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La congettura dell'anima: Storia dell'uomo che ha scoperto la forma dell'universo
La congettura dell'anima: Storia dell'uomo che ha scoperto la forma dell'universo
La congettura dell'anima: Storia dell'uomo che ha scoperto la forma dell'universo
E-book164 pagine2 ore

La congettura dell'anima: Storia dell'uomo che ha scoperto la forma dell'universo

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Info su questo ebook

“La genialità non ha regole e non può avere confini”, eppure può avere risvolti imprevisti nella vita di un uomo. Accade a Grigorij, un’intelligenza eccelsa e una sensibilità estrema, che riuscì a dimostrare la congettura di Poincaré, cercando così di spiegare quale sia la forma dell’universo. La congettura dell’anima è la storia romanzata di Grigorij Jakovlevič Perel'man, il matematico di San Pietroburgo che ha rifiutato carriera, clamore e premi in denaro diventando lui stesso l’enigma da risolvere. Giovanni Calia, con una scrittura evocativa e coinvolgente, ha dato voce a una personalità tormentata, intensa, impossibile da dimenticare.

 
LinguaItaliano
Data di uscita5 ago 2020
ISBN9788869600975
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    La congettura dell'anima - Giovanni Calia

    GIOVANNI

    CALIA

    LA CONGETTURA

    DELL’ANIMA

    STORIA DELL’UOMO

    CHE HA SCOPERTO

    LA FORMA

    DELL’UNIVERSO

    www.altrimediaedizioni.com

    facebook.com/altrimediaedizioni

    instagram.com/altrimediaedizioni

    Titolo dell’opera:

    La congettura dell’anima

    © 2020 Altrimedia Edizioni

    ISBN: 9788869600975

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    www.altrimediaedizioni.com

    Prima edizione digitale: Luglio 2020

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Al mio amato fratello,

    sperando di essere all’altezza

    del compito che mi ha lasciato.

    Zero

    Lo scienziato non studia la natura perché è utile, ma perché ne prova piacere e ne prova piacere perché è bella.

    Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena studiarla

    e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta.

    Henri Poincaré

    Madrid, 22 agosto 2006

    «Sei riuscito a parlargli?»

    «E come si fa a parlare con uno che non vuole parlare?»

    «Quindi non c’è nulla da fare...»

    «Temo di no, dottore.»

    Il dottor Bell dovette concedersi velocemente a quella fugace discussione sottovoce tenutasi sul palco del più prestigioso organismo scientifico della matematica mondiale, proprio nel suo momento più autorevole: la consegna della prestigiosa medaglia Fields, ritenuta da tutti il Nobel della matematica.

    Il re di Spagna, Juan Carlos, finì il suo discorso e tornò a sedersi accanto a Bell, tra gli applausi scroscianti delle centinaia di persone in sala. Quello era il segnale che il momento di Bell era arrivato.

    Il dottore si alzò e con sguardo serio e passo lento si avviò verso il podio mentre gli applausi scemavano. Posò i suoi documenti sul leggìo e iniziò.

    «Passiamo ora alla premiazione delle medaglie Fields del 2006», fece una pausa nella quale non riuscì a guardare il pubblico.

    «Il comitato delle medaglie Fields del 2006 è composto da Enrico Oberello, Jeff Chiga, Donald Dowson, Gerhardt Euskal, Curtis McMullen, Alexi Parsion, Tom Spencer, Michelle Aaron e il sottoscritto», voltò pagina rimanendo col capo chino sul leggìo.

    «Il compito del comitato è di scegliere almeno due Fields Medalists tenendo conto della sua volontà di rappresentare una varietà di campi matematici e dell’esigenza che i candidati siano di età inferiore ai quarant’anni», fece una pausa per prendere fiato.

    Il microfono fece chiaramente riverberare nell’enorme aula il suono della gola di Bell che deglutiva, producendo uno strano effetto sonoro simile a quello di una goccia che cade in un grande e silenzioso pozzo pieno d’acqua.

    «Il comitato ha avuto il privilegio di considerare un numero di incredibili giovani matematici. Nonostante la scelta sia stata difficile, il comitato è stato unanime nel selezionare quattro Medalists i cui magnifici lavori dimostrano l’ampiezza e la ricchezza del soggetto. Annuncerò i nomi dei vincitori in ordine alfabetico, dopodiché riceveranno la medaglia da sua Maestà.»

    Bell guardò il re per un attimo, lasciandosi sfuggire un sorriso imbarazzato, smorzato dal silenzio tagliente di quell’aula.

    «Una medaglia Fields viene conferita ad Andrei Okounkov, del dipartimento di Matematica della Princeton University, per i suoi contributi nell’unire probabilità, teoria della rappresentazione e geometria algebrica.»

    Il pubblico scoppiò in un applauso che accompagnò Okounkov ricevere il premio dal re di Spagna.

