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Scherana: Il tempio perduto di Inanna: Scherana, #2
Scherana: Il tempio perduto di Inanna: Scherana, #2
Scherana: Il tempio perduto di Inanna: Scherana, #2
E-book479 pagine6 ore

Scherana: Il tempio perduto di Inanna: Scherana, #2

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Info su questo ebook

Dalle ceneri della gloriosa Mesopotamia emergerà una prestigiosa reliquia che sconvolgerà le fondamenta di vetuste consorterie, mentre Parigi viene sconvolta da un efferato delitto.
La lotta tra massonerie sfocerà in un vile agguato e Vera dovrà vestire nuovamente le sembianze della Scherana per tentare di salvare i propri affetti, mentre la giovane figlia deve affrontare i propri incubi e il timore di perdere l'amata madre. Nel frattempo le indagini del commissario Moreau lo indurranno a unirsi in una spedizione diretta nel cuore dell'Africa, ma dovrà lottare insieme ai suoi compagni di viaggio per sfuggire alla ferocia dei guerriglieri, intenzionati a rapire l'unica archeologa capace di svelare gli arcani celati dalla misteriosa reliquia. Il loro destino si compirà sulle sponde del Lago Tana, nella ridente cittadina di Bahar Dar, dove un millenario segreto esporrà i protagonisti a un mortale pericolo.

LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2024
ISBN9798224055791
Scherana: Il tempio perduto di Inanna: Scherana, #2
Autore

Federico Ferrantini

Federico Ferrantini, laureato in Giurisprudenza presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nel settore dei media e della comunicazione. Scherana rappresenta il suo romanzo d'esordio per Helike Edizioni.

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    Anteprima del libro

    Scherana - Federico Ferrantini

    HELIKE EDIZIONI

    Federico Ferrantini

    Ciclo della Scherana - Il Tempio perduto di Inanna

    ISBN 978-88-946269-1-9

    © 2021 Helike Edizioni

    www.scherana.com

    Helike Edizioni è un marchio di proprietà di Argo Editore.

    La presente opera è un prodotto della fantasia dell’autore. Nomi, personaggi, soggetti, luoghi ed eventi storici narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono stati usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone viventi o vissute, eventi o luoghi reali, è da considerarsi puramente casuale. 

    Capitolo 1

    Scansò il telo candido, scrutò incredulo il cadavere e scrollò contrariato il capo. Il commissario Moreau riconobbe il viso livido di Edwina Constant, ex Gran Maestro dell’Ordine Esoterico. Il parco in Square Louise Michel era desolato a quell’ora del mattino, con la scena del crimine preservata da contaminazioni, ma priva d’indizi rilevanti. Ammirò pensoso il cielo terso albeggiare oltre la vegetazione vivida, imprecò contro la buona sorte e ingoiò l’antiacido per la sua ulcera. Era stato un nuotatore olimpionico, senza aver mai vinto medaglie ma ottenendo ottimi piazzamenti nei cento metri rana, aveva imparato a gestire l’ansia delle gare e con il tempo si era abituato all’efferatezza dei criminali. Eppure avvertiva la tensione lievitargli dallo stomaco con prepotenza, consapevole di non poter arginare la secolare forza che sarebbe emersa per vendicare la morte dell’anziana donna. Sapeva che le indagini lo avrebbero condotto al suo più grande e inestricabile enigma: la Scherana. Quella consapevolezza gli s’impigliò sul volto ruvido con la prepotenza di uno schiaffo improvviso e lo increspò d’inquietudine. Temeva la scia di morte che la temuta virago avrebbe disseminato tra le vie parigine, immaginava i fiumi d’inchiostro che i quotidiani avrebbero consumato per beffeggiarlo. Calò il telo mortuario restituendo dignità alla salma e si alzò guardandosi cautamente attorno, con la mente impregnata dal sospetto d’essere osservato.

    «Signore, l’Eliseo la sta attendendo sulla linea due!» lo informò la  centralinista, vedendolo rientrare nel commissariato del diciottesimo arrondissement. «Il Presidente Laroche ha chiesto di poter conferire con lei!» lo avvisò, esponendogli la contrarietà dei suoi superiori per aver evitato le loro telefonate. Moreau conosceva l’amicizia del presidente Ernest Laroche con Edwina Constant, ma aveva sperato di poter organizzare le indagini prima di subire le ingerenze dell’uomo politicamente più potente di Francia. Ringraziò la centralinista, salì le scale senza attendere l’ascensore, raggiunse la sua scrivania nell’ufficio al secondo piano, scansò la pila di documenti che affossavano il telefono fisso e rispose trafelato ma con rispettosa subordinazione.

    «La salma della signora Constant è stata ritrovata priva d’indumenti, con lividi ed escoriazioni su gran parte del corpo, signor Presidente!», rispondendo all’inquietudine dell’interlocutore. «Potrebbe trattarsi di una brutale quanto casuale aggressione!», proseguì. Fu inevitabile per il commissario esprimere i propri dubbi. «Sono preoccupato dalla probabile reazione della Scherana!» aggiunse riflessivo. Il Presidente lo tranquillizzò confidandogli che la temuta virago non era più al servizio dell’Ordine Esoterico, ma la notizia ebbe l’effetto opposto e fu costretto a ingoiare il secondo antiacido della mattinata.

