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Il diario di Gaby
Il diario di Gaby
Il diario di Gaby
E-book151 pagine1 ora

Il diario di Gaby

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Il diario di Gaby è un volume degli anni Trenta che contiene gli appunti vergati di suo pugno dall’aviatrice Gabriella Angelini e messi insieme e curati dalla madre dopo la scomparsa della figlia nei cieli della Libia. Dalla conquista delle prime pagine dei giornali per la partecipazione al Giro aereo di Lombardia, alla grande impresa aerea del tour in Europa in solitaria e senza paracadute, a bordo di un velivolo leggero Breda 15, fino all’impresa ancora più ambiziosa nonché fatale: un volo da Milano a Delhi. Durante la traversata, “Little Gaby” precipita nel deserto libico a causa di una furiosa tempesta di sabbia (3 dicembre 1932). Tumulata al cimitero monumentale di Milano, la sua tomba è ben riconoscibile per la grande scultura in bronzo, in grandezza naturale, raffigurante un’elica contorta messa in verticale. L’epitaffio “...ed or non batte più che l’ala del mio sogno”, riprende quello inciso sul cenotafio in memoria degli aviatori caduti, nel Cimitero degli Invitti a Redipuglia. Il velivolo Breda usato da Gaby Angelini nel raid europeo è conservato nel padiglione aeronavale del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano.
LinguaItaliano
Data di uscita13 feb 2024
ISBN9791223008638
Il diario di Gaby

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    Il diario di Gaby - Gabriella Angelini

    Gabriella Angelini

    Il diario di Gaby

    Gabriella Angelini

    Il diario di Gaby

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – settembre 2023

    www.idrovolanteedizioni.com

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    eroine dell’aria

    di Virginia Elydia Corbelli

    Con l’avvento della Prima guerra mondiale, la storia delle donne nella società italiana cambia per sempre.

    Il primo momento di rottura con i canoni classici del passato è rappresentato dal distacco dal padre, dal marito, dal fratello o dai figli che partono in regime di mobilitazione totale verso un futuro ignoto, minaccioso e per molti nemico della vita.

    Già da allora, seppur ancora appese alle corrispondenze postali per conoscere il destino dei propri cari, le donne diventano una colonna portante per la tenuta del fronte interno.

    La contadina deve gestire in modo molto più diretto la proprietà, anche se piccola. Molte giovani si riversano in città o nelle zone più industrializzate per la forte richiesta di manodopera. Le donne della borghesia spesso diventano anime delle raccolte di fondi, ma più spesso di lana, maglie, guanti, berretti per i soldati. Insieme a molte nobildonne entrano a far parte della Croce Rossa che invia molte di loro nelle vicinanze del fronte.

    Insomma, i legami con la vecchia cultura e società contadina e cattolica vanno allentandosi, aprendo per molte donne una nuova consapevolezza di sé.

    La fine della guerra rappresenta un secondo momento di rottura. Quello, cioè, in cui l’Italia dilaniata dal conflitto che pure la vide vincitrice, cerca di ritornare alla nomalità, tuttavia impossibile da recuperare nel suo insieme.

    Se da un lato si assiste al tentativo di ricucire quello strappo con il passato, dall’altro inizia a comparire la consapevolezza che, in Italia come in altri Paesi d’Europa, il ruolo della donna sarà destinato a cambiare per sempre.

    Finita la guerra, le donne italiane iniziano a ragionare in ottica di maggiori diritti: su tutti, quello di voto. Si ricomincia a parlare di suffragio femminile e, agli occhi delle femministe della prima ora, sembra Benito Mussolini il rivoluzionario in grado di sostenere l’emancipazione femminile.

    In effetti, a tre anni dalla Marcia su Roma, il 25 novembre 1925 il Duce concede alle donne il voto amministrativo.

    In generale, si respira un’aria nuova alla fine della guerra e all’inizio del Ventennio.

