Come un girasole
Di Alice Vicini
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Anteprima del libro
Come un girasole - Alice Vicini
Capitolo 1
Il mattino seguente Olimpia si ritrovò all’aeroporto con una valigia più grande di lei, uno zainetto logoro che aveva già usato in altri decine di viaggi e un biglietto di sola andata per Madrid.
Quella era la decisione che le era balenata nella mente il giorno prima, la stessa che era mesi che stava inconsciamente progettando, senza trovare mai un vero motivo per farlo davvero.
Ma ora sua mamma non c’era più e altri motivi per rimanere non ce erano più per lei.
Nemmeno l’università, nemmeno le sue amiche, non quel ragazzo che aveva iniziato a frequentare appena prima che sua mamma si ammalasse.
Per non parlare di suo padre, niente.
Quello che la faceva sentire ancora legata a quel luogo era esclusivamente una lettera su carta gialla, con la calligrafia di una stilografica nera appartenente a sua mamma, accuratamente infilata tra le pagine di un libro scelto a caso, infilato di fretta e furia nel suo gigantesco bagaglio.
Non l’aveva letta, addirittura neanche l’aveva aperta. L’aveva semplicemente riposta tra le pagine di un libro, come se fosse un semplice segnalibro. O come se volesse nascondere e confondere il peso delle parole scritte in quella lettera in mezzo a miliardi di altre parole.
Non aveva dormito quella notte, non aveva quasi mangiato e non era nemmeno riuscita a pensare.
Si era costruita talmente tante cose da fare nella sua testa, che non ne aveva avuto modo.
Eppure il ricordo di sua mamma si intrufolava in ogni cosa che faceva, solo che lei cercava di non farci caso, di scacciarlo. L'unico momento in cui ebbe quasi un cedimento fu quando, quel mattino, si chiuse la porta di casa alle spalle, sapendo che poche ore più tardi ci sarebbe stato il funerale, a cui lei non avrebbe partecipato.
Chissà cosa avrebbero pensato di lei.
Scacciò in fretta quel pensiero, non le importava veramente, perché tanto sapeva non sarebbe più tornata. Non nel breve almeno.
Olimpia aveva appena fatto il check-in per imbarcare il mega bagaglio in stiva, quando una voce dagli altoparlanti annunciò:
«Avvisiamo tutti i passeggeri del volo FK2367 con destinazione Madrid che l’imbarco avrà luogo al gate 8.»
Solo allora si accorse di essere tremendamente in ritardo: doveva ancora passare i controlli di sicurezza.
Iniziò a correre più veloce che poteva, con quella sua andatura ondeggiante e aggraziata, sempre con i suoi riccioli biondi che le cadevano morbidi sulle spalle, seguendone i movimenti.
Per fortuna ai controlli non c’era tanta gente, perciò sfilò la felpa dalla vita, posò nelle cassette messe a disposizione lo zaino, seguito dal telefono, dall’orologio e dai suoi anelli e nel giro di dieci minuti era pronta in attesa di partire davanti alla porta d’imbarco.
In quel momento si rese conto che tra un’ora avrebbe anche avuto inizio il funerale e che suo padre, in quello stesso momento, sicuramente si trovava già in chiesa ad aspettare e lei, colta da un attimo di compassione verso quell’uomo che l’aveva cresciuta per vent’anni, decise di scrivergli un messaggio per avvisarlo di quanto stava per fare.
Cercò il telefono nella tasca: non c’era.
Guardò allora nella tasca laterale del vecchio zainetto: nulla.
Iniziò ad angustiarsi poiché l’unico oggetto che la poteva tenere ancora in contatto con la realtà che si era lasciata alle spalle (oltre alla lettera), era il suo cellulare.
Frugò in tutto lo zaino ma nulla. Solo allora le venne in mente che, presa dall’ansia di essere in ritardo e di non fare in tempo, aveva dimenticato il cellulare, l’orologio e i suoi anelli ai controlli.
Sei proprio un’idiota!