    Per Moreau la Scherana rappresentava un enigma al quale non si era mai potuto avvicinare. L’aveva udita nominare per la prima volta in occasione delle indagini per l’assassinio di diplomatici francesi. Quando approfondì le investigazioni, intervennero i propri superiori. «Caso chiuso!», gli intimarono. La seconda volta fu ancor più inquietante. Parigi era stata scossa dall’attentato in Avenue de la Bourdonnais e la police brancolava nel buio, con la stampa francese che non perdeva occasione per ridicolizzare le autorità. Se non fosse stato per l’intervento della Scherana, non sarebbe mai riuscito a smantellare la complessa e tentacolare rete criminale che opprimeva la città. Non conosceva l’identità della virago. Sapeva soltanto che quando l’Ordine Esoterico era minacciato, la Scherana emergeva da una spessa coltre di mistero e qualcuno, inevitabilmente, periva. Moreau nutriva il desiderio di svelarla, di comprendere se la Scherana fosse realmente una temuta assassina o la migliore alleata che avesse mai avuto al proprio fianco.

    ***

    Due giorni prima della sua morte, in un’assolata mattina di luglio, Edwina Constant si era recata a Berlino e, irrigidita nel suo elegante abito sabbia, aveva raggiunto il lussuoso palazzo al centro della città, dove la secolare lobby antagonista all’Ordine Esoterico − La Milizia − elaborava i propri piani di dominio economico e finanziario con visione totalitaria, propria degli spifferi nazisti che soffiavano ancora nelle menti di sprezzanti uomini d’affari. Dalla dozzinale insegna affissa sulla facciata esterna, la palazzina di sette piani sembrava la sede di un’ordinaria holding finanziaria: l’International Investment Bank. Varcò la soglia dell’edificio consapevole di ciò che l’attendeva, affrontando con coraggio il proprio destino, afflitta per aver perso l’affetto dei propri famigliari. Sua nipote Vera non le rivolgeva il saluto da mesi e lei non riusciva a biasimarla. L’aveva ingannata sin da bambina e costretta a vestire i panni della Scherana, l’aveva privata dell’affetto dei suoi genitori e dell’opportunità d’essere madre. Avrebbe dovuto renderla libera, invece l’aveva intrappolata in una ragnatela di secolare discendenza, senza mai rivelarle l’esistenza del fratello: era consapevole del dolore che le aveva causato e il suo scopo era quello di proteggerla. Sorrise dell’ironica riflessione incagliatasi nella sua mente. Può l’amore essere il movente per un tradimento?, s’interrogò. L’amore per la nipote e per la famiglia la stava conducendo sulla soglia di quello che le appariva un inevitabile imbroglio. Edwina voleva impedire all’Ordine Esoterico di dissotterrare l’antico e leggendario reperto archeologico che risaliva alle origini della corporazione, sapeva che la scoperta della reliquia avrebbe esposto al pericolo i propri affetti, consapevole che soltanto la Milizia avrebbe potuto impedire al Gran Maestro Sigrid Simons di compiere l’impresa.

    La ragazza elegante la accolse nell’attico e la scortò per il corridoio di marmo, fino al salottino seppia. Edwina si sedette e attese d’essere ricevuta. Le luci soffuse donavano all’ambiente una caratterizzazione sinistra, sembrava la stanza degli interrogatori. Quando la porta si aprì, avvertì la tensione alleggerirsi.

    «Edwina, lei non dovrebbe farsi scorgere in mia compagnia! Non è prudente!» la salutò Margret Koll, che nonostante i suoi trent’anni aveva scalato i vertici dell’organizzazione sedendo nel Sinedrio − organo di governo della Milizia. La donna dai capelli dorati si sedette, mentre l’uomo dal contegno annoiato rimase in piedi sull’uscio.

    «Concordo con lei Fräulein, ma ho importanti informazioni da condividere!», annunciò Edwina.

    «In questo caso, sono pronta ad ascoltarla!»

    Edwina sapeva di dover narrare una bugia e fondarla sulla rappresentazione della verità, aveva accettato di rivelare le coordinate del sito archeologico scoperto dall’Ordine Esoterico.

    «Margret, mi deve promettere di non torcere un solo capello al Gran Maestro Sigrid Simons e alla squadra di archeologi che sono al suo comando!»

    «Ha la mia parola, nessuno morirà per mano della Milizia!», le aveva assicurato.

    Edwina si fece coraggio ed estrasse dalla borsa sabbia, intonata all’elegante tailleur giacca e pantalone, la carta geografica con le coordinate segnate a matita. L’uomo dai capelli ingrigiti e dal contegno annoiato si animò, strappò dalle mani di Edwina la cartina geografica e cominciò a studiarla con avidità.

    Margret strinse le mani di Edwina nelle sue, voleva stabilire un tocco confidenziale. «Non capisco Edwina! Solo qualche mese fa non avrebbe mai condiviso una simile informazione. La nostra collaborazione è sempre stata conflittuale e corroborata da vicendevole stima, ma mai lesiva dei reciproci interessi! Qual è il motivo di questo tradimento?», la studiò con diffidenza.

