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Rivoluzione
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E-book138 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Quarant’anni appena e già direttore di un giornale di prestigio, una bella moglie, una figlia che adora. Marco avrebbe tutto per essere soddisfatto di sé, però ha pure una coscienza che il successo professionale ed economico ha sopito ma non spento. In essa si annidano i fantasmi del passato - il primo amore, il più caro amico - come amorosi debiti da saldare, come stimoli al recupero della sincerità e dell'onestà. Forse la facilità e il benessere avrebbero la meglio, ma in quel momento nell’esistenza di Marco appare Claudia, una ragazza che lotta, armi in pugno, contro i soprusi e le dittature. Affascinato da lei, Marco trova la forza per far compiere una rivoluzione anche alla propria vita.
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Premio Scanno Opera Prima (1979) – Lo stile “diverso, nervoso, scattante” fa di questo romanzo un’opera “matura” che rivela “un narratore autentico”.

Lorenzo Mondo (La Stampa) - La giovinezza come rivoluzione permanente contro gli accomodamenti della delusione e degli anni.
LinguaItaliano
Data di uscita13 apr 2015
ISBN9786050371741
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    Anteprima del libro

    Rivoluzione - Franco Mimmi

    Franco Mimmi

     RIVOLUZIONE

    Prima parte

    La finestra era un rettangolo chiaro. Vi scoppiavano lampi rossi, vi passavano nuvole di fumo nero. Quando un palazzo esplose, un chilometro in là, sul mare, lo spostamento d’aria staccò le ultime schegge di vetro dagli infissi. Una, a punta di lancia, andò a piantarsi nel petto del cadavere che era rimasto col busto eretto, la schiena appoggiata al muro, il fucile mitragliatore di traverso sulle gambe allungate. Per l’urto il corpo sussultò e smarrì l’equilibrio, si adagiò al suolo come se avesse ricevuto allora il colpo mortale. Tra i monconi del palazzo esploso le fiamme mangiarono le stoffe e il legno e si fecero strada verso il cielo avvampando la coltre nera che copriva Beirut. Adesso la finestra era un rettangolo rosso, a tratti la stanza si riempiva di bagliori.

    La ragazza stava seduta a terra, le gambe distese e il busto contro il muro, il mitra di traverso sulle ginocchia. In posizione speculare, fino a qualche istante prima lei e il cadavere si erano guardati negli occhi. La ragazza si chiese: perché sono qui? Lo ripeté a voce alta: Perché sono qui? ma il suono si perdette nel rombo dell’incendio e non fu più forte di quello del pensiero. Allora scrollò la testa e sorrise. Le ciocche di lunghi capelli neri sporchi bagnati di sudore si mossero pesantemente, seguendo il lento via vai del capo - sinistra, destra, sinistra - e poi si divisero dolenti al passaggio delle dita. La ragazza non sorrideva più, batteva le palpebre per il fumo e il calore, le batteva a ogni battito del cuore ma gli occhi non ne avevano sollievo. Tuttavia non avvertiva il fastidio: era perduta nello stupore delle proprie domande e nell’ansia di trovare le risposte. Il rumore delle fiamme assorbiva il crepitio degli spari, solo i colpi sporadici di un mortaio falangista riuscivano a farsi strada. Tutto era nero, tutto era rosso, e le domande si insinuavano nei colori con una scia chiara che lentamente si avvolse, formò un bozzolo opaco e guizzante. Doveva strapparlo, uscirne per ritrovare il riposo del buio. Se avesse raggiunto le risposte anche il riverbero delle fiamme sarebbe scomparso, e la vampa, e i rumori del fuoco e degli spari. Sarebbe stato buio fresco e silenzio, se avesse trovato le risposte.

    Trasse un lungo respiro e si ripeté: che ci faccio qui? perché sono qui?

