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E-book278 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Lyla e Marcus, due ragazzi normali, si ritroveranno catapultati in un mondo fantastico con un destino comune: liberare il fantastico mondo di Gaja dominato dal perfido tiranno Alexander, bramoso di potere, che non si ferma davanti a niente pur di perseguire i suoi scopi, e che nasconde un terribile segreto.

I due eroi tra amicizie, combattimenti e avventure dovranno liberare dalla morsa di Alexander la splendida terra di Gaja...

riusciranno nella loro ardua impresa?
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2014
ISBN9786050303070
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    Anteprima del libro

    Dragged in - A. N. Morgana

    EPILOGO

    Ringraziamenti

    In questa pagina vorrei ringraziare Sara, per aver rappresentato la copertina, e anche Gaia, Mattia e Efrem che hanno condiviso e vissuto con me questa fantastica storia fino all’ultimo. Se non ci foste stati voi tutti, Dragged in sarebbe solo un documento word sul mio computer, anziché il romanzo che vi sta vivendo in mano.

    La storia che state per andare a leggere è quella di un mondo fantastico, vivo e pieno di creature, chiamato Gaja e degli eventi che prenderanno luogo al suo interno dal punto di vista di due giovani ragazzi, un maschio di nome Marcus e una femmina di nome Lyla, i quali vivranno fino all’ultimo momento in un turbine di battaglie e magia una vera a propria avventura.

    Non indugiamo oltre, e proseguiamo alla lettura, partendo dalla misteriosa e astuta Lyla.

    CAPITOLO I

    LYLA

    Nathan Grivel era il ragazzo definito il più bello della scuola, ed era anche l’ex ragazzo di Allison. Il problema era che mentre Allison era ancora interessata a lui, lui si era stancato e l’aveva lasciata facendole fare una gran bella figura davanti a tutta la scuola. Allison aveva molti ammiratori, sia per la sua ricchezza sia per la propria bellezza. Era la classica bionda capogruppo delle cheerleaders che vestiva sempre secondo la moda e aveva tutto, grazie al lavoro del padre che possedeva un gran numero di pozzi di petrolio nel Texas. Le altre due senza cervello della scuola, rispettivamente Samantha e Natalie erano più o meno la copia sputata di Allison, ad eccezione delle acconciature.

    Ma che cosa c’entravo io in tutta questa storia? Il fatto è che, a parte l’odio profondo che aveva sempre provato nei miei confronti, Allison era arrabbiata perché il suo caro Nathan ora ci provava con me. Non avevo alcun interesse per lui, ma lui insisteva lo stesso, così iniziai ad ignorarlo.

    Il giorno del fantastico scherzo, dopo pranzo, io e Peter ci incamminammo nel corridoio della scuola verso la palestra. Erano già lì: si sentiva un chiacchiericcio di sottofondo. Rimanemmo ad aspettare sull’altro lato del corridoio, in prossimità della palestra, quando poco dopo, proprio nel momento perfetto arrivò il direttore Renniks. Mi avvicinai. «Buongiorno direttore Renniks. » fece un cenno col capo per salutare. «volevo informarla che passando davanti alla palestra ho sentito dei rumori strani e mi sono preoccupata, così non ho avuto il coraggio di guardare. Non saranno per caso dei ladri spero?» Lui mi guardò con aria di superiorità, ma anche di comprensione. «Non si preoccupi signorina Tawkens, non sarà niente di simile.» «Lo spero». Mi avvicinai a Peter sussurrandogli: «Ora ne vedremo delle belle!». Il direttore aprì la porta della palestra e subito gli furono versati addosso tre litri di ketchup, dolce spero. Io e Peter usammo tutto l’impegno che avevamo per trattenere una sonora risata, mentre il direttore Renniks era diventato rosso, oltre per il ketchup, anche per la rabbia. Io e Peter ci avvicinammo con cautela, cercando di mantenere le facce più serie possibili. Dentro la palestra vedemmo Allison e le altre due, rosse dalla vergogna. Samantha si avvicinò al preside. «Ci scusi direttore Renniks, noi, noi n..non volevamo...». Renniks tirò fuori dalla tasca un fazzoletto con il quale si pulì la faccia. subito dopo sbraitò: «Che cos’è questa bravata?! Ora seguitemi immediatamente in ufficio! Questo è un gesto intollerabile!» si incamminò farfugliando, mentre le tre lo seguivano cercando di giustificarsi. Prima di scomparire dietro l’angolo Allison si girò, lanciandomi uno sguardo infuriato, io le sorrisi, facendola arrabbiare ancora di più.

