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Tra il dolore e il nulla
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E-book247 pagine4 ore

Tra il dolore e il nulla

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Info su questo ebook

Un anziano e reputato scrittore, giunto ormai alla totale impotenza sia sessuale sia creativa, accetta di fare parte della giuria di un premio letterario e finisce coinvolto in un groviglio di ricatti e di raccomandazioni fra un giovane autore, rampante e aggressivo, una scrittrice avvenente e bigotta ma pronta a peccare pur di ottennere l’agognato riconoscimento e il “Raccommendatore”, demiurgo del premio e maneggione. In un’atmosfera di intrighi mortali e di una lotta a coltello per ottenere la vittoria, lo scrittore dovrà lui stesso fare fronte a un assurdo dilemma che lo costringerà in un vicolo cieco. Sarà l’intervento di un affascinante deus ex machina a ribaltare le sorti della vicenda quando il protagonista è ormai rassegnato ad accettare la fine di un’esistenza giunta a un malinconico capolinea. Corrosivo e impietoso nella rappresentazione della miseria intellettuale, morale ed estetica, Franco Mimmi si produce in uno spericolato gioco di raffinatezze espressive, calembour e citazioni dotte, in una prosa asciutta e sempre in presa diretta sul presente. La trama è avvincente e i personaggi mai banali, si tratti di gaglioffi prezzolati, di patetici critici in disarmo o di trionfali femmine incantatrici. Il romanzo eccede forse nell’insistita rappresentazione del decadimento senile e tuttavia si colloca in una dimensione che combina senza distorsioni un aristocratico distacco, un divertito umorismo e la commossa contemplazione del bello. Un libro che lascia il segno.

Valerio Massimo Manfredi (Panorama)
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2014
ISBN9786050342413
Tra il dolore e il nulla

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    Anteprima del libro

    Tra il dolore e il nulla - Franco Mimmi

    Franco Mimmi

    Tra il Dolore e il Nulla

    Soprattutto, cancella.

    Scrive poche parole alla volta, le rilegge, una leggera nausea lo assale fatta di sazietà e di noia con un pizzico di disgusto, le cancella.

    Tu-tu-tum, il treno corre, un treno vecchio, rumore dell’infanzia, su una linea secondaria poco frequentata, porta al borgo opulento dove nessuno più usa il treno, tutti si spostano con l’auto alla città e infatti gli hanno proposto di andare a prenderlo, accompagnarlo, ma il treno significa una mezz’ora in più di silenzio, un ritardo all’apertura delle solite chiacchiere, un onore, un piacere, poi sempre più esplicite, pressanti, posso permettermi, a quando un nuovo libro, certo bellissimo, ho letto tutti i suoi, mezz’ora in più e il rumore d’infanzia, tu-tum, tu-tu-tum, un giambo e un anapesto, lo scompartimento vuoto, il vagone vuoto, il treno fantasma con un solo passeggero fantasma. Scrive poche parole, rilegge, cancella. Secco come il deserto, pensa.

    Riprende il giornale dal sedile accanto e lo legge per un po', poi il libro, ma neppure lo guarda, è l'ultimo e poi li avrà letti – più o meno, diciamo – tutti e dodici, tutti i romanzi selezionati per il premio del grasso borgo selvaggio, neppure ha più bisogno di leggerli per sapere che cosa c'è scritto, aveva ragione Manganelli, non l'ho letto e non mi piace, no, in realtà a Manganelli lo aveva detto Scheiwiller, o scritto da qualche parte. Pensieri altrui, in ogni caso.

    Senza aver sonno ha le palpebre pesanti, chiude gli occhi. Ho qualcosa a cui pensare? si chiede, e si risponde: Non ho nulla a cui pensare. Coerentemente non va oltre, non si chiede se è solo in quel momento che non ha nulla a cui pensare, o se ormai sarà così sempre. Dagli occhi in fessura sbircia il libro, una brutta copertina povera, brutta la carta, autore sconosciuto, editore sconosciuto, questo aiuta, pensa, ma lo sguardo gli si mette a fuoco sul titolo e si ferma, si fissa: Tra il dolore e il nulla. Un bel titolo, pensa. Peggio: un buon titolo. Questo non ci voleva.