    Si ascolta musica inedita, sull’onda dello swing americano, si acquisiscono nuove abitudini e nuovi stili di vita, si comincia ad intravedere, negli anni ´20, un sostanziale cambio di look: gonne corte, capelli alla garçonne, corpo sottile, maggiore libertà di comportamento.

    È il modello della maschietta.

    Le ragazze nate nel primo Novecento approcciano al fascismo con una vena estremamente moderna.

    Vogliono studiare, andare all’Università, avere un lavoro soddisfacente e un uomo accanto che condivida i suoi sogni e il suo futuro. Vivono in prima persona i momenti del fascismo trionfante, dell’annuncio dell’Impero, delle grandi promesse e delle grandi illusioni e sono normalmente fasciste, perché il fascismo è l’unico sistema che conoscono.

    Man mano che il Regime cambia volto e le esigenze del Paese diventano diverse, i modelli delle dive americane, delle signore eleganti dei manifesti di Marcello Dudovich, delle ragazze che compaiono sulle copertine della rivista Grandi Firme (formose, seducenti ed emancipate), lasciano il posto alla versione più tradizionale e conservatrice: la donna madre.

    Il dado, comunque, è tratto e le eccezioni si moltiplicano.

    Da un lato, in linea con la politica demografica del fascismo, nasce l’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, per tutelare le donne e i bambini senza famiglia.

    Dall’altro, le donne si lasciano coinvolgere nei gruppi giovanili fascisti, dove vengono incoraggiate soprattutto a praticare lo sport.

    Il momento trionfale di questo percorso lo raggiunge Ondina Valla, donna sana e robusta della Gioventù del Littorio, che nel 1936 a Berlino conquista per la prima volta l’oro olimpico.

    Ma i primi trent’anni del Novecento sono anche quelli delle grandi innovazioni tecnologiche, del culto del movimento, della velocità come strumento della tecnica, del pionierismo e dell’ardimento in diversi campi d’applicazione.

    Su tutti: il volo.

    Il richiamo per l’ignoto è incontenibile, anche per le donne.

    Che però, a differenza dei colleghi, per esaudire il proprio sogno di librarsi nell’aria devono affrontare la forza di gravità solo come ultimo degli ostacoli.

    Prima vengono: lo scetticismo della famiglia, lo stigma sociale, il pregiudizio degli uomini, siano essi istruttori di volo o compagni d’avventura.

    Per trovare coraggio e accettare questa sfida, le donne italiane scelgono di seguire le orme delle prime e più celebri donne i cui nomi sono legati a doppio filo con la storia dell’aviazione.

    E con l’Italia che, in un modo o nell’altro, svolge sempre un ruolo centrale.

    La città di Torino, ad esempio, in quegli anni è la culla italiana della nascente aviazione pionieristica, dove vengono eseguiti i primi esperimenti con il più pesante dell’aria: l’aeroplano, come lo definisce Gabriele d’Annunzio.

    La ex capitale sabauda tiene a battesimo i primi intrepidi pionieri dell’aviazione e diviene famosa anche per il primato di vedere volare la prima donna, come passeggera, la francese Thérèse Peltier, nell’ormai lontano 1908.

    Ufficialmente, il primo volo di un mezzo più pesante dell’aria avviene il 17 dicembre 1903, nella località denominata Kitty Hawk del North Carolina, ad opera dei fratelli Orville e Wilbur Wright. Bisogna però arrivare al 1908 perché in Italia si assista per la prima volta al volo di un aeroplano, un Voisin francese, pilotato da Léon Delagrange.

    In quell’anno i voli effettuati in Francia da Delagrange attirano l’attenzione di un gruppetto di uomini entusiasti del nuovo mezzo di locomozione, tra questi l’onorevole ingegner Carlo Montù, che di persona assiste ai numerosi voli del pilota francese.

    È nel marzo del 1908 che l’ingegner Montù parte per Mourmelon-le-Grand, assieme all’avvocato Cesare Goria-Gatu, al cavalier Ernesto Cavalchini ed ai dottori Aldo Weillschott e Francesco Guastall, per convincere il Delagrange ad effettuare in Italia alcuni esperimenti aviatori.