    «In questo caso, e la prego di credermi Margret, sto tutelando interessi che vanno ben oltre gli egoismi personali. Se il Gran Maestro Simons avesse successo, l’Ordine Esoterico subirà degli sconvolgimenti irrimediabili! Uno scompiglio che i miei amici esoterici non sono pronti a governare, ne resterebbero sopraffatti», aveva rivelato soltanto una parte della verità, ma fu convincente.

    Margret la scrutò riflessiva e notò il bagliore malinconico negli occhi della donna. «Lei vuole tutelare la Scherana!», aveva intuito.

    Edwina sorrise per nascondere l’evidenza. «Dopo l’attentato contro l’Ordine Esoterico, nel quale sono rimasti uccisi i Gran Maestri, eseguito dalla mano invisibile dalla Milizia...» si era voltata a scrutare per un istante lo sguardo superbo dell’uomo dai capelli ingrigiti. «...Il Gran Consiglio dell’Ordine Esoterico ha sciolto la Lega degli scherani!», aveva finto rassegnazione e chinato il capo. «Purtroppo la Scherana non è più al servizio dell’Ordine Esoterico! E anche fosse, come potrei pensare di proteggere una donna talmente potente e imprevedibile?»

    «Edwina, prima o poi riuscirò ad abbattere la sua diffidenza! Sono un’estimatrice della Scherana e le assicuro che non rappresento una minaccia. Vorrei conoscerla, interessarmi alla sua storia. Se solo mi concedesse l’opportunità, sappia che sarebbe per me un immenso onore poterne sostenere il prestigio!» le aveva rivelato Margret, consapevole che il tradimento di Edwina celava una verità ancor più intima del patimento per le sorti dell’Ordine Esoterico.

    Refoli fuggevoli le frizzavano tra i capelli argentei mentre raggiungeva il parcheggio dell’aeroporto Orly di Parigi, con le tenebre a schiudersi lentamente nel nuovo giorno. Edwina era atterrata alle prime ore del mattino, di ritorno da Berlino, soddisfatta per aver sabotato i piani dell’Ordine Esoterico. Non si sentiva in colpa per aver cospirato contro i suoi più cari amici, voleva che l’antica reliquia non fosse mai ritrovata e aveva compiuto ciò che considerava necessario per raggiungere l’obiettivo. Le leggende legate al reperto archeologico avevano già causato la morte dell’amata sorella, non voleva che la stessa sorte toccasse ai suoi nipoti. Li avvertirò dell’arrivo dei miliziani, così che possano mettersi al riparo da qualsiasi minaccia, rifletté, estraendo le chiavi dell’auto dalla borsa sabbia. Confidava nella certezza che la Milizia non avrebbe mai potuto svelare le origini della reliquia, ma l’avrebbe tolta dalla disponibilità dell’Ordine Esoterico e questo sarebbe bastato per preservare gli equilibri. Aveva programmato di rincasare e telefonare al Gran Maestro per informarlo del proprio tradimento, sperando di far desistere Sigrid Simons. Non ne ebbe il tempo. Avvertì la presa energica al braccio e si sentì trascinare via, ritrovandosi legata nel retro di un furgone bianco parcheggiato accanto alla sua Mercedes. Dopo un’ora di viaggio si ritrovò nei pressi di un’abitazione isolata, immersa nel buio. Non capiva cosa stesse accadendo. Non possono essere miliziani, non avrebbe alcun senso!, dubitò. O forse sì! Forse temono che io possa avvisare il Gran Maestro! ipotizzò, mentre veniva trascinata nel granaio abbandonato. Quando l’uomo barbuto iniziò a torturarla, le fu evidente lo scopo dei suoi assalitori. I rapitori volevano conoscere l’identità della Scherana e non si sarebbero astenuti dalla crudeltà fino a quando non l’avessero ottenuta. Aveva una sola scelta: il silenzio. Non c’erano accordi che potesse sottoscrivere, né compromessi che potessero salvarla, lei non avrebbe mai tradito la Scherana. Si rassegnò. L’angoscia per non essere riuscita a informare gli esoterici la tormentava più dell’umiliante supplizio inflittole dai suoi aguzzini. Sarebbe perita da traditrice, senza avere l’opportunità di spiegarsi e di giustificare le proprie azioni. Pianse fino allo svenimento, senza più riaversi.

    Capitolo 2

    Non smetteva di ritagliarsi momenti di quotidianità per ammirarla, non riusciva a trattenere l’emozione per averla ritrovata. Patricia pensava spesso al tempo in cui aveva fatto da ostetrica alla sua più cara amica Eve, facendo nascere Vera e Luc. Scavando nei ricordi, poteva ancora udire il pianto straziante di Eve quando le imposero il destino riservato alla piccola Vera: obbligata a consegnare la primogenita, ancora in fasce, alla Lega affinché fosse addestrata per diventare una Scherana. Ripensò all’emozione provata la prima volta che rivide Vera. Stava preparando il pranzo, come ogni mattina, quando suonarono all’ingresso. Aprì la porta e la vide sostenere sua zia: Edwina era stata ferita nell’attentato di Parigi che aveva causato la morte degli altri Gran Maestri dell’Ordine Esoterico. Restò esterrefatta, Vera era divenuta una donna di una bellezza travolgente. Fu impossibile non riconoscere gli stessi occhi smeraldo e i capelli corvini di sua madre Eve, lo stesso profilo slanciato di suo padre Adrien. Si presentò con il nome di Nina Constant, non era consapevole delle sue origini. Non sapeva d’essere nata tra quelle mura, nello studio medico dove Patricia l’aveva presa in braccio per la prima volta. Non conosceva suo fratello Luc. Quando le fece leggere la lettera scritta dalla madre per lei, Vera rimase sgomenta. Da quel giorno la sua vita mutò irreversibilmente. Smise i panni della temuta Scherana e divenne la madre affettuosa che Patricia ammirava dalla finestra della casa in Normandia, sulla spiaggia dell’assolata Carolles, mentre giocava con la piccola Marion. Quella che veniva definita una lama infernale e silente al servizio dell’Ordine Esoterico era divenuta una madre gentile e amorevole che si godeva le vacanze con la figlia adottiva.

