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Arborei. Un bizzarro pentacolo a Torino. Libro secondo
Arborei. Un bizzarro pentacolo a Torino. Libro secondo
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E-book162 pagine2 ore

Arborei. Un bizzarro pentacolo a Torino. Libro secondo

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Info su questo ebook

Cloè Bramante, nipote di Mirta Lauro, detta Lalil dagli Arborei, era discendente di una felice unione tra Arborei e Terricoli. Ci ha fatto consegnare tutti i suoi appunti e diari, oltre a innumerevoli reperti, con il desiderio di far sapere a molti l'aiuto ricevuto dagli Arborei in momenti difficili della sua esistenza: vi sono infatti più mondi che convivono negli stessi tempi e negli stessi luoghi e l'amicizia tra essi può rendere la vita più felice.Abbiamo quindi deciso di realizzare il suo desiderio, elaborando in lingua Terricola la sua storia in diversi, piccoli volumi: questo Libro Secondo narra i difficili momenti da lei vissuti a Torino nel Duemilatrentadue per contrastare Zut, il Male assoluto, con l'aiuto della sorella Egle, dei cugini Ghé e, naturalmente, dei suoi amici Arborei. Il Consiglio dei Sofianici Anno Terricolo Duemilacentoventisette
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2023
ISBN9791222700496
Arborei. Un bizzarro pentacolo a Torino. Libro secondo

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    Anteprima del libro

    Arborei. Un bizzarro pentacolo a Torino. Libro secondo - Loredana Amalia Ceccon

    1. UN PROBLEMA IN FAMIGLIA

    I cugini di Torino

    "Aprile 2032.

    Freddo. Sentivo tanto freddo.

    Raggomitolata su me stessa, stringendomi le ginocchia nel tentativo di mantenere il mio stesso calore, quasi non riuscivo a pensare e non capivo dove mi trovavo. Ero bloccata in uno spazio gelatinoso, che ogni tanto sussultava facendomi sobbalzare e che si dilatava leggermente quando provavo a spostare un poco le braccia o le gambe, ma non più di tanto. Di fatto qualsiasi libero movimento era bloccato dalle pareti mollicce ed elastiche di quella sacca dove mi trovavo rinchiusa, non sapevo da quanto tempo.

    Mi pareva di essere là da un tempo infinito, sola in quella specie di nulla da cui ero circondata, senza vestiti, senza voci, senza suoni, senza odori né profumi, senza immagini, avvolta in una bolla marrone che mi faceva ricordare la cacca del mio gatto Mirò. Ecco, la cacca. Non mi scappava mai la cacca, e nemmeno la pipì: era strano, non era normale, perché in realtà non avevo fame né sete, quindi qualcosa mi nutriva, mi teneva in vita, senza però che avessi bisogno di eliminare delle scorie. Il sangue circolava, lo sentivo, così come sentivo battere il cuore: quindi non ero morta. Ma dove ero capitata? Cosa mi era successo?

    Era passato un anno da quando avevo letto il racconto della nonna e molte cose erano cambiate.

    Cercai di sistemarmi in una posizione migliore, ma appena mi spostavo sentivo ancora di più la morsa del freddo. Affondai allora la testa tra le ginocchia e cercai di addormentarmi.".

    Estratto dal Diario originale di Cloè Bramante.

    Quando Egle, sua sorellina, aveva compiuto dodici anni, Cloè, senza nemmeno chiedere alla mamma, le aveva passato i fogli della nonna Lalil, quelli sugli Arborei, anzi glieli aveva proprio letti lei, alla sera, mentre mamma e papà dormivano.

    Dopo la morte della nonna le due sorelle avevano chiesto di stare nella stessa stanza per farsi compagnia e prima di addormentarsi si raccontavano i loro pensieri e quello che era successo nella giornata. La sera del compleanno di Egle, Cloè le si era avvicinata con aria misteriosa e le aveva detto: «Devo mostrarti una cosa...della nonna...». Egle era affezionata alla nonna, anche se la maggior parte del tempo fino a quel momento l’aveva trascorsa dentro e fuori dagli ospedali, per quella sua strana malattia. Ora stava meglio, per fortuna, e le due sorelle potevano stare insieme più spesso, così aveva chiesto tante volte a Cloè di parlarle della nonna, perché non la ricordava tanto; ma lei era sempre stata vaga, riluttante a raccontare.

    Fino alla sera del compleanno.

    Avevano dato la buonanotte ai genitori, infilato i pigiami e spenta la luce centrale. Facevano sempre così quando avevano dei segreti da dirsi: si ficcavano sotto le coperte di uno dei loro letti, accendevano una piccola torcia e iniziavano a chiacchierare sottovoce, finché non calava il sonno su una delle due.

