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Confessioni di uno speaker
Confessioni di uno speaker
Confessioni di uno speaker
E-book345 pagine4 ore

Confessioni di uno speaker

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Il romanzo parla della vita di Gianluca, uno speaker radiofonico andato in pensione perché stanco del mondo della radio.
E' strutturato con capitoli che alternano il diario, nel quale Gianluca, ormai cinquantacinquenne, racconta la sua vita, le sue emozioni e i suoi pensieri nell'anno successivo al suo addio radiofonico, a capitoli che raccontano la vita del protagonista da quando, giovane ventenne, insieme ai suoi amici, decide di fondare una piccola emittente di paese.
Così inizia la storia di questo ragazzo che affronta la settimana lavorativa con il pensiero fisso del sabato sera, serata che coincide con le due ore di diretta.
Ogni giorno lavora attentamente alla scaletta musicale del programma, compra dischi e si informa sulle novità in uscita finché pian piano, in paese, la gente scopre di chi è la misteriosa voce di Luke on the night.
Da lì in poi la sua vita cambia radicalmente perché viene assunto in una radio di Milano, quindi in giovane età si trasferisce a vivere da solo e inizia una nuova avventura mollando il suo vecchio lavoro e guadagnando solo facendo lo speaker.
La storia continua con un susseguirsi di colpi di scena, tra avventure sessuali, serate passate nei locali, nuove radio che lo cercano e lo assumono e qualche visita al suo vecchio paesino per salutare gli amici rendendosi conto però che la vita di città lo ha completamente cambiato.
In mezzo alla storia che narra la vita di Gianluca ci sono delle pagine scritte da una persona matura e adulta, ovvero dal protagonista ormai cinquantacinquenne, che vede la vita da un punto di vista privilegiato perché non ha mai dovuto rompersi la schiena per portare a casa uno stipendio adeguato.
Il diario si snoda tra riflessioni quotidiane e dischi consigliati, tenendo presente l'attualità che ogni tanto rapisce l'attenzione del protagonista così da condividerne i suoi pensieri con questo “amico” speciale, il suo diario, sapendo bene che non sarà mai un dialogo ma solo un monologo.
La storia si conclude con la fine della carriera radiofonica di Gianluca e l'ultimo capitolo della sua vita si allaccia al primo del diario nel quale racconta d'aver lasciato la radio per iniziare una nuova vita e condividere i suoi pensieri, nero su bianco, con il suo nuovo “amico”.
LinguaItaliano
Data di uscita3 set 2014
ISBN9786050320114
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    Confessioni di uno speaker - Simone Panzeri

    Simone Panzeri

    Confessioni di uno speaker

    UUID:

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Table of contents

    Ho deciso di confidarmi.

    ​La prima diretta

    Sono solo in casa.

    ​Due anni

    E' l'una di notte.

    ​Milano

    E' un po' che penso.

    ​Il tempo scorre

    Sono passati giorni.

    E' lunedì notte.

    ​Anni felici

    Ho appena finito.

    Ti scrivo da un ipad.

    ​Avevo bisogno di

    Sono le sette di sera.

    ​Qualche problema

    Sono appena tornato.

    ​Periodo di transizione

    E' un giorno triste.

    ​Inghilterra

    Non ti saluto mai.

    Ecco tutto.

    ​Nuova radio

    Sono appena rientrato.

    ​Momenti Difficili

    E' un pomeriggio splendido.

    ​Valentina

    E' una fresca serata.

    Ritorno a Milano

    Ciao caro diario.

    ​Radio Sound

    E' notte fonda.

    Ormai siamo amici.

    ​Routine

    E' una giornata di festa.

    ​Laura

    Oggi è una fantastica giornata.

    ​Relazioni finite

    Questa mattina ho ricevuto un messaggio.

    E' notte.

    Sbalzi d’umore

    Ti scrivo così mi distraggo un po'.

    ​Basta non prendersela

    Ti scrivo in questa sera.

    Cambiamenti

    Lo sai che non succederebbe niente.

    Si vivesse solo di inizi.

    ​Nuove esperienze

    Come stai?

    Mi sono preso una pausa.