    Fermata. Dov'è il nome della stazione? Una colonna lo copre. Teste percorrono il finestrino, dunque qualcuno sale, qualcuno scende, nessuno nel suo vagone. Ovvio! È di prima! Chi mai, se non un invitato con biglietto pagato, spenderebbe il doppio per quei pochi chilometri e per nessuna vera differenza. Ma una coppia, certo per uno sbaglio nella carrozza o nell'acquisto del biglietto, sono evidentemente stranieri, rossi e sudati, entrano e si abbattono con borse e zaini su due sedili poco distanti, commentano qualcosa, bevono acqua da una bottiglia di plastica, prima lui e poi lei, il treno parte, un po' guardano fuori, presto si appisolano.

    Cerca di riprendere l'antico gioco. Chi sono? Da dove vengono? Dove vanno? E perché? Non gliene può importare meno, ma prende diligentemente il suo quadernetto e la penna e avvia l'esercizio di osservazione e descrizione, come cinquant'anni fa, quando tutto incominciò. Scrive: lui ha i baffi, ma non di quelli degli ufficiali inglesi dei film, brevi baffi a spazzolino: gli si allungano giù, fin sotto gli angoli della bocca, fino a sfiorare l’ombra nera della barba non rasata. Al polso destro, ma in alto, quasi a metà del braccio, porta due braccialetti d’oro, catenelle pesanti e volgari, e un anello d’argento con alcune pietre, femmineo e volgare, al dito mignolo. Si è assopito e la testa gli ciondola gravemente in avanti, la camicia ha vari bottoni aperti e rivela un petto villoso al centro ma che si fa glabro verso il pettorale un po’ adiposo. Lei invece è sveglia, muove il braccio carico di bracciali vari, alcuni metallici, alcuni di materiali colorati, e una catenella d’oro che si annoda al polso ma poi prosegue lungo il dorso della mano sino a raggiungere il dito medio dove si fa anello. Scrive, rilegge, cancella, una parola e poi un'altra finché non resta niente. Non serve a niente, pensa, non mi servirà mai più a niente, ma così intanto il tempo passa.

    Riprende il libro, lo guarda, lo soppesa. Non l'ho letto e non mi piace, pensa, ma non è così: quel titolo vale qualcosa, forse non cela alcunché ma richiede qualche accertamento. Inforca gli occhiali e lo apre con cautela, lo sfoglia lentamente, legge l'inizio, sempre così importante. Incredulo, lo rilegge, e ancora. Chiude il libro di colpo, le pagine schioccano, il turista si scuote per un attimo il sonno di dosso, con il dorso della mano asciuga un filino di bava che gli è colato dalle labbra socchiuse, si riappisola.

    Lui guarda il libro con sospetto, la brutta copertina povera e volgare, lo allontana per mettere a fuoco, sta per riaprirlo ma poi non osa, lo ripone sul sedile accanto. Chiude gli occhi e per un po' ascolta il treno, tu-tum, tu-tu-tum, giambo e anapesto, su quel ritmo di marcia zoppo cerca di costruire piccoli versi, come quando era ragazzo, semplici, magari senza significato, purché rispettino la cadenza, ma non gli viene niente, solo l'immagine di un drappello di fantasmi che marciano in un deserto senza vita.

    Guarda fuori dal finestrino e contempla la fuga delle case, degli olivi, dei muri a secco, a tratti del mare, luce dappertutto, sa che dovrebbe avvertire un brivido di stupore, forse anche di timore, un pericolo c'è, è evidente, perché il caso, si sa, è solo una relazione causa-effetto di cui non conosciamo la causa. Ma le case corrono, corrono gli olivi e i muri a secco, a tratti corre il mare, e quella luce dappertutto stordisce e fa più secco ancora il suo deserto personale, sicché, visto che è incapace di non pensare, indugia su qualche pensiero minimo che trattiene a lungo e pigramente, finché il treno non entra in una stazione che pure ha il cartello dietro una colonna ma che certo è la sua, perché nello schermo del finestrino appare la faccia abbronzata ridente del suo ospite e un'altra faccia pure conosciuta, poi gli verrà in mente.