    Dal podio, Bell guardava Okounkov salire sul palco, andare a ritirare il premio e stringere la mano al re. Lanciò un sorriso di circostanza, strinse la mano al giovane e continuò. Inghiottì ancora, ma stavolta gli applausi coprirono quel pozzo di imbarazzo che stava per uscire allo scoperto.

    «Una medaglia Fields viene riconosciuta a Grigorij Pavlovič da San Pietroburgo.»

    Gli applausi si intensificarono e Bell dovette fare una pausa. Una pausa che durò quindici lunghi, interminabili secondi durante i quali si ritrovò a guardare una sala in estasi pensando a quello che si apprestava a dire. In quell’attesa Bell capì che quel pubblico era lì per Grigorij Pavlovič. E lui non poteva farci niente.

    Gli applausi continuavano e lui fece un cenno con la mano per placarli.

    «... per il suo contributo alla geometria e alle sue intuizioni rivoluzionarie nella struttura analitica e geometrica del flusso di Ricci...»

    In un fugace momento di orgoglio Bell decise di non dare spazio ad altro e continuò velocemente il suo discorso.

    «... Mi dispiace informarvi che il dottor Pavlovič ha deciso di rifiutare la medaglia.»¹

    Partirono alcuni timidi e isolati applausi dalla platea insieme a un audace urlo di approvazione dalla galleria mentre tutto il resto degli astanti rimase incredulo. Il dottor Bell perse per un attimo l’aplomb inglese che aveva cucito addosso, poi si ricompose e continuò con la premiazione di Terence Tao e Wendelin Werner pronunciando la stessa formula.

    Terminato il rito, il dottor John M. Bell tornò al tavolo e guardò il suo amico Clay Cambridge seduto in prima fila. Era rimasto impassibile per tutta la premiazione. Fu allora che Bell maturò la consapevolezza che quello sarebbe stato il suo ultimo atto da presidente dell’Unione Matematica Internazionale.

    Grigorij Pavlovič era riuscito a dimostrare uno dei sette problemi della matematica del millennio: la congettura di Poincaré.

    La dimostrazione della congettura attraversava un po’ tutta la storia della matematica, da Euclide e Pitagora fino ai giorni nostri e all’ardua impresa di Pavlovič.

    Era tanto naturale per Pavlovič quanto per la natura della matematica: tutto il suo sviluppo si svolgeva lungo un filo senza soluzione di continuità. I problemi passavano da una generazione di matematici a quella successiva come un testimone. Si ampliavano, diventavano sempre più generali e più astratti. Ma quel filo era sempre stato possibile rintracciarlo.

    La congettura di Poincaré rappresenta uno dei più splendidi esempi di questa continuità.

    Come Pitagora, Eratostene e Tolomeo che all’alba dei tempi si interrogavano sulla forma del mondo o più tardi Riemann, Poincaré ed Einstein, che volevano capire la forma dell’Universo, Pavlovič riuscì a svelare i segreti arcani che gli antichi matematici pensavano fossero iscritti nei numeri applicati alla forma. Segreti che la natura aveva e che si riproducevano nel mondo fisico.

    Grigorij Pavlovič, conosciuto da tutti come Grisha, riuscì a svelare il segreto della relazione fra astrazione e fisicità, quindi il segreto della costruzione e creazione dell’Universo. E da quella scoperta volle tenersi sempre alla larga, scomparendo dalla gabbia di notorietà che aveva attorno a sé.

    Poco dopo, quando la conferenza non era ancora conclusa, Clay Cambridge si alzò pacatamente dalla prima fila e se ne andò, portandosi dietro gli occhi di tutta la sala insieme a qualche brusìo.

    Uscì dal Campo de las Naciones, il luogo dove si teneva il Congresso Internazionale di Matematica, a nord-est di una rovente Madrid di fine agosto.

    Si avvicinò alla fila dei taxi e chiese di essere portato a Tribunal, nel quartiere di Malasaña. Fece un pezzo di tangenziale per poi vedere riflesso nei suoi occhi tutto il Paseo de la Castellana, arrivando così al cuore più antico di Madrid.

    Chiese di essere lasciato nei pressi della stazione della metro e iniziò a camminare lì attorno senza meta portando la giacca in mano dopo essersi alzato le maniche della camicia di cotone egiziano che teneva sbottonata per sostenere gli oltre quaranta gradi che Madrid era capace di infliggere a quell’ora.

    Clay Cambridge si ritrovò in un susseguirsi di vicoletti stretti separati a loro volta da stradine altrettanto strette su cui degli sporadici alberi regalavano qualche secondo d’ombra a coloro che ci camminavano sotto. In Calle de San Andrés notò un piccolo locale, ci si buttò dentro e ordinò un vermut con ghiaccio.

    Se ne rimase lì, al fresco dell’aria condizionata in quel posto dal sapore anni ’70, guardando le poche persone che passavano lì fuori e ascoltando quelli al bancone che chiacchieravano mentre reiteravano il rito del vermut a mezzogiorno.