    ​Difficile

    Buon ascolto.

    E' un periodo.

    ​Lenta ripresa

    ​Senza più emozioni

    Sono via.

    ​Mesi Difficili

    ​Così non va

    Io abbastanza bene.

    ​Nuovo orario

    ​Quotidianità

    Ci siamo, siamo arrivati alla fine.

    Ringraziamenti

    " Ma come diceva lui,

    non sei fregato veramente

    finché hai da parte una buona storia

    e qualcuno a cui raccontarla"

    NOVECENTO

    Chi ha paura di sognare, è

    destinato a morire.

    BOB MARLEY

    Ma non serve aumentare la

    definizione per vedere più grande un coglione.

    DANIELE SILVESTRI

    Ho deciso di confidarmi.

    Caro diario,

    ho deciso di confidarmi con te e ogni volta che lo faccio metto un disco per farmi compagnia.

    Ogni tanto un vinile, ogni tanto un cd ma, devo ammettere, non disdegno questi moderni mp3.

    Il vinile ha sempre il suo fascino, però spesso mi devo alzare dalla sedia per cambiar lato così da interrompere la scrittura; poi perdo il filo, la poesia, la concentrazione e scrivo solo stronzate.

    Le canzoni in mp3 sono comode, le puoi caricare dal computer, ascoltare all’infinito in base a quanta musica hai, però io penso che, nella mia vita, ho comprato più musica che pane.

    Oggi sto suonando Joe Henry, Blood from stars, e appena parte Channel, la traccia numero 3, mi fermo per ascoltarla e apprezzare le sue fantastiche melodie.

    Ho deciso, alla mia non giovane età, di scrivere un diario, modernamente chiamato blog, perché ho voglia di raccontarti come ho vissuto questi 30 e passa anni di carriera radiofonica.

    Non sono mai diventato uno speaker di fama internazionale anche se ci sono andato vicino più volte senza mai riuscire a fare il famoso grande salto.

    Penso che mi sono sempre difeso bene e che ho molte cose da raccontarti sul mezzo di comunicazione che più ho amato.

    Ho iniziato a far radio quando bastavano un microfono, delle cuffie e i giradischi.

    Non c’erano computer, non c’erano lettori cd perché non esistevano i cd, non c’erano messaggi o mail o social network, non c’era nulla, o quasi, di tutto quello che c’è adesso. C’era la musica e la voglia di raccontare qualcosa.

    Si andava in onda per divertimento senza pensare che potesse diventare un lavoro. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno le radio sarebbero diventate così potenti da poter trasmettere in tutta Italia. Senza poi considerare che con internet possono arrivare in ogni angolo del mondo.

    Eravamo solo dei ragazzini che avevano pensieri confusionari e che provavano a dire qualcosa davanti ad un microfono.

    Il risultato era quello che era, però al massimo potevano sentirci ad un km di distanza dallo studio radiofonico.

    Se penso che ho scritto studio mi vien da ridere.

    Era una stanza con un tavolo, due giradischi, un paio di cuffie, un microfono e un po’ di vinili.

    Questa era la radio e questa, ogni tanto, è la radio che vorrei ascoltare di nuovo.

    Ragazzi che parlano di musica e che, senza ambizione alcuna, si divertono con semplicità.

    Ricordo la prima diretta con la stessa emozione e la stessa sudorazione.

    Eravamo in cinque in una stanza di dieci metri quadrati.

    Ad un certo punto, appena prima di andare on air, Ciccio, guardandomi dall’alto dei suoi venticinque anni, mi sposta con arroganza perché mi ero messo davanti ad uno dei due giradischi.

    ​La prima diretta

    Ad un certo punto, appena prima di andare on air, Ciccio mi guarda dall’alto dei suoi 25 anni e mi sposta con arroganza perché mi ero messo davanti ad uno dei due giradischi.

    - Cazzo Gianluca ti ho detto più volte che non ti devi mettere qui. Sei il più piccolo e non puoi pretendere di fare quello che facciamo noi.

    In questi momenti lo odiavo, però sapevo che senza di lui il progetto della radio non sarebbe mai nato.

