammino, ché su, a Gerusalemme, l’Orsa sta per tramontare e i Pesci guizzano all’orizzonte, e là poco più avanti si può scendere la riva’."

    Schema e personaggi dell’Inferno

    Figura 1

    Schema dell’Inferno di Dante.

    Ampia di sopra per circonferenza di.... miglia e appuntata di sotto; la quale punta, il centro dell’universo in sé ritenga, compartendola in nove parti, cioè gradi, l’uno sotto l’altro circostantemente degradando sì come nove qualità di peccati, le quali secondo la lor gravezza e più e meno lontani dal cielo, cioè dal sommo bene, ordinatamente sortisce. (Jacopo Alighieri).

    Ordinamento morale del Purgatorio

    Il canto XVII è in gran parte dedicato a spiegare al lettore l’ordinamento morale del Purgatorio. Siamo nella terza cornice, dove gli Iracondi espiano la loro colpa camminando e cantando avvolti da un fumo acre che brucia loro la gola e gli occhi. Virgilio e Dante hanno camminato con loro, ora però stanno uscendo dalla nuvola. Dante racconta:

    Pensa, lettore, se qualche volta in montagna ti ha sorpreso la nebbia, fitta tanto da non farti vedere nulla, come una talpa con gli occhi coperti dalla pelle, a come il sole penetra debolmente attraverso i vapori umidi e spessi quando questi comimìnciano a diradarsi; allora capirai facilmente come io rividi un poco di sole, che ormai stava per tramontare. Così, camminando al fianco della mia fida guida, uscii dal fumo e rividi la luce del sole basso all’orizzonte.

    Poi il poeta racconta di aver avuto tre visioni, tre scene di ira punita, generate dentro la sua fantasia da illuminazioni volute dal Cielo: Progne, Aman e Amata.

    Ma una luce improvvisa e innaturale colpì la mia vista e fece terminare le visioni. Sentii una voce dire ‘Qui si sale’, voce che mi riempì di un tale desiderio di vedere chi aveva parlato da non poter resistere. Io mi voltai, ma la mia facoltà visiva non era sufficiente, come quando si tenta di guardare il sole. ‘Questo è un angelo che ci indica la strada per salire’ mi disse Virgilio. ‘Ora affrettiamoci a raccogliere il suo invito; cerchiamo di salire prima che faccia buio. Dopo sarebbe impossibile prima che il giorno ritorni’. Insieme a lui volsi i miei passi a una scala; e non appena fui sul primo gradino, sentii vicino al viso un soffio come d’ala e una voce che diceva: ‘Beati i mansueti, che sono privi di ira malvagia!’. Ora le stelle apparivano da ogni lato. Io dicevo fra me e me: ‘O mia virtù, perché mi abbandoni così?’, perché sentivo venir meno la forza delle gambe. Ma arrivammo là dove la scala non saliva oltre, e ci fermammo come una nave al molo. Io aspettai un poco, poi, non sentendo né vedendo nulla, mi rivolsi al mio maestro e dissi: ‘Dolce padre mio, dimmi, quale colpa si sconta nella cornice dove ci troviamo? Se i piedi stanno fermi, non cessi il tuo insegnamento’. E lui a me: ‘Qui si espia l’amore del bene, quando è mancante del suo dovere; qui si ribatte il remo che fu troppo lento in vita.

    Le parole di Virgilio significano che la quarta cornice ospita i penitenti che in vita sono stati lenti e deboli ad amare: Accidiosi. Poi il saggio antico aggiunge che useranno fruttuosamente la sosta forzata (di notte in Purgatorio non si avanza) a ragionare sulla struttura fisico-morale della montagna della penitenza.

    Né creator né creatura mai,

    cominciò el, "figliuol, fu sanza amore,

    o naturale o d’animo; e tu ‘l sai³¹.

    Lo naturale è sempre sanza errore,

    ma l’altro puote errar per malo obietto

    o per troppo o per poco di vigore.

    Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,

    e ne’ secondi sé stesso misura,

    esser non può cagion di mal diletto;

    ma quando al mal si torce, o con più cura

    o con men che non dee corre nel bene,

    contra ‘l fattore adovra sua fattura.

    Quinci comprender puoi ch’esser convene

    amor sementa in voi d’ogne virtute

    e d’ogne operazion che merta pene.

    Or, perché mai non può da la salute

    amor del suo subietto volger viso³²,

    da l’odio proprio son le cose tute;

    e perché intender non si può diviso,

    e per sé stante, alcuno esser dal primo,

    da quello odiare ogne effetto è deciso.

    Resta, se dividendo bene stimo³³,

    che ‘l mal che s’ama è del prossimo; ed esso

    amor nasce in tre modi in vostro limo³⁴.

    É chi, per esser suo vicin soppresso,

    spera eccellenza³⁵, e sol per questo brama

    ch’el sia di sua grandezza in basso messo;

    è chi podere, grazia, onore e fama

    teme di perder perch’ altri sormonti,

    onde s’attrista sì che ‘l contrario ama³⁶;

    ed è chi per ingiuria par ch’aonti,

    sì che si fa de la vendetta ghiotto³⁷,

    e tal convien che ‘l male altrui impronti.

    Questo triforme amor qua giù di sotto

    si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,

    che corre al ben con ordine corrotto.

    Ciascun confusamente un bene apprende

    nel qual si queti l’animo, e disira;

    per che di giugner lui ciascun contende.

    Se lento amore a lui veder vi tira

    o a lui acquistar, questa cornice,

    dopo giusto penter, ve ne martira³⁸.

    Altro ben è che non fa l’uom felice;

    non è felicità, non è la buona

    essenza, d’ogne ben frutto e radice³⁹.

    L’amor ch’ad esso⁴⁰ troppo s’abbandona,

    di sovr’ a noi si piange per tre cerchi⁴¹;

    ma come tripartito si ragiona,

    tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi."

    Purg. XVII 81-139

    Cominciò: ‘Né il Creatore, né alcuna creatura, figliolo, fu mai senza amore, o naturale o volontario, e lo sai bene. Quello naturale non sbaglia mai, l’altro invece può sbagliare perché rivolto a un oggetto sbagliato, oppure per poco o troppo vigore. Se è indirizzato pienamente a Dio e tenuto sotto controllo nei confronti dei beni materiali, non c’è piacere malvagio. Ma quando si volta con desiderio al male o guarda al bene con forza minore del giusto, la creatura agisce contro il suo creatore. Da questo argomentare puoi capire che in voi uomini l’amore è causa di ogni virtù come di ogni azione che meriti d’essere punita. Ora, siccome l’amore non può mai distogliere lo sguardo dal bene del soggetto amante, ogni essente è immune dall’odio per se stesso. Ne consegue che, essendo ogni creatura intimamente legata a Dio, nessuno può odiare Dio. Resta, se sto ben ragionando, che si può amare il male solo se è quello del prossimo; e questo amore nasce nel vostro fango in tre modi. C’è chi spera di ottenere rilevanza dalla disgrazia del vicino e per questo brama che quello cada in miseria; c’è chi teme di perdere potere, favori, onore e gloria, e per questo ha paura che un altro salga più di lui, e prova tanta angoscia per questo da desiderare il contrario; e c’è chi si sente offeso per offesa ricevuta tanto da diventare goloso di vendetta, predisponendo il male altrui. Questi sono i tre amori puniti nelle cornici sottostanti. Ma ora voglio che consideri l’altro amore, quello che desidera il bene in modo sbagliato. Tutti immaginano confusamente un bene nel quale l’anima trovi quiete, e tutti lo desiderano; per cui tutti lottano per raggiungerlo. Se lo si cerca con troppo debole amore, e ci si pente di questo, si espia giustamente in questa cornice. Ci sono poi altri beni che non fanno felice l’uomo; non è in loro la felicità, non è in loro l’essenza che è radice e frutto di ogni bene. L’amore che s’abbandona con eccesso a questi altri beni si espia nelle prossime tre cornici; ma non ti dico come sia razionalmente tripartito, in modo che tu lo capisca da solo’.