Ma mentre si dava della stupida aveva di nuovo ricominciato a correre in direzione opposta, sperando con tutte le sue forze di ritrovare tutte le sue cose, o quantomeno il suo telefono.
Quando arrivò, per sua fortuna, un addetto ai controlli la riconobbe e le andò incontro:
«Signorina prima ho provato a chiamarla, ho anche provato a raggiungerla per restituirle le sue cose, ma è corsa via e non mi ha dato il tempo.»
«Mi spiace, ero completamente soprappensiero. La ringrazio moltissimo, davvero.»
«Non si preoccupi. Le auguro buon viaggio e stia attenta in giro.»
«Grazie mille!»
Attenta a cosa
pensò l’unica cosa a cui devo prestare attenzione sono io.
Poi tirò fuori il cellulare appena recuperato e scrisse un messaggio:
Sto bene. Sono all’aeroporto e sto andando a Madrid, biglietto di sola andata. Non mi cercare, se ho bisogno ti scrivo io. Ciao, Olly
Lo inviò e quando lo rilesse si chiese come mai si fosse firmata. Dannazione, aveva appena scritto un messaggio a suo padre, come poteva non sapere che quel numero fosse il suo? Era ovvio lo sapesse, e quella firma risultava inutile.
Inutile come la sua fuga solitaria, o forse quella in fondo non lo era.
Sbagliata sicuramente, inutile forse no.
Un minuto più tardi, dall’altra parte della città, suo padre ricevette il messaggio, lo lesse e abbozzò un triste sorriso.
Il sorriso di chi già sapeva e che si era rassegnato a quella situazione, con la speranza però che quel viaggio alla ricerca di se stessa riuscisse a riportargli indietro sua figlia.
Capitolo 2
Erano le undici e il volo stava per decollare.
Olimpia, seduta al suo posto di fianco al finestrino si rese conto, guardando l’orologio che stava per dimenticare all’aeroporto, che in quell’esatto momento stava per iniziare anche l’ultimo viaggio di sua mamma, secondo quello in cui lei credeva.
Ma per Olimpia quella era solo la fine con l’arrivo a destinazione per colei che in tutti quegli anni era stata la sua ancora di salvezza, la sua migliore amica, la sua peggior nemica, il suo amore più puro.
Strano come la sua partenza verso una nuova vita, o verso l’illusione che le desse quell’idea, coincidesse così accuratamente con la fine di un’altra, così strettamente legata alla sua.
Erano questi i pensieri che prendevano spazio nella testa di Olimpia, mentre fissava assorta fuori dall’oblò la pista di decollo che, con l’aereo in movimento, sembrava senza fine. I motori, poi, rombavano sempre più forte, quasi sovrastando il rumore dei suoi pensieri.
Pensieri che non le permisero nemmeno di accorgersi che, al suo fianco, si era accomodata una signora di mezza età, che poteva avere all’incirca gli stessi anni dei suoi genitori, forse qualcuno in più.
Se ne accorse solo quando quest’ultima le tirò una gomitata involontaria mentre cercava di stringersi la cintura di sicurezza.
Il velivolo si era appena staccato da terra e la signora, con voce tremolante si rivolse a quella ragazza assorta nei suoi pensieri che sedeva al suo fianco:
«Oh, mi scusi! Stavo solo cercando di stringerla un po’ di più, ma non sono pratica...»
Come se davvero servisse a qualcosa.
Pensò Olimpia.
«Non si preoccupi.» Rispose invece, fredda come un iceberg.
Poi la signora, palesemente terrorizzata da quel volo, continuò a muoversi sul suo sedile senza darsi pace, senza trovare una posizione adatta che riuscisse a farla sentire al sicuro. Tanto è, notò Olimpia con la coda dell’occhio, che quella sua vicina un po’ strana continuava a stringere nella mano destra il sacchetto per il vomito, come se da un momento all’altro potesse avere la necessità di utilizzarlo.
Continuò a scrutarla senza farsi notare e si soffermò sui dettagli di quella donna: capelli scuri come la pece avvolti in uno chignon disordinato, con ciocche che le scivolavano ai lati del viso tondeggiante, ma non paffuto.
