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Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico: Scherana, #1
Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico: Scherana, #1
Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico: Scherana, #1
E-book411 pagine5 ore

Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico: Scherana, #1

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Info su questo ebook

La Scherana è addestrata per pensare prima al bene dell'Ordine Esoterico, ma l'affetto di un'orfana farà sorgere in lei il desiderio d'essere madre e liberarsi dall'asservimento alla congregazione massonica. Le sue speranze di una vita ordinaria vengono minacciate dagli eventi che sconvolgeranno le vie di Parigi e le vite dei Gran Maestri dell'Ordine Esoterico. Sarà costretta a compiere una scelta dolorosa e assumerà l'incarico più pericoloso della propria vita, consapevole che non potrà mai trovare la redenzione. Ma gli avvenimenti sembrano essere governati da una forza ancestrale che la guiderà alla scoperta delle proprie origini, fino a farle riscoprire i propri affetti. Parigi è in festa per l'approssimarsi del Capodanno, quando viene sconvolta da una serie di barbari delitti. L'Ordine Esoterico è colpito con brutale forza e le sue arcane fondamenta, risalenti all'epoca di Salomone, si stanno per sgretolare sotto i colpi inferti dai suoi secolari nemici. Le indagini della police sembrano complicarsi, una scia di morti sospette rende la città inospitale per i turisti: il commissario Moreau sembra brancolare nel buio. Dietro al traffico di reperti archeologici si celano gli insospettabili conti Gaillard, i quali sono alla ricerca dei leggendari rotoli di pergamena dell'Ordine Esoterico che secondo l'antica tradizione celano un segreto di primordiale importanza. I Gaillard aiutati dalla banda di criminali capeggiata dai fratelli Decker sembrano avere ogni cosa sotto il loro controllo, ma dalle ombre della città emerge una forza oscura che illuminerà le tenebre e sconvolgerà le vite dei protagonisti.

LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2024
ISBN9798224029365
Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico: Scherana, #1
Autore

Federico Ferrantini

Federico Ferrantini, laureato in Giurisprudenza presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nel settore dei media e della comunicazione. Scherana rappresenta il suo romanzo d'esordio per Helike Edizioni.

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    Anteprima del libro

    Scherana. Angelo o Demone. La storia segreta dell'Ordine Esoterico - Federico Ferrantini

    Helike Edizioni

    Federico Ferrantini

    Scherana - Angelo o demone. La storia segreta dell’Ordine Esoterico

    ISBN 9788894626902

    © 2021 Helike Edizioni

    Helike Edizioni è un marchio di proprietà di Argo Editore

    www.scherana.com

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono stati usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone viventi o defunte, eventi o luoghi reali, è da considerarsi puramente casuale. 

    Capitolo 1

    «Monsieur Simons, di Bruxelles?»

    Alain si voltò, aspirò l’aroma fruttato del sigaro e annuì. L’uomo tarchiato si avvicinò ghignandogli fatalmente, sfilò il pugnale argenteo dalla giacca di pelle carbone e affondò il colpo, spegnendo il riverbero dell’affilata lama nelle profondità delle sue viscere. Avvertì la gelida sciabolata fenderlo e il freddo arido del metallo risalire fino al cuore. Sbuffò sofferenza in una nuvola di fumo, nell’aria pungente soffiata dai refoli parigini. Lo stupore negli occhi si trasformò in rabbia, l’incredulità si tramutò in speranza di sopravvivenza. In un disperato gesto di protesta, facendo ricorso agli ultimi aneliti di vitalità, spense il sigaro contro la faccia del suo aggressore. L’assassino imprecò con disprezzo e si allontanò con abituale disinvoltura. Alain era disteso sui ciottoli gelidi di Rue Lepec, con gli occhi vacui che fissavano la tondeggiante luna. Sentiva la vita abbandonarlo, spezzata da una folata fatale a pochi giorni dal Natale. 