    Raccoglie le sue cose, nasconde il libro nella borsa, scende. Gli corrono incontro: Posso? Un grande abbraccio: Maestro! Maestro? Sembra un secolo passato, anzi due, da sopra la spalla dell'abbracciante vede il ghigno dell'altro e allora si ricorda, è il critico letterario di un grande giornale del nord, sono quasi amici, come ha potuto non riconoscerlo?

    Ma la risposta è ovvia: il ghigno si spegne e la maschera giovanile cade, la faccia torna vecchia come non l'aveva mai vista, un paio d'anni appena che non si incontrano e guarda qui. Per me è anche peggio, pensa, e si scioglie dall'abbraccio ma con una lentezza che lo tiene ancorato al pensiero, accorgersi dell'invecchiamento non per la stanchezza del corpo ma per la bonomia che ha preso il posto delle reazioni rapide, una bonomia fatta in parte, lo ammette, di maggiore consapevolezza ma anche, soprattutto, di assenza d'interesse, di mancanza d'attenzione. Ogni mattina, pensa, rado la faccia di un altro, che può importarmi quello che succede là fuori?

    L'ospite si scusa: deve correre al capoluogo, all'aeroporto, è in arrivo la vincitrice dell'anno precedente, che presiederà la giuria come da regolamento. Lo affida al comune amico, non gli importa, no? Si rivedranno già a pranzo.

    Ilare, la faccia abbronzata si allontana, il suo padrone percorre un bel tratto all'indietro come davanti a un re, finalmente si volta, corre, scompare. I due, soli, si guardano e sorridono e decidono che niente abbraccio, una stretta di mano basta e avanza, escono dalla stazione e salgono su una macchina grande e lussuosa. In macchina fin quaggiù? chiede. L'altro scuote la testa, gira la chiave e il motore romba nell'accensione e poi ronfa poderoso. Macché, risponde, figurati se mi metto in autostrada per dieci ore. È sua, una delle sue, del nostro ricco anfitrione. Lui si allunga sul sedile, un po' impacciato dalla cintura di sicurezza: Parlami di lui, dice. Il critico si stringe nelle spalle: Ricco straricco, soprattutto costruzioni, domina l'intera provincia, ha in tasca i politici e il giornale locale, e ha velleità di immagine e letterarie. Semplice, no? Semplice, ammette lui, e chiede: Tra il dolore e il nulla. Lo hai letto?

    Leggera sorpresa, nulla più. Bel titolo, é tuo? Il tuo prossimo? Complimenti. Lui scuote la testa: Bella serietà, dice, e l'altro capisce al volo, ride: Uno della sporca dozzina? Non pretenderai che legga anche i perdenti. Allora, chiede lui, ci sono già i vincenti?

    Nessuna risposta. La macchina fila lungo la bella strada nuova che taglia fuori molti paesi ma alcuni ancora li attraversa, un cartello avverte: incrocio semaforizzato. Ridono del neologismo, si arrestano al rosso, ripartono, sfilano via le case, sfilano via i muretti a secco, sfilano via i pini, gli ulivi, la luce incombe e fa socchiudere le palpebre. Quindi, dice, non l'hai letto, non l'hai neppure sfogliato. Diomeneguardi, risponde quello, e non venirmi a dire che è buono. Distrae un momento lo sguardo dalla guida: È buono? chiede.

    Non lo so. Il titolo è buono. L'altro acconsente: Sì, sembra uno dei tuoi. E poi, ma questa volta senza voltarsi a guardarlo: Due anni senza che si sapesse di te, posso chiedere? Lui si stringe nelle spalle: Meglio di no, dice. Secco come il deserto, pensa.

    L'altro tace per un po', ma evidentemente ha sentito perché non sorride più e poi parla ma si inceppa, deve raschiarsi la gola. Di tanto in tanto, dice infine, a scadenza di anni, si avverte l’improvviso svuotamento delle cose alle quali si soleva dare importanza, ma nel frattempo sono state rimpiazzate da altre ed è difficile rendersi conto che alle nuove già non si attribuisce il valore che si dava alle antiche. È solo a una certa età che le cose perdono valore - di più: di significato - giorno per giorno, e in maniera avvertibile, e nulla le sostituisce se non il vuoto.