    Terminate le trattative il pilota francese accetta, e così Delagrange arriva a Roma il 15 maggio 1908, accompagnato dall’ingegner Clovis Thouvenot, responsabile della ditta francese dei Fratelli Voisin di Parigi, famosi costruttori di aerei, che si stupisce non poco del grande battage pubblicitario che aveva tappezzato ogni angolo della città con manifesti dalle frasi roboanti come: Oggi si vola! e Delagrange volerà!

    Con sé anche l’aereo, un biplano Voisin del peso complessivo di 550 kg, propulso da un motore Antoinette da 50cv ad otto cilindri pesante 150 kg., non poca cosa per l’epoca.

    Domenica 24 maggio, l’intrepido pilota, dopo diverse prove nella Piazza d’Armi di Roma, senza riuscire ad alzarsi dal suolo, con grande disappunto dei presenti che iniziano a fischiare e protestare, all’ultimo tentativo, con volo rasoterra quasi impercettibile percorre 1.800 metri: per la prima volta in Italia un velivolo riesce a staccarsi dal suolo.

    Il 1° giugno, conclude la serie delle giornate aviatorie alla presenza della Regina Margherita, per poi trasferirsi a Milano, dove inizia da martedì 9 giugno le prove di volo culminate senza successo per via di noie piuttosto serie al motore, tanto da dover inviare di corsa un meccanico a Parigi per prelevare un nuovo motore.

    Finalmente con il nuovo propulsore installato l’aviatore riesce a compiere diversi voli di fronte ad una folla estasiata, ed il 23 giugno effettua, in due riprese, dieci volte il giro della Piazza d’Armi di Milano, percorrendo in totale 17 chilometri e 800 metri in 18 minuti e 30 secondi.

    Terminati i voli in terra lombarda Delagrange il 26 giugno giunge a Torino, anche qui accolto con grandi onori, anche se, complice il maltempo, non riscuote grande successo, a partire dalla prima giornata in cui danneggia l’aereo.

    Domenica 28 giugno inizia gli esperimenti, così descritti da un giornalista presente:

    Un colloquio con Delagrange: "…Leone Delagrange, l’eroe del giorno, il volatore senza uguali, è un giovanotto biondo, alto, sui trentacinque anni, dal gran naso ricurvo, dalla fronte fuggente e l’occipite sviluppato, con magri baffetti biondi e rari capelli che la mano scompiglia con gesto abituale: un viso semplice e bonario in cui brillano due occhi grigi acuti di malizia. Veste un modesto costume da ciclista grigio verdognolo, e non ha ne apparenze ne pose di un eroe. Cammina dondolandosi, con le mani in tasca, un po’ curvo con l’aspetto di un uomo calmo e sicuro, quasi indifferente, placido e sorridente anche di fronte alla noia di un’intervista. – Dunque, gli chiedo per cominciare, come trovate il terreno? – E’ magnifico mi risponde, non lascia nulla a desiderare. Speriamo che non ci sia vento. – Gli faccio osservare che Torino possiede una delle atmosfere più tranquille dell’universo. Sorride. – Me lo hanno detto – aggiunge. Ma mi dicevano la stessa cosa anche di Milano e invece che vento!

    Toglietemi dunque un dubbio – gli chiedo, – l’aeroplano che avete condotto a tante vittorie, è invenzione vostra? – No, no – mi rispose, con premura: – L’aeroplano è stato disegnato dall’ingegnere Voisin. I fratelli Voisin possiedono una piccola officina a Parigi, e da tempo si occupano di aviazione. L’aeroplano attuale è il risultato dei loro studi sui tentativi propri ed altri. Io vi ho collaborato….

    Vedete – mi dice, come se mi facesse una confidenza, – si potrebbe fare molto di più, se i motori fossero più perfetti. Il nostro grande scoglio è il motore. I motori attuali pesano ancora troppo: sì, lo so, lo so, si dice che si possono

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