    Una delle tante domeniche pomeriggio passate in piazzetta con la bottiglia di cedrata tra le mani, Ciccio ebbe la brillante idea di voler diffondere musica in tutto il paese. Nessuno, ascoltando bene le sue parole, aveva immaginato che si trattasse di un qualcosa simile ad una radio.

    Tra me e me, e per fortuna che non ho espresso la mia opinione per non fare la figura di merda del secolo, ho pensato che lui volesse andare sul campanile e, con qualche marchingegno collegare un giradischi alle campane così da diffondere Have you ever seen the rain dei Creedence Clearwater Revival in tutto il paese.

    In realtà lui non avrebbe mai messo un pezzo simile.

    Se ci fosse stata una votazione, io e Valentina, la ragazza di Ciccio, avremmo messo i Creedence, Janis Joplin, i Pink Floyd, Elton John o musica simile. Tutti pezzi melodici e godibili a qualsiasi età.

    Lui, Mena e Yuri avrebbero pestato giù duro.

    Sarebbero saliti con dischi dei Deep Purple, di Jimi Hendrix, degli Stooges o, per essere romantici e melodici, secondo i loro standard, un disco dei Kraftwerk.

    Non ho nulla contro questi artisti o la loro musica, però penso che le mie scelte fossero un po’ più popolari e meno da fattoni. Non ci vedo Don Lorenzo che si muove facendo la air guitar su un pezzo degli Zeppelin. Piuttosto lo immagino cantare Signor G, mentre si prepara per la messa.

    Comunque non c’è stato questo pericolo visto che il mio pensiero, per fortuna, è rimasto nella mia testa.

    Ragazzi, ho un’idea che farà notizia in questo paesino di quattro anime. Faremo la rivoluzione senza essere dei rivoluzionari contro lo Stato. Abbiamo bisogno di poche cose, di tante idee e di poca vergogna.

    Nessuno di noi capiva cosa avesse in mente Ciccio. Il fatto era che, essendo lui il più vecchio e quello che prendeva decisioni a nome di tutti, noi non ci permettemmo di dire nulla.

    Solo Mena, dopo non poca esitazione, provò a dire - Si, ma alla fine cosa significa? Non si capisce nulla di quello che vuoi fare.

    Ciccio lo guardò male perché lui pensava d’essere stato chiaro. Secondo me si era anche un po’ pentito d’averne parlato con noi, però visto che eravamo cresciuti insieme non avrebbe mai potuto escluderci dal suo progetto.

    - Voglio fare una radio. Ho già in mente il nome.

    Ci fu un lungo attimo di silenzio.

    Nessuno sapeva se era meglio parlare, se era meglio dire cosa pensassimo della sua idea o se era meglio stare zitti.

    Scegliemmo l’ultima soluzione, all’unisono, senza accordarci.

    Come al solito avrebbe pensato lui a tirarci fuori da ogni imbarazzo.

    - Si chiamerà Radio Compa.

    - Radio Compa? - rispondemmo tutti in coro.

    - Ma si, siete i soliti idioti che non capiscono un cazzo. Radio Compagnia è troppo lunga, quindi Radio Compa penso che sia l’ottimo compromesso.

    Iniziammo a turno una serie di domande.

    Yuri disse: Ma come facciamo a fare una radio? Qualcuno di voi - rivolgendosi a tutti noi - ha in mente da che parte si comincia?

    Ciccio rispose che aveva già delle idee e bastava trovare un posto per iniziare a scatenare l’inferno in quel paesino.

    Iniziò a raccontare tutto quello che aveva già pensato e parlava sentendosi un messia che portava la Parola di Dio.

    Noi ascoltammo e io, di nascosto, guardavo Valentina.

    Mi era sempre piaciuta ma non avevo mai avuto il coraggio di provarci. Era fidanzata con Ciccio da almeno 5 anni però l’avevo sempre vista sofferente in quella relazione ed ero sicuro che lei fosse insieme a lui solo perché era il più grande ed era quello che faceva più il figo. Era l’unico con una macchina e l’unico che poteva permettersi la frase: Passo a prenderti sotto casa.

