Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Nikola Tesla e l'orchestra invisibile
Nikola Tesla e l'orchestra invisibile
Nikola Tesla e l'orchestra invisibile
E-book270 pagine3 ore

Nikola Tesla e l'orchestra invisibile

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Cosa accadrebbe se un inventore, un compositore e una rivoluzionaria si incontrassero per caso scoprendo che la musica potrebbe aiutare parte dell’umanità a fare un salto evolutivo? Budapest 1881, un luogo strategico e un anno che segneranno una svolta cruciale per la storia dell’Europa, per lo sviluppo della sua tecnologia, dell’arte, della scienza e della musica. A Nikola Tesla, genio incompreso da poco trasferitosi nella capitale, cominciano a manifestarsi alcune importanti intuizioni che contribuiranno a dare l’avvio a una trasformazione sociale che avrà effetti sulla vita e sull’organizzazione delle città, delle nazioni, forse addirittura di tutto il pianeta. Vera Zasulič, animata da uno spirito ribelle, lega la sua stessa vita al futuro della Russia e dell’oligarchia zarista. È in quel periodo, infatti, che pone le basi per la futura grande rivoluzione d’ottobre. Il maestro Modest Petrovič Musorgskij, anche lui influenzato dal fervore artistico e politico e dalle trasformazioni in atto in tutta Europa, si dedica a nuovi modelli musicali in controtendenza e crea una serie di composizioni che i più attenti definiscono “futuristiche”. I tre personaggi sembrano destinati a incontrarsi per cambiare insieme il corso della storia. 
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2020
ISBN9788835825708
Nikola Tesla e l'orchestra invisibile

Leggi altro di Giuseppe Lotito

Correlato a Nikola Tesla e l'orchestra invisibile

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Nikola Tesla e l'orchestra invisibile

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Nikola Tesla e l'orchestra invisibile - Giuseppe Lotito

    Giuseppe Lotito

    Nikola Tesla e l'orchestra invisibile

    Copertina cura di Francesca Nobile

    www.francescanobile.com

    UUID: f5c926f5-52a3-4ce9-b06e-c09b998a609c

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Giuseppe Lotito

    Romanzo

    Nikola Tesla

    e

    l’orchestra invisibile

    Dedicato a mia madre rimasta a casa ad aspettare

    Premessa

    Ogni riferimento a persone e cose non è puramente casuale. I personaggi di questo romanzo sono, infatti, reali. Alle loro vicende e personalità mi sono molto affezionato nel corso delle ricerche e della stesura del libro. Nikola Tesla è realmente vissuto a Budapest nel 1881, lavorando per la compagnia telefonica ungherese, mentre Vera Zasulič e Modest Musorgskij no. Il loro incontro e ciò che ne è conseguito sono quindi frutto della mia fantasia. Spero di aver reso onore ai personaggi nella descrizione senza discostarmi troppo dalla loro biografia e mi auguro di non aver offeso nessuno con la mia opera di rielaborazione creativa, sostenuta sempre dalle migliori intenzioni.

    Un genio non può morire, nemmeno a ucciderlo, neppure a ignorarlo. Si potrà tentare di camuffare le sue tracce e, una volta data a esse una nuova parvenza, si potrebbe farle sparire in qualcun altro, un finto personaggio, un’identità fasulla, un prestanome ma, prima o poi, rinascerà, ritornerà e trasformerà le idee di molti e anche le loro abitudini, finanche le più radicate

    La valigia

    Capitolo 1

    Questa storia inizia come lo sviluppo di un dagherrotipo dove i vapori di bromo creano un fermo immagine che dura almeno dieci secondi. La fotografia prolungata di una caduta immortalata in una semplice sagoma in movimento.

    Un attimo prima di inciampare, l’ostacolo lo vedi chiaramente ma una parte di te, completamente fuori dal tuo controllo, sembra volertelo nascondere. L’ostacolo è lì, davanti a te, ed è come se tu ne fossi attratto a tal punto da usarlo come pretesto per raccontare a tutti della tua rocambolesca caduta. Ancora non lo sai ma era lì ad aspettarti, tutto l’universo si era organizzato per farti cadere. L’inciampo, però, è solo l’atto finale della parte inconsapevole della storia, quella che si imprime sulla lastra di rame della ripresa fotografica. Tutto quello che avviene da quel momento in poi è solamente la spiegazione dei fatti. Una occulta memoria ritrae l’esatto momento in cui tutto ciò non può più tornare indietro. Lì ha inizio la tua grande fortuna.