    Come inizio del reincontro è anche troppo. Abbandonano la superstrada e poi quella normale e sono in una strada non asfaltata ma ampia, ben tenuta, e poi il cancello e il viale e la distesa argentea degli olivi, ettari ed ettari, la villa là in fondo e un domestico giovane e bello, elegante nella giacca corta a righe sottili gialle e nere, che accorre ad aprire le portiere, a prendere il bagaglio.

    È una casona del Seicento, di due piani, dove il barocco è stato parzialmente cancellato da rifacimenti successivi di qualche sobrio architetto toscaneggiante fino a limitarlo a una ammiccante grazia spagnolesca. Guidati dal cameriere i due salgono al primo piano e stanno per separarsi, diretti alle rispettive camere, ma lui si sente in debito e non gli piace, così quando l'altro lo saluta e sta per proseguire gli mette una mano sulla spalla e dice: Aspetta. Quello si volta, aspetta.

    Non ho neppure più un pensiero mio, gli dice, solo perifrasi o parafrasi di pensieri altrui, immagini e concetti presi da libri di altri, e a volte penso che mi basterebbe, per uscire degnamente di scena, poter formulare ancora qualcosa di originale, sia pur minimo, ma poi penso che neppure questo ha più importanza. Ę di ciò che parlavi?

    Entra nella sua stanza, chiude la porta, si toglie le scarpe e si sdraia sul letto. È tranquillo, perché non dovrebbe? Dalla finestra socchiusa entra la luce del mezzogiorno smorzata dal verde dei pini, dall'argento degli ulivi. Allunga una mano e dalla borsa che ha posato al suolo prende il brutto libro dalla brutta copertina di brutto cartoncino, ma il titolo è bello. Come ha detto? Potrebbe essere uno dei miei. Eccome! pensa.

    Prende a leggere. Dall'inizio, con attenzione. È stato un anno come gli altri, un anno diverso dagli altri.

    Le stesse parole, identiche, ne è sicuro. E la frase successiva, se proprio non è identica certo non varia molto: Qualcuno di noi è diventato un uomo. Altri, che non sono mutati se non nell'aspetto…

    Quanti anni aveva? Venti, forse non compiuti. Questo alla casa editrice neppure lo aveva scritto, sicuro com'era che lo avrebbero accolto con entusiasmo, un libro maturo, un libro magnifico, un libro importante, e allora sì, la sorpresa: ma come, solo vent'anni, neppure compiuti! Sorride: nulla di tutto questo, naturalmente, sei mesi d'attesa e poi una lettera che sapeva di ciclostile: Nonostante le qualità, attualmente le nostre collane, eccetera. Forse, aveva pensato con rabbia, con indignazione, se glielo avessi detto, diciannove appena, magari avrebbero montato un caso, ma per me non sarà così, non sarà così! Che importanza aveva? Già ne stava scrivendo un altro. Allora sì, ne aveva un altro da scrivere: anno Millenovecento…., quarantasei anni fa, venti romanzi fa, venti meno uno, questo: La piuma bianca. Tra il dolore e il nulla è un titolo più bello, ammette, molto più bello.

    E tuttavia, sembra impossibile. Che sia così, ma pure che sia un caso. Allunga una mano e dalla borsa che ha posato al suolo prende una carpetta, toglie l'elastico, estrae un pacco di bozze pure strette da un elastico, sulla prima pagina c'è scritto La piuma bianca, la sfila e la seconda incomincia: È stato un anno come gli altri, un anno diverso dagli altri. E va a capo, e continua: Alcuni di noi sono diventati degli uomini. Altri sono mutati ma solo nell'aspetto…

    Confronta le frasi, le sue e quelle che sono appena diverse però, lo ammette, scorrono di più, eufoniche è la parola. Che fare? Dovrebbe proseguire ma non ne ha la forza, tantomeno il coraggio, appoggia libro e manoscritto sul letto e chiude gli occhi, la luce filtrata dalle palpebre gli si soffonde placida sui pensieri e lo invita al sonno, è pronto a cedere ma uno squillo improvviso lo fa sobbalzare, annaspa, trova un telefono, solleva la cornetta: Mi scusi, signore, sua moglie al telefono.