    Noi al massimo ci spostavamo in bicicletta e lei sicuramente preferiva appoggiare le sue rotondità sul morbido sedile di un’automobile che non sulla canna di una bici.

    La guardavo ogni giorno e, ogni giorno, fantasticavo rapporti sessuali con lei.

    Puntualmente, una volta entrato in casa, concludevo l’amplesso solo con la mia mano anche se lei era nella mia testa tanto quanto nei miei ormoni.

    Quante pippe pensando a lei e quanta vita regalata venendo nel lavandino.

    Ogni tanto penso che se avessi messo incinta ogni ragazza con tutte le seghe che mi son fatto, adesso sarei padre di una nazione grande come la Cina.

    Guardavo Valentina di profilo e vedevo le sue tettine che puntavano dritte verso l’infinito.

    Ad un certo punto Ciccio smise di parlare e mi fissò.

    In quell’istante mi cagai addosso perché capii d’esser fottuto.

    Invece la fortuna o il destino, scegliete voi, mi salvarono.

    Mi chiese semplicemente cosa ne pensavo dato che ero il più esperto di musica.

    - Penso che sia una bellissima idea - dissi con la voce un po’ rotta di chi sa che ha rischiato la pelle - però dobbiamo capire bene come fare perché servono più persone e noi siamo solo in cinque.

    - La solita risposta del cazzo da uno che non ha mai le palle per dire quello che pensa veramente - ribattè Ciccio.

    - E' quello che penso, e per dimostrartelo porterò i dischi e andrò in onda.

    Mi pentii all’istante di quello che avevo detto, però pur di non fare il cagasotto di fronte a tutti, e soprattutto, di fronte agli occhi di Valentina, buttai lì la prima cosa che mi fosse venuta in mente.

    In realtà non avevo mai pensato alla radio, e anche se ero molto appassionato di musica, non sapevo nemmeno da che parte iniziare un discorso davanti ad un microfono.

    Ero l’unico che aveva finito le scuole perché Ciccio lavorava nel panificio del padre da quando aveva 13 anni, Yuri faceva il meccanico di moto ancor prima di iniziare a camminare, Mena non si capiva come viveva perché non aveva un lavoro, e Valentina non c’entrava con il progetto radio.

    - Le donne sono escluse, ovviamente - aveva detto Ciccio dopo aver buttato lì l’idea della radio.

    Io ero l’unico con un diploma e cercavo un lavoro come geometra.

    Ero quello che se la cavava meglio con l’italiano, però, in fondo in fondo, Ciccio non aveva poi tutti i torti nel dire che ero un cagasotto.

    Non ho mai preso una decisione e ho sempre avuto paura di affrontare la realtà ed ero il solo che a vent’anni non aveva ancora limonato.

    Ciccio ne aveva 25 ed era fidanzato, quindi presumo che con Valentina avesse limonato e non solo, Yuri poteva bullarsi in giro per il paese con moto sempre diverse prese in prestito dall’officina in cui lavorava e, questa cosa, non lasciava indifferenti le ragazze, mentre Mena era quello bello e dannato. Pur non facendo un cazzo da mattina a sera aveva quell’aria sbattuta che faceva cadere le ragazze ai suoi piedi.

    Io ero il più piccolo, però a vent’anni ero ancora vergine.

    Il contatto più ravvicinato con una donna fu quando mia mamma, per salutarmi, usava baciarmi fuori da scuola. In quel caso mi dava anche un po’ fastidio perché mi vergognavo mentre ora potrei pagare per avere un solo bacio dal gentil sesso.

    Il pomeriggio trascorse parlando, con le voci e le idee che si sovrapponevano, di quello che avremmo voluto e dovuto fare per essere nell’etere entro un mese da quella data.

    Andai a casa con la mia bicicletta, entrai, salutai i miei genitori che già mi aspettavano per cena però, prima di sedermi con loro, andai in bagno per mantener fede al mio rapporto sessuale immaginario con Valentina.

    Cinque minuti dopo ero seduto a tavola, come se niente fosse, per mangiare l'ottimo minestrone di mamma.

    Non ne avrei mai parlato con i miei genitori anche perché Radio Compa per adesso era solo un’idea, e come tale doveva rimanere della compa.

