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Il mistero della ragazza del bosco: (ultima generazione)
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Il mistero della ragazza del bosco: (ultima generazione)
E-book213 pagine2 ore

Il mistero della ragazza del bosco: (ultima generazione)

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Info su questo ebook

Non si sa nulla di lei, solo il nome Isotta. Non ricorda il proprio passato, né chi siano i suoi genitori. Adottata, vive in una fattoria non lontana da Gallipoli e trascorre la maggior parte del tempo ascoltando il bosco e contemplando il mare. Siamo nel periodo della prima Rivoluzione industriale. Una società decide di distruggere il bosco per costruire un'industria. Dopo una sconcertante scoperta riguardante la propria vita, Isotta lotterà con tutte le sue forze per salvare gli alberi e il pianeta.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2024
ISBN9791222728223
Il mistero della ragazza del bosco: (ultima generazione)

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    Anteprima del libro

    Il mistero della ragazza del bosco - Vito Costantini

    1

    Villa Annette, isolata rispetto alle altre ville signorili della città, non apparteneva più a Cesare Rovelli, un ingegnere caduto in disgrazia dopo che la propria fabbrica, un tempo molto florida nella produzione tessile e fiore all’occhiello dell’intero circondario, era stata distrutta da un terribile incendio.

    L’ingegnere, un giovane ben fatto di ventotto anni con occhi e capelli neri e la passione per la botanica, da bambino amava correre nei campi, osservare il lavoro dei contadini nella tenuta del padre, fare domande sulle piante. Col tempo era cresciuta in lui una grande passione per la conoscenza dei frutti della terra.

    La prima volta che vide il fumo di una fabbrica stagliarsi nel cielo azzurro e trasparente del luogo in cui viveva, gli sembrò un sacrilegio, la profanazione dell’incontaminato, come se un compagno di scuola invidioso e prepotente avesse imbrattato di nero un suo disegno pazientemente realizzato. Crescendo aveva odiato ogni ciminiera che eruttasse il colore della morte. Perciò si era messo in testa di combattere a tutti i costi la causa di quel fumo. Per vincere la sua battaglia avrebbe dovuto inventare una macchina che sostituisse il lavoro manuale, ma che nello stesso tempo non funzionasse col carbone. Era appena un adolescente quando un amico di suo padre portò dalla Francia una vecchia stampa. In essa compariva una macchina a vapore che il suo inventore, un certo Francois Isaac De Rivas, vissuto quasi mezzo secolo prima, aveva applicato a un carretto per farlo muovere autonomamente. Il motore era costituito da un lungo cilindro disposto verso l’alto, al cui interno si trovavano due pistoni. Quello più grande faceva muovere la ruota, mentre l’altro serviva per fare entrare l’aria e lasciare uscire i gas di scarico. Il combustibile, una miscela di aria e idrogeno, veniva iniettato all’interno di un contenitore e, una volta compresso dal pistone, era incendiato da una pila voltaica. Il movimento della ruota avveniva mediante una catena collegata al pistone.

    Fu davvero una rivelazione, era ciò che stava cercando. Sarebbe stato meraviglioso poter ricostruire quel motore e perfezionarlo sfruttando energia illimitata senza fare uso del carbone che, incendiato, sprigionava nell’aria il suo terribile e nauseabondo fumo nero.

    Avendo la possibilità di studiare, decise di iscriversi alla facoltà di Ingegneria. Sapeva che gli ingegneri erano sempre più richiesti in quegli anni, perché i nuovi macchinari nelle fabbriche necessitavano continuamente di revisioni, perfezionamenti e innovazioni. I test d’ingresso per questa facoltà erano però difficilissimi, perché non solo richiedevano la conoscenza di tutte le matematiche pure e della statica applicata all’equilibrio delle macchine, ma anche una preparazione classica che includeva lo studio del Latino e del Francese. Riuscì ad entrare nella facoltà e studiò con impegno e passione, in più si dedicò al progetto del motore che aveva in mente, portato a termine poco prima di laurearsi. Lo presentò ai professori in seduta di laurea, ma ottenne da loro nient’altro che sorrisi di scherno. Si scoraggiò, proprio quando sarebbe dovuto passare dalla teoria alla pratica, costruendo un motore all’avanguardia, con tutti i miglioramenti necessari rispetto al precedente di più di mezzo secolo prima. Mentre stava per abbandonare il suo sogno, lesse un articolo di un giornale in cui si parlava dell’Esposizione Universale di Parigi, a partire dal mese di maggio del 1878 fino a novembre. In essa era prevista la presenza di numerosi inventori, tra cui Augustin Mouchot, un matematico e un fisico. Questi, ritenendo che il carbone, artefice della Rivoluzione industriale, stava per esaurirsi, aveva trovato nell’energia solare una fonte alternativa: in una caldaia racchiusa in un vetro, esposta al calore del sole fino alla bollitura dell’acqua in essa contenuta, si produceva vapore, ovvero energia per un motore.

