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Una vecchiaia normale
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E-book217 pagine3 ore

Una vecchiaia normale

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Info su questo ebook

Quando il nuovo presidente, appena insediato, annuncia che vuole «svecchiare l'azienda», Roberto, market researcher di cinquantatré anni, vede incombere su di lui l’ombra del pre-pensionamento. Ancora giovane eppure già vecchio e inutile: è questa la terribile sensazione dalla quale viene preso. Di fronte alla prospettiva di una vecchiaia precoce, decide allora di giocare un’ultima carta, e propone di realizzare una inchiesta che attirerà alla ditta un sacco di clienti: dimostrerà come gli anziani siano il mercato del futuro. I suoi testimonial saranno alcuni «grandi vecchi»: un avvocato di gran fama, un'ex stella del teatro di prosa, un politico caduto in disgrazia.
Ma al tempo stesso Roberto compie un viaggio dentro se stesso, affrontando le sue paure, la sua angoscia di invecchiare: un viaggio la cui meta è la capacità di affrontare, serenamente e con dignità, l’ultima stagione della vita. Ha come alleato il rapporto con Luciana, la sua compagna, alla quale lo lega quella comprensione profonda che diviene complicità, e che si estrinseca non solo attraverso i valori affettivi ma anche attraverso quelli della cultura. Un romanzo «esistenziale», dunque, che però non é limitato al personaggio e si fa invece specchio della societá, affrontando un problema di attualità estrema. La risposta a questa sfida sta nella volontà di opporsi ai soprusi, nella dignità di chi possiede il senso del limite e del primato dei rapporti umani, indispensabile per poter vivere una «vecchiaia normale».
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2015
ISBN9786050377231
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    Una vecchiaia normale - Franco Mimmi

    Time present and time past

    Are both perhaps present in time future,

    And time future contained in time past.

    ( Four Quartets, T.S. Eliot)

    Franco Mimmi

    UNA VECCHIAIA NORMALE

    I

    Solenne, il paffuto dirigente d'azienda congiunge le punte delle dita.

    Rigore, dice, soprattutto rigore.

    Socchiude gli occhi che scompaiono nelle palpebre grasse nelle guance grasse nella faccia grassa che da decenni resiste quasi al vertice, quasi al comando, senza pretendere il comando e senza infastidire il vertice, vicepresidente di legioni di presidenti e unico immutabile, imperturbabile, immarcescibile persino nella nuova strategia aziendale che sacrifica chiunque abbia superato la cinquantina o anche solo lo stipendio che di solito tocca dopo la cinquantina, e senza riaprire gli occhi torna a dire:

    Soprattutto rigore.

    Lui si stringe nelle spalle. Che altro ha fatto, negli ultimi venticinque anni? Rigore, soprattutto, e questa, nonostante il frequente sospetto che fosse la cosa meno desiderata al vertice, più o meno era stata la regola della casa, forse più che meno, se neppure quell'esagerata di sua moglie l'ha mai discussa più che tanto, e in ogni caso sufficiente rigore anche ammettendo qualche scappatella (veniale? mortale? inutile chiederselo adesso) (o forse è proprio adesso, il momento di chiederselo?), e allora che cosa è cambiato se adesso è necessario annunciarla, ricordarla persino a lui, che nell'azienda è tra i più anziani e soprattutto tra i più rigorosi?

    L'estate è tanto afosa che Roberto si allenta il nodo della cravatta, poi si sfila la giacca e l'appoggia sulle spalle. Insolito, si dice, e glielo dice anche sua moglie con il solito sorriso un po’ ironico, un po’ affettuoso. Lui chiede: La giacca? L'ora?

    Entrambe, ma la giacca di più.

    Si allunga sul divano, proprio sotto il grande ventilatore appeso al soffitto, e allarga un braccio per accoglierla. Ha bisogno di qualcosa da stringere, meglio se qualcuno, meglio se lei, per mantenere il contatto con una realtà che sembra volersi evaporare in tanto calore. Le circostanze non aiutano. Soprattutto rigore, pensa. Scuote la testa.

    Soprattutto rigore, dice.

    Abbiamo problemi finanziari? chiede lei. O cerchi un approccio matematico a un problema esistenziale?

    Si mette più comodo, per abbracciarla meglio, e rimangono in silenzio. Di solito il tempo fa tic tac e va avanti a piccoli scatti, ma ora il ronzio del ventilatore lo fa procedere in un flusso continuo che sembra accelerarlo. Sarebbe possibile? Soggettivo? Oggettivo? Anche rallentarlo, allora, forse. Mi trovi vecchio? chiede. Sono già vecchio?

