Il dilemma Maria Giulia
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Info su questo ebook
Chiara Cionco è nata a Orbetello. Laureata in Lettere Moderne all'Università di Pisa, ha conseguito anche la laurea magistrale in Italianistica. Insegna nei licei. Ha sempre adorato scrivere storie su incubi e mondi distopici, per passare all'umorismo e sperimentare romanzi drammatici. Nel 2020 ha pubblicato "Dalle ferite, cicatrici", romanzo di formazione che parla di dipendenza e riconquista.
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Anteprima del libro
Il dilemma Maria Giulia - Chiara Cionco
Collana
LE FENICI
Chiara Cionco
IL DILEMMA MARIA GIULIA
MONTAG
Edizioni Montag
Prima edizione aprile 2024
Il dilemma Maria Giulia
© 2024 di Montag
Collana Le Fenici
ISBN: 9788868927776
Copertina: C. Holzinger, Unsplash.com
Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è
puramente casuale.
IL DILEMMA MARIA GIULIA
Capitolo 1
L’aspirazione maggiore di Giorgio non era mai stata finire a lavorare in un ufficio squinternato nella cantina del suo caporedattore, immerso tra pile di fogli e schedari e faldoni muffosi stipati gli uni accanto agli altri come tegole di un tetto sulle mensole scricchiolanti.
Non sognava certo di respirare ogni giorno palate di polvere e fumo di sigaretta di Lucio, il tizio con cui condivideva lo scantinato e che macinava cicche peggio di un guidatore di taxi con l’ansia.
Né dover saltare la cena per correggere gli articoli che venivano pubblicati – nemmeno a nome suo – sulla versione online di Nuovissime News, quando ormai il suo successo era bello e che svanito da un pezzo. I siti scandalistici acchiappavano molto di più. E poi i social, per l’amor di Dio, Instagram e TikTok e i resti moribondi di Facebook.
Eppure Giorgio si accontentava della sua occupazione, viste le prospettive di carriera di qualunque altro laureato in Giornalismo che non fosse nipote dell’amico di qualcuno.
Dopo circa due anni di delivery per Just Eat, altri tre di pulizie per le scale dell’androne del suo stesso palazzo in Via Bartolo e una manciata di settimane da dogsitter, il suo account Linkedin era stato finalmente notato.
Giorgio si era ritrovato impiegato a tempo indeterminato per Nuovissime News con una paga al limite dell’accettabile. All’inizio provò ad arrotondare con il ghostwriting, ma non era una professione così remunerativa come si era immaginato.
In più, incontrava sempre clienti piuttosto diffidenti. Prima di stipulare un accordo, gli toccava metterli al corrente pure del suo codice fiscale. Se non conoscevano anche il suo ascendente, non si …fidavano delle sue capacità professionali. Senza offesa, ovviamente
.
Pagato poco e pure preso per il culo. Aveva deciso di chiudere con il ghostwriting dopo che un cliente l’aveva fatto quasi piangere per la frustrazione.
Non che Giorgio se la cavasse tanto meglio con Nuovissime News. De Angelis lo aveva scaraventato senza grazia nel suo cosiddetto ufficio
il giorno stesso in cui aveva messo piede nella sede del giornale, assicurandogli: «Guarda, Giorgino, che tra una settimana massimo ti facciamo salire ai piani alti. Tu lavora sodo e fidati che sarai ripagato a dovere».
Chissà perché, lui se l’era immaginata già subito, la fregatura. Forse erano i denti troppo bianchi di De Angelis a farlo tentennare, oppure il fatto che salutasse tutti con un cinque entusiasta.
Anche l’aroma scadente della sua acqua di colonia non era da sottovalutare. Mai fidarsi di un uomo che va in giro portandosi appresso miasmi dolciastri e discutibilmente apprezzabili, manco ci si fosse fatto il bagno dentro. Ha sicuramente qualcosa da nascondere.