    Quella giornata fu per lui una presa di coscienza. Un colpo alla sua dignità, al suo lavoro. Il motivo per cui Grisha aveva rifiutato il premio lo stava tormentando. Non aveva sue notizie da una decina d’anni. Poi vide pubblicare online una ricerca che risolveva Poincaré.

    Risolve Poincaré e scompare? Si domandava incredulo.

    Prese il suo Blackberry dalla tasca interna della giacca. Notò che la casella e-mail continuava a riempirsi. La ignorò e compose un numero.

    Il telefono produsse un beep diverso da quelli europei.

    A Boston erano le sei del mattino.

    «Buongiorno» rispose una voce femminile in russo.

    «Hai saputo?» continuò anche lui in russo.

    «Sì, sto leggendo le prime agenzie online.»

    «Devi farmi un favore.»

    «Dipende...» fece una pausa. «... Dimmi.»

    «Vorrei che chiamassi qualche tuo amico in Russia.»

    «...»

    «Bisogna andare a cercare Grisha e capire che fine ha fatto, dove vive e soprattutto perché ha rifiutato la Fields.»

    «... E da dove salta fuori ora tutto questo interesse per Grisha? Te ne sei fregato per anni...», rispose stizzita la voce all’altro capo del telefono.

    «Voglio sapere che fine ha fatto. Voglio trovarlo, guardarlo negli occhi e chiedergli perché siamo arrivati a questo.»

    Dopo qualche secondo di esitazione, la voce rispose con un secco: «Ti farò sapere», non lasciando intendere che quella ricerca era già iniziata.

    Dove sarà andato?, si chiese Dmitrij qualche settimana dopo.

    Non aveva mai fatto appostamenti, ma sapeva come si facevano. Almeno quello era ciò che aveva imparato dopo anni di serie poliziesche americane. Prese un libro e comprò dei sandwich, accese la radio per rimanere sveglio mentre aspettava il suo obiettivo. Era lì per intervistarlo ma c’era un problema: Grigorij Pavlovič viveva da recluso, forse il più famoso del mondo, e come tale odiava parlare con la gente. Pochi giorni prima, Dmitrij si era recato all’istituto di Matematica Steklov dell’università di San Pietroburgo in cerca di colui che in quel momento era il matematico più celebre della Russia, forse del pianeta. Lì ricevette una notizia da un collega di Pavlovič.

    «Piacere di conoscerla.»

    «Vedremo se sarà bello o no» rispose il professore, ma poco dopo, come un rubinetto arrugginito, una volta aperto Voevodskij sgorgò.

    «Il professor Pavlovič si è dimesso dal suo incarico con una lettera fatta recapitare al rettore il giorno dopo aver risolto il problema di Cheeger e Gromoll. Da allora non abbiamo più sue notizie. Sembra scomparso.»

    «Ma non può essere scomparso.»

    «No. Parlava sovente dei suoi boschi, quelli che si trovano nei dintorni di San Pietroburgo, dove ama andare per funghi e dove forse ora si è rifugiato. Ma, le ripeto, nessuno sa con esattezza dove si trova.»

    «Mi scusi professore, posso chiederle cosa ne pensa lei di questa storia?»

    Il professore fece una pausa e un sospiro prima di iniziare a rispondere: «Per quasi cento anni la congettura ha confuso le menti matematiche più acute, molte della quali avevano rivendicato d’averla dimostrata, salvo trovarvi errori alla verifica successiva. Alcuni sprecarono tutta la loro vita a trovare una soluzione e ne ebbero lo spirito spezzato. Il professor Pavlovič, pur avendo sconfitto la congettura, dopo molti anni di sforzi e concentrazione ne fu influenzato così profondamente da apparire spezzato a sua volta».

    «Continui...»

    «Henri Poincaré enunciò nel 1904 la sua congettura, che molto probabilmente oggi si può considerare risolta, ma nel nostro ambiente si ritiene che ci vorranno forse altri cento anni per scoprirne tutte le implicazioni matematiche e fisiche. Per ora ci accontentiamo di ammirarne la bellezza, come si fa di fronte a una grande opera d’arte.»

    «Mi perdoni professor Voevodskij, ma non sta forse esagerando?»

    «No. Affatto. Si tratta di un problema centrale della matematica e della fisica poiché cerca di spiegare quale sia la forma possibile dell’Universo.»

    Il professor Vladimir Voevodskij fece una pausa, allontanò lo sguardo nel vuoto, poi ritornando negli occhi del suo interlocutore continuò.

    «Penso che Grisha in fondo sia un artista più che uno scienziato e che quando vide la forma dell’Universo, dopo averla cercata per anni, decise che il suo compito qui fosse terminato. L’ultima volta che lo vidi gli chiesi se avesse bisogno di qualcosa. Mi rispose che aveva tutto quello

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