    Nei giorni seguenti ebbi molto tempo per pensare visto che non avevo ancora un lavoro.

    Con gli altri ci si trovava il sabato e la domenica pomeriggio perché durante la settimana ognuno aveva i propri impegni e non ci si vedeva quasi mai.

    In realtà io non avevo un cazzo da fare, però per non esser sempre preso di mira mi fingevo indaffarato.

    Avevo pensato ad alcune idee carine e avevo organizzato i vinili.

    Il sabato successivo alla domenica in cui Ciccio aveva illuminato tutti noi con l’idea della radio, arrivai in piazzetta con una borsa piena di dischi.

    - Ma che cazzo fai con tutti quei dischi?- disse Ciccio con la sua gentilezza disarmante.

    - Ho portato qualche pezzo così possiamo discutere su cosa mettere in onda come prima canzone. Non vorrai mica lasciare tutto al caso? - gli chiesi sapendo che la scelta musicale era troppo importante e poteva determinare un buon successo per l’inizio di Radio Compa.

    - Sei il solito imbecille che vuol far sapere a tutti cosa stiamo facendo - disse Yuri.

    Mi stupii molto della sua risposta perché lui non era solito a queste uscite. Si vede che Ciccio aveva avuto un’influenza troppo forte su tutti noi.

    Rimasi un attimo in silenzio e dopo un po’ d' imbarazzo iniziai a parlare.

    - Secondo me se vogliamo iniziare bene questa nuova avventura e, se vogliamo conquistare subito la gente del paese, dobbiamo iniziare con Tanto Pè Canta’ o con Fiori Rosa Fiori di Pesco. E' importante mettere un pezzo che tutti conoscono così li invogliamo a stare incollati alla radio. Se partiamo con qualcosa di straniero, perdiamo subito ascoltatori come le vecchiette che ci ascoltano mentre pregano e tengono il rosario tra le mani.

    Nessuno si aspettava questa mia decisione nel parlare e nello scegliere in maniera così decisa i pezzi.

    Ciccio si avvicinò a me e mi diede una pacca sulla spalla dicendomi: - sei un imbecille ma se ti impegni puoi dire cose intelligenti.

    Smisi di tremare e fui contento del mio gesto.

    - Gianluca sceglierà le canzoni, Yuri seguirai la parte tecnica della radio, Mena ti occuperai delle frequenze e io, parlerò a tutto il paese.

    Sapevo che alla fine sarebbe andata così.

    Ci rimasi un po’ male perché parlare era il mio obiettivo, però ero sicuro che prima o poi sarei finito davanti al microfono con le cuffie in testa.

    Fino ad una settimana prima non avevo mai pensato alla radio, ora era diventata un’ossessione.

    Nelle settimane seguenti fummo tutti presi nei preparativi della diretta.

    Yuri recuperò dei giradischi rotti ma riuscì comunque a sistemarli.

    Uno era un Krundall Tahiti e l’altro un Teppazz Tourist. Quest’ultimo era in una valigetta pronto per essere trasportato in viaggio. Una cosa molto figa, da ricconi, che a noi andava benissimo per essere lasciato sul tavolo in maniera del tutto statica.

    Con quelle attrezzature non potevamo certo diventare i migliori, però potevamo diffondere idee e musica nel paese.

    Yuri li trovo’ in discarica mezzi rotti, li prese e li aggiustò, così almeno una cosa era pronta.

    Mena si organizzò per capire come si poteva fare con le frequenze.

    Non lavorando aveva molto tempo libero per pensare e provare ad utilizzare tutto quello che avevamo recuperato e che serviva per andare in onda sui 90.5 mhz.

    Era emozionante pensare che da lì a poco avremmo avuto una nostra frequenza e avremmo potuto trasmettere qualcosa, anche se ancora non sapevamo cosa, però eravamo consapevoli che mancava poco.

    Ognuno pensava ai propri compiti e io, ogni giorno in maniera ripetitiva, mettevo e toglievo i dischi dalla borsa pensando alla giusta sequenza musicale.

    Come dicevo, avevo in mente un disco italiano per iniziare ma ero molto combattuto su quale potesse colpire l’attenzione della gente.