    L’ostacolo è un oggetto brulicante di viaggi, un contenitore di ferite e di storie, non è semplicemente una valigia, una vecchia valigia apparentemente abbandonata in mezzo alla strada, è molto di più. È mezza rotta, sporca di calcinacci, ha le fibbie arrugginite, una maniglia in osso d’asino, bordi in pelle di pecari ribattuta, rivetti in ottone e misteriose andate e ritorni nel suo parallelepipedo stondato. E pesa, pesa come il suo contenuto.

    È da quel momento che la vita di Nikola, un ingegnere allampanato, ammiratore del sole, avrebbe subìto una deviazione, uno sbandamento ma anche una trasformazione inaspettata.

    Anche quella di Nikita, intendo l’esistenza, avrebbe preso una piega che nemmeno il migliore degli indovini, né il più acuto degli aruspici si sarebbero mai potuti permettere di prevedere. Si potrebbe paragonare quel momento a uno scatto senza ritorno. Nikita non è il suo vero nome, o meglio, potrebbe anche esserlo ma, di fatto, a parte lei, nessuno lo sa.

    Budapest, 1881, un giorno d’inverno di un anno di numero palindromo che alcuni consideravano nefasto, forse non a caso un anno bisestile. Un imprevisto giorno di sole, un caldo inatteso e intenso, come due mani che abbiano appena sfregato la neve. In alcuni ambienti intellettuali già si parlava di come i superstiziosi avrebbero affrontato il giorno del 18 agosto di quell’anno senza attrarre malefici con il loro continuo pensiero da negromanti fissati con la numerologia.

    Un tale, forse un ragazzino, a scrutarlo bene forse l’aiutante dello stampatore, era nascosto nell’androne delle scale a spiare l’ingresso della tipografia, in attesa che accadesse qualcosa. Se ne stava lì, con i suoi cenciosi pantaloni alla zuava, un ginocchio appoggiato sulla valigia come se stesse controllando una fiera priva di collare e pronta a scappare via. Un berretto calato sulla fronte ne nascondeva i tratti ma a Nikola sembrava di averlo riconosciuto.

    Non aveva atteso invano. Dopo pochi minuti dall’ingresso principale erano usciti due individui vestiti di nero con un cappotto pesante che raggiungeva le caviglie, un cappello nero militare e la vistosa aquila gialla a due teste sulla manica destra. Se ne stavano ai fianchi di un uomo ben più basso di loro tenendolo sollevato di peso mentre quest’ultimo sgambettava come un fauno urlando qualcosa per Nikola indecifrabile. L’uomo trattenuto al centro aveva una visiera molto lunga che gli cingeva la fronte, dei manicotti bianchi sugli avambracci e un grembiule nero ancora allacciato in vita. Indossava malamente degli occhiali tondi che poi nella concitazione aveva perso, facendoli cadere a terra. Uno dei due funzionari li aveva appositamente schiacciati passandoci sopra col suo stivale nero ben lucidato.

    Uno dei due uomini in scuro gli parlava in russo e anche il povero arrestato al centro gli rispondeva nella stessa lingua ma sembravano non comprendersi.

    Stava succedendo tutto nel cortile interno di un condominio, proprio lì dove stavano facendo i lavori di ristrutturazione di un appartamento nei pressi di Magyar utca e Nikola aveva visto tutto da dietro le tende della sua piccola finestra al primo piano, quella che, sporgendosi, gli permetteva di curiosare nel cortile.

    Spariti i due individui con sottobraccio il capo, il ragazzino aveva fatto una corsa tenendo la pesante valigia con due mani, l’aveva portata fino al cancello d’ingresso, era tornato per raccogliere gli occhiali del suo padrone ed era sparito dentro la tipografia, chiudendosi velocemente la porta di ferro dietro le spalle.

    Un condomino era poi sceso nel cortile e aveva dato un’occhiata in giro come tentando di spiegarsi le urla che aveva appena sentito. Aveva notato la valigia e, dopo averla aperta, l’aveva subito richiusa, buttata fuori dal cortile interno e serrato il cancello carraio con una bella catena di sicurezza. Poi era sparito nel nulla anche lui come il ragazzino della stamperia.