    Quella sera Cloè scivolò dentro il letto di Egle tenendo in mano dei fogli ingialliti, che aveva nascosti chissà dove. «Me li ha lasciati la nonna, li ha dati alla mamma per me.». «E a me non ha lasciato niente?». Quasi veniva da piangere a Egle, ma la sorella le rispose: «Forse mamma aspetta che tu abbia quindici anni per darteli! Io li ho ricevuti quando avevo quindici anni.». Egle si rasserenò. «Ma perché allora vuoi farmeli leggere adesso?». Cloè sbottò: «Non vedi quello che sta succedendo? Anche stasera mamma e papà hanno litigato e tutti sembrano sempre arrabbiati, anche a scuola! Non è normale, fino a poco tempo fa non era così!». «Hai ragione! Non volevo parlartene, ma anche io ho l’impressione che ci sia qualcosa che non va in giro!». «Ecco, è per questo che voglio leggerti la storia della nonna, perché mi sembra che possa aiutarci a capire qualcosa di più!».

    Non erano molte le pagine da leggere e ogni sera cercavano di leggere almeno qualche riga ma, nonostante la loro buona volontà, impiegarono un sacco di tempo prima di arrivare al termine perché, stranamente, quando decidevano di ritirarsi sotto le coperte per dedicarsi a questo, succedeva spesso qualcosa che lo impediva: una volta si era rotta una gamba del letto, avevano dovuto chiamare papà e mamma e poi si era fatto tardi; una sera c’era stato un temporale che aveva fatto entrare l’acqua dalla finestra; un’altra volta il gatto aveva iniziato a miagolare disperato che doveva per forza uscire e avevano dovuto aspettare che rientrasse; poi ancora, a Cloè era venuto il mal di gola e non riusciva a leggere…e così via.

    Insomma, una storia che si poteva leggere massimo in due o tre giorni avevano impiegato più di due mesi per finirla! Era una faccenda un po’ sconcertante.

    Naturalmente Egle aveva una quantità di domande da fare, a cui Cloè non sempre sapeva rispondere; avevano quindi deciso che Cloè avrebbe chiesto qualche informazione alla mamma; ma quando ci aveva provato la mamma aveva risposto: «Non so, non lo so.», con occhi così tristi e uno sguardo così cupo che aveva dovuto rinunciare.

    Egle però insisteva: «Cos’è Zut? Anche io ho il Segreto Dentro? Ci sono Arborei qui da noi?» e anche Cloè avrebbe voluto saperne di più.

    La sera in cui avevano letto l’ultimo capitolo, Cloè si illuminò: «La chiavetta usb del nonno! Forse lì troviamo qualcosa! Ce l’ho!». Andò a rovistare in una cassetta nascosta dove teneva le sue cose intime e tirò fuori da un astuccio rosso una chiavetta usb un po’ vecchiotta. «Chissà se funziona ancora! Proviamo!». La infilarono sul tablet, ma quando cercavano di aprirla veniva solo fuori una serie di numeri, oppure il messaggio di errore, oppure addirittura si spegneva il tablet. «Non riesco!», esclamò sconfortata Cloè. «Ma scusa, nonno non è morto, puoi chiedere a lui che è un mago del computer, oppure ai cugini di Torino. Chiediamo di andarli a trovare o li invitiamo qui!». Egle aveva spesso delle buone idee, e questa era una di quelle. Dovevano andare a Torino, perché anche nonno si era trasferito lì dopo la morte della nonna: ma dovevano trovare una scusa accettabile.

    2. A TORINO

    Scatolette e foglie

    Non avevano dovuto aspettare tanto.

    Un giorno la mamma era andata a prenderle a scuola con la faccia tirata e pallida e le aveva portate a prendere il gelato in un Centro Commerciale lì vicino. Quando erano sedute tranquille, con coppetta e cucchiaino davanti, la mamma aveva esordito: «Devo parlarvi di una cosa molto seria.». Cloè ed Egle si guardarono: avevano già capito.

    «Sono molto dispiaciuta, ma papà e io abbiamo deciso di separarci, perché non possiamo passare la vita a litigare. Non va bene né per noi né per voi.». Aveva gli occhi gonfi di pianto, ma non voleva farlo vedere, così si era chinata a raccogliere qualcosa per terra.

    Era una notizia terribile, anche se era nell’aria già da un po’ di tempo, e le due sorelle avevano già discusso questa possibilità. Si alzarono tutt’e due e andarono ad abbracciare la mamma, che le strinse così forte da fare loro quasi male. Poi riprese:

    «Fra pochi giorni iniziano le vacanze di Pasqua; andrete a Torino dallo zio per qualche giorno, poi vedremo...». Si guardarono di nuovo, sapendo esattamente cosa stesse pensando ognuna: forse a Torino potevano fare qualcosa per rimediare al disastro della famiglia! «Va bene, mamma. Stai tranquilla, ormai siamo grandi e ce la caviamo da sole. Non ti preoccupare.», risposero quasi all’unisono. Sì, perché la mamma era sempre preoccupata, per tutto; non sapevano come mai, ma a volte era veramente stressante, anche se capivano che era per il grande amore che aveva per loro. Comunque ormai la decisione era presa e dopo qualche giorno si prepararono per andare a Torino.

    A Torino c’era lo zio Duname, il fratello della mamma, un tipo buffo che trascinava la carovana della famiglia ora qua ora là, cambiando città e stato come fossero mutande: qualche tempo prima aveva giurato che sarebbe stato fermo in un posto per un po’ e tutti ci speravano, tanto che nonno e nonna avevano preso una piccola casa a Torino per stare finalmente un po’ vicini a lui e ai suoi tre figli scatenati.