Capitolo 2
Ogni mattina, Giorgio bussava con discrezione all’uscio di casa De Angelis, incastrata in un discreto complesso residenziale fuori città. I proprietari non erano mai, ma proprio mai in casa. Così, ad aprirgli ci pensava la colf. Giustina era la matrona marchigiana più simpatica che avesse mai avuto il piacere di incontrare, tolto il suo bisogno patologico di stordirti con i pettegolezzi di paese.
Dopo un interminabile sequela di bisbigli cospiratori da parte sua, con una tazza di caffè bollente e lo zaino ancora in spalla a mo’ di studente modello delle medie, Giorgio scendeva gli scalini che portavano all’angusta stanzona rettangolare che divideva con Lucio. Lì tutto era polveroso, poco curato e irrimediabilmente vecchio. Una volta aveva sbirciato dentro i faldoni che riempivano le scaffalature e non si era sorpreso di scoprire al loro interno pratiche degli anni ’70.
Nella cantina stavano due scrivanie, una di fronte all’altra, dotate solo di un computer e una piantina finta in un angolo. Cinte dalle mensole e dalle librerie ricolme, stonavano parecchio con il resto dell’ambiente. Sedie girevoli piene di pelucchi, spillatrici senza graffette nei cassetti, risme di fogli bianchi da cui attingere nel caso che la decrepita stampante, un’ AcuLaser CX11NF, si fosse decisa a funzionare. Accanto aveva una macchinetta del caffè come quelle che si trovavano nella scuola superiore di Giorgio, che stillavano acqua sporca e tè insapori.
Giunto alla sua postazione, il giovane impiegato si lasciava cadere sulla sedia, stirava il collo, scrocchiava le nocche e faceva finta di prepararsi a una giornata di lavoro intensa e appagante.
In realtà, da quando lavorava per De Angelis, gli erano solo capitati sotto mano pezzi boriosi di cronaca – chi ha messo le corna a chi – e qualche inserto pubblicitario. Piuttosto triste, come situazione, ma cosa si aspettava da una rivista come Nuovissime News ?
Lucio la prendeva con più filosofia. Dall’alto dell’esperienza conferitagli dai suoi cinquanta suonati, non gliene fregava nulla di trascorrere le ore lavorative a pulirsi sotto le unghie con il temperino, o più verosimilmente con una matita molto appuntata.
Talvolta, la fronte appoggiata sopra le braccia incrociate, schiacciava anche un pisolino, incurante che Giorgio potesse riferirlo al capo. Tanto De Angelis non si sarebbe mai degnato di scendere fin laggiù a domandare come procedesse il lavoro.
«Ma tu da quanto è che sei qui?» aveva domandato Giorgio a Lucio durante la prima settimana di turni di pettegolezzi e tette rifatte. «Io? Boh, saranno un paio d’anni, forse tre».
«Ma… non ti hanno mai spostato in sede?»
Lucio lo aveva guardato da dietro le lenti circolari dei suoi occhiali da talpa, sorridendo bonario. La testa che oscillava delicatamente da destra a sinistra. «Aspetta e spera, Gianluca».
«Mi chiamo Giorgio…»
«Quello che è».
Giorgio sapeva che, oltre il quartier generale del giornale, esistevano altre sedi distaccate come la loro. Non ne aveva mai visitata una, però ne aveva adocchiato le foto su Google. Erano di sicuro più sfarzose dello scantinato di De Angelis, che sfiorava appena il limite della decenza.
Quando, una mattina di un settembre tiepido come una minestra riscaldata, Giorgio si trovò seduta di fronte Maria Giulia e non Lucio, pensò subito che dovesse provenire direttamente dagli ultimi piani della sede centrale. Se non dal cielo, visti i suoi grandi occhi chiari, i ricci color caramello che le accarezzavano le spalle nude e le labbra a cuoricino cosparse di gloss.