    Lo scoppiettio del tegame la richiamò alle proprie occupazioni. Spense i fornelli, apparecchiò la tavola e si diresse alla finestra. Fece ruotare la leva del mulinello fissato al davanzale e mosse il piccolo argano per far salire un drappo bianco fissato alla corda, innalzandolo fino al sottotetto: era il segnale per il pranzo. Patricia si abbandonò nostalgica al ricordo di quando sulla spiaggia attendeva quello stesso segnale, con le giornate scandite da quell’atteso momento, per gustare le pietanze cucinate dall’anziana nonna di Eve. Un tempo beato nel quale l’Ordine Esoterico non aveva ancora annientato la famiglia Duval.

    Contemplava gli occhi zaffiro e raggianti della figlia mentre scorgevano la casa oltre la via, alla fine della spiaggia, ogni volta le scaldavano l’anima e la allontanavano dal suo passato di barbarie. Vera vestiva pantaloncini cobalto e camicia panna, voleva evitare di far scorgere a Marion la cicatrice sulla scapola sinistra: un ricordo di quando era stata imprigionata in Siberia. Desiderava regalare alla figlia la famiglia che la bambina meritava di avere e che lei non aveva mai potuto conoscere. Le capitava spesso di immaginare i suoi genitori passeggiare sulla spiaggia o rilassarsi tra le mura della casa, delusa dall’Ordine Esoterico e da sua zia Edwina per averle rubato l’opportunità di abbracciare sua madre o di giocare con suo padre.

    Avevano costruito castelli di sabbia per l’intera mattinata e attendevano ansiose il segnale di Patricia. La piccola Marion le sedeva sulle ginocchia e indossava un cappellino rosa a ripararla dal sole. Sembrava molto diversa dalla bambina taciturna di qualche anno prima, conosciuta durante la visita all’orfanotrofio finanziato dall’Ordine Esoterico: in quell’occasione se ne stava rifugiata in un angolo della sala, mantenendosi a distanza da chiunque. Negli occhi della bambina aveva riconosciuto il disagio dell’abbandono, la stessa solitudine che aveva segnato anche la sua infanzia. Si affezionò alla piccola, facendole visita ogni giorno, e con il tempo scoprì di non poter più fare a meno del suo affetto. Vera aveva sempre odiato se stessa per quello che la Scherana aveva rappresentato, fino a quando lo sguardo ammirato di Marion le mostrò la donna che sarebbe potuta diventare. Il primo abbraccio spontaneo e istintivo regalatole dalla bambina fu il momento più significativo della propria esistenza, segnò l’inizio della ribellione contro l’Ordine Esoterico, il principio di una nuova e appassionante vita, lontana dalle condizionanti contese di potere nelle quali sua zia Edwina l’aveva imprigionata. Marion la scelse, accogliendola come madre prima ancora che Vera potesse accettare se stessa, e lei le restituì l’affetto di cui la piccola aveva bisogno. Si voltò e vide il drappo bianco innalzato fino al sottotetto. «Cosa ne pensi Rio, siamo pronte?», le domandò Vera, indicandole il panno sventolante sulla facciata della casa. Durante una delle tante visite in orfanotrofio aveva compreso l’avversione della piccola per il proprio nome e le aveva proposto una serie di diminutivi, divertendo la bambina. Fu così che riuscì a scardinare il muro di silenzio eretto da Marion, facendole pronunciare il suo nomignolo preferito, Rio. Quella fu la prima volta che udì la soave voce di sua figlia.

    «Sì! Siamo prontissime!» le rispose Marion, sorridendole.

    Prese in braccio la figlia e la scortò a cavalluccio sulle spalle, per il vialetto alberato, fino alla casa dalla bianca facciata con la porta vermiglia. Marion corse in bagno a lavarsi le mani e si sedette a tavola ringraziando Patricia.

    «Rio, non sai ancora cosa ho cucinato per te. Prima di ringraziarmi dovresti assaggiare. Se non dovesse essere di tuo gusto?» le sorrise Patricia.

    «So già che sarà tutto squisito, come sempre!» rispose Marion, distendendo il delicato viso in un fidente e gratificato sorriso.

    Vera e Patricia si guardarono serenamente l’un l’altra, consapevoli della ventata di spensieratezza portata da Marion nelle loro vite.

    Il campanello risuonò improvviso nella casa, spezzando l’armonia. «Vado io!», si affrettò Vera. Un esiguo corteo di genitori, con i figli al seguito, la invitava al party in programma sulla spiaggia nel prossimo weekend. Ogni metà mese, la comunità di villeggianti organizzava un incontro per fraternizzare. «Abbiamo notato lei e sua figlia, vorremmo invitarvi al nostro modesto party. Un’iniziativa per permettere ai più piccoli di socializzare!» la informò la donna mentre stringeva la mano di un bambino annoiato.