    Dante deve capire da solo che le ultime tre cornici sono destinate alla purgazione di Avari e Prodighi, Golosi e Lussuriosi.

    Schema e personaggi del Purgatorio

    Descrizione: Descrizione: A_cone-shaped_mountain_rises_out_of_the_sea%2C_crowned_by_a_tr_Wellcome_V0047947

    Figura 2

    Schema del Purgatorio.

    Illustrazione per una edizione della Commedia di Nicolò Bettoni (1825)

    Ordinamento morale del Paradiso

    Dante incontra le anime beate nei vari cieli della astronomia aristotelica. Ma non sono i Cieli il luogo della beatitudine eterna. Tutti i beati sono nell’Empireo, al di là dello spazio aristotelico, dove appaiono a Dante seduti in un immenso anfiteatro, su scanni disposti intorno al grande lago di luce che è Dio. Ma non godono tutti della stessa profondità di visione. Esiste una gerarchia della felicità eterna, premio al merito. Come nell’Inferno chi ha agito peggio soffre di più, in Paradiso chi ha agito meglio gode di più. Per mostrare a Dante il grado della loro beatitudine, le anime gli appaiono nei Cieli, dal più vicino alla Terra, quello della Luna a quello più lontano, il Cielo di Saturno. Nel Cielo della Luna il poeta incontra gli spiriti mancanti, quelli che, pur essendo perfettamente felici, penetrano meno profondamente nella mente divina. Lo spiega con parole chiare e sublimi Piccarda Donati:

    Anzi è formale ad esto beato esse

    tenersi dentro a la divina voglia,

    per ch’una fansi nostre voglie stesse;

    sì che, come noi sem di soglia in soglia

    per questo regno, a tutto il regno piace

    com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia.

    E ‘n la sua volontade è nostra pace:

    ell’è quel mare al qual tutto si move

    ciò ch’ella cria o che natura face».

    Par. III 79-87

    È anzi essenziale a questo essere beati stare dentro la volontà divina, per cui le nostre volontà individuali si uniformano in una voglia sola; così che come siamo distribuiti di cielo in cielo nel Paradiso, piace a tutto il Paradiso, come al re che ci fa voler ciò che Lui vuole. La nostra pace è nel suo volere: Lui è quel mare verso il quale fluisce tutto ciò che crea direttamente o tramite natura.

    Infatti nel Cielo di Saturno, immediatamente sotto il Cielo delle Stelle Fisse, appaiono a Dante gli Spiriti Contemplanti, quelli che già in vita furono capaci di penetrare parzialmente il mistero divino e che ora ne sono pienamente partecipi.

    Man mano che ci si allontana dalla Terra, teatro dei desideri illeciti e delle pulsioni criminali, la aumentata purezza cosmica si fa sempre più adatta alla apparizione delle anime eccelse, cioè le più lontane, in vita, dalle avidità terrene:

    Primo cielo (Luna) – Spiriti mancanti ai voti

    Secondo cielo (Mercurio) – Spiriti combattenti per la gloria

    Terzo cielo (Venere) – Spiriti amanti

    Quarto cielo (Sole) – Spiriti sapienti

    Quinto cielo (Marte) – Spiriti combattenti per la fede

    Sesto cielo (Giove) – Spiriti giusti

    Settimo cielo (Saturno) – Spiriti contemplanti

    Nell’ottavo Cielo, quello delle Stelle Fisse⁴², Dante ci descrive con parole ardenti quello che ha visto lì: il trionfo di Cristo e di Maria, attorniati da tutti i beati, gli spiriti trionfanti. Beatrice:

    "Perché la faccia mia sì t’innamora,

    che tu non ti rivolgi al bel giardino

    che sotto i raggi di Cristo s’infiora?