    Appena scomparsi, io e Peter ci gettammo per terra dalle risate e rimanemmo così per circa due minuti, finché non sentimmo dei crampi alla pancia. Non mi ero mai divertita così tanto.

    Due ore dopo tutta la scuola seppe, che Allison, Samantha e Natalie, erano state sospese per quattro giorni.

    Io e Peter andavamo sempre insieme a piedi, sia per andare a scuola, sia per tornare a casa. Peter era diventato il mio migliore amico, sin dal primo anno che iniziai a frequentare L’High Bridgenton School. Inizialmente non conoscevo quasi nessuno e stavo sempre in disparte da sola. Peter a quel tempo aveva una ragazza francese di nome Julie. L’amava molto, ma un giorno lei lo lasciò senza un motivo e partì in Francia con i suoi genitori. Da quel momento cadde in crisi e si lasciò andare. Non lo vedevo più tanto spesso in mensa, e quando c’era, era sempre malandato e depresso. Non avrei mai creduto che ci si potesse ridurre così per una ragazza, ma lui mi faceva tanta tenerezza. Un giorno mi feci coraggio e andai a sedermi al suo tavolo in mensa dicendogli in tono allegro: «Ehi ciao! io sono Lyla, vuoi il mio succo alla mela?» «E perché dovrei volerlo?» alzai le spalle «Sai com’è, ha uno strano sapore, credo che sia scaduto.» «Interessante, credo che in questo caso non lo accetterò.» disse facendo un debole sorriso. «Che peccato, pensavo di affibbiarti anche la mia merendina scaduta!» sorrise e da quel giorno iniziammo a conoscerci fino a diventare migliori amici. Non so perché proprio lui, vista la mia propensione a non avere molti amici, ma qualcosa mi diceva che era l’amico perfetto, e anche io gli andavo a genio. Era abbastanza carino, aveva dei bellissimi capelli neri lisci e due occhi profondi, ma soprattutto era simpatico e intelligente. Poco dopo la mia conoscenza si riprese dal suo stato depressivo, anche se tutt’ora non ha ancora dimenticato Julie e ha avuto soltanto due brevi storie niente affatto serie, ma solo per divertimento.

    Il mio amico mi dette il cinque. «Sei stata fantastica Lyla! Gli hai dato quello che si meritava!» «Non sono stata interamente io, è anche grazie al contributo del preside!». Lungo il tragitto parlammo unicamente di questa vicenda divertente; nessuno a scuola sapeva che ero stata io a combinarle il guaio, ma domani tutti ne sarebbero stati sicuramente a conoscenza. Salutai Peter. Lui doveva girare verso Louisiana Avenue per tornare a casa, mentre io continuavo diritto lungo Oakland Street per andare al ranch.

    Vivevo con nonno Luke e nonna Mary nel nostro ranch a sud ovest del Texas, nella città di Beaumont. Era un posto niente male.

    Il ranch era abbastanza grande e avevamo tre cavalli, una mandria di bestiame formata da nove buoi e venti mucche, circa venti galline e cinque pecore. Io aiutavo il nonno a curare ranch, ogni tanto passava anche Carl, un amico del nonno che aiutava a dar da mangiare agli animali. Nonna Mary si occupava principalmente della cucina, pulizia e dell’orto dietro casa. A due passi dal ranch c’era una foresta dove mi piaceva andare con Jimi, il mio amato cavallo, a fare una cavalcata. Lo avevo chiamato Jimi in nome del chitarrista Hendrix, che adoravo un sacco.