La sua idea che in sede potessero lavorare solo ragazzi e ragazze bellissimi, tipo modelli per le marche di profumi costosi, si rafforzò. I piani alti non erano mica per tipi come lui e Lucio, che il sistema aveva relegato in fondo alla catena alimentare.
E allora cosa ci faceva quell’angelo lì, seduto alla scrivania del soporifero collega, con la camicetta stirata di fresco a tendersi sul seno e un sorriso da illuminare una notte di tempesta?
«C… ciao», fece Giorgio, arrestandosi sulla soglia. La tazza che Donna Giustina gli aveva spinto fra le mani, nonostante scottasse da morire, sospesa a mezz’aria.
«Buongiorno», gli rispose l’angelo, alzandosi in piedi e facendo il giro della scrivania. Gli si avvicinò con affabilità consumata e gli offrì la sua stretta salda. Ricci perfetti come cavatappi, alito fresco di menta. Giorgio le concesse le sue dita bollenti e scivolose di sudore e provò a sorridere.
«Credo che da ora in poi condivideremo l’ufficio», gli disse, radiosa.
Lui la scrutò, per capire se faceva sul serio. Ufficio? Ma se erano in una cantina.
«Mmh, sì. Bello, eh?»
«Bellissimo. All’ultima moda».
Menomale, aveva senso dell’umorismo. Giorgio appoggiò la tazza accanto al suo pc, si pulì i palmi sui jeans. La ragazza rimaneva ritta, come sorretta da un’anima di fil di ferro, e pareva attendere.
«Ah», fece di colpo lui, reprimendo l’istinto di schiaffeggiarsi la fronte.
«Io sono Giorgio. Giorgio Mercalli».
«Mercalli, come il tizio della scala per misurare la potenza dei terremoti!»
«Mmh… sì».
Gli era andata bene. Di solito, le persone associavano il suo cognome a Magalli, e non aveva ancora capito se la cosa lo divertisse o lo facesse vergognare. «E tu come ti chiami?»
Si pentì immediatamente di essersi rivolto così alla giovane collaboratrice. Teletrasportato alle elementari, di colpo.
«Maria Giulia Ilàri». Si portò dietro all’orecchio un boccolo dalle curve tondeggianti. Aveva i lobi traforati da minuscole stelle dorate, che risaltavano sull’incarnato ambrato. Anche il suo nome era bellissimo.
«Piacere. Ma… per caso vieni dai piani alti?» le chiese circospetto Giorgio, mentre Maria Giulia si accomodava dietro la sua scrivania.
«I piani alti?»
«Sì, tipo… Da quanto è che lavori per Nuovissime News ?»
«In realtà, solo qualche mese. Mi sono trasferita da poco a Perugia».
Giorgio si sentì investito della responsabilità del maggiore, del desiderio tossico di prendersi cura di lei. L’avrebbe guidata nel mondo del giornalismo, come se l’angelo non fosse in grado nemmeno di digitare il suo nome sulla tastiera.
Dall’alto della sua esperienza lavorativa, di circa un anno e centodue giorni, Giorgio avrebbe consigliato, supportato e consigliato l’attraente new entry. Magari, spiegandole meglio le dinamiche del giornale di fronte a una pizza.
«Quindi non ti hanno rifilato la storia dei piani alti?»
Era convinto di potersi concedere il lusso di essere sincero con lei. Non faceva parte della cerchia di persone che osannavano De Angelis. Quelli che condividevano con lui gli Uffici Celesti e si guadagnavano un pazzesco stipendio di più di cinquecento euro mensili.
La ragazza lo osservò, piegando la testa di lato. I suoi occhi erano dello stesso turchese della sua borsa. «Intendi… per una potenziale promozione?»
«Già».
«Oh, io neanche ci penso, a quelle cose. Se dovrà accadere, più avanti, allora accadrà. Per ora sono contenta del mio posticino quaggiù».