    Quivi è la rosa in che ‘l verbo divino

    carne si fece; quivi son li gigli

    al cui odor si prese il buon cammino."

    Par. XXIII 70-75

    La rosa è Maria, e i gigli sono i beati. Insieme compongono il giardino del Paradiso, che fiorisce sotto i raggi di Cristo/Sole.

    Nell’Empireo, un non-luogo che coincide con la mente di Dio, i beati appaiono a Dante seduti su scanni digradanti, vestiti di una stola bianca. Tutti insieme formano la candida rosa. Siamo fuori dallo spazio materiale, essendo questo cielo pura luce. Qui non sono attive le leggi della fisica, il tempo non scorre e ogni cosa, anche la più lontana, è percepita dalla vista del poeta come in primo piano. Quindi tutto ciò che Dante vede è una rappresentazione simbolica di una realtà puramente spirituale, una messa in scena per far vedere a un vivo cose che i vivi non sono in grado di vedere, perché purissimamente immateriali

    I beati sono divisi, spiega san Bernardo, in due settori: quelli che hanno creduto in Cristo venturo e quelli che hanno creduto in Cristo venuto. Da una parte il punto di divisione è segnato da Maria e dai seggi che sono sotto di lei (le donne ebree, tra cui Eva, Rachele, Sara, Rebecca, Giuditta, Ruth), dall’altra da Giovanni Battista e dagli scanni sotto di lui, occupati da san Francesco, san Benedetto da Norcia, sant’Agostino d’Ippona, ecc. Alla destra di Maria siede san Pietro, alla sinistra Adamo. In posizione diametralmente opposta a san Pietro, alla destra di Giovanni Battista, c’è Anna, la madre di Maria. Alla sinistra santa Lucia.

    Schema e personaggi del Paradiso

    Descrizione: Descrizione: Michelangelo_Caetani,_Overview_of_the_Divine_Comedy,_1855_Cornell_CUL_PJM_1071_01

    Figura 3

    Michelangelo Caetani La materia della Divina commedia di Dante Alighieri dichiarata in VI tavole, Montecassino.

    Abele

    Trasseci⁴³ l’ombra del primo parente⁴⁴,

    d’Abèl suo figlio e quella di Noè,

    Inf. IV 55-56

    "Portò via l’anima del primo genitore (Adamo), di Abele suo figlio e quella di Noè."

    È Virgilio che parla. Siamo nel Limbo, la parte dell’Inferno destinata ai non battezzati, che però sono vissuti sanza vizio.

    Dante si è addormentato sulla rive dell’Acheronte (vedi Caronte). Ora si trova dall’altra parte. Il suo sonno è durato un attimo, il tempo che separa il lampo dal tuono. Tempo che però è stato sufficiente al passaggio sull’altra riva (del quale passaggio Dante non ci dice niente), e i suoi occhi ora sono riposati.

    Ruppemi l’alto sonno⁴⁵ ne la testa

    un greve truono, sì ch’io mi riscossi

    come persona ch’è per forza desta;

    e l’occhio riposato intorno mossi,

    dritto levato, e fiso riguardai

    per conoscer lo loco dov’ io fossi.

    Vero è che ‘n su la proda mi trovai

    de la valle d’abisso dolorosa

    che ‘ntrono⁴⁶ accoglie d’infiniti guai⁴⁷.

    Oscura e profonda era e nebulosa

    tanto, che, per ficcar lo viso⁴⁸ a fondo,

    io non vi discernea alcuna cosa.

    «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,

    cominciò il poeta tutto smorto;

    «io sarò primo, e tu sarai secondo».

    E io, che del color mi fui accorto,

    dissi: «Come verrò, se tu paventi⁴⁹

    che suoli⁵⁰ al mio dubbiare esser conforto?».