    Erano da poco passate le otto di sera quando Alain uscì dal bistrò Le Madigotte, dopo aver ordinato del Foie Gras. Rue Lepec era deserta. Il clangore delle serrande dei negozi, che venivano abbassate annunciando la fine della giornata lavorativa, risuonava liberatorio nel quartiere. Spifferi vaporosi trascinavano foglie inaridite sui ciottoli che lastricavano la via. Sua moglie e sua sorella lo attendevano all’angolo dell’accogliente bistrò. Appena prima di uscire in strada aveva indicato l’articolo di un quotidiano distrattamente abbandonato sul tavolo. Ladro gentiluomo disonora il Louvre. Trafugati reperti dal valore inestimabile. I sospetti sembrano ricadere sull’inafferrabile Spettro, aveva letto. «Questo... Spettro! È fortunato a non averti sulle sue tracce, sorellina!», aveva ironizzato Alain, strappando un sorriso alle due donne. «Ho bisogno di fumare!», le aveva salutate alzandosi per raggiungere l’uscio.

    Accese il sigaro e assaporò l’Hoyo de Monterrey, rilassandosi con gli aromi di frutta secca. Dal buio, in lontananza, fu sorpreso da un richiamo. «Alain, amico!», udì. Si voltò. Vide un uomo tarchiato uscire dalla penombra, con la camminata rozza e lo stile brigantesco. Non lo aveva riconosciuto. Certamente un parente dell’amata moglie, nata e cresciuta a Parigi, considerò. Prima che potesse soddisfare la propria curiosità, l’uomo tarchiato lo assalì fatalmente.

    Sua sorella Sigrid e sua moglie Eloise sedevano al tavolo de Le Madigotte, discutevano dell’articolo di giornale indicato da Alain. «Lo Spettro è molto famoso a Parigi! Le sue imprese hanno persino ispirato alcuni romanzi!», precisò Eloise, rispondendo all’incredulità della cognata. Lei era un’impiegata amministrativa presso il commissariato della polizia di Bruxelles, dove Sigrid era divenuta un’affermata e stimata detective. Le due donne erano diventate buone amiche, condividevano il luogo di lavoro e l’affetto per Alain. La gradevole conversazione venne interrotta dall’inquieto bramire che penetrò dalla strada. Attirata dalla concitazione, Eloise raggiunse l’uscio del bistrò: quando vide Alain steso a terra, con una chiazza vermiglia che inondava la camicia panna, svenne cadendo sul manto pietroso della via.

    Sigrid si gettò sul corpo esanime del fratello, a cercare i segni di quella vitalità che lo avevano sempre contraddistinto. Poggiò i palmi delle mani sull’addome dell’uomo, cercando di tamponare l’eruzione cremisi. Sapeva che non c’erano speranze ma volle scansare la razionalità e aggrapparsi all’illusione. Alzò lo sguardo sull’assembramento di curiosi, incredula. I suoi capelli scarlatti avvolgevano il lacerante dolore che sgorgava argenteo dai suoi occhi ardesia.

    Capitolo 2

    Aveva eluso la sorveglianza fingendosi un’orchestrale, brandendo il suo inseparabile violino. Le era stato affidato l’incarico di smascherare l’ambiguità dei conti Gaillard e aveva spiato le loro mosse per buona parte del pomeriggio, senza ottenere i risultati sperati: decise di sveltire la pratica e raggiungere il caveau al piano seminterrato della villa, voleva attirare la loro attenzione e valutare la minaccia. La residenza Gaillard era immersa nella tranquillità, circondata dalla vegetazione. Le pareti nella sala del ricevimento erano ricoperte da dipinti che raffiguravano scene di battaglie a cavallo. Dal soffitto, intagliato in legno niveo, si calavano lampadari di cristallo in stile settecentesco. Due grandi vetrate affacciavano sul maestoso terrazzo, da dove poteva scorgersi la scia della Senna rischiarata dalla luna. Le cameriere, nei loro impeccabili completi con camicia bianca e gonna blu, si facevano largo tra la cacofonia festante brandendo vassoi colmi di pietanze.

    I conti Gaillard intrattenevano gli ospiti colloquiando amabilmente, con gentilezza e disponibilità, mentre il sottofondo musicale si mescolava al moderato brusio. Philippe era un uomo mite che aveva appena raggiunto i sessant’anni, dalla fronte alta e lo sguardo mesto. Mentre sua moglie, la contessa Sophie Gaillard, snella e di dodici anni più giovane, sembrava lo superasse non solo in altezza ma anche in astuzia. Erano proprietari della prestigiosa maison di vini champagne Mollermy, nata dalla fusione delle rispettive casate dopo le loro nozze. Un matrimonio voluto dalla contessa Marine Liberec, madre di Sophie, che aveva scorto nella loro unione un’opportunità patrimoniale da cogliere anche a discapito della figlia. Come ogni anno, in prossimità del Natale, i Gaillard organizzavano un pomposo banchetto per formalizzare gli auguri agli eminenti ospiti: tradizione divenuta, con il trascorrere degli anni, una delle serate più attese dagli ambienti benestanti di Parigi.

