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Verso una nuova co-scienza
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E-book202 pagine2 ore

Verso una nuova co-scienza

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Info su questo ebook

Verso una nuova CO-SCIENZA è un saggio esplorativo che indaga su vicende finora bandite dalla scienza ufficiale ed etichettate nel migliore dei casi come pseudoscienza o fantascienza. Approssimativamente tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, l'imprenditore bresciano Rolando Pelizza su indicazione del suo "maestro" Ettore, il monaco benedettino Pellegrino Ernetti e l'ingegnere Alessandro Porro hanno costruito delle "macchine" capaci di realizzare l'inimmaginabile, apparecchi con potenzialità tali da permettere all'umanità quel balzo in avanti di cui ha disperatamente bisogno ormai da troppo tempo. Purtroppo il loro ingegno, sebbene supportato da sacrificio e buona volontà, non è stato sufficiente a scalfire la durezza dei cuori di coloro che avrebbero potuto rendere pubblica questa nuova conoscenza, che invece si è preferito rinchiudere nel polveroso cassetto dell'oblio. Ciò che non tutti sanno è che queste invenzioni, di cui nessuno finora è riuscito a comprendere il funzionamento, poggiano su una visione della fisica lontana anni luce da quella sostenuta dalla scienza ufficiale. Stiamo parlando di una "nuova scienza", che non a caso abbiamo definito CO-SCIENZA, nella quale viene definitivamente superato quell'annoso tabù ideologico che separa la fisica dalla metafisica. Vedremo insieme perché l'universo materiale, che percepiamo attorno a noi grazie ai sensi o attraverso la strumentazione scientifica, non esaurisce tutta la realtà, e realizzeremo che "al di là del muro" c'è ancora molto da scoprire.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2024
ISBN9791222711676
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    Anteprima del libro

    Verso una nuova co-scienza - Stefania Marin

    Avvertenze per il lettore

    Gentile lettore, se ritieni che la realtà si esaurisca in ciò che vedi quando apri gli occhi al mattino e hai fondato la tua vita sul più completo materialismo, ti consigliamo di non leggere questo libro. Se invece hai la percezione che nel mondo che ti circonda ci sia qualcosa che non sei in grado di comprendere pienamente, qualche complesso meccanismo che riesci a mala pena a intuire ma nel tuo profondo senti che c’è, allora forse nelle prossime pagine potresti trovare risposta a qualche domanda.

    L’intento di questo saggio è quello di dimostrare come l’universo non sia retto dal caso o dal caos, ma da una legge superiore che promana direttamente da un fine immanente alla creazione stessa (chiamatelo pure Dio, Assoluto, Infinito, Intelligenza suprema, ecc.) e che persegue i principi di ordine, equilibrio e armonia. Si tratta di una concezione arcaica, forse perfino atavica, che per una serie di distorsioni e travisamenti non appartiene più al comune sentire. Oggi come oggi possiamo solo rintracciarne qualche frammento, spesso incomprensibile ai più, nell’antica tradizione misterica e in parte nella mitologia cosmogonica, ed è proprio da quest’ultima che partiremo.

    Quella che ti proponiamo è una trattazione ambiziosa, che richiede una certa apertura mentale e l’allontanamento da ogni dogma precostituito, religioso o scientifico che sia. Per tale motivo abbiamo deciso di anticipare al testo un breve preambolo, nel quale sintetizzeremo alcuni concetti basilari, frutto di una precedente ricerca concretizzatasi nel saggio intitolato Il giogo dell’anima. Vi introdurremo nella grande tradizione mitologica e vedremo come il segreto della creazione e la legge aurea che ne regola il meccanismo siano stati tramandati agli iniziati tramite l’allegoria della narrazione; immagazzineremo così quel minimo di conoscenze necessarie per affrontare il testo con cognizione di causa. Una volta dotati del giusto equipaggiamento, faremo un ulteriore passo in avanti e inizieremo a chiederci cosa sta dietro a quella complessa struttura comunemente definita creato o mondo fisico. Per rispondere a questa e ad altre domande indagheremo vicende straordinarie e poco conosciute, sfoglieremo vecchi appunti e apriremo la mente anche alle teorie più controverse, ma lo faremo sempre con l’approccio più critico possibile. Scoperchieremo insieme il vaso di Pandora e realizzeremo che forse è giunto il tempo in cui fisica e metafisica superino le loro divergenze, per aiutare questo mondo decadente a uscire dall’impasse in cui suo malgrado è piombato.