    Era poi passato un tizio con la propria vettura lanciata a tutta velocità, una vecchia carrozza nera con le ruote zeppe di neve, e aveva urtato la valigia, spostandola con un colpo secco, facendola scivolare su una lastra di un centimetro di neve sporca fin sul bordo del marciapiede, rallentando per un attimo, giusto per controllare che cosa avesse colpito. Il cocchiere aveva proseguito nella sua corsa come se il tempo fosse più importante sia delle sue ruote sia ovviamente della valigia abbandonata. Nessun altro aveva fatto caso a tutta quella scena a parte Nikola in uno dei momenti in cui, per dissipare l’eccessiva quantità di pensieri e di idee, si metteva alla finestra a osservare il mondo. Lui lì, alto, magrissimo, allotrio a quella città, partiva con la sua panoramica da sinistra, dal retro dell’Hotel Astoria, abbandonato alle intemperie da quasi tre anni, immaginando la sua riapertura e l’inaugurazione piena di luci elettriche di nuova invenzione, scivolava poi sulla minuscola libreria, la staccionata, il giardino Károlyi-kert, l’incrocio coi binari del tram, e finiva il suo percorso alzando lo sguardo al cielo, in cerca del sole, la sua fissazione ormai da quasi un decennio.

    Si era sentito un bel colpo e l’ingegnere aveva notato l’oggetto in questione scivolare via per poi terminare la sua corsa dopo una mezza dozzina di metri. La valigia attraeva la sua attenzione al punto da fargli dimenticare il suo astro, sparito oltre le nuvole per un attimo piuttosto lungo. Aveva temporeggiato, indeciso se scendere in strada a togliere di mezzo quel rifiuto ingombrante; il giovane Nikola aveva sì una mania per l’ordine, ma in quel momento la sua mente stava già calcolando il peso del contenuto della valigia mettendo insieme la velocità del mezzo su ruote e il rumore prodotto dall’urto. – Non può trattarsi di vestiti, quella valigia deve contenere qualcosa di simile alla carta o al cartone… e forse un oggetto metallico – pensò e ripetè sottovoce alla fine dei calcoli.

    Finalmente si era deciso, era sceso in strada, frenato dal timore di immischiarsi in faccende pericolose ma spinto dalla curiosità di sapere se la sua considerazione fosse o meno corretta. Una volta uscito dal portone pedonale, quello di fianco alla carraia, aveva con sconforto notato che la valigia era già sparita. Dopo essersi stupito per la rapidità con cui era successo il fatto e non senza aver dato un’occhiata a sinistra e una a destra in cerca di chi l’avesse rimossa, si era voltato manifestando una certa delusione ed era poi rientrato nel suo portone. Come alcune volte accade, la mente registra però qualcosa che passa direttamente nella memoria inconscia senza riuscire a trattenerlo in superficie. La salvezza è una vocina interna che ti avvisa di ciò che sta avvenendo, senza di lei tutte le memorie si appiattirebbero come pelli di felini buttate a terra a guisa di tappeto esotico.

    Questo era successo a Nikola che, dopo un fugace guizzo, era tornato con lo sguardo verso la strada, mettendo a fuoco verso i rami che parevano anch’essi infreddoliti sui tronchi dei numerosi lecci del parco, e scorgendo fra questi una figura di donna, la stessa figura di femmina sbilenca che lo aveva più volte fermato per strada chiedendogli l’elemosina.

    L’aveva presa proprio lei. Sì, la valigia era stata vista, soppesata, sollevata per attraversare la strada impolverata di neve e trascinata con tutto il suo peso e il suo contenuto, e ora seguiva la sua nuova proprietaria come un vecchio mulo di beduino che non abbia più voglia di muoversi.

    Nikola aveva osservato la scena per qualche attimo poi, distolto dal freddo dovuto al sole svanito di colpo, aveva deciso di lasciar perdere e rimettersi al lavoro, davanti ai suoi fogli ordinatamente pasticciati e al suo caffè ormai intiepidito dall’eccessiva attesa. Nei giorni successivi avrebbe avuto così tanto da fare con il suo nuovo progetto di miglioramento dell’impianto telefonico governativo che approfittava anche dei rari momenti liberi per ultimare la sua idea. Entro pochi mesi, infatti, la Budapest Telephone Exchange sarebbe diventata operativa e di lavoro da fare ce n’era ancora parecchio ma, se la sua idea segreta avesse funzionato, avrebbe cambiato molte cose in tutta l’Ungheria.

