Quel fragile fiume d'amore
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Anteprima del libro
Quel fragile fiume d'amore - Luciano Rossi
Capitolo 1
Il 2 marzo 1932 Sándor Ferenczi, di passaggio a Vienna, va a trovare Freud. Desidera anticipargli alcune idee per il Congresso di psicoanalisi che a settembre si terrà a Wiesbaden. In quell’occasione vorrebbe parlare della differenza tra le lingue di bambini e adulti. Freud lo ascolta però non ne approva i contenuti; gli proibisce di pubblicare quelle fandonie e di leggerle al Congresso. L’allievo protesta in modi pacati il suo diritto all’autonomia di pensiero; ma inutilmente. L’incontro termina con Ferenczi che tende la mano a Freud, ma questi, volgendogli le spalle, ne rifiuta il saluto ed esce dalla stanza. Ferenczi comprende che ormai non potrà più contare su di lui, sul suo Maestro. Le loro vie si sono ormai divise e a settembre non potrà limitarsi a tacere, ma dovrà annunciarlo al mondo. Sa che in tal caso il maestro non si limiterà a cacciarlo, ma lo calpesterà e lo distruggerà per questo. E la sua salute, già compromessa, andrà in frantumi.
(Alfréd Major)
Kreuzlingen, lunedì 29 agosto 1932
L’orologio della torre segna le sei del mattino. Il grande portone del sanatorio Bellevue è chiuso.
Solo una volta si è aperto e subito richiuso. È stato alcuni minuti fa. N’è uscito un uomo e chiunque avrebbe notato che aveva un abbigliamento insolito. Se solo l’avesse visto. Pur essendo ancora estate si era ben protetto dalla fredda brezza che proviene dal lago. La scarsa salute lo ha abituato sin da ragazzo alla prudenza. Il cappotto e il cappello non gli sono di troppo.
Sul percorso lastricato rischiara la prima luce del giorno. Lui lo percorre, tutto, fino alle mura.
Fuori, la città dorme ancora. Sulla Schulestrasse nessun passante: solo lui, il dottor Sándor Ferenczi. Da mesi non riesce a dormire e la notte appena passata non è stata migliore delle altre. L’aria fresca del mattino non poteva che fargli bene, si era detto.
Il suo intento ora è di raggiungere le panchine del Seegarten prima che le strade si animino di gente e bancarelle. Vuole arrivare là e restare solo, immerso nel silenzio. Solo lui e le onde che si frangono. Ha bisogno di pensare. E di rafforzare il suo proposito. La decisione, ormai presa, di sfidare il Maestro lo riempie infatti di terrore. È già malato da tempo e questa lotta lo sta quasi uccidendo.
Ma in tutti i modi, basta! Non vuole più aspettare. È ora di dar corpo al suo progetto. Anche se già al solo pensarvi si sente venir meno.
A fatica cammina ancora, ma ha bisogno di una sosta. Le gambe non lo reggono più. Deve fermarsi qui. In queste condizioni non riuscirebbe mai ad arrivare al lago.
Gli ultimi passi sono incerti. Quasi barcolla. Le gambe gli tremano, faticano a sorreggerlo. Vede poco più avanti una panchina. Sospira. Ancora pochi passi e potrà finalmente lasciarsi andare pesantemente, stremato.
La luce della sua stanza non si era mai spenta nella notte e il tormento ancora non lo abbandona. Il suo pensiero è sempre lì, fisso a domani; a domani quando dovrà parlare e avrà Lui davanti. Teme che le parole non avranno la forza di uscirgli dal petto e farsi udire.
Quante volte ha visto all’opera il disprezzo che il Maestro riserva agli infedeli!
Pungenti sferzate lo costringono a calarsi più saldamente il cappello in testa e serrare i bottoni alti del cappotto. Ma non sono nulla a confronto del tumulto che ha in corpo.
Non ha dubbi che Freud si adonterà in via definitiva. Ma si tratta di esserci
finalmente! Si tratta di vivere, come mai ha fatto finora.
Kreuzlingen, martedì 30 agosto 1932
Ore 10. Clinica Bellevue, salone dei congressi. Da un po’ le parole di Sándor scorrono, stanche ma inarrestabili. Irrevocabili, soprattutto. Il dado è tratto, il Rubicone è varcato. Tutto è compiuto.
Addio dunque ai loro primi incontri, addio al mondo di ieri! Tutto è deciso. Addio a vacanze con Lui, gite sui monti, investitura al ruolo di Figlio. Addio all’eredità promessa al successore.
Come gli trema il cuore in petto su quel podio nemico dove ha deciso di abbandonare una vita finta, dove sta aprendo il suo cuore e si confessa al mondo, dove ha già annunciato che nulla sarà più come prima.
È tardi, infatti; ciò che s’è detto non si può negare. Ormai la sua voce ha pronunciato parole irrevocabili:
"… allora compresi, anche se tardi, che non potevo contare sulla protezione di una potenza superiore, ma che al contrario sarei stato calpestato da questa potenza indifferente non appena fossi andato per la mia strada, anziché per la sua…".
Raggiungendo a stento le ultime file, l’esitante e stanca voce del relatore si diffondeva ormai da alcuni minuti in un ampio salone del Sanatorio Bellevue di Kreuzlingen, cittadina del cantone svizzero Turgovia, dove in quel fine agosto del 1932 era riunito il solito "parterre de roi" psicoanalitico che sempre accorreva quando Ludwig Binswanger, il loro mecenate, li invitava a incontri culturali.
Quell’anno il congresso internazionale di psicoanalisi si sarebbe tenuto a Wiesbaden, ma la possibilità di unire ai lavori congressuali un soggiorno alla Clinica Bellevue parve buona a tutti per godersi qualche giorno di vacanza-studio prima del Congresso. È sempre necessario qualche giorno per organizzare un convegno come si deve. A Kreuzlingen ognuno avrebbe potuto fare proposte o leggere in modo informale all’assemblea qualche anticipo di relazione e confrontarsi un poco coi colleghi.
In quel momento aveva la parola Sándor Ferenczi, che già si trovava ospite di Binswanger da quasi sei mesi.
In prima fila, corrucciato, ad ascoltarlo attentamente c’era lui, Freud, la potenza superiore
. Egli stava in carrozzina, quell’anno; lo affliggeva una dolorosa sciatalgia che nemmeno l’abituale dose di morfina riusciva a mitigare. Aveva le gambe coperte da un panno pesante, e addosso il cappotto. Ormai sentiva freddo quasi sempre. Ma in sala nonostante la sofferenza non abbandonò neppure per un attimo la sua postura sdegnosa.
Intanto, rallentata e depressa, la stinta voce del relatore proseguiva la sua confessione.
"… io ero coraggioso e produttivo fino a quando mi appoggiavo alla sua potenza…"
Nella sala grande non