    Scuoteva leggiadra le corde con l’archetto e le pizzicava armoniosa con le dita, mantenendo il violino poggiato contro l’elegante collo, stretto al mento definito. La violinista scrutava gli astanti nella sala del ricevimento, attenta a cogliere il momento propizio. Notò uno dei camerieri dall’atteggiamento sospetto che scorgeva sfuggente i conti Gaillard, nei suoi occhi le sembrò d’intravedere un guizzante sentimento di vendetta. Si scusò con i colleghi musicisti e abbandonò l’orchestra per raggiungere la toilette, alludendo affabile a un’inattesa e forzata pausa. Varcò l’uscio attirando lo sguardo dei commensali: la marmorea eleganza della violinista la rendevano simile a una scultura deistica che aveva rotto la propria secolarità per avanzare vivida tra la folla ammaliata. Svanì oltre gli archi nivei della sala e discese le scale senza varcare la soglia dei bagni, raggiungendo il piano seminterrato. Trovò rassicurante il crepitio delle pirofile adagiate sui fornelli della cucina, per un istante sognò di vivere un’esistenza diversa da quella che le era stata imposta. Visualizzò la mappa planimetrica della casa, memorizzata la sera precedente davanti al suo caminetto, e proseguì cauta. Percorse l’androne fino al montacarichi, una cameriera uscì dalla cucina con un vassoio fumante e la salutò indaffarata. S’incamminò superando l’arco dove l’androne si stringeva a formare un cunicolo. Percorse la strettoia fino all’ala ovest della villa. Sbucò in una lussuosa anticamera con poltrone in pelle carminio: la sala era sorvegliata dalle telecamere ma non se ne preoccupò, voleva essere notata e forzare gli eventi. Non aveva i mezzi per violare la porta blindata che s’imponeva circolare alla parete. Finse di scardinare la blindatura avvicinandosi alle serrature e attese, decisa a cogliere i segnali di una trama che stentava a emergere. Rifletteva sulla genuinità dei conti Gaillard. Magari non nascondono nulla di oscurò, considerò. Due uomini della sorveglianza la sorpresero. «Alzi le mani e si volti lentamente!», le ordinarono. Finalmente! Vediamo cosa nascondono gli stimati Gaillard!, ironizzò tra sé la violinista, lasciandosi sopraffare dalle guardie.

    Capitolo 3

    Aveva programmato il furto per settimane e quello stesso pomeriggio aveva hackerato il sistema di videosorveglianza della villa Gaillard. Nessuno dei presenti sospettava che il temibile Spettro, lo sfuggente e inafferrabile ladro che opprimeva i ricchi possidenti parigini, si celava tra loro, camuffato da cameriere e pronto ad agire. Estrasse dalla giacca il suo smartphone e controllò i filmati del sistema di sicurezza. Scrutò la donna che percorreva il corridoio parallelo alle cucine, riconobbe la violinista che poco prima aveva abbandonato l’orchestra. I suoi capelli platino sembravano una scia fluorescente che sfocava l’inquadratura del piccolo schermo. Osservò la cameriera uscire dalle cucine con un vassoio in mano e la violinista svanire sotto l’arco dell’androne. Attese. Uno dei cuochi spinse un carrello portavivande, lasciandolo incustodito davanti l’ascensore. È il momento!, si disse. Ripose lo smartphone nella tasca della giacca e discese le scale raggiungendo le cucine. Uno dei cuochi stava per afferrare il carrello portavivande, ma venne rallegrato dalla voce alle sue spalle. «Mi occupo io della vecchia!», pronunciò lo Spettro camuffato da cameriere, spingendo il carrello nel vano ascensore. Si specchiò nell’argenteria adagiata sul portavivande, si aggiustò gli occhiali, fissò il parrucchino con codino castano e attese che il portello del montacarichi si schiudesse al piano terra. Afferrò uno dei vassoi e lo consegnò ai due vigilanti di guardia all’ingresso, poggiandolo sulla postazione dei monitor di sorveglianza, nell’atrio della villa. Salutò le guardie e rientrò nel vano ascensore. Raggiunse gli alloggi al piano superiore, dove la contessa Marine Liberec, una dispotica settantacinquenne che amava cenare distante dalle distrazioni, attendeva il suo pasto serale. Bussò e si allontanò con immediatezza, lasciando il portavivande sulla soglia.