    Come hai fatto? Neppure io sapevo il numero. La pagina web del premio, internet. Diavolerie, pensa. Utili diavolerie, dice lei. Sembra che tutti ormai possano ascoltare i suoi pensieri, sarà che rimbombano nel vuoto. Come stai? Come stai? Ormai importa ben poco a entrambi. Che c'è? Cose importanti? Noie? Lei chiede: Perché tieni spento il cellulare? Un'altra diavoleria, lo aveva dimenticato. Ma te l'ho regalato apposta, ricordi? Per poterti rintracciare, perché tu fossi sempre rintracciabile. È vero, ammette, ma è proprio la cosa che meno mi piace: rintracciabile, sempre, un satellite che mi guarda e mi appunta con uno spillo sulla mappa del pianeta. E non le dice: la sola persona di cui vorrei sentire la voce non mi chiama e non mi chiamerà mai, la mia ex moglie, che lasciai per sposare te per essere, pensai, ancora vivo, per un ultimo rigurgito di anelo alla vita.

    Lei dice: Non pensi a me, che così starei più tranquilla? Lo accenderò, promette lui, lo lascerò acceso. Lei: Ti hanno cercato diverse persone, ho dato loro il numero del cellulare, ma ho pregato di chiamarti solo in caso di vera necessità. La ringrazia. Ma certo, continua lei, uno o due ti chiameranno, uno certamente. Chi è? Ma la linea cade.

    Riappende e si distende sul letto in attesa, ma non suona. Una mano sugli occhi, come un bambino, si appisola come capita ai vecchi, aspettando. Fantasmi di libri che non sono mai i suoi, troppo belli per essere i suoi, fluttuano nella leggerezza del dormiveglia (Plus léger qu’un bouchon j’ai dansé sur les flots), non più amici, non più nemici, solo fantasmi che non gli incutono alcun timore. Non perché non crede alla loro esistenza (non c'è bisogno di credere ai fantasmi per averne paura), ma perché, gli ricorda Adriano, è sciocco aver paura degli spettri, quando si accetta così facilmente, nei sogni, di parlare ai morti.

    Lo sveglia un rumore, un tonfo: é il libro, che nel sonno ha spinto ed è caduto dal letto sul parquet. Lo raccoglie, guarda l'orologio e vede che è passato mezzogiorno, si rassetta un po', si lava il viso, ricorda la raccomandazione della moglie e ripesca dalla borsa il telefonino, lo attiva e quello subito squilla. Lei, dice la voce, non mi conosce. Tace, e anche lui, perché non sa che dire. Come si sente bene, si limita a pensare, un po' stupito, un po' stordito, un coso così piccolo. O forse già sì, dice la voce, già un po' sì, o almeno dovrebbe, se è una persona seria. Ora è stupito davvero. Ma chi è? si chiede. Chiede: Ma lei, scusi, chi è? Perché se è una persona seria, dice la voce, dovrebbe già averlo non solo visto ma letto, non è vero? Su, mi dica: lo ha letto?

    Ma chi è? chiede lui apaticamente, ma la voce scompare, un silenzio ottuso la sostituisce, non c'è più la comunicazione. Guarda il piccolo oggetto, non sa che fare, si stringe nelle spalle e lo mette nella tasca della giacca. Sempre rintracciabile, pensa.

    Esce nel corridoio e si avvia per scendere al piano terreno, la casa è immersa in un grande silenzio di penombre ma quando è in cima alla scala avverte un mormorio che sale, si sporge e vede sul primo gradino, là in basso, il critico che tiene per i polsi il bel cameriere, sta cercando di attirarlo verso di sé però quello gli oppone una facile resistenza. Perché fai così, dice l'anziano, sottovoce ma non abbastanza, non lo sai che sono tornato solo per te, ma in quell'istante il giovane avverte la presenza indiscreta e alza gli occhi, la bella faccia inespressiva assume vita in un sorriso volpino che gli scopre un po' i denti, all'angolo della bocca, e l'altro capisce e lascia la presa. I due si allontanano in opposte direzioni, verso l'interno della casa il cameriere, muovendosi come un gatto un po' volgare, e verso l'uscita posteriore l'uomo anziano, rapido ma un po' rigido. Lo segue e lo ritrova allungato in una sedia a sdraio, nella grande loggia che dà a un grande prato e poi a un boschetto, il lusso della casa, il lusso del verde. Si siede anche lui, e quello gli sorride. Ha la faccia paffuta di un bambino, bianca e rossa, e la pelle tesa dall'eccesso di grasso è lucida e senza una ruga, sicché sono i capelli, radi e bianchi tranne per le sfumature rosa che rivelano l'antico color carota, i veri delatori dell'età. Mi hai preso, dice.