    Giravo tra le mani i dischi di De Andrè, De Gregori, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Lucio Battisti, Mia Martini, Loredana Bertè, Francesco Guccini e altri mostri sacri che periodicamente compravo su 45 giri per poi ascoltarmeli a tutto volume in camera mentre mia madre imprecava perché perdevo tempo con la musica al posto di uscire a cercare un posto di lavoro.

    L’attenzione cadde su un disco di Celentano.

    Era il 45 giri che da un lato aveva Due nemici innamorati, ma dall’altro aveva il pezzo che cercavo da giorni: Chi non lavora non fa l’amore.

    Appena presi in mano quel disco capii che era fatto apposta per provocare stupore e, allo stesso tempo, sconcerto tra la gente.

    Era un pezzo che si portava dietro molte polemiche per via del testo, però in fondo era così orecchiabile che diventava impossibile non apprezzarlo.

    In testa canticchiavo l’inizio: Chi non lavora non fa l’amore... e io, disoccupato da quasi un anno, ero più felice perché pensavo alla mia verginità con la scusa del non lavoro.

    Non mi facevo tutti questi problemi visto che avrei iniziato a fare l’amore non appena avrei trovato un lavoro ed era solo questione di tempo.

    A volte l'autoconvinzione era l’arma migliore.

    Nei giorni successivi continuai la mia personale scelta dei dischi.

    Ci trovammo, come ogni fine settimana, in piazzetta per parlare della settimana trascorsa e per fantasticare sul nostro futuro.

    Ognuno di noi aveva dei sogni incredibili e fu solo con il passare del tempo che ci accorgemmo che, sogni erano e sogni rimasero.

    Per adesso la radio occupava gran parte dei nostri pensieri e quello bastava per accantonare ogni nostra utopica aspirazione.

    - Ho trovato il disco perfetto per iniziare l’avventura di Radio Compa - dissi con molta convinzione. - Ho deciso di mettere il pezzo di Adriano Celentano, Chi non lavora non fa l’amore.

    Ci fu un attimo di silenzio e di stupore.

    Ciccio mi guardò e con il suo sorriso da bastardo mi disse - l’hai messo perché sei l’unico che non lavora e non fa l’amore, almeno hai una scusa valida per non farti prendere per il culo.

    Si misero tutti a ridere e questa cosa mi diede molto fastidio.

    Dissi che l’avevo scelto perché era un pezzo che poteva far discutere e che avrebbe dato ottimi spunti per iniziare un discorso.

    Lui rispose che io blateravo parole confuse e che, comunque, quel disco andava bene indipendentemente dal motivo.

    Alla fine era lui quello che parlava, quindi erano fatti suoi se non aveva argomenti una volta aperto il microfono.

    Il pomeriggio passò parlando del posto in cui avremmo potuto mettere tutte le nostre attrezzature.

    Per adesso ognuno aveva le cose in casa che iniziavano a diventare ingombranti e c’era il rischio che i genitori, di lì a poco, avrebbero fatto domande troppo scomode.

    Decidemmo di portare tutto in officina da Yuri lasciando i giradischi e i trasmettitori sotto un telo nella speranza che suo padre non li avrebbe trovati.

    Avevamo molte idee, però erano tutte irrealizzabili senza un luogo che potesse essere usato come studio.

    Ad un certo punto mi venne in mente un’idea che poteva dare la svolta positiva a quel noioso pomeriggio affogato in bottiglie di cedrata e stronzate dette a caso.

    - Perché non facciamo lo studio nella vecchia filanda?

    Mena mi guardò tra il serio e il faceto dicendo - è una buona idea anche se è una ditta dismessa.

    - Appunto, per quello lì possiamo trasmettere senza essere beccati e senza che nessuno venga a disturbarci - risposi con molta convinzione - e poi lì non diamo fastidio perché la fabbrica è in disuso da parecchi anni.

    Nel giro di dieci minuti fummo tutti davanti alla rete che separa il parcheggio della ditta dalla strada che porta al centro città.

    Scavalcammo stando attenti a non farci vedere dalle perpetue di paese.