    Lo Spettro puntò le fotocamere dello smartphone sulla scalinata che introduceva al piano superiore. L’unico modo di agire indisturbato all’interno della villa era quello di sostituire i video della sorveglianza con filmati ripetitivi che mostravano gli ambienti sgomberi. Inviò le riprese al circuito chiuso della vigilanza, ormai accessibile essendo stato hackerato, e ripose lo smartphone nella tasca della giacca. Pigiò il pulsante del seminterrato senza penetrare nel vano ascensore e attese che il montacarichi raggiungesse le cucine. Sapeva che i vigilanti appostati nell’atrio avrebbero atteso di scorgere l’ascensore sfilare fino al piano inferiore, per assicurarsi che il cameriere fosse ridisceso dopo aver servito la contessa. Salì le scale e violò lo studio del conte Philippe Gaillard, al secondo piano della villa. Le pareti erano intagliate in legno bruno, con una sontuosa scrivania castagno e disadorna usata come altare per le foto della moglie e dei due figli. Una libreria era adagiata alla parete e manteneva in ordine poche decine di libri. Mentre i tendaggi vistosi delle due finestre, con le stoffe color miele, oscuravano completamente l’ambiente. La sua attenzione si concentrò sul crocifisso in oro massiccio esposto oltre la scrivania, fissato alla parete. Da quando ebbe la notizia che la reliquia non era più custodita nel caveau della villa, non passò giorno senza che avesse progettato il furto. Un brivido lo colse improvviso e i ricordi affiorarono prepotenti dal torpore nel quale li aveva relegati. Bramava il momento in cui il crocifisso fosse nuovamente tra le sue mani, le stesse che l’avevano coccolato da bambino, quando aiutava il nonno a ripulirlo dalla polvere che penetrava dalla campagna. Notò i contatti del sistema d'allarme, non si scoraggiò, era preparato a ogni evenienza. Stava per afferrarlo, per farlo suo quando udì passi veloci e grevi provenire dal corridoio. Si accostò a una delle finestre, celando la sua presenza oltre i tendaggi miele.

    Due energumeni in abito nero penetrarono nello studio, trascinando una donna con i polsi legati dallo scotch adesivo. Uno dei gorilla la fece sedere sgraziatamente sulla sedia, mentre l’altro poggiò la custodia di un violino sul pavimento in parquet.

    Lo Spettro riconobbe l’elegante violinista, con giacca e pantaloni atri. I suoi capelli tinti sembravano una cascata d’oro liquido. Avrebbe potuto liberarla con destrezza, servendosi dei dardi stordenti custoditi nella tasca della giacca ma voleva dare priorità alla missione: doveva rubare il crocifisso.

    Marine Liberec, accompagnata dalla figlia Sophie Gaillard, raggiunse lo studio. «Non credo abbia mai conosciuto il mio defunto marito!», introdusse l’anziana contessa. «Il mio povero Hector mi parlava spesso della natura demoniaca che lei riesce a eguagliare, la considerava talmente letale da temerla più del cancro! Il mio caro Hector esagerava sempre!», si immalinconì. «Non sembra così pericolosa, ora che l’abbiamo catturata!», commentò altezzosa, schernendo la violinista.

    Sophie Gaillard si sedette alla scrivania, nello studio del marito, con l’espressione disinteressata di chi non traeva alcuna soddisfazione dalla circostanza, infastidita per essere stata sottratta ad attività che preferiva.

    «Mia figlia non riesce a comprendere quale sinistro terrore nasconda la sua presenza in questa dimora, crede che lei sia realmente una musicista!», considerò Marine, scorgendo con apprensione Sophie. «La perdoni se non le accorda la dovuta reverenza!», concesse alla violinista.