Occhi verdi disegnati da una linea spessa di eye-liner, anch’esso verde, ma molto più scuro. Poi il mascara che le allungava clamorosamente le ciglia, quasi a farle sembrare finte, ma che in realtà non lo erano. E infine un rossetto color pesca che definiva leggermente le labbra sottili.
Indossava un vestito a fiori, con delle frange lungo l’orlo. A Olimpia quella donna diede l’impressione di una hippie che ancora non si era accorta di essere nel 2022, probabilmente rimasta intrappolata agli inizi degli anni Settanta.
Eppure tutti quei particolari e quel suo essere così naïf la rendevano una donna affascinante, oltre che indubbiamente bella.
Olimpia, senza accorgersene, rimase a osservarla un po’ troppo e infatti dopo qualche minuto la donna ruppe il silenzio:
«Ti piace il mio vestito, cara?»
Olimpia quasi sobbalzò, e non per un vuoto d’aria, ma perché non si aspettava quella domanda così, dal nulla.
«No no... Cioè voglio dire è bello, ma non volevo...»
«L’ho comprato ieri al mercato per soli 15 €!»
Olimpia era sempre più confusa, non sapeva cosa rispondere a quella donna che qualche minuto prima sembrava dovesse essere preda di un attacco di panico e ora, come se nulla fosse, le raccontava del suo colorato vestito a fiori. Per fortuna quella strana donna riprese:
«Sono sicura a mio figlio non piacerà, ma non importa.»
Poi, come se nello sguardo confuso di Olimpia avesse già letto tutto, continuò:
«Scusami per prima, per il decollo. Non sono un habitué dei voli in aereo, è solo il secondo che prendo nella mia vita. Ma ora mi sono rilassata, più o meno.» E sorrise.
Si sarà anche rilassata ma continua a stringere nella mano il sacchetto del vomito.
Si disse Olimpia, rivolgendole un sorriso di circostanza.
Poi poteva anche finire lì quel siparietto, ma la donna sembrava non volesse demordere e abbandonare quella conversazione con quella ragazza triste seduta al suo fianco, che avrà avuto sì e no l’età di suo figlio.
«Comunque io mi chiamo Clara, piacere.» Si presentò dopo qualche secondo di silenzio, girandosi verso quella ragazzina indifesa.
«Piacere, Olimpia.» Si presentò lei timidamente.
«Olimpia!» Quasi urlò. «Ma che nome stupendo!»
«Oh, grazie mille.» Rispose quasi con paura.
«Se posso permettermi: quanti anni hai? Perché appena ti ho vista ho subito pensato potessi avere circa l’età di mio figlio.»
«Ventuno.»
«Avevo ragione allora. Mio figlio ventiquattro, ma si sa che noi donne cresciamo prima e sembriamo sempre più mature.»
Olimpia fece un altro sorriso di circostanza.
«Oh ma non offenderti eh. È una bella cosa questa, era un complimento!» Si apprestò a puntualizzare Clara.
«Ma certo, non mi sono offesa. Anzi, grazie.» Concluse Olimpia.
"Ma pensa te che personaggi che si incontrano per caso, sono quasi curiosa di conoscere suo figlio per vedere se è strampalato come sua madre.
Magari però anche bello come lei."
E così i suoi pensieri ritornarono a sua mamma e a tutto quello che le accomunava: da lei aveva preso sicuramente i tratti del viso, i suoi colori. Caratterialmente invece somigliava di più a suo papà, se non fosse per il fatto che, come sua mamma, aveva uno spiccato senso dell’umorismo e amava stare in compagnia e divertirsi.
Ma negli ultimi mesi quegli aspetti dei loro caratteri sembravano essersi spenti, insieme.
Poi di nuovo quella voce:
«Come mai stai andando a Madrid, Olimpia?»
Quella domanda la colse impreparata, non era pronta a dire la verità. Ma soprattutto non era pronta a parlare di sua mamma con una sconosciuta, non sapeva come avrebbe reagito a quella verità. Così mentì a