    Mostrerò a lui il mio progetto, si disse Cesare. Egli ne comprenderà sicuramente l’importanza, poiché entrambi condividiamo l’idea di rifiutare il carbone per far funzionare una macchina.

    Dopo essersi procurato il calendario degli eventi, partì per Parigi nel mese di luglio. In concomitanza con l’esposizione si svolgevano numerosi incontri e conferenze. Per l’evento giunsero politici e celebrità da ogni parte del mondo. Faceva caldo, ma non era la temperatura alta o la fiumana di gente accorsa nella capitale francese che poteva fermare il giovane ingegnere. Egli raggiunse la Galleria delle macchine, una costruzione industriale a vetri con archi trasversali bassi di metallo. Vi entrò e lesse i nomi delle numerose macchine esposte. Solo una di esse fu fatta funzionare in quel momento, il fonografo, anche se il suo inventore, l’americano Edison, non era presente. Restò impressionato nel sentire dall’apparecchio una frase pronunciata poco prima: ma non era venuto a Parigi per il marchingegno parlante.

    La presentazione dell’invenzione di Mouchot, fuori dalla galleria, era prevista intorno a mezzogiorno. La macchina era già all’aperto, grande e maestosa e intorno ad essa si stavano radunando i visitatori incuriositi, in attesa dell’arrivo dell’inventore. Cesare era curioso di scoprire se lo scienziato avesse aggiunto qualcosa di nuovo al motore solare, il cui limite riguardava l’assenza di sole, un ostacolo che lui invece era riuscito a superare col proprio motore a combustione interna. La conoscenza della lingua francese ora più che mai gli risultava estremamente utile.

    Uno scroscio di applausi annunciò l’arrivo dello scienziato che, salutate le autorità francesi, avviò la sua enorme macchina a forma d’imbuto. Si trattava del più grande generatore solare mai costruito, con un flusso di vapore di 140 litri al minuto.

    Subito dopo la dimostrazione, le strette di mano e le congratulazioni, l’inventore s’incamminò velocemente verso l’uscita dell’esposizione, seguito dai suoi assistenti e da giornalisti con lapis e taccuino. Cesare, reggendo una cartella con dentro i suoi preziosi disegni, si unì al codazzo.

    Signore, posso parlarle?, tentò l’ingegnere, ma la voce restò inascoltata nella confusione e nel chiasso generale. Non si dette per vinto e continuando a seguire il corteggio aspettò che i giornalisti esaurissero le loro domande. Ma questo non avvenne, neanche quando, raggiunta la carrozza, l’inventore vi salì a bordo. A quel punto, superata con decisione la barriera umana che lo separava dal suo obiettivo, Rovelli si accostò al finestrino.

    Signore, se permette vorrei mostrarle un mio progetto, disse ansimando. Finalmente l’inventore della macchina solare si accorse di lui.

    Che progetto?, domandò il francese asciugandosi la fronte sudata.

    Si tratta di un motore, rispose l’italiano estraendo dalla cartella alcuni fogli, uno dei quali cadde per terra. Egli lo recuperò prontamente, prima che il vento lo portasse via.

    Senta, non credo che questo sia il momento, rispose l’altro spazientito. Ho un impegno urgente e non posso ascoltarla.

    Si tratta di un nuovo tipo di motore, sottolineò il giovane per attirare l’attenzione dell’uomo sulla carrozza.

    Non mi dica che funziona mediante l’energia solare, perché l’ho appena presentato, rise Mouchot e con lui i suoi accompagnatori.

    No, signore, è a combustione interna e funziona con l’aria.