    I

    Perché non avevo mai bussato, a quella porta, disse il redattore capo. Ero sempre entrato senza bussare, e dunque non avevo motivo di bussare stasera. Ammetto che ci ho pensato. Mi sono fermato un istante, con quei due foglietti nella mano sinistra e la destra sulla maniglia, e ci ho pensato. Ma solo un istante, poi ho spinto e sono entrato e lui era seduto non alla scrivania ma nella poltrona sulla quale ognuno di noi, anche i più giovani, anche quelli arrivati al giornale più di recente, si è seduto chissà quante volte senza chiedere permesso. Aveva in mano le stesse due notizie d’agenzia che avevo io, e stava nella poltrona dove ognuno di noi si è seduto senza chiedere permesso ogni volta che ha avuto una domanda da fare e si è sempre alzato con una risposta. E questo è stato per quello che c’era scritto sui due fogli che sia lui sia io avevamo in mano, e per la stessa ragione ora anche lui era seduto lì anziché al suo posto, dietro la scrivania.

    Nell’odoraccio di fumo raffreddato dalla notte, il redattore capo si versò un altro whisky dalla bottiglia offerta dall’ultimo assunto, un praticante di ventidue anni scandalosamente privo di amicizie e parentele, e poi la passò agli altri tre che tiravano tardi nella redazione deserta, finché la bottiglia tornò sulla scrivania del praticante.

    Quando è arrivata la notizia? chiese l’inviato.

    Tardi, disse il redattore degli esteri.

    È arrivata tardi, confermò il redattore capo sfogliando il giornale dell’indomani. Stavo già alzandomi per andare in tipografia. Mi sono rimesso a sedere e ho aspettato perché c’era solo un primo flash, quattro righe in tutto. Poi l’usciere è tornato con un altro mazzetto di agenzie e in mezzo c’era il seguito, due e fine, altre cinque righe. Allora ho acceso una sigaretta e ho telefonato in tipografia a Vincenzo perché andasse avanti lui col giornale, e Vincenzo mi ha detto: `Che diavolo vi ha preso? Anche il direttore non si è ancora fatto vedere. C’è qualcosa di grosso?’ e io gli ho detto: ‘È tutto a posto, vai avanti tu che è tardi,’ e poi mi sono alzato e sono arrivato alla porta e mi sono chiesto se dovevo bussare o no.

    Riprese il bicchiere e bevve un sorso e ricominciò a sfogliare il giornale.

    Ecco qua, disse, taglio basso a due colonne.

    Uno dei colleghi, il cronista parlamentare, guardava il liquido che la mano faceva ondeggiare. Lo guardava fisso come se dalle piccole onde dorate risalissero immagini perdute.

    Che cosa ha detto? chiese.

    Sono entrato e mi sono fermato in piedi accanto a lui, e lui ha detto: ‘È già tardi. Facciamo in tempo a mettere la notizia per la ribattuta della città?’ e io: ‘Sì. Possiamo prendere anche la provincia. Se vuoi, possiamo ritardare un po’ e prendere tutta la tiratura,’ ma lui ha scosso la testa e ha detto: ‘No, va bene così: la ribattuta della provincia,’ e poi ha alzato il capo, ha alzato gli occhi da quei due fogli, mi ha guardato e mi ha chiesto: `Fai tu quindici righe?’ e io ho fatto cenno di sì e sono andato a scrivere le quindici righe. Ne ho scritte venticinque, e poi ho tagliato qua e là per ridurle a quindici. Ho tolto tutti gli aggettivi, e poi qualche altra parola, e sono tornato di là perché lo leggesse ma lui ha fatto un gesto con la mano e ha detto: `Va bene. Hai tolto gli aggettivi?’ e io ho detto di sì e lui ha detto: `Mai come in questo caso.’ E poi: `Mandalo in tipografia. Due colonne taglio basso, negli esteri,’ e si è alzato, si è messo il cappotto, ha fatto un altro gesto con la mano per salutarmi e se ne è andato.

    Il redattore capo puntò di nuovo il dito sul giornale che teneva aperto sulle ginocchia e ripeté:

    Ecco qua. Taglio basso su due colonne, trenta righe di piombo o dell’accidente che è adesso col cervello elettronico al posto dei linotipisti.

    Il praticante si fece coraggio: Ma chi è? chiese.

    Bravo, disse il redattore capo, ecco una cosa che non è scritta nelle mie venticinque righe ridotte a quindici, corrispondenti a trenta in piombo o quello che è, e che tu del resto non hai letto. Io posso dirti che era bella, anche se zoppicava un po’, appena appena, e per questo il suo nome di battaglia era Claudia, che in latino, come certo sai, vuol dire zoppa, e infatti anche l’imperatore romano si chiamava così per questo. Potrei dirti altre cose, ma basta che tu sappia che se ti abbiamo assunto, disgraziato che sei senza uno straccio di raccomandazione, un po’ lo devi a lei.