    Vera rimase interdetta, non si era ancora abituata al ruolo di madre. «Grazie, davvero molto gentile!» si riprese dalla sorpresa e accettò l’invito, congedando garbatamente la sorridente donna.

    «Un party è un evento perfetto, potresti fare delle conoscenze interessanti!» la accolse sardonica Patricia, dopo aver origliato la conversazione dalla finestra dischiusa.

    «Ti prego Pat, non farlo!» oppose Vera, raggiungendola nella cucina. «Le feste mi fanno sentire a disagio!» aveva condotto una vita solitaria e non sapeva come comportarsi in pubblico, le uniche persone con le quali si sentiva a proprio agio erano i suoi famigliari.

    Patricia amava ricordarle che Marion avrebbe avuto bisogno di un padre, mentre Vera le rispondeva che gli unici uomini nella vita della figlia dovevano essere lo zio Luc e il professor Armand Gauthier, sposato con Patricia dopo una ventennale convivenza, che si comportava come un nonno spassoso e sempre pronto a dedicarsi alle esigenze di Marion nonostante la prestigiosa carriera di direttore del Louvre.

    Marion, scorgendo il volto incupito di Vera, volle rincuorarla. «Sei meravigliosa, m... Vera!», la piccola si sforzava di chiamarla mamma senza riuscirci. «Scusami!», chinò il capo desolata. «Io volevo...», Marion era una bambina sensibile che si era chiusa in sé dopo essere stata abbandonata. Sebbene ancora molto piccola, aveva compreso il peso della sofferenza e temeva di ritrovarsi nuovamente sola. Amava Vera, la considerava tutto il suo mondo, ed era spaventata da quel sentimento tanto intenso. Avrebbe voluto chiamarla mamma e dimostrarle il proprio affetto, ma a ogni tentativo le parole le morivano in gola, soffocate dalla paura d’essere nuovamente abbandonata.

    «Mia piccola Rio, non sei obbligata a chiamarmi mamma, Vera va benissimo», si chinò e la abbracciò. «Puoi chiamarmi anche m..., se vuoi! A me sta bene!», le sorrise. «Sai piccola, prima di conoscere Patricia, anche per me era complicato comunicare i sentimenti! Sappi che ti voglio bene, indipendentemente da come deciderai di chiamarmi», la baciò sulla fronte e la tenne stretta a sé. Marion rise estasiata, mentre Patricia portò il tovagliolo agli occhi per asciugare la commozione.

    Il campanello all’ingresso echeggiò acuto, di nuovo. Marion volle rendersi utile e sgattaiolò veloce verso l’uscio. Aprì il portone e osservò curiosa i due uomini madidi di sudore nei loro abiti cittadini.

    «C’è qualcuno in casa, piccola? Sono il commissario Moreau» informò il più anziano.

    «Stiamo per pranzare!» lo rimproverò imbronciata. Marion concedeva il privilegio d’essere chiamata piccola soltanto alla madre, non permetteva a nessun altro una simile confidenzialità.

    «Buongiorno, commissario!» lo salutò Vera, comparendo alle spalle della figlia. «Felice di rivederla!», aveva collaborato con Moreau durante le indagini per l’attentato nel quale perirono i Gran Maestri dell’Ordine Esoterico, ma l’allora ispettore non aveva mai sospettato d’essere al cospetto dalla Scherana. «A cosa dobbiamo la sua inattesa e gradita visita, anche questa volta è incappato in indagini di particolare complessità?» lo accolse affabile, credendo che Moreau fosse giunto a chiedere l’aiuto del Gran Maestro Sigrid Simons, sua futura cognata e compagna di suo fratello Luc.

    «Mia cara Vera, sono alle prese con un caso piuttosto spinoso!» affermò Moreau, varcando la soglia. «Le presento il mio assistente, il dottor Frédéric Muller!»

    Vera salutò distrattamente l’assistente di Moreau, ansiosa di conoscere il motivo dell’inattesa visita, dimostrandosi ospitale e facendo accomodare i due tutori della legge nel salottino adiacente alla cucina.

    Moreau bevve l’acqua a temperatura ambiente servitagli da Patricia e poggiò il bicchiere sul tavolo castagno. «Mi rincresce informarvi che la mia visita non è di cortesia, sono qui per annunciare un triste evento!», fece un lungo respiro e rivelò che la salma di Edwina Constant era stata rinvenuta in Square Louise Michel.

    Vera non parlava con la zia da oltre un anno. Considerava Edwina la causa delle proprie sofferenze, l’aveva segregata nella Lega degli scherani e l’aveva strappata dall’affetto della famiglia, confinandola in un mondo di vessazioni e crudeltà. Avvertì apprensione. Si preoccupò per la sorte di suo fratello Luc che insieme agli esoterici si trovava sperduto in Medio Oriente, alla ricerca di un antico mito. Si sentì invasa dall’angoscia.