    Cloè ed Egle si trovavano bene coi cugini, che erano abbastanza vicini alla loro età: Zena avrebbe compiuto sedici anni come Cloè e i gemelli, Ermanno e Oliviero, ne avevano quasi diciotto; Egle era la più piccola, ma così vivace che non si faceva trascurare.

    Certo, i gemelli si davano arie da grandi e ogni tanto prendevano in giro le tre femminucce di famiglia, ma siccome erano simpatici alla fine si trovavano sempre tutti insieme a chiacchierare e giocare.

    Quella volta però l’occasione non era di festa e tutti lo sapevano. Lo zio era andato a prendere le nipoti alla stazione e, quando erano arrivate a casa, zia Leandra, sempre molto gentile, le aveva accolte nella stanza che aveva preparato per loro, piuttosto ampia e accogliente.

    La casa dello zio era una palazzina vicina al Parco della Tesoriera; si sviluppava su due piani e aveva un certo numero di cantine che non si sapeva a cosa servissero. Ognuno dei figli aveva la propria stanza e vi erano due stanze per gli ospiti, poi c’erano altre stanze: la cucina, la sala da pranzo, due studi, tre o quattro bagni e altre stanze ermeticamente chiuse, così come la maggior parte delle cantine; solo una, molto grande, veniva usata per le feste e per giocare.

    Le sorelle erano un po’ spaesate, perché era la prima volta che stavano per tanto tempo lontane dai genitori, ma i cugini le trascinarono presto nella loro allegra confusione, facendole sentire a loro agio.

    Subito la prima sera, dopo che zio e zia erano andati a letto, i cugini bussarono leggermente alla stanza delle sorelle e si sedettero sui letti, parlando a bassa voce.

    «Allora, come va?», chiese diretto Ermanno, guardando fissamente Cloè, che abbassò la testa. «Male!», esclamò sicura Egle, rifugiandosi tra Zena e Oliviero. «Mamma e papà si stanno separando.», continuò Cloè. «Però non è solo questo. Da noi sembra che qualcosa stia avvelenando i caratteri delle persone. La mamma, per esempio, era sempre allegra e simpatica ed è diventata cupa e brontolona e lo stesso papà. Ma non solo loro, anche a scuola e in giro è lo stesso. Ti guardi intorno e la gente non saluta più, ti guarda di traverso, protesta per niente...Non mi piace per niente questa cosa!», si sfogò finalmente Cloè e poi scoppiò a piangere, tenendo le mani sulla faccia e cercando di non farsi sentire; anche Egle la imitò, mentre i cugini cercavano di consolarle accarezzando loro i capelli. «Cosa possiamo fare per aiutarvi?», riuscì a dire Oliviero mentre cercava di rassicurare la piccola. Cloè si asciugò le guance e iniziò a dire: «Siamo venute a Torino anche perché abbiamo bisogno di scoprire alcune cose e solo voi e nonno potete aiutarci.». Tutti i cugini drizzarono le orecchie. «Non so se avete sentito parlare degli Arborei...». Si fermò, guardandosi intorno. Ermanno e Oliviero erano quasi sobbalzati sul letto, mentre Zena sembrava fare finta di niente guardando il soffitto. «Gli Arborei? Che ne sai tu?», chiese Ermanno con aria sospettosa. «Ho ricevuto una lettera della nonna, che raccontava le sue avventure con loro. E poi...». Toccò un attimo la scatoletta che aveva in tasca, facendola vibrare leggermente.

    «Cos’hai in tasca?», domandò Zena. «Una cosa speciale. Poi ve la faccio vedere. Ma non avete ancora risposto...». Oliviero si alzò di scatto: «Papà li ha incontrati. È per questo che siamo a Torino. Gli hanno detto di venire qui per un po’ di tempo, perché solo così avrebbe potuto aiutare tutta la famiglia. Ce lo ha detto quando è morta la nonna; lei gli aveva raccomandato di raccontarci tutto quello che sapeva e gli ha lasciato una piccola scatola per ciascuno di noi.». Zitti, zitti, in punta di piedi andarono nelle loro stanze e tornarono ciascuno con una piccola scatola di legno grezzo, tenuta chiusa dal nodo di un grosso spago. Appena rientrato, Ermanno aprì la sua: «È una foglia di quercia!». Le sorelle si avvicinarono per guardare: era vero, si trattava di una foglia di quercia non troppo grande, avvolta in fili d’argento e mentre la osservavano sembrava avesse una specie di vita propria. Poi Oliviero aprì la propria scatola: «La mia è una foglia di acero.», dichiarò con sicurezza. Anche la sua era racchiusa in sottili fili d’argento e vibrava leggermente.

    «La mia invece è una foglia di ciliegio!», esclamò Zena sollevando il coperchio della scatola dove stava una piccola foglia seghettata di un verde intenso, raccolta in una trina argentata. Da tutte emanava una luce leggera e un movimento quasi impercettibile le

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