    Appena aprii la porta annusai un dolce profumino di biscotti al cioccolato, i miei preferiti. Nessuno li sapeva fare come nonna Mary. «Ciao nonna! - le diedi un bacio sulla guancia- wow, che profumino delizioso!» rubai un biscotto da piatto e iniziai a sgranocchiarlo. «Come stai cara? Come è andata la giornata a scuola?» «Benissimo nonna! mi sono divertita un sacco.» La nonna sorrise. Credo non avesse capito bene il concetto.

    Andai diritta in salotto, perché sapevo che vi avrei trovato mio nonno intento davanti alla televisione a guardare il telegiornale delle 15.00. Appoggiai la cartella sulla porta e andai ad abbracciarlo «Ehilà nonno! che succede di bello?» mi buttai sul divano vicino a lui. «Niente di speciale. Perché sei così allegra?»

    Lo guardai con un sorrisetto furbo. «Non immagini cosa sia successo oggi a scuola!»

    «Avanti raccontami! Sono tutto orecchi!». Gli raccontai l’intera vicenda nei minimi dettagli e dopodiché ridemmo a crepapelle. Anche la nonna entrò incuriosita, così spiegammo tutto anche a lei e ridemmo nuovamente.

    Stavo davvero bene con i nonni, e penso che se avessi avuto la possibilità di scegliere sarei stata sempre con loro. Da bambina chiedevo sempre al nonno dove erano i miei genitori e perché non erano con me a differenza degli altri bambini. Me lo spiegò a tredici anni, ma non ne rimasi così traumatizzata come loro si aspettavano, certo, non è stato bello da sapere, però avevo la consapevolezza che se avessi vissuto con i miei genitori per me non ci sarebbe stato il futuro che ho ora.

    Dal racconto dei nonni so che mia madre si chiamava Annabelle, amava il cinema e il mondo dello spettacolo, e cercava in tutti i modi di diventare famosa. Faceva provini tutte le settimane e pensava soltanto a divertirsi. Era un’immatura ragazza ventitreenne.

    Mio padre a quel tempo aveva ventisei anni, e viveva in un appartamento a Houston. Lavorava in uno studio fotografico, e fu lì che incontrò mia madre. Forse mio padre era innamorato di lei, ma mia madre pensava soltanto a divertirsi. Poco dopo, lei lo lasciò scoprendo di essere incinta. Lui perse il lavoro, la ragazza, e scoprì che avrebbe avuto una figlia, indesiderata tra l’altro. Si dette all’alcool. I miei nonni cercarono di aiutarlo sia psicologicamente che economicamente, ma egli era sempre stato un figlio ribelle e solitario. Non aveva niente in comune con i suoi genitori e non andava quasi mai a trovarli.

    Annabelle non era la madre perfetta e né tantomeno aveva sentimenti, ed essere incinta non lo era certo piaciuto. Infatti, appena mi partorì, mi scaricò da mio padre e partì in cerca di fama e fortuna. Però, un alcolizzato non poteva occuparsi di una bambina, anche se era sua figlia, non ne voleva sapere. Mi portò dai nonni. Bussò alla porta. Aprì nonna Mary. «Ciao. Questa è mia figlia, vi chiedo di tenermela per uno o due giorni. Ho un impegno importante e non posso portarmela dietro.» Mia nonna dalla sorpresa non era riuscita a dire niente. Mi prese fra le braccia e chiamò il nonno. Il nonno arrivò guardando anch’egli sorpreso. La nonna si girò verso la porta «Almeno come si chiam..» non c’era più nessuno. Mio padre era già salito in macchina e partito. Non mi aveva dato un nome e non gli importava di darmelo, perché non mi considerava parte della sua vita. Non c’è bisogno di dire che da quel giorno David Tawkens, mio padre, non ritornò mai più.

    Con i nonni crebbi bene. Non mi facevano mai mancare nulla. Avevo un legame speciale soprattutto col nonno, che mi chiamava la mia piccola principessa dagli occhi blu. Io gli rispondevo sempre che non ero una principessa, ma una guerriera e lui rideva scompigliandomi con la mano i capelli «piccola guerriera ribelle che non sei altro!» diceva.