    Amico lettore, se malgrado questa premessa non siamo riusciti a scoraggiarti, ti auguriamo una buona lettura!

    PREAMBOLO

    I miti cosmogonici

    Ogni popolo ha elaborato, nel corso della sua evoluzione culturale, dei racconti che descrivono la nascita e la creazione dell'universo e dei suoi abitanti, o delle teorie che spiegano l'ordine cosmico originale. Queste testimonianze sono annoverate sotto il nome di miti della creazione o miti cosmogonici.

    Il nostro viaggio nella tradizione inizia dall’Antico Egitto, sorgente dei principali culti misterici del paganesimo; ci sposteremo poi in Grecia e da lì in Persia, deviando per Roma. Infine, derogando all’ordine cronologico dei contenuti, torneremo dove tutto è cominciato, in Mesopotamia, la culla della civiltà sumera e dell’intera umanità.

    I. Cosmogonia egizia

    Secondo gli antichi Egizi, prima che il Sole incominciasse a brillare, la materia increata ed eternamente esistente riposava disordinata e informe in una oscurità che impediva ai vari elementi cosmici di incontrarsi, condannandoli così all’inerzia. Quando il Verbo divino, che sussisteva accanto al Caos, volle concretizzare l’idea della creazione, ordinò al Sole di farsi avanti: al primo irradiamento le tenebre si diradarono e sorse il primo giorno nell’immensità dello spazio.¹

    Questa splendida teogonia pone prima di tutto una divinità senza nome, il principio nascosto di tutto, che a un certo punto divenne produttore e generatore: la sua prima emanazione fu Cnef, un essere dalla forma umana di colore azzurro, a volte raffigurato come un serpente che si morde la coda come a formare un cerchio.² Questa potenza produsse dalla bocca un uovo, dal quale fuoriuscì Phta, lo spirito creativo o, se preferite, l’architetto del mondo

    Col tempo la devozione degli uomini si allargò anche al culto degli astri, con la conseguente esaltazione di due principi opposti: uno buono, rappresentato dai pianeti benefici, e uno cattivo, simboleggiato dai pianeti malefici. Tale credenza si diffuse dapprima in Egitto e in Persia, per penetrare poi in Grecia⁴, dove le divinità vennero collegate alle rivoluzioni sideree e i pianeti assunsero il nome degli dèi. Planetarie erano pure le divinità italiche, non meno di quelle dell’Arabia, del Tibet e della Cina. A tali divinità si unì in seguito il culto dei fenomeni e degli elementi come forme vitali e fecondatrici, venerate in principio senza simulacri e poi nelle figure di cono, cubo, disco, colonne o pietre cadute dal cielo. Infine, si incominciò a raffigurare gli dèi con sembianze umane e si moltiplicarono i nomi, gli attributi, le genealogie e le storie; il risultato fu una personificazione delle conoscenze astronomiche e cosmogoniche.⁵ La figura di Phta, ad esempio, finì per confondersi con quella di Osiride,⁶ che secondo Plutarco sarebbe stato il frutto di una tresca amorosa tra la dea del Cielo Nut e il dio della Terra Geb.⁷

    La favola narra che Osiride e la sua sposa Iside regnarono in Egitto dando inizio ad un’importante opera di civilizzazione: ingentilirono i costumi, insegnarono l’agricoltura e consolidarono il loro potere con leggi sagge. Un giorno il dio, desiderando allargare l’azione civilizzatrice a tutta la Terra, si allontanò dall’Egitto, ma al suo rientro trovò gli animi degli uomini istigati alla ribellione da suo fratello Seth, che con l’inganno lo rinchiuse in un forziere e lo gettò nelle acque del Nilo. Intanto Iside, rifugiatasi nelle paludi del Delta, partorì il loro figlio Horo. Si racconta che la cassa col corpo di Osiride arrivò al mare e che le onde lo trasportarono fino alle spiagge siriane di Biblo. Purtroppo Seth la rintracciò prima che Iside potesse metterla al sicuro: egli smembrò il corpo del fratello in quattordici pezzi e li sparpagliò in luoghi diversi. Ciononostante, la dea non si lasciò scoraggiare e recuperò pazientemente i resti del marito defunto, seppellendoli via via che li rinveniva. Le sue lacrime commossero il dio Ra, il quale decretò di inviare sulla Terra Anubi affinché ricomponesse il corpo di Osiride e lo riportasse in vita; da allora egli regnò sui morti coi titoli di signore del mondo sotterraneo, signore dell’eternità e reggitore dei morti. Dopo la dipartita di Osiride, Seth governò l’Egitto per un breve periodo: il filosofo Nigidio riporta che, dopo 18 giorni dalla sua usurpazione, il consiglio degli dèi deliberò di ucciderlo. Decisivo fu l’intervento del giovane Horo, ormai cresciuto e diventato forte, che sconfisse lo zio dando inizio a un regno felice.