    Lo Spettro non comprendeva l’atteggiamento della contessa. La voce dell’anziana donna aveva un tono dispregiativo e allo stesso tempo ossequioso, come fosse davanti alla più latente delle insidie.

    «Questo è un grande giorno per la nostra famiglia, finalmente verranno riconosciuti gli sforzi compiuti! Finalmente godremo della considerazione che meritiamo! I nostri alleati dovranno ascoltare le nostre istanze», valutò Marine, sistemandosi i capelli argentei raccolti da un fermaglio carbone. «Credeva davvero di poter violare il caveau di questa casa? Che stupida!», la accusò con tono saccente. «Mi dica piuttosto, perché l’hanno mandata a spiarci?», domandò, fissandola con occhi collerici.

    La violinista alzò il capo e fissò lo sguardo della contessa, senza ammettere alcun timore. S’intrattenne immobile a scrutare la tensione che avviluppava l’anziana donna, il suo piglio carismatico e ineluttabile suscitava inquietudine. «Ho risposto a un annuncio per un ricevimento!», protestò candidamente.

    Marine trasalì. Afferrò il tagliacarte custodito nel portapenne poggiato alla scrivania e, con un gesto che sembrò dettato dalla disperazione, tentò di conficcarlo nella coscia sinistra della prigioniera, lacerando appena gli eleganti pantaloni.

    Lo Spettro avvertì disagio, inorridito dal trattamento riservato alla musicista. Stava per intervenire e mandare in frantumi il progetto di recuperare l’agognato crocifisso, voleva salvare la giovane donna dalle grinfie della malvagia contessa. Ma si paralizzò. Nulla di quello che vide gli sembrò ordinario. La reazione della musicista lo aveva pietrificato, non aveva mai assistito a una simile destrezza. Ammirò la violinista flettere le lunghe gambe contro la scrivania, utilizzandole come leva per catapultarsi sul pavimento. L’impatto frantumò la sedia. Sembrava in trappola, distesa e inerme. Inarcò il bacino e roteò con vigore le gambe, come fossero eliche vorticose che si abbattevano sull’addome molle dei gorilla. Il primo vigilante annaspò sul pavimento in un respiro ansimante, sorpreso dalla veemente reazione della musicista. Il suo compagno tentò di gettarsi sulla donna, ma lei flesse le ginocchia al petto e rilasciò le gambe colpendolo con inaudita violenza, facendolo volare oltre la scrivania come fosse un filo d’erba divelto da una vigorosa folata.

    Non è affatto una violinista!, rifletté lo Spettro.

    La contessa scivolò intimorita sul pavimento, fino ad accostare la schiena alla parete. Il ghigno arrogante di Marine Liberec si era trasformato in una maschera di cupo terrore.

    Sophie Gaillard rimase immobile, colta da un improvviso senso d’inadeguatezza.

    Libera e vigorosa, intimava obbedienza con il magnetismo del piglio smeraldo: il vezzo armonioso esprimeva una quiete secolare. Sembrava una ballerina nella più suggestiva delle esibizioni: una danza leggiadra e fatale. La violinista lasciò cadere il tagliacarte, afferrò la custodia del violino, fissò le due donne oppresse alla parete e spiccò un salto contro la vetrata, infrangendola.

    Lo Spettro, celato oltre i tendaggi miele, venne investito dal suo sguardo acuto. Si sentì spiato, come se la violinista stesse frugando tra le sue intenzioni. Lui restò immobile e lei saltò giù dal cornicione, scomparendo nella tetraggine della notte, oltre le aiuole del giardino.

    I due gorilla, ancora intontiti, aiutarono la contessa Marine Liberec e sua figlia Sophie Gaillard a rialzarsi dall’angolo dove erano state confinate. «Non fatevi sfuggire la Scherana!», urlò ansante l’anziana donna.

    Capitolo 4

    Scherana!, gli rintoccava nella mente. Non udiva quell’epiteto da quando, poco più che bambino, aveva origliato una conversazione dei suoi genitori: ricordava il timore di suo padre mentre evitava di proferirlo, sostituendolo con lunghi silenzi. Scherana!, gli echeggiava cavernoso. Non distrarti, si ridestò. Lo studio dei conti Gaillard si era vuotato. Gli sembrò il momento propizio. Lo Spettro abbandonò il nascondiglio e strappò il crocifisso dalla parete, senza curarsi dell’allarme che si propagò acuto nella villa: ogni esigenza di accortezza era svanita con il marasma generato dalla Scherana. Si calò dalla finestra infranta, cadendo nella sottostante aiuola. Udì passi veloci e improvvisi dirigersi contro di lui.