    Con l’aria? È una vecchia idea che non porta da nessuna parte, rispose l’inventore, facendo segno al cocchiere di partire.

    Ma il progetto si avvale delle ultime scoperte, come la dinamo, un nuovo generatore elettrico, un congegno di autoalimentazione…, specificò Cesare mentre la carrozza si allontanava e la gente intorno si disperdeva velocemente.

    Deluso, ripose i fogli nella cartella e decise che non sarebbe rimasto un giorno in più a Parigi. Rifiutò la carrozza per tornare indietro, aveva bisogno di camminare. Camminò molto fin quando non imboccò la via dell’albergo dove alloggiava. Mentre guardava sugli appunti l’orario del primo treno utile per il ritorno a casa, si scontrò con una giovane donna appena uscita da una libreria. Un libro finì sul marciapiede.

    Mi scusi, madame, disse lui raccogliendolo prontamente. Sono davvero desolato.

    Non è nulla, può capitare a chiunque, rispose lei riprendendo il volume.

    Il viso della ragazza parve al giovane così bello da fargli dimenticare in un istante l’amarezza che si portava dentro.

    Oh, sì, può capitare, rispose Cesare fissandola negli occhi. Ma non con lei.

    Io non la conosco, perché dice così?, rispose l’altra meravigliata.

    Perché è come se la conoscessi, ma posso anche sbagliarmi, in verità.

    Sì, credo proprio che si sbagli.

    E se per farmi perdonare la invitassi a bere qualcosa, propose il giovane, ritiene che sarebbe un altro modo per continuare a sbagliare?

    Lei non è francese, vero? sorrise la graziosa interlocutrice.

    No, non lo sono, ma spero tanto che accetti il mio invito o mi sentirò davvero uno stupido, più di quanto mi senta adesso.

    Lei non era rimasta indifferente all’uomo che aveva di fronte, apparso improvvisamente dal nulla e in un modo davvero insolito. Era stata colpita dagli occhi grandi e neri, dallo sguardo intelligente, dai tratti del viso nel contempo delicati e virili, dall’intera persona elegante e solo apparentemente invadente.

    Se la mia risposta affermativa può farla in qualche modo rinsavire, rispose la giovane francese, allora, accetto.

    Si conobbero così, Annette e Cesare. E quando andarono a sedersi in uno dei tavolini all’aperto in un caffè di Parigi, lei disse di essere insegnante di canto e pianoforte. Due mesi dopo si sposarono e insieme decisero di vivere nella villa che lui aveva ereditato dal padre. Annette incoraggiò il marito a riprendere il progetto e questi, che in cuor suo non lo aveva mai abbandonato, decise finalmente di realizzarlo.

    Investì molto denaro per costruire un’industria tessile, con macchinari all’avanguardia azionati da un motore ad aria. Il motore si avvaleva di accorgimenti tecnici e innovazioni che lo rendevano altamente efficiente e senza paragone col modello inventato precedentemente dallo scienziato francese, dal quale Cesare era partito. In più, aveva aggiunto il motore solare visto a Parigi. Era davvero uno spettacolo straordinario, una volta entrati nella fabbrica, assistere al funzionamento di macchine mediante l’uso della stessa aria respirata dagli uomini, senza nessun costo. Rovelli si disse che avrebbe potuto far funzionare almeno altre due fabbriche con l’energia da lui prodotta.

    L’ingegnere adesso era doppiamente felice, perché aveva incontrato Annette e realizzato un progetto che gli frullava in testa da anni. I suoi operai, impiegati in una fabbrica nuova e diversa dalle altre, furono entusiasti di un lavoro che non li rendeva schiavi e di un proprietario che si era dimostrato fin dall’inizio generoso nei loro confronti.

    Ma per Cesare una sola industria non avrebbe risolto il problema. Egli, legato al denaro quel tanto perché garantisse a sé stesso e a sua moglie una vita sufficientemente decorosa, si sentiva investito di una missione: fare in modo che ogni industria non usasse più il carbone e lasciasse l’aria pura e incontaminata. D’accordo con Annette, decise che avrebbe lasciato il progetto a chiunque lo avesse richiesto, senza pretendere alcun compenso. Ma prima che questo avvenisse, una notte la fabbrica prese fuoco e fu distrutta irrimediabilmente.