    Le porte erano tutte rotte quindi non fu un problema entrare. Girovagammo un po’ per la ditta cercando di capire quale fosse il posto migliore dove piazzare il tutto per iniziare a cambiare il mondo, almeno questo era quello che pensavamo riguardo a Radio Compa.

    Dopo un po’ arrivammo nell’ufficio del direttore.

    Era ampio, con un tavolone in legno e una poltrona di quelle che avevo visto solo nei film americani.

    Senza parlare capimmo che quello era il posto perfetto.

    Iniziai a pensare come sistemare i giradischi per facilitarmi con i cambi e non lasciare troppo spazio vuoto tra un pezzo e l’altro.

    Ciccio si mise sulla sedia come un vero direttore e iniziò a fantasticare sulla posizione che avrebbe assunto per trasmettere le sue idee a tutta la città.

    Yuri pensò che il tavolo potesse reggere senza problemi il peso dell’attrezzatura e Mena provò a capire se il segnale potesse essere trasmesso da quello studio fino al punto più alto della città.

    Valentina guardava stupita e non parlava.

    In quei momenti l’avrei abbracciata per poi baciarla fino allo svenimento, mentre quel coglione di Ciccio era più impegnato a farsi bello davanti a noi che non a render felice quella bellissima ragazza.

    Uscimmo dalla fabbrica che era quasi buio.

    Andammo a casa tutti contenti per via della soluzione trovata.

    Io entrai e mi diressi verso il bagno per espletare la mia quotidiana abitudine di scopare con me stesso.

    Dopo poco, anzi pochissimo, andai in cucina per cenare con i miei.

    Era sempre strano pensare che fino a pochi minuti prima ero in bagno con una mano sul mio pisello e poco dopo la stessa mano, spesso non lavata con accuratezza, passasse il pane ai miei genitori.

    Mi son sempre promesso che da mio figlio non vorrò mai avere un pezzo di cibo toccato dalle sue mani dopo che è uscito dal bagno.

    In via del tutto eccezionale quella settimana ci fu una riunione per decidere come e quando partire.

    Ciccio venne a prendermi con la macchina sotto casa e così fece con tutti gli altri.

    Valentina non fu invitata.

    Ci trovammo in piazzetta per discutere su come potevamo affrontare la prima diretta.

    Era mercoledì sera e dopo un paio d’ore decidemmo che la nostra radio doveva aprire i battenti entro i prossimi dieci giorni.

    Fu così che il sabato successivo, alle 21, fu tutto pronto per trasmettere il primo pezzo e la prima trasmissione di Radio Compa.

    I dieci giorni che passarono tra quel mercoledì e il sabato della diretta furono così veloci che nemmeno capii cosa stesse succedendo.

    So che quel sabato fu un giorno speciale.

    Mi svegliai prestissimo, verso le sei, dopo una notte insonne.

    Decisi di fare una moka di caffè. Ero agitato e non avrei dovuto bere il caffè ma non avevo alternativa perché i miei genitori bevevano più caffè che acqua.

    Avevo iniziato a bere l’oro nero già a dieci anni perché per mamma era salutare e mi aiutava nella concentrazione scolastica, per papà era un toccasana perché mi considerava un rincoglionito e pensava che la caffeina potesse darmi una svegliata.

    Dopo la colazione uscii a fare due passi per schiarirmi le idee.

    Avevo ripassato la scaletta a memoria e sapevo bene cosa dovevo fare.

    C’eravamo trovati in settimana per provare a fare tutti i collegamenti.

    Yuri portò i giradischi e li collegò in modo che la musica potesse diffondersi nell’etere e non solo in quella stanza. Provammo a collegare il microfono e le cuffie, e ogni volta che qualcosa funzionava, ci abbracciavamo come dei bambini dopo un gol sul campo dell’oratorio.

    Era tutto pronto e Mena, in cima alla collina riuscì a portare a termine il collegamento.

    Arrivò in bici tutto sudato per la fretta e l’ansia.

    Dovevamo solo provare per capire se ci fossimo impossessati dei 90.5.

    - Dobbiamo solo mettere un disco per vedere se trasmettiamo qualcosa, non possiamo parlare perché se qualcuno sente può

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