    Come abbiamo spiegato ne Il giogo dell’anima, il mito di Osiride contiene diversi significati allegorici, in primis l'esaltazione del ritmo naturale delle stagioni. L’unione della coppia divina Iside/Osiride e la loro opera civilizzatrice sulla Terra simboleggiano le stagioni egizie della semina e del raccolto, corrispondenti pressappoco alla nostra primavera/estate. In questa particolare fase dell’anno solare prevale il principio benefico della luce/calore, ma lo scenario evolve inevitabilmente con l’avvicinarsi della stagione autunnale, quando la natura inizia a soccombere all’avvento del male/inverno, simboleggiato nel mito da Seth che uccide Osiride. L’orrendo fratricidio avvenne, secondo il calendario egizio, il 17° giorno del terzo mese di Akhet (corrispondente al 27 novembre del nostro calendario), circa un paio di giorni prima del solstizio invernale (all’epoca tra il 29 e il 30 novembre). Tale solstizio rappresenta il picco del male ma anche l’inizio della sua caduta: il Sole/Osiride, infatti, muore per rinascere bambino in qualità di Horo, suo figlio. Alla fine, dopo una lunga lotta, il nuovo Sole/Horo sconfigge Seth, presagendo l’arrivo di una nuova primavera. Ma la rivincita del bene sul male non risulta definitiva poiché gli eventi sono destinati a reiterare in eterni ricorsi, evidente metafora del ciclo della ruota solare e del susseguirsi delle stagioni.

    II. Miti greci

    I più famosi culti misterici del passato si rifacevano più o meno apertamente ai fenomeni che la natura pone dinanzi gli occhi nel corso dell’anno; le differenze consistevano per lo più nella nomenclatura dei personaggi o nelle circostanze delle sacre leggende.⁸ I popoli civilizzati di Egitto, Asia orientale e Grecia intravedevano nel cambiamento delle stagioni altrettanti episodi della vita delle loro divinità, di cui ricordavano la morte e la resurrezione con particolari rituali.⁹

    Pensiamo ad esempio al mito greco di Adone, il fanciullo conteso tra la dea Afrodite e l’infera Persefone, entrambe ardenti d’amore per lui. Per sciogliere la controversia si rese necessario l’intervento di Zeus, il quale decretò che ciascuna dea tenesse con sè il ragazzo per sei mesi l’anno: il periodo in cui Adone stava con Persefone negli inferi coincideva con le stagioni dell’autunno/inverno, mentre i mesi in cui si trovava con Afrodite corrispondevano alla primavera/estate, quando il Sole rinasce e la natura rinvigorisce. La favola narra che Adone fu ucciso sul monte Libano da un cinghiale inviato dal dio Ares (o, a seconda della versione, da Artemide oppure da Apollo)¹⁰ e che Afrodite pianse sul suo corpo esanime con tanta afflizione da convincere Cocito a riportarlo in vita.

    Un’altra divinità la cui morte e resurrezione si radicò nei riti dell’Asia occidentale fu il dio della vegetazione Attis, il giovane pastore amato da Cibele.¹¹ Un giorno, la dea lo vide giacere con una donna sotto le fronde di un pino, e quando smascherò il suo tradimento, il ragazzo fu assalito dal rimorso e si uccise evirandosi all'ombra dello stesso albero¹² (secondo un’altra versione fu ferito mortalmente ai genitali da un cinghiale). Nei riti misterici Attis simboleggiava il Sole che governa tutte le cose e presiede all’armonia dei pianeti.¹³ Il centro principale del suo culto era Pessinunte, in Frigia; da qui, attorno al VII secolo a.C., passò nelle colonie greche dell'Asia Minore e poi nel continente. Sopraggiunse a Roma nel 204 a.C., dove le feste in suo onore si officiavano all’equinozio di primavera.