    Il giovane ingegnere Nikola Tesla era arrivato a gennaio a Budapest dopo aver lasciato Gospić, il suo paese di origine, e suo zio Pavle lo aveva raccomandato al signor Ferenc Puskas oltre che aiutato con qualche soldo a uscire dalla sua piccola realtà serba, il villaggio di Smiljan.

    Il ritrovamento

    Capitolo 2

    Nikola trascorse i giorni successivi dividendo l’attenzione fra il suo ossessionante progetto e la costante preoccupazione di non procurare una brutta figura agli amati zii che tanto avevano fatto per aiutarlo nella sua attuale sistemazione.

    Il piccolo appartamento in cui viveva non era molto costoso ma a quello, per i primi due mesi, avrebbero pensato loro, Pavle e Petar, gli zii materni. Ciò che rappresentava un costo per la vita di Nikola era la modernità di una città in grande fermento artistico e sociale alla quale non era adeguato con lo stipendio base che aveva ottenuto. Alla fine della prima settimana del mese, per stare al passo con quella frenesia, aveva già raschiato il fondo del barile. Prima o poi avrebbe dovuto decidersi a controllare anche le spese extra rappresentate dai materiali che acquistava per i suoi esperimenti sulla corrente, ma non prima di aver dato vita al suo strumento di amplificazione, quello che avrebbe dovuto essere pronto per fine mese. Nikola era capace di dormire solo due ore per notte senza stancarsi, e lasciando che le sue ossessioni gli facessero da carburante e quella non era la sua ultima mania, era solo una delle tante sull’elettromagnetismo e la sua trasmissione.

    Quel giorno di fine gennaio, dopo aver versato la giusta quantità di caffè di scarsa qualità nella sua tazza da 250 millilitri, si era preso una pausa e aveva raggiunto, con soli tre passi da circa 90 centimetri ognuno, la finestra dalla quale osservava il sole quando scansava le nuvole sbucando fuori all’improvviso. Ci tornò su, ripensando alla signora senzatetto, alla valigia, al suo peso e al suo contenuto. Si ricordò che una strana cosa l’aveva notata: la valigia era molto simile, forse addirittura identica, a quella usata dal fioraio del quartiere, l’uomo che la domenica occupava un piccolo spiazzo di fianco all’ingresso della cattedrale di Santo Stefano, proprio a pochi isolati da casa sua. Inoltre la dama questuante non era più apparsa all’angolo dove abitualmente si posizionava per la sua giornata lavorativa. La incontrava di solito all’incrocio tra l’ingresso del parco e l’hotel abbandonato. Non doveva farci molti soldi in quella svantaggiosa posizione, ma di certo la dama aveva fatto i suoi calcoli e lo aveva ritenuto un buon luogo per chiedere spiccioli ai passanti.

    Decise di passare a dare un’occhiata al venditore di fiori per controllare se la sua memoria fosse esatta. Una volta arrivato al banchetto, comprò tre girasoli e domandò al venditore, un tipo alto come una guardia russa, paonazzo in volto come se avesse fatto colazione con una bottiglia di rosso zeppo di tannini, in che modo si fosse procurato quella valigia. – L’ho trovata – aveva buttato lì il fioraio senza dar peso alla sua risposta ma generando curiosità nel suo cliente.

    Esattamente due settimane dopo, come tutte le domeniche di gennaio e febbraio da quando si era trasferito a Budapest, dopo aver riordinato lo studio, azione pressoché impossibile per via dello spazio assai ridotto, Nikola seguì alla lettera il piano che si era imposto per non perdere il senso del tempo e dello spazio. Il programma consisteva nel fare, per prima cosa, rifornimento di cibo e caffè se ne avesse trovato di suo gradimento, poi il giro del parco e della cattedrale in meno di trentacinque minuti, quaranta, se ci fosse stata neve ghiacciata a terra, quarantacinque se non ci fosse stato il vento a far da deterrente al tuffo domenicale nel Danubio, quello che in pochi minuti gli serviva a ristabilire un equilibrio tra la sua mente e le idee che a volte gli impazzivano dentro e non lo lasciavano ragionare in pace.

    Il rifornimento preferiva farlo in un piccolo supermercato gestito da un signore piccoletto ostinatamente dotato di farfallino che diceva di essere giapponese e che faceva arrivare dei prodotti via nave direttamente da quel paese così lontano. Il negozio si trovava alla fine di Magyar utca all’angolo con Kecskeméty utca. Gli sembrava più pulito degli altri e il proprietario non era uno che toccava, seppur amichevolmente, gli avventori, dato importantissimo per Nikola che amava tenere le mani protette dai guanti anche in autunno e primavera.