    «Fermati, bastardo!», intimarono le guardie del servizio di sicurezza, mentre lo rincorrevano oltre la cancellata.

    Correva senza voltarsi, con ritmo sostenuto e regolare, attento a cogliere l’affanno dei suoi inseguitori. Lo strepitio dei passi che lo inseguivano si attenuò, fino a svanire. Ad accompagnarlo era rimasta soltanto la scia lumeggiante della Senna.

    Imboccò il vicolo privo d’illuminazione, si soffermò ad ammirare il crocifisso che splendeva pallidamente sotto i riflessi della luna, e raggiunse il cassonetto dei rifiuti addossato al muro di mattoni. Rovistò nel porta rifiuti, estraendone un trolley carbone. L’aprì, afferrò il soprabito scuro e lo indossò. Si sfilò dal viso il mascheramento e lo ripose nel bagaglio a mano. Infilò il crocefisso nel trolley e riprese la fuga.

    Raggiunse la ressa bisbigliante che opprimeva la donna inginocchiata sull’uomo morente, mentre una lastra di sangue si addensava sui ciottoli di Rue Lepec. La donna dai capelli scarlatti, che tamponava la ferita dell’uomo con un fazzoletto panna, alzò lo sguardo. Aveva il volto pallido e implorante, sembrava domandarsi il motivo di tanta brutalità.

    Lo Spettro fu rapito da quegli occhi supplichevoli. Avvertì un refolo sinistro scompigliare la ressa: la destrezza della Scherana e la drammaticità spiata in Rue Lepec lo avevano scosso, facendolo dubitare della propria prontezza.

    Capitolo 5

    «Chi è questa... Scherana?», chiese curiosa Eveline Mayer. Capelli carbone tagliati a caschetto e occhi bruni, Eveline era la migliore amica di Sophie e direttrice marketing della maison di vini champagne della famiglia Gaillard. Divenuta sua confidente, alleata e complice, osservava con distacco i segni della colluttazione nello studio della villa: i resti della sedia, i vetri infranti e il tagliacarte giacevano sul pavimento noce. Dal corridoio giungeva vaga una melodia, l’orchestra nella sala del ricevimento suonava Por una cabeza di Carlos Gardel.

    «Un demonio!» rispose greve Marine Liberec, seduta nella poltrona, oltre la scrivania, sorreggendosi il capo dolorante.

    Philippe Gaillard interrogò la vigilanza ed ebbe la conferma che temeva: lo Spettro si era introdotto in casa e aveva trafugato il crocifisso dallo studio. Il servizio di sicurezza aveva avvistato un uomo fuggire oltre i cancelli del parco, la descrizione delle fattezze e dello stile rimandavano al famigerato ladro.

    «Lo Spettro non ha i mezzi per comprendere i nostri piani. Non rischierà di rivelare la propria identità. No! Lui non è una minaccia!» protestò Marine Liberec.

    «La Scherana e lo Spettro sono alleati?» s’interrogò Eveline.

    «Non dire stupidaggini! La Scherana rappresenta una falce mitologica, non ha alleati, è un’assassina spietata! Era qui per noi, voleva ucciderci!» congetturò Marine Liberec.

    «Ma siamo vive!» oppose dubbiosa Sophie Gaillard.

    «Non commettere mai l’errore di sottovalutarla! Sono stata una sciocca a credere di averla catturata. Ha voluto metterci alla prova, valutare i nostri obiettivi, scorgere le nostre debolezze» Marine fece una pausa e sospirò. «Non so dire per quale motivo abbia risparmiato le nostre vite ma se la Scherana ha scoperto i nostri piani, siamo in grave pericolo. Non potete immaginare di cosa sia capace quell’essere diabolico! Il mio povero Hector soleva denominarla la lama più affilata del diavolo!», concluse la contessa, con un bagliore angustiato che vibrò tra gli occhi avidi.