    Frédéric Muller continuava a scrutare incredulo Vera, incantato dalla bellezza della donna. Sin dal momento in cui l’aveva vista comparire sulla soglia d’ingresso, le era sembrato d’ammirare un’amazzone di statuaria armonia e regale avvenenza, smarrito nella freschezza dei suoi occhi smeraldo che illuminati dai bagliori estivi sembravano limpidi come un mare cristallino.

    «Probabilmente sua zia è stata vittima di un’aggressione, ma i lividi sul corpo...» Moreau s’interruppe, non voleva mostrarsi insensibile. «Stiamo attendendo il referto del medico legale!» terminò, senza aggiungere altri dettagli.

    Vera si voltò a scorgere Patricia, la fissò e si precipitò al piano superiore salendo la scalinata ad ampie falcate. Afferrò il telefono poggiato al comodino della camera e compose l’unico numero in rubrica. «Avanti, rispondi!» scrutò indispettita oltre l’ampia vetrata, a esaminare i vicoli angusti e soleggiati, in cerca di anomalie o individui sospetti. Non aveva scorto nulla d’insolito. «Avanti Luc, dimmi che siete al sicuro!», sentiva crescere un’inquietudine insostenibile. Non si era ancora abituata all’ansia della preoccupazione. «Non farmi questo! Rispondimi! Ti prego!», si sentiva responsabile. Sarebbe dovuta andare con loro, avrebbe potuto proteggerli, ma ormai non faceva più parte della Lega degli scherani e il Gran Maestro le aveva ordinato di restare in Francia per badare alla piccola Marion. Discese al piano inferiore mentre il cuore pulsava afflitto dalla angoscia. «Sono in pericolo, me lo sento!», eruppe disperata.

    Il commissario la fissò perplesso, non capiva a cosa Vera si stesse riferendo.

    Intervenne Patricia e informò Moreau che il Gran Maestro Sigrid Simons, la sua assistente Julia Rouge, il fratello di Vera, Luc Duval, e il Direttore del Louvre, il professor Armand Gauthier, si trovavano in qualche parte del mondo alla ricerca di antichi reperti storici.

    «Temete che le attività dei vostri famigliari possano essere collegate all’omicidio di Edwina Constant?» indagò il commissario.

    «Vorrei esaminare la salma di mia zia!» pronunciò istintivamente Vera, senza badare alle implicazioni delle proprie affermazioni. Voleva comprendere la pericolosità della minaccia ispezionando le ferite sul cadavere della zia e valutare se Edwina era stata assassinata da professionisti o da delinquenti sprovveduti.

    «Può scusarci un momento?» Patricia strattonò a sé Vera trascinandola in cucina, al riparo dall’intuito del commissario, e la rimproverò. «Vorrei esaminare la salma?», il volto paffuto di Patricia si era contratto in un vezzo di supplichevole buon senso. «Sei stata imprudente! Le persone comuni non usano una terminologia simile!», poggiò i pugni sui fianchi e sospirò. «Non sei più la Scherana, non comportarti come se lo fossi. Vuoi mettere in pericolo la nostra dolcissima Rio?» concluse Patricia, indicando la bambina che aveva smesso di mangiare e le scrutava basita.

    Vera sorrise affettuosa alla piccola Marion, rassicurandola.

    «Perdonami Pat. Hai ragione!» si calmò.

    «Mi scusi commissario per come mi sono espressa poc’anzi, la notizia della morte di mia zia mi ha sconvolta. Sono in ansia per la mia famiglia, mio fratello non risponde al telefono» rivelò con razionalità Vera, di ritorno nel salottino, scorgendo il viso comprensivo di Moreau e quello ammutolito del suo assistente. «Raggiungerò il commissariato per il riconoscimento della salma di mia zia e fornirò qualsiasi informazione riteniate opportuna. Prima però devo accompagnare mia figlia e la dottoressa Gauthier a Parigi!» voleva che Marion e Patricia fossero al sicuro tra le mura di villa Duval, dove all’occorrenza avrebbero potuto rifugiarsi nell’alloggio seminterrato: un vero e proprio bunker antipanico, dotato dei più sofisticati sistemi di vigilanza.

    Il commissario si alzò dal salottino e la informò che il Presidente della Francia, per l’amicizia che lo legava a Edwina Constant, aveva messo a disposizione un elicottero per ricondurla immediatamente a Parigi.

    ***

    Erano esausti. Sembravano usciti dal ventre incandescente della Terra, con il viso imbrunito dal pulviscolo e gli abiti impastati dal sudore. Julia sembrava l’unica capace di assaporare la felicità della scoperta, amava i cumuli polverosi che ammantavano secoli di storia e adorava le avventure descritte dai romanzi che leggeva da bambina. Sembrava vivesse per svelare antichi misteri.

    Luc Duval scrutava il cielo dallo squarcio del canyon roccioso, cercava un punto che permettesse al segnale del telefono satellitare di chiamare sua sorella Vera, voleva avvisarla che presto l’avrebbe raggiunta sulla spiaggia di Carolles. Il Gran Maestro, Sigrid Simons, gli si avvicinò, afferrò il telefono e lo consegnò al professore. «Baciami!» lo invitò a rilassarsi. Lui la abbracciò e la baciò con passione, felice di poter tornare a casa e mantenere la promessa di sposarla.