    Ed elli a me: «L’angoscia de le genti

    che son qua giù nel viso mi dipigne

    quella pietà che tu per tema senti.

    Andiam, ché la via lunga ne sospigne».

    Inf. IV 1-22

    Il mio profondo sonno fu interrotto da un greve tuono, che mi riscosse svegliandomi con la sua forza. Messomi dritto in piedi, girai intorno gli occhi riposati per capire senz’altro dove io fossi. Ed ero sulla riva della valle d’abisso dolorosa, che raccoglie il rombo di infiniti lamenti. Era oscura, profonda e fumosa, tanto che pur ficcando gli occhi nel fondo, non potevo discernere nulla. ‘Ora scendiamo nel mondo senza luce.’ Cominciò il poeta tutto smorto. ‘Io vado avanti e tu seguimi’. E io che m’ero accorto del suo pallore: ‘Come posso seguirti se hai paura, tu che di solito mi rincuori quando temo’. Ed egli a me: ‘L’angoscia delle genti che sono quaggiù mi dipinse nel viso quella pietà che tu prendi per paura. Andiamo ché la via lunga ci sprona’.

    Così si mise e così mi fé intrare

    nel primo cerchio che l’abisso cigne.

    Quivi, secondo che per ascoltare,

    non avea⁵¹ pianto mai che⁵² di sospiri

    che l’aura etterna facevan tremare;

    ciò avvenia di duol sanza martìri⁵³,

    ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi⁵⁴,

    d’infanti e di femmine e di viri⁵⁵.

    Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi

    che spiriti son questi che tu vedi?

    Or vo’ che sappi, innanzi che più andi⁵⁶,

    ch’ei⁵⁷ non peccaro⁵⁸; e s’elli hanno mercedi,

    non basta, perché non ebber battesmo,

    ch’è parte⁵⁹ de la fede che tu credi;

    e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,

    non adorar debitamente a Dio⁶⁰:

    e di questi cotai⁶¹ son io medesmo.

    Per tai difetti, non per altro rio⁶²,

    semo⁶³ perduti, e sol di tanto⁶⁴ offesi

    che sanza speme⁶⁵ vivemo in disio⁶⁶».

    Inf. IV 23-42

    "Così entrò e così mi fece entrare nel primo cerchio che cinge l’abisso. Qui, secondo quanto si sentiva, l’aria eterna tremava più di sospiri che di pianto; ciò avveniva per dolore senza martiri, che avevano le turbe, grandi e numerose, di bambini e di donne e di uomini. Il mio maestro disse: ‘Tu non chiedi che anime sono queste che tu vedi? Voglio che tu sappia, prima di andare avanti, che questi non peccarono; e se hanno meriti, non bastano, perché non ebbero battesimo, che è parte della fede in cui tu credi; e se nacquero prima di Cristo, non adorarono Dio come avrebbero dovuto: e di questi faccio parte io stesso. Per questi difetti, non per altra colpa, siamo perduti, e tormentati solo di tanto: che senza speranza viviamo in desiderio’."

    Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi,

    però che gente di molto valore

    conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi.

    «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,

    comincia’ io per volere esser certo

    di quella fede che vince ogne errore⁶⁷:

    «uscicci⁶⁸ mai alcuno, o per suo merto

    o per altrui, che poi fosse beato?».

    E quei, che ‘ntese il mio parlar coverto⁶⁹,

    rispuose: «Io era nuovo in questo stato⁷⁰,

    quando ci vidi venire un possente,

    con segno di vittoria⁷¹ coronato.

    Inf. IV 43-54

    "Un gran dolore mi prese al cuore a sentirlo, perché capii che sospesa in quel limbo c’era gente di grande valore. ‘Dimmi, maestro mio, dimmi, signore’, dissi io che volevo essere certo oltre ogni dubbio, ‘uscì mai di qui qualcuno, per suo merito o per merito altrui, per diventare beato?’. E lui, che capì il senso

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