    Nella sua lista aveva segnato, come sempre, alcune parole, con un apparente disordine, sotto la voce animali, poi aveva girato il foglio e aveva compilato un elenco incomprensibile anche a se stesso, sotto la voce vegetali. Sotto i due elenchi comunque comparivano in piccolo alcune voci che non appartenevano a né all’uno né all’altro, inoltre nessun animale era presente in elenco.

    La domenica, fra tutti, era il giorno più anormale e triste per lui, lo metteva di malumore. Ciò che era successo nel passato lo aveva colpito negativamente lasciando un solco incolmabile. Nikola non si era mai deciso a risolvere quella questione per non trovarsi faccia a faccia con qualcosa che credeva di aver dimenticato ma che puntualmente tornava a bussare alle porte della sua mente come un postino irritante. La morte di suo fratello, appena dodicenne, era stata una delle più forti contraddizioni della sua vita. La colpa, la responsabilità datagli da alcuni presenti al fatto, la perfezione di quel cavallo che aveva sgroppato sotto i suoi occhi, erano forse il movente dei suoi sforzi di creare almeno una cosa buona e riscattare il suo debito nei confronti dell’umanità intera.

    Anche suo padre ce l’aveva messa tutta per farlo sentire sbagliato, accusandolo di cercare se stesso nella direzione inadatta, più vicina a quella del diavolo che non a quella del creatore. E la domenica tutti quei mostri si presentavano in adunata come una ridda di maschere in attesa del suo carnevale personale.

    Uscendo dal negozio con una borsa semivuota fatta di un mosaico di rombi di pelle di vari colori che si era portato da casa, Nikola si soffermò sull’ingresso a controllare la ricevuta scritta con una grafia che somigliava più al giapponese che non al magiaro. L’inconsueta concentrazione messa nel decifrare il semplice foglietto che aveva deciso di conservare per cominciare a gestire il suo bilancio, non gli fece però perdere il suo stato di attenzione divisa. Nikola infatti si volse improvvisamente verso qualcosa dietro di sé che lo aveva magneticamente attratto e distratto al contempo facendo un incontro davvero inaspettato. La donna che aveva preso possesso della valigia non stava più allo stesso angolo con la mano esposta per elemosinare qualche fiorino dai passanti. Era invece in piedi, su un piedistallo ricavato da un piccolo trespolo di legno rinforzato da quattro assi inchiodate a croce davanti e dietro. La sua statura guadagnava almeno venticinque centimetri. La donna aveva davanti a sé un leggio di evidente buonissima fattura anche se mezzo ossidato dal tempo e dall’umidità. Dirigeva un sestetto invisibile di archi, o almeno così pareva dai suoi movimenti. I musicisti li vedeva solo lei, li sentiva solo lei ma si muoveva come quando i normali esseri umani imitano i direttori d’orchestra, facendo volteggiare le mani nell’aria, fingendo di avere nella destra la bacchetta bianca del maestro.

    Qualcuno si era fermato un attimo, aveva sorriso e, non trovando un raccoglitore per le monete, aveva proseguito con una dose di curiosità e senza lasciare la mancia.

    Lei aveva anche ben organizzato l’orchestra in tre parti. A sinistra c’erano i violini, al centro le viole e il violoncello a destra, proprio davanti al contrabbasso. Lo si capiva chiaramente dai suoi gesti, ampi, decisi e rivolti verso terra per gli strumenti dai toni più gravi, leggeri, più veloci e rivolti al cielo per quelli dai toni alti. Forse sentiva e vedeva anche delle voci ma quelle erano più difficili da scorgere nella sua orchestra immaginaria.

    Finito il concerto aveva chiuso lo spartito, smontato e ripiegato il leggio, girato sottosopra il piccolo podio e riposto tutto lì dentro. Della valigia nessuna traccia.

    Nikola aveva assistito al concerto occupato più a osservare la stranezza di quella dama controbilanciata dalla propria normalità che non l’effettiva performance artistica in atto.

    Una strana usanza

    Capitolo 3

    Per tornare a casa, Nikola era passato da Múzeum körút, una strada dove le librerie si susseguivano una dopo l’altra e, proprio in quei giorni, come succedeva una sola volta

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1