    Il professor Armand Gauthier ripose il telefono nella tasca della sua giacca da archeologo, si sedette sulla roccia lubrica e si congratulò con Julia. Le intuizioni della giovane assistente del Gran Maestro gli avevano permesso di raggiungere un arcano e prezioso ritrovamento. Immaginava i titoli dei quotidiani al rientro in patria e rifletteva degli avvenimenti che l’avevano condotto in Giordania, assaporando il momento in cui avrebbe riabbracciato sua moglie Patricia. Osservò divertito gli archeologi festanti, i loro giubilanti schiamazzi definivano la gioia della vittoria. Si alzò per unirsi ai festeggiamenti ma non ne ebbe il tempo. Udì divampare scoppi improvvisi. I colpi di un AK47 squarciarono la notte e trasformarono il festoso baccano in grida di terrore.

    Era un’afosa serata di fine giugno quando sbarcarono nel porto di Aqaba, dopo aver risalito il Golfo di Aden e solcato il Mar Rosso. Avevano viaggiato a bordo di un peschereccio per mantenere l’anonimato, la Milizia non doveva sapere che il Gran Maestro dell’Ordine Esoterico si era recata in Medio Oriente, alla ricerca del tempio della Regina di Saba. Riposavano di giorno e si spostavano di notte, quando la volta celeste, agghindata di stelle, permetteva d’interpretare le mappe astrali che Julia aveva decifrato dai manoscritti posseduti dall’Ordine Esoterico: lei aveva ricevuto gli antichi testi dalla Scherana, e aveva rinvenuto la matrice per decifrarli all’interno di una reliquia in oro massiccio sottratta alla Milizia.

    Un convoglio di sette auto li aveva prelevati allo scalo del porto. Il professor Armand Gauthier, con il grado di direttore del Louvre, aveva organizzato l’esigua spedizione di dieci archeologi, mentre a proteggerli c’erano sette uomini del servizio di sicurezza dell’Ordine Esoterico. Si sentivano fiduciosi, avevano ottenuto un lascia passare umanitario che gli avrebbe permesso di viaggiare senza complicazioni.

    Salirono sulle auto senza curarsi di ammirare la vista della città di Aqaba, dove secoli prima Re Salomone aveva costruito una base navale per la sua flotta. Risalirono il viale illuminato, con i lampioni tra le palme sfrondate e l’odore di salsedine che si mescolava a quello delle alghe, in direzione del  deserto.

    Gli uomini del servizio di sicurezza avevano allestito l’accampamento in tempo record, con le tende militari che si confondevano alle dune del deserto.«Sicuramente confortevole come alloggio! Avrei preferito pernottare in albergo, almeno per una notte!» ammise Armand Gauthier, disgustato dalla tisana allo zenzero assaporata dalla tazza di latta, lui avrebbe preferito un buon pasto e dello chardonnay.

    «Mi dispiace professore, ma l’idea dell’accampamento è stata una mia premura», lo rimproverò Julia, dall’esile portamento ma corazzata dalla caparbietà. «Ho creduto che il cielo limpido del deserto avrebbe agevolato il confronto con le mappe decriptate dagli antichi manoscritti e permesso una più rapida individuazione degli obiettivi! Le luci delle città avrebbero offuscato la scansione telescopica e noi avremmo accumulato ritardo!», lo informò.

    Armand aveva sorriso compiaciuto per l’efficienza della giovane storica dell’Ordine Esoterico: Julia era abituata a programmare dettagliatamente ogni attività e prevedere eventuali problemi senza mai farsi trovare impreparata. Costatò che la fiducia sconfinata di Sigrid Simons nella sua assistente era ben riposta. Il professore si sedette ed estrasse dallo zaino l’involucro in cuoio affidatogli dalla Scherana. Slegò i lacci e distese le falde di cuoio, svelando l’antico anello che cullò tra le dita pasciute. Scrutava sognante il gioiello, speranzoso di scoprirne l’origine. Si trattava di un secolare artefatto in oro massiccio finemente ornato, dalla base della fascia crescevano filamenti rampicanti come fossero edere che si snodavano fino al quadrante, mentre sulla superficie era incastonato in rilievo un quadrilatero ansato ai lati. Aveva sperato si trattasse dell’antico anello di Salomone ma Julia aveva escluso la risalente origine: ormai si fidava del giudizio della giovane storica più di quanto confidasse nel proprio acume.

    «Al momento giusto saprai cosa farne, Armand!» lo confortò Julia, intuendo le riflessioni del professore.

    L’oscurità del deserto esaltava la limpidezza della volta celeste, con i bagliori degli astri a lumeggiare la distesa sabbiosa. Luc Duval aveva terminato di collegare il telescopio al computer e aveva avviato la scansione del cielo per favorire il confronto con le mappe stellari. Poco prima aveva inviato un messaggio alla sorella per rassicurarla, allegando un’immagine delle stelle da mostrare a Marion. Abbraccia la piccola Rio, dille che mi manca!, le aveva scritto salutandola. Sua sorella le aveva risposto poco dopo. Anche a lei mancate terribilmente, tornate presto!, aveva letto sullo schermo del telefono satellitare, intenerito dalla premura di Vera.