    Capitolo 6

    Riverberi mattutini filtravano flavi dall’ampia vetrata e impallidivano dinanzi alla brillantezza dei suoi occhi smeraldo. La criniera liquirizia ricadeva inumidita sul drappo panna che le copriva la schiena, aveva lavato via la tinta dorata e ridonato ai capelli il colore naturale: corvino brillante. Il fuoco del camino crepitava nella sala con il pavimento in parquet tabacco e le pareti crema. Un violino d’abete rosso riposava nella custodia, adagiato sulla poltrona. Nina manteneva la gamba sinistra distesa e poggiata sullo scranno. All’altezza del femore, una ferita da taglio era stata medicata con del gel rimarginante. Solo un graffio!, constatò, rammentando la disperazione della contessa Marine Liberec mentre la colpiva nello studio della villa Gaillard. Sedeva annoiata dai rimproveri di sua zia Edwina: Gran Maestro dell’Ordine Esoterico della Loggia dell’Europa Occidentale. Voleva bene all’anziana donna ma la considerava un ostacolo per il raggiungimento delle proprie aspirazioni.

    «Dovevi sembrare una semplice violinista, raccogliere informazioni! Invece hai voluto farti scoprire, non è così?» protestò Edwina, mentre attizzava il fuoco nel camino.

    «I conti Gaillard sono delle pedine, la minaccia è altrove!» asserì Nina.

    «Spiegati!»

    «Non c’è nulla da spiegare! I conti Gaillard agiscono sotto la direzione di qualcun altro! Di certo vantano un’aspirazione di vendetta nei confronti dell’Ordine Esoterico, ma non conosco ancora i loro obiettivi!» commentò.

    Edwina aveva sessantadue anni, capelli argentei e godeva del rispetto delle maggiori autorità del mondo, ma la presenza di Nina la intimoriva, non riusciva a separare l’identità della nipote da quella della temuta Scherana. Rimase in silenzio, conosceva l’infallibilità dell’intuito della nipote. Nonostante le intemperanze caratteriali e la continua ricerca di un passato che lei non poteva svelarle, davanti a sé c’era una donna plasmata da anni di addestramento: una rigorosa stratega e formidabile combattente. Agognava e temeva il momento in cui Nina avrebbe assunto il ruolo di Gran Maestro, sarebbe stata la prima Scherana a rivestire il ruolo prestigioso del comando. Perdonami mia cara Nina! Non ho il coraggio di rivelarti chi tu sia realmente, non posso svelarti la tua vera identità!, rifletté, scrutando la nipote con affetto, celato da un vezzo di rimprovero.

    «Un giorno dovrai prendere il mio posto, comprenderai il significato della responsabilità!», concluse Edwina.

    Lo scoppiettio dei carboni ardenti produsse uno scintillio che ricadde sul pavimento, Edwina si affrettò a recuperarlo per evitare che il parquet ne restasse segnato ma la scintilla si adagiò spenta, consumatasi con intensità. Quello stesso bagliore che Nina ricercava nella vita, considerata troppo fuggevole per assecondare le trame disegnate dalla zia.

    «Tu sai perfettamente cosa desidero, carissima zia!» commentò sarcastica.

    La risposta di Nina aveva scosso ancora una volta le certezze di Edwina che prima di uscire si voltò sulla soglia. «Radunerò il Gran Consiglio! Per quel giorno avremo preso una decisione» e uscì senza ammettere repliche.

    La mente di Nina aveva registrato l’imposizione della zia, prima o poi avrebbe dovuto affrontare Edwina e fare chiarezza sul proprio futuro: non voleva più vivere oppressa da trame di secolare memoria. Evitò ogni riflessione in proposito e si concentrò sulla serata che l’attendeva, voleva fosse perfetta. Mentre fantasticava sulla agognata normalità che sua zia non aveva mai vissuto, venne attirata dall’articolo del quotidiano che leggeva dall’iPhone. Lo Spettro sacrilego, asportato un crocifisso in oro massiccio dalla villa Gaillard, con l’immagine della reliquia che campeggiava in primo piano. Riconobbe l’oggetto che la sera precedente aveva ammirato appeso alla parete dello studio, lo stesso muro dove aveva scaraventato uno dei gorilla. Nina focalizzò la figura slanciata e immobile, celata oltre i tendaggi miele, che aveva scrutato mentre varcava la finestra della villa, non aveva scorto alcuna minaccia nell’uomo ma ne era rimasta incuriosita. Una singolarità insolita che aveva stimolato le proprie riflessioni di rientro dalla missione. Lo Spettro! Mistero risolto!, considerò divertita. Un’altra notizia calamitò la sua attenzione. Turista ucciso in Rue Lepec! Le autorità escludono una rapina!, si rattristò scorgendo la fotografia di una donna dai capelli ramati inginocchiata sul telo candido che ammantava la salma.