    Nonno Luke era un veterano della guerra, e come tale conosceva molte tecniche di combattimento e trucchi, che mi insegnò tutti. Amavo combattere e cavalcare, ed ero una delle pochissime ragazze che non aspiravano a far parte della squadra delle cheerleaders di Allison. Spesso combattevo con Peter. Anche lui ne era capace, ma non era ancora al mio livello. Spesso mi allenavo con lui, quando ci eravamo iscritti ad un corso di judo, ma fu solo per un breve arco di tempo, vista la lontananza della palestra. Purtroppo né io, né Peter avevamo ancora la patente. Ci eravamo ripromessi di farla alla fine del quarto anno di scuola.

    Erano le quattro del pomeriggio. Uscii a dar da mangiare agli animali. Ormai ero abituata a farlo e ci mettevo meno di mezz’ora. Proprio quando stavo per finire vidi arrivare qualcuno verso il ranch. Non riuscivo a distinguerlo perché era ancora troppo lontano. Continuai a dar da mangiare agli animali e appena finì, sentii una voce maschile dietro di me.

    «Ciao Lyla. Spero di non averti disturbato.» era quell’imbecille di Nathan.

    «Ciao. Ormai ho finito. Di cosa hai bisogno?» dissi seccamente, nascondendo lo stupore, visto che era la prima volta che Nathan veniva al ranch. Non riuscivo a capire chi diavolo gli avesse detto dove abitavo.

    «Niente. Ho saputo del fatto di oggi a scuola.» «E allora?»

    «A dire la verità volevo complimentarmi con te. Allison meritava proprio una bella lezione, è bello sapere che c’è qualcuno in grado di farlo.» Le sue parole per me non avevano senso, così non risposi, ma mi limitai a fissarlo.

    «Non dici niente?» «Senti, non ho tempo da perdere, che cosa vuoi veramente ?»

    Sorrise «Oltre a complimentarmi? Beh, volevo anche chiederti se volevi uscire questo venerdì.» «No, ho da fare.» «Che cosa precisamente?» chiese con un sorriso di chi la sa lunga. «Non sono affari tuoi Grivel.» «Non mi dirai per caso che vuoi uscire col tuo amichetto Shuffer?» Pensava di provocarmi insinuando che io e Peter avevamo una relazione, dovevo stare al gioco. «Perché, la cosa ti dà fastidio?» «Shuffer non è per te.» Incrociai le braccia. «Ecco a voi il mio nuovo consigliere, Nathan Grivel!» esclamai, mentre lui fece una smorfia.

    «Sei davvero ridicolo, ti ho già detto che non m’interessi. Sarà meglio per te che mi lasci stare.»

    Si strofinò il mento, sorridendo. «Il gattino ha tirato fuori gli artigli!» Mi avvicinai a lui fino quasi a sfiorargli la faccia, poi dissi a denti stretti: «Non ti puoi immaginare che artigli, coniglio! Non sarò mai tua!» dopodiché gli diedi una spinta e andai verso la porta senza voltarmi. «E invece sì, tu sei già mia Lyla, e se non è così lo sarai tra non molto!» disse tra un misto di rabbia e cinismo. Non mi voltai che idiota! pensai. Non aveva ancora capito chi era Lyla Tawkens e che cosa era capace di fare.