    Annoiata dall’attesa, Julia si era alzata dalla seggiola, aveva afferrato la tazza con la tisana allo zenzero ed era uscita dalla tenda. Non riusciva a dormire e decise di passeggiare nell’accampamento, voleva scaricare la tensione del viaggio. Giunse al limitare del perimetro di sicurezza, sorvegliato dal servizio di vigilanza, e scrutò il chiarore delle stelle scolpire la distesa ondeggiante. Udì un sibilo distante e tenue. Aveva letto che i venti del deserto potevano provocare valanghe di sabbia, con il rotolio dei granelli sulle dune che causava tremolii udibili anche a lunghe distanze. Avrebbe voluto telefonare a Vera e raccontarle le proprie emozioni, la paura del fallimento e l’entusiasmo per l’avventura. Avrebbe voluto la sua più cara amica al suo fianco, si sarebbe sentita più sicura e coraggiosa. Mentre rifletteva delle proprie angosce, un giovane archeologo dalla folta capigliatura bionda si avvicinò.

    «Corrono voci inquietanti sul suo conto!» annunciò il giovane dall’espressione superba.

    «È un problema per lei?» lo studiò Julia.

    L’archeologo accennò un sorriso stizzito, soffocato dalla consapevolezza  dello spirito grintoso posseduto dall’esile donna dal viso angelico.

    «Si dice che inseguiamo un antico mito della cui esistenza non v’è certezza. Il professor Armand dovrebbe essere alla guida di questa spedizione, invece ruota tutto attorno a quell’enigmatica donna dai capelli rossi e alla sua scontrosa assistente!» inveì additandola.

    Julia sorrise sorseggiando la tisana, gustandosi il momento. Solo qualche anno prima avrebbe chinato il capo e si sarebbe rifugiata nel suo letto, dove avrebbe pianto per ore. Gli eventi vissuti negli ultimi dodici mesi l’avevano cambiata profondamente. Era sopravvissuta a un attentato e aveva ottenuto il rispetto della Scherana, l’affetto protettivo di Vera le aveva rivelato quanto apprezzata fosse la sua amicizia. Inoltre aveva decifrato gli antichi manoscritti dell’Ordine Esoterico, conquistato la fiducia del nuovo Gran Maestro e la stima del professor Armand Gauthier. Non era più la ragazzina ingenua che piangeva quando la facevano sentire inadeguata.

    «Il mio capo, quello che lei ha appena denominato enigmatica donna dai capelli rossi...», l’uomo sorrise per la definizione ripetuta da Julia. «Rappresenta il governo di un potere secolare del quale, la sua limitata intelligenza, non può comprendere l’esistenza», spegnendo il ghigno derisorio dell’archeologo. «Il mio capo può apparire distaccato, è vero! Francamente credo sia del tutto disinteressata a questa spedizione...», mentre impugnava la tazza come fosse una mazza da baseball, facendo indietreggiare l’archeologo. «...Si trova qui perché è una donna coraggiosa, vuole assicurare l’incolumità di tutti i partecipanti alla spedizione! Ed eventualmente contrattare la nostra libertà nel caso cadessimo vittime di un’imboscata! Lei invece perché è qui? Se vuole andarsene, posso accontentarla!»

    «Mi perdoni dottoressa Rouge, la stanchezza accumulata in questi giorni non mi ha permesso di esprimermi con il dovuto rispetto. Non accadrà più!», congedandosi con mestizia.

    Julia era rientrata nei suoi alloggi da campo con vezzo soddisfatto, anche la sua amica Scherana sarebbe stata fiera di lei. Scrutò delusa lo schermo del computer, la scansione telescopica non aveva ancora prodotto risultati. Si sedette e poggiò i gomiti sul tavolo di alluminio, la tensione che le aveva impedito di prendere sonno era svanita e si addormentò.

    Erano le cinque del mattino quando Julia fu svegliata dal trillo intermittente emesso dal computer. Il professore dormiva piegato sulla sedia, non aveva voluto svegliarlo ed era uscita nell’accampamento per raggiungere la tenda del Gran Maestro.

    Sigrid era abbracciata a Luc, nel comodo giaciglio gonfiabile, divertita dall’avventura che stava vivendo. Si destò riconoscendo la voce di Julia appena  percettibile fuori dalla tenda. «Sig, sei sveglia? È davvero importante!» udì. Sorrise ripensando alla timida assistente che chinava il capo al cospetto del Gran Maestro, mentre ora la udiva bisbigliare incessantemente nel bel mezzo del deserto. Aprì la porzione superiore dell’ingresso tirando la cerniera, con i capelli arruffati e lo sguardo appagato. «Lasciami indovinare, dobbiamo partire per il prossimo accampamento!», le sorrise.

    «Esatto, la scansione è terminata con successo. Scusami! Spero di non aver interrotto...!» ormai Julia trattava il Gran Maestro con confidenzialità, come fosse una sua vecchia amica. Sigrid le aveva concesso una familiarità che il precedente Gran Maestro, Edwina Constant, non le aveva mai permesso di ottenere.

    L’alba sfumava la sabbia del deserto in una distesa dalle tonalità salmone. Julia manteneva la testa poggiata al finestrino aperto, con gli occhi chiusi, mentre inspirava i profumi di quell’avventura che voleva rimanesse impressa nei suoi ricordi.

    Sigrid le sedeva accanto e sorrideva dell’ingenuità della sua assistente. Poco prima di partire le aveva ordinato di fare un’abbondante colazione, sapeva che quando Julia si immergeva nelle sue

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