    Capitolo 7

    Alain. Dolce Alain! Come hai potuto farmi questo? non riusciva a spiegarsi l’assassinio del fratello. Sigrid si sentiva annientata dagli interrogativi che l’affliggevano con tragica insostenibilità, mentre l’alba rischiarava timidamente l’austero commissariato nel diciottesimo Arrondissement di Parigi. L’ufficio aveva un arredo essenziale, con cassettiera in alluminio, una vecchia scrivania in legno e un appendiabiti argentato sulla soglia. Piegata sulla sedia con i gomiti piantati sulle ginocchia e le mani a sorreggere la testa cedente, con la fronte a sfiorare il bordo della scrivania, accusava un senso di vacuità crescente che dall’addome le cingeva il cuore: opprimendola. Era un’ispettrice della polizia belga, con una laurea in legge e un acuto senso pratico che le avevano permesso di bruciare le tappe di un’eccellente carriera. Aveva la percentuale di casi risolti più alta dell’ultimo anno nel suo dipartimento, in Rue de Wimpelberg a Bruxelles, tanto che i suoi colleghi l’avevano soprannominata la rossa fatale. I suoi occhi perlacei avevano scrutato e interrogato molti sospettati, inseguito e catturato altrettanti criminali, raccolto informazioni e confortato famigliari delle vittime. Ora che il destino l’aveva posta all’altro lato della scrivania, comprendeva gli sguardi vacui dei parenti delle vittime: quegli occhi spenti in cerca di una via di fuga, di qualcosa a cui aggrapparsi per scansare la soffocante realtà.

    Accanto a lei c’era la moglie di suo fratello, afflitta dal dolore. Sigrid scorgeva negli occhi di Eloise, rivolti al pavimento slavato, il disagio dell’incomprensibilità.

    L’ispettore Cesar Moreau aveva l’espressione severa, ma lasciava intravedere il dispiacere per l'insensibilità che il ruolo gli imponeva.

    «Eloise, può dirmi per quale motivo suo maritò è uscito dal bistrot?» domandò l’ispettore.

    «Aveva bisogno di fumare» intervenne Sigrid, soccorrendo la cognata.

    Moreau versò dell’acqua e porse il bicchiere a Eloise che a stento riusciva a trattenerlo.

    «Doveva incontrare qualcuno?» insinuò.

    «No, mio fratello e sua moglie sono giunti a Parigi per trascorrere il Natale con i parenti» ribatté Sigrid.

    «Dottoressa Simons!» intervenne Moreau. «Il suo ruolo nella polizia belga dovrebbe permetterle di comprendere la mia posizione!» ammise l’ispettore con tono ammonitorio, a volerle rammentare che per quanto inopportune quelle domande erano necessarie. «Dovrebbe sapere che un crimine può essere perseguito con maggiore successo durante le prime ore dal suo compimento!»

    «Purché si indaghi nella giusta direzione!» criticò Sigrid. «Vorrei partecipare alle indagini!» concluse.

    Moreau credette che l’arroganza della donna fosse dettata dalla sofferenza e la perdonò senza ribattere. «È troppo coinvolta, non gioverebbe né a lei né alle investigazioni. Le rammento che lei non appartiene al corpo della police di Parigi!» precisò perentorio Moreau.

    Un agente, poco più che ventenne, bussò alla porta dell’ufficio. L’ispettore lo fece entrare. Il ragazzo confermò quanto già emerso dalle prime risultanze. «Alla vittima non è stato sottratto alcun avere, non si è trattato di una rapina» proclamò il giovane poliziotto.

    Sigrid non trattenne l’indole investigativa, fino ad allora repressa dal dolore, e spiò la scrivania di Moreau. Scrutò i fascicoli catalogati per tipologia di crimine. In bella posa c’era un voluminoso incartamento con la scritta lo Spettro che prendeva in larghezza l’intero frontespizio. Accanto al corposo plico

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