    Tra le divinità greche la cui vicenda rispecchia la ciclicità delle stagioni compaiono anche Demetra e sua figlia Persefone. La loro storia presenta parecchie somiglianze con quella di Iside e Osiride o di Afrodite e Adone, con la differenza che stavolta a piangere la perdita della persona amata non è una sposa o un’amante bensì una madre. Quando Demetra scoprì che Persefone era stata rapita e condotta negli inferi dal dio Plutone, decise di lasciare l’Olimpo per trasferirsi a Eleusi, e giurò che non avrebbe più lasciato germogliare il grano finché non le fosse stata riconsegnata la figlia. Zeus, preoccupato di affamare l’umanità, deliberò che la fanciulla avrebbe vissuto due terzi dell’anno con la madre nel mondo degli dèi e un terzo con Plutone nel regno dei morti. Quando Demetra poté riabbracciare la figlia, dalla gioia fece spuntare il grano e risanare la vegetazione (chiaramente Persefone che risale dagli inferi personifica il grano, o più in generale la vegetazione, che rispunta dal terreno in primavera per fiorire un'altra volta).

    Avrete ormai capito che l’evento naturale che colpì maggiormente l’immaginario degli antichi era il ciclo della ruota solare e i suoi effetti sulla Terra. Nella favola il Sole e la Terra divennero gli interpreti di un’intensa storia d’amore, che in fondo altro non è che la trasposizione figurata dei mutamenti del ciclo stagionale. Racconti simili popolano le tradizioni misteriche di mezzo mondo (India, Persia, Egitto, Grecia, Italia)¹⁴: che i protagonisti siano Osiride e Iside, Adone e Afrodite, Attis e Cibele o Demetra e Persefone cambia poco, l’insegnamento alla base del racconto è lo stesso, l’evidenza di una legge che governa il cosmo e a cui tutto è soggetto. Si tratta a tutti gli effetti di un Kósmos, un ordine armonico basato sull’alternanza ciclica degli opposti, il quale ci consente di fare esperienza imparando a discernere il bene dal male.

    III. Il culto di Saturno

    Saturno è la trasposizione latina della divinità preolimpica greca Crono o Kronos. Il mito vuole che il Cielo (Urano) e la Terra (Gea) si siano uniti dando alla luce la stirpe dei Titani, tra i quali c’era appunto Crono, dio della fertilità e dell'agricoltura.

    Esiodo racconta che Gea mise al mondo anche tre ciclopi e altrettanti ecatonchiri (degli esseri mostruosi dotati di cento braccia) e che Urano imprigionò questa prole nel Tartaro, suscitando l’ira della compagna che invitò i Titani a ribellarsi. Solo Crono rispose all’appello e, armatosi di falcetto, evirò il padre gettandone i genitali in mare¹⁵; i Titani lo incoronarono Signore del Mondo, ma Gea gli pronosticò che prima o poi uno dei suoi figli lo avrebbe deposto come aveva fatto lui con Urano.¹⁶

    Preoccupato di fare la fine paterna, Crono iniziò a divorare le creature generate dalla sua sposa Rea, che per salvare l’ultimogenito Zeus fu costretta a ricorrere all’inganno. Ella, infatti, fece deglutire al marito un macigno avvolto nelle fasce al posto del figlio, che una volta adulto si vendicò del padre evirandolo. Questo fu l’inizio di una guerra tra due generazioni divine, narrata da Esiodo nella Teogonia: da una parte c’erano Crono, i Titani e i giganti nati da Gea; dall’altra Zeus e i giovani dèi olimpici. Il conflitto durò per molti anni, finchè Zeus decise di liberare i centimani e di coinvolgerli nella battaglia. La lotta terminò con la sconfitta dei Titani e la loro segregazione nel Tartaro.

    Sappiamo da Plutarco che Crono fu sepolto in un sonno profondo, circondato

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