    La mattina dopo mi preparai come al solito per andare a scuola. Non ne avevo alcuna voglia, ma non potevo restare a casa quel giorno per mille ragioni, l’unico vantaggio era che Allison e le sue amiche non ci sarebbero state. Cercai nell’armadio qualcosa da mettere. Non avevo molti vestiti, ma quei pochi mi piacevano abbastanza. Scelsi la mia felpa preferita. Mi avviai verso la cucina. «Buongiorno nonna, che c’è per colazione?» Lei era davanti al fornello, mentre il nonno non era ancora arrivato. «Oggi ho fatto le frittelle.» mi appoggiò davanti il piatto pieno. «Vuoi che ti metta sopra la salsa di more che ho fatto ieri?» «Grazie nonna, faccio da sola.» Mi alzai e presi il barattolo di salsa, situato sopra la mensola. Arrivò il nonno. «Buongiorno.» Lo guardai sorridendogli. «Buongiorno, vedo che non ti sei alzato di buon’ora come al solito.» «Sciocchezze, mi sono alzato prima di te e ho dato da mangiare alle mucche.» «Sei incredibile nonno!» La nonna sorrise dolcemente, sedendosi al tavolo insieme a me e al nonno. Mangiai in fretta le deliziose frittelle, e mi alzai, prendendo lo zaino. «Vado a dar da mangiare a Jimi e agli altri cavalli!» il nonno intervenne dicendo: «Vai a scuola, che ci penso io a farlo!» «Assolutamente no! Lo farò io, sono in anticipo e non sprecherò certo questo tempo!» «Sei una ragazza d’oro tesoro mio!» dichiarò la nonna. Diedi un bacio sulla guancia a entrambi, com’era mia abitudine fare, e uscii. Non era vero che ero in anticipo, anzi, ero in leggero ritardo, ma non volevo lasciare tutto il lavoro sulle spalle dei nonni, non era corretto e soprattutto non era nel mio stile far faticare le persone alle quali tenevo di più a questo mondo.

    «Buongiorno Jimi!» Gli diedi da mangiare, poi feci lo stesso con gli altri cavalli. Dopo aver finito, respirai profondamente e presi a correre per non arrivare in ritardo a scuola. Arrivata all’incrocio, non trovai Peter, così continuai la corsa. Arrivai alla Bridgenton con il fiatone, ma non stanca, visto che ero abituata a lavorare tanto e allenarmi. I corridoi erano semivuoti, il che significava che le lezioni erano già iniziate. Mi diressi verso l’aula di geografia, respirai profondamente ed entrai.

    Mr. Brooke stava facendo l’appello. Quando mi vide, si fermò e mi guardò con un’espressione indecifrabile. «A che cosa è dovuto questo ritardo signorina Tawkens?» «Soltanto un piccolo contrattempo Mr. Brooke. Non si ripeterà più.» Lui annuì e continuò con l’appello. Era semplice giustificarsi con questo professore, gli dicevo ciò che voleva sentirsi dire. Mi sedetti nella fila centrale accanto a Curtney Rockers. Era timida, non parlava molto, per questo quasi nessuno si sedeva vicino a lei, ma per me era un posto perfetto, visto che non avevo assolutamente voglia di parlare. Mr. Brooke era pronto ad iniziare la lezione. «Oggi, analizzeremo la situazione economico-politica dell’India. Chi di voi ha un’idea su come possa essere l’economia attuale dell’India?» La lezione continuò come al solito: la spiegazione del professore e quasi nessuno che seguiva la lezione. Finalmente la campana suonò, ma prima che ci potessimo alzare, il professore ci fermò informandoci che avrebbe appeso dei volantini per la partecipazione ad un campeggio di cinque giorni al Bentsen-Rio Grande Valley State Park. La cosa era abbastanza divertente, e poteva essere un’occasione in più per imparare a sopravvivere in luoghi diversi, non sarebbe certo stato come andare nella foresta amazzonica, ma era pur sempre qualcosa in più. Presi lo zaino ed uscii dalla classe, dirigendomi verso il mio armadietto in corridoio. Presi i libri che mi servivano per la lezione successiva, chiusi l’armadietto e cercai con lo sguardo Peter, in mezzo alla folla di gente che andava e veniva nei corridoi. Non lo vidi, così m’incamminai verso l’aula d’inglese. Mentre camminavo cercai di non dare peso agli sguardi che mi venivano lanciati dalle persone: come avevo previsto, tutta la scuola sapeva la storiella dello scherzo. Sapevo già che Allison avrebbe cercato la vendetta una volta tornata a scuola, nonostante non fosse mia la colpa di tutto ciò che era successo, ma non aveva certo paura di lei.

    Mentre camminavo verso la classe, vidi Nathan guardarmi e farmi l’occhiolino, mentre era insieme con altri ragazzi. Lo guardai torvo.

    Incontrai Peter al momento della pausa pranzo. «Dove cavolo eri finito?»

    «Sono io che devo chiederlo a te. Questa mattina ti ho aspettato, ma non sei arrivata.»