    Poiché l’ingegnere aveva contratto debiti per la realizzazione di un sogno andato in frantumi, fu costretto a vendere la propria villa per poterli onorare. Annette consolò il marito.

    Non importa, disse. Continueremo a vivere e ad amarci come se nulla fosse accaduto.

    Era lo stesso pensiero di Cesare che, pagati i debiti, volle trasferirsi con la moglie altrove, il più lontano possibile da luogo del disastro. Pensando a una città del Sud che fosse sul mare, scelse Gallipoli. Qui, con la restante somma della vendita della villa comprò un piccolo appartamento. Infine, con un po' di fortuna fu assunto come professore di Scienze presso il Liceo della città. Anche sua moglie Annette trovò un lavoro, insegnando pianoforte e canto a giovani fanciulle del posto, tra cui la figlia del proprietario della Fattoria Felice.

    2

    Quando l’infermiera entrò nella stanza, la piccola paziente era in piedi. La donna corse a chiamare un medico.

    La bambina è sveglia, disse. Si è appena alzata dal letto e guarda dalla finestra. Si chiama Isotta, il nome è ricamato sulla sua camicia.

    Si è fatto vivo qualcuno?, domandò l’uomo.

    Le guardie cittadine continuano a cercare eventuali parenti, ma finora nessun risultato che io sappia.

    Ha detto qualcosa?

    No, dottore. Lei sarà il primo ad ascoltarla.

    Mentre percorreva il corridoio dell’Ospedale dello Spirito Santo di Lecce, il medico pensò che purtroppo sarebbe toccato a lui indagare per primo. Trovò la bambina seduta sul letto.

    Buongiorno, piccola. Come ti senti?, domandò.

    Lei sorrise e annuendo più volte fece intendere che stava bene. Il medico le pose le mani sulla nuca e muovendole lievemente il capo chiese se avesse qualche dolore.

    La giovane degente negò senza parlare.

    L’uomo le scoprì la schiena e poggiandovi sopra lo stetoscopio chiese di fare un bel respiro.

    Sai perché ti trovi qui?, disse poi.

    L’altra alzò le spalle per rispondere che non lo sapeva. Il medico parlò all’orecchio dell’assistente.

    Ma è sordomuta?

    Ieri mattina quando è stata portata in ospedale dormiva, rispose l’infermiera. Qualcuno ha cercato di svegliarla per farle delle domande, ma lei con un cenno ha fatto capire che desiderava dormire. Ha dormito un giorno intero.

    Quindi non ha detto ancora nulla?

    Neanche una parola.

    Puoi sederti sulla sedia? disse il medico alla sconosciuta di nome Isotta, voltandosi per nascondere il labiale.

    La bambina si alzò dal letto e andò a sedersi sulla sedia.

    Benissimo, l’udito funziona alla perfezione. Ora mi dici quanti anni hai?.

    La piccola con un gesto fece intendere di non saperlo.

    Non riesci a parlare?

    Lei confermò muovendo la testa.

    Avrai sette anni, credo.

    Il sanitario fece una serie di domande attraverso le quali apprese che la bambina non sapeva chi fossero i suoi genitori e cosa avesse fatto fino a quel giorno.

    Scrisse sul referto ‘perdita della memoria per cause ignote’.

    Ora appare serena, disse all’infermiera quando uscì dalla stanza, ma sono preoccupato per quello che potrebbe accadere in futuro.

    Quindi non dobbiamo dirle che è stata trovata addormentata sopra un sedile della stazione ferroviaria?

    Non è compito nostro, la bambina è stata portata qui solo perché verificassimo le sue condizioni di salute.

    Nessuno venne a reclamare Isotta e due settimane dopo fu affidata all’orfanotrofio San Francesco non lontano dall’ospedale.

    Le terre della Fattoria felice terminavano con un’alta scogliera che si affacciava sul mar Ionio. Procedendo sulla costa si raggiungeva Gallipoli. Dalla parte opposta il confine era segnato da un bosco e dalla campagna che si perdeva a vista d’occhio. Il proprietario, Arturo Corsini, viveva in una casa con pianterreno e piano nobile, circondato dalle più modeste abitazioni dei contadini e dal fabbricato rurale per il ricovero degli animali.

    Rosa, una sua contadina, apprese la notizia della piccola smemorata rinchiusa nell’istituto dalla sorella

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