    Lui fa un gesto con la mano, come per scacciare qualcosa. Di libri, gli dice, non capisci un cazzo, ma in tutti questi anni ti ho apprezzato perché eri l'unico critico letterario che non facesse pettegolezzi, adesso non incominciare da te. L'altro china la testa, in segno di ringraziamento, mentre entra il cameriere, bello, sereno. I signori desiderano un aperitivo? Sì, i signori lo desiderano, scelgono, se ne va, torna, sono serviti. E di nuovo soli.

    Senti, dice lui dopo un po', a proposito dei libri perdenti e dei libri vincenti: ma perché, c'è già una scelta? Il critico ride. Per questo, dice, mi sei sempre piaciuto, questo candore da amica di nonna letizia: no, non scelti: decisi.

    Non è poi così candido, non è stupito ma infastidito sì, però è inutile prendersela prima del tempo, magari le sue scelte coincidono con le loro decisioni. E chi sarebbero? chiede. Il critico alza il dito indice e dice un nome. Non mi sarebbe mai venuto in mente, dice l'altro, il suo libro é uno dei peggiori. La testa rosa annuisce: Però, fa notare, oltre che autore è editore di prestigio, e fin qui il nostro ospite ha pubblicato le sue velleità in serie B. Seguono gli altri due nomi della terna, accolti da un'alzata di spalle: senza infamia e senza lode. A che cosa lo devono, questi? Il Raccommendatore! esclama l'omino paffuto. Ma due? Vincente e piazzato, conferma il critico che sa di cavalli.

    Che noia, pensa lo scrittore. E così, dice, è arrivato fin quaggiù. Il Raccommendatore arriva dappertutto, declama l'altro, il Raccommendatore è ovunque! Figuriamoci, poi, in un premiolino come questo, ricco ma di provincia. Lui ha disegnato il regolamento, lui ha scelto la metà dei concorrenti, lui ha designato i finalisti e il vincitore, a meno che non ceda ai superiori interessi dell'organizzatore in cambio di un cospicuo assegno.

    Che noia, dice lo scrittore.

    Torna il cameriere, bello e sorridente. Ha telefonato il signore, l'aereo è in ritardo, non saranno qui prima di un'ora almeno, si raccomanda di non aspettare, mangino, vogliono mangiare? Vogliono. Qualcosa di leggero, di fresco. Prosciutto e melone? Splendido. Un'insalata di pasta fredda? Magnifico. Il nostro vino bianco? Ma poco, poco, con questo caldo. Una cassata siciliana? Troppo, troppo: Siamo ancora giovani, coquetta il critico, ma non così giovani.

    Il primo pomeriggio ronza di sole, insetti pigri nell'aria immobile, il capino sollevato delle lucertole sul bordo della scalinata che porta al prato, la vista si riposa nel verde del bosco. Forchetta va, forchetta viene, è presto finito, una sigaretta per il critico che tossisce grassamente e golosamente, lo scrittore ha smesso anni fa, ormai neppure si ricorda quanti, e alla domanda risponde che no, non è mai più tornato a desiderarlo. Però adesso ha sonno, andrà a riposare un po', si alza e quello, alle spalle, a tradimento: Due anni senza che si sapesse di te, dice. Si stringe nelle spalle, senza rispondere, senza neppure voltarsi, però si è fermato, non se ne va, e allora l'altro continua: Posso chiedere? Stai scrivendo qualcosa?

    Cerca nei propri pensieri e non trova nulla. Si chiede: Chi mi aiuterà questa volta? Gli viene in soccorso Silone: Dipendesse da me, afferma, passerei volentieri la mia vita a scrivere e riscrivere lo stesso libro, l’unico che ogni scrittore porta in sé. Si chiede: Lo riconoscerà? Non lo riconosce, ma neppure si può pretendere, e anzi è lui, riascoltando dentro la frase, a sentirsi pomposo, a vergognarsi un po'. Si volta, allora, e torna verso l'amico: Ti dirò la verità, gli

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