    «Ho avuto delle cose da fare. In ogni modo, com’è andata la verifica di matematica?»

    «Bene. Ho preso una B.» Annuii «andiamo a sederci, prima che ci freghino il posto.» Ci avviammo al solito tavolo, con il vassoio della mensa in mano. Mi rivolsi a Peter.«Credo che ora tutti siano a conoscenza della storia di ieri. Mi guardano in modo strano.» «E allora? Pensavo che non te ne importasse niente» «Infatti, è così. Ti volevo solo informare. Non mi preoccupo certo di cosa pensa la gente, e sai benissimo che non lo faccio mai.»

    «Esatto. Penso che dovresti essere fiera di ciò che hai fatto. Comunque vada, lo sai, io sarò sempre dalla tua parte.» «Non succederà niente Peter, non abbiamo mica ammazzato qualcuno.» «Già.» Non aveva tanta voglia di parlare, si stava gustando il suo sandwich. Sentivo le chiacchiere dei giocatori di football della scuola, tra cui non poteva mancare Nathan Grivel. Senza vederlo, sapevo che mi stava guardando. Mi sentivo osservata. Non avrei raccontato a Peter del dialogo di ieri, né del crescente interesse che provava quell’imbecille per me. L’unica preoccupazione che avevo era che Nathan poteva prendersela apposta con Peter, anche se gli avrebbe dato filo da torcere.

    La pausa pranzo era terminata. Dovevamo tornare in classe. La giornata di scuola continuò come sempre. Prima di tornare a casa andai da Mr. Brooke per farmi dare il modulo per l’iscrizione al campeggio. «Sono contento signorina Tawkens, che ci siano persone interessate a questo tipo d’attività.». Annuii sorridendo.

    Uscii da scuola e aspettai Peter vicino al cancello. Cinque minuti, non arrivava. Sette, non arrivava. Incominciai ad insospettirmi. Non era abitudine di Peter arrivare in ritardo. Mi girai e iniziai ad incamminarmi verso la parte posteriore della scuola. Arrivata a metà strada ebbi una strana sensazione. Improvvisamente mi fermai e senza girarmi dissi: «Sai Grivel, è inutile che tu ti nasconda come un verme.» Mi girai ed effettivamente trovai dietro di me Nathan Grivel che mi guardava compiaciuto. «Però, sei in gamba Lyla!». Mi avvicinai a lui tirandolo per il colletto «Sei un maledetto stronzo! Dov’è Peter?» Lui non si mosse, ma rispose con il suo solito sorrisetto: «Perché lo chiedi a me? Non so dove sia quello stupido!». In un impeto di rabbia lo spinsi, fino a farlo cadere a terra, poi gli mollai un potente calcio nelle costole e infine tra le gambe fino a farlo urlare di dolore. Se lo era meritato. Dovevo correre da Peter.

    Corsi, e lo trovai vicino all’albero dietro la scuola. Due energumeni, gli amici di Nathan, lo tenevano per le braccia, mentre un altro gli stava mollando un pugno in faccia. Buttai lo zaino a terra, e andai in soccorso a Peter.

    Sferrai un calcio in faccia a colui che l’aveva picchiato, fino a farlo cadere con il naso che sanguinava. Con una mossa veloce, tirai il braccio a uno degli altri due e glielo girai dietro la schiena fino a sentire un crack, e lo spinsi a terra con un forte calcio, mentre l’altro scappò ancor prima che lo toccassi. Feci appoggiare Peter alla mia spalla e ci allontanammo. Presi lo zainetto da terra, e feci il giro della scuola per arrivare al cancello. Quando ci allontanammo abbastanza dal cancello, aiutai Peter a sedersi. Aveva un occhio leggermente nero, e qualche filo di sangue che gli usciva dalla bocca «Ti senti bene Peter? Ce la fai a continuare?». Si asciugò il sangue con la manica. «Non è niente Lyla, non preoccuparti. Sei stata fortunata, potevi correre grossi guai venendo ad aiutarmi.» «Non ti avrei mai lasciato solo. Grivel è davvero un codardo!». Ricordai con rabbia la scena.

    «Grivel? È stato lui

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