    E questo è tutto, disse l’inviato sporgendosi a riprendere la bottiglia e poi di nuovo passandola in giro, questo è quanto ti compete, e in ogni modo a noi basta così.

    Aveva conosciuto Claudia a Cuba, quando era ancora diciassette anni lontano dai cinquantaquattro e mezzo che volevano dire un semestre prima della pensione, sei mesi dei quali fingere di non aver paura. Tre volte il giro del mondo cercando di capire, e ormai solo sei mesi concessi a un’ultima possibilità per dipanare il senso di guerre vere e false strette di mano, veri morti e sorrisi lampeggiati per i fotografi. Passò la bottiglia a Luraschi detto Paganel, come il geografo di Verne che aveva imparato il mondo a tavolino: vent’anni di politica estera senza lasciare la scrivania sulla quale giorno dopo giorno aveva appoggiato, deponendovelo con la mano destra come un peso estraneo ma inalienabile, il braccio sinistro inerte; ma quando l’inviato doveva partire per un punto distante un palmo sulla carta, migliaia di chilometri, andava da Paganel e gli diceva: Facciamo un briefing. Allora il giramondo sedentario si accendeva la pipa e sbuffava una cinquantina di parole che l’altro appuntava e poi gli dava le fotocopie di tre foglietti del suo archivio personale.

    Il suo libro sul Medioriente è molto bello, gli aveva detto Claudia, come vanno le cose, adesso? Situazione tranquilla, aveva affermato lui, ma Claudia, scuotendo la testa e allontanando con la mano una ciocca dei capelli neri: Io temo che ci sarà presto un’altra guerra, aveva detto, e ne avevano parlato a lungo (del Cile, di Allende, dell’11 settembre vecchio di appena dieci giorni, lei aveva chiesto di tacere. Com’è stato, quel giorno? aveva azzardato lui, e Claudia, scuotendo ancora la testa: Sparavano), e lui aveva ascoltato e preso appunti e due settimane dopo, nel briefing chiesto di fretta e furia dall’amico inviato in partenza per Israele dopo il Kippur, gli aveva ripetuto gli argomenti della ragazza bella e un po’ zoppa.

    Il praticante aveva ventidue anni e disse: Una vita movimentata, ma non mi sembra che abbiate risposto alla mia domanda, chi era questa donna. Eppure l’avete conosciuta tutti.

    Si rivolse al quinto del gruppo e gli disse ridendo: O forse ti sei salvato tu.

    Ma il cronista parlamentare, mentre si versava un altro po’ di liquore da far ondeggiare nel bicchiere, fece segno di no.

    No, disse, non mi sono salvato. L’ho conosciuta anch’io.

    I tre colleghi anziani distolsero lo sguardo da lui e lo riportarono sul giovane, in attesa.

    Cuba? chiese sorridendo il praticante. Cina? Cile? Vietnam?

    Il cronista parlamentare versò il whisky sull’ulcera e sulla nausea per tanti anni di Montecitorio, sulle immagini risalite alla superficie.

    Ci sposammo qui a Roma nell’agosto del ‘64, disse, ma neanch’io so rispondere alla tua domanda. O non se ne sarebbe andata un anno dopo.

    Si alzò, appoggiò il bicchiere vuoto e se ne andò.

    II

    Come abbiamo sentito, disse il redattore capo, il giovanotto ha ragione, e dunque cerchiamo di dargli una risposta.

    Sono una bestia, disse il praticante. Non potevo sapere, ma sono lo stesso una bestia.

    Ammettiamolo, disse il redattore capo, "ma hai sempre diritto a una risposta. E poi ha detto la verità, neanche lui sarebbe in grado di dartela, o lei non se ne sarebbe andata. Oppure, dico io, lui sarebbe andato con lei, e allora certo potrebbe dirti quello che vuoi sapere. Ma lei se ne andò e lui non andò con lei, perciò la risposta dobbiamo cercarla altrove. Da un altro uomo, poiché quasi sempre è in un uomo

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