Qualcosa, in quell’affermazione, lo fece tremare d’eccitazione. Lesse fra le righe il sottinteso espresso dal suo sguardo eloquente. Mi fa piacere stare qui con te, stare insieme in questa cantina e lavorare spalla a spalla. Non mi importa di avere una stanza tutta mia con le pareti a specchio che danno sulla piazza, né avere una macchinetta del caffè funzionante o una stampante che non si mangi i fogli e faccia scattare l’allarme anti incendio della villa
.
Ok, forse stava un tantino esagerando. Per Giorgio era una novità vantare tutta quella fiducia in se stesso. Era pur consapevole di essere un quasi trentenne non proprio in forma, con un pessimo lavoro e tanta ansia da prestazione. Per qualche motivo, però, con Maria Giulia sentiva di avere le carte in regola per far colpo.
Mentre lei prendeva un sorso dalla sua borraccia eco-friendly, Giorgio giocò la sua mossa senza rifletterci troppo su. «Sono sicuro che hai le potenzialità per scalare in fretta di posto. Mi sembri una tipa in gamba». Poi si indicò con un dito, passandosi allo scanner da capo a piedi, e aggiunse: «Non so se hai visto che altra gente ci lavora, qui».
Il silenzio che seguì lo rese consapevole della sua goffaggine. Ecco, aveva fatto la sua. Due errori commessi contemporaneamente, e pure imperdonabili.
Uno: una tipa in gamba? Nessuno dice più in gamba, e poi l’aveva appena conosciuta. Che ne sapeva se era effettivamente brava? Maria Giulia avrebbe sicuramente fatto il collegamento in gamba
uguale bona
, dunque arrivista che fa carriera grazie al suo aspetto
.
Due: si era appena dato del cesso incapace di fronte a lei.
Era veramente un idiota. Forse l’eccitazione gli dava alla testa, gli riempiva la bocca e gli svuotava il cervello, come diceva sua nonna.
Maria Giulia esibì un sorriso soddisfatto, gentile. Non parve cogliere le sue gaffe.
«In realtà, non lo so quanto sia capace. Per me è ancora tutto nuovo. E comunque, se dovessi rimanere qui, non mi dispiacerebbe».
Stavolta però non poteva averlo solo immaginato. Veramente gli aveva quasi fatto l’occhiolino, mentre lo diceva. Giorgio gonfiò il petto, tronfio ed emozionato. Si tirò da solo un pestone sui piedi per non rischiare di farsi scappare di bocca un’altra stupidaggine e rovinare il momento.
«Per lo meno, nessuno che mi fuma in faccia. Dove lavoravo prima, c’era questa mia collega che mi affumicava. Odio il fumo passivo», stava dicendo Mari, sventolandosi una mano davanti al naso.
«Oh be’, no, ti capisco. Dà noia anche a me». Giorgio si rese conto di fissarla e distolse lo sguardo. Tirò fuori dallo zaino un grosso blocco con la copertina rigida che non aveva mai usato.
Dall’inizio della sua carriera al giornale, non aveva mai avuto necessità di impugnare una penna, se non per firmare le ricevute del corriere che approdava a casa De Angelis almeno due volte a settimana, pieno di acquisti online da recapitare.
Prendere il quaderno, però, gli sembrò un’ottima idea; lo faceva apparire un uomo impegnato, senza dubbio. Uno che ha stoffa, che sa quello che fa. Che si organizza le giornate perché è sempre occupato in una riunione lavorativa o un caffè con qualche amico di vecchia data.
Finirono per cadere in un silenzio dolce del profumo al limone di lei e sudato dell’imbarazzo di lui.
«Allora, sei emozionata per questo nuovo lavoro?» Giorgio odiava il silenzio. Per lui, non parlare era sinonimo di forte disagio. Non voleva darle da pensare che era un musone senza nulla da raccontare.
«Abbastanza, devo dire. Non ho mai avuto modo di sperimentare la vita da giornalista».
Gli piangeva il cuore, a