    È peggio di quanto temessi, dice lei senza muoversi, e recita con enfasi:

    Eccomi qui, vecchio in un mese secco...

    E questo? chiede lui, ma non la lascia rispondere e continua. Aspetta, le dice, ho un'altra domanda che viene prima. Perché una donna come te, colta e intelligente, sta con un market researcher come me, ovvero un bruto semianalfabeta?

    Perché sei l'unico che sopporta le mie citazioni e non finge di riconoscerle. A proposito: l'ultima era di Eliot. Ci sono anche altri dettagli: sei una persona decente e a letto non mi lasci quasi mai indietro.

    È sufficiente, ammette l'uomo, compiaciuto. Adesso puoi rispondermi: sono già vecchio?

    Che cosa è successo, esattamente?

    Lui scioglie l'abbraccio e la respinge con delicatezza per alzarsi. Esattamente non lo so, ma con il tuo aiuto più qualcosa di fresco e forte magari riesco a capirlo.

    Hanno una piccola terrazza, che nel centro della città è un vero lusso, e adesso che il sole è calato vi si può aspettare l'ora di cena piacevolmente distesi in due sedie a sdraio. Lei rimescola un po’ tintinnando tra bottiglie e cubetti di ghiaccio e gli porta una cosa colorata che lui non riconosce ma trangugia con gratitudine, poi le mostra il bicchiere vuoto con aria interrogativa. Che cos'è o ne vuoi ancora? chiede lei. Che cos'è? Ne voglio ancora, dice lui.

    Ma in realtà non gli importa che cosa sia e quando la moglie glielo dice lui fa un mugolio di apprezzamento ma non ha sentito, però incomincia a bere il secondo bicchiere. L'alcol lo rinfranca un poco e anche la musica limpida e tranquilla che lei ha messo sul giradischi, sebbene, come sempre, non sia in grado di darle un titolo o un autore. Dunque, dice, a quanto pare sono vecchio.

    Avrei dovuto accorgermene, commenta lei, sono la solita sbadata.

    Non è tutto, prosegue lui, non solo sono vecchio ma anche inutile.

    Questa volta la donna non commenta, aspetta in silenzio mentre incomincia a cercare risposte, però anche lui tace e allora capisce che deve spingerlo un po’, incoraggiarlo. Non tenermi in ansia, gli dice. In realtà nella sua voce non c'è allarme, però neppure più la scherzosa ironia che le è solita.

    Lui si volta per osservarla, le sorride. Non preoccuparti, dice, non c'è niente di grave. Non mi hanno licenziato, o almeno non ancora, e sai che, anche se lo facessero, non avremmo problemi economici.

    Lo credo bene, afferma lei, con il mio stipendio di insegnante.

    Vorrebbe abbracciarla di nuovo, ma vista la posizione, e i braccioli delle sedie, si limita ad allungare una mano per prendere quella di lei e stringerla. C'è il tuo stipendio e quattro soldi da parte, che neppure sono quattro ma almeno otto, e almeno altri otto se mi cacciano, più la pensione tra qualche anno e il fondo pensione privato.

    Se c'è spazio anche per me, dice lei, non so che cosa aspettiamo a licenziarci tutti e due. E adesso deciditi e dimmi che cosa è successo.

    Racconta. Il paffuto vicepresidente si è fatto latore di un messaggio del nuovo presidente, un giovane talento di neppure quarant'anni il cui compito precipuo consiste nello svecchiare l'azienda, un po’ ferma, sclerotica, ritardata dalla routine, frenata dalle abitudini che si formano nel tempo. Non resta, dunque, che togliere un po’ di anni alla somma totale. A quel punto la domanda era troppo ovvia perché il vicepresidente non se l'aspettasse e infatti ha risposto ancor prima che gli venisse rivolta, ancor prima che lui avesse deciso se rivolgergliela o meno: malgrado gli anni, una buona sessantina, il numero due resterà, per l'ovvio vantaggio che il nuovo numero uno pensa di trarre dall'esperienza di alcuni dei più anziani. Alcuni? Uno. Ma per gli altri, ponti d'oro naturalmente, offerte molto vantaggiose, che consentiranno loro di andarsene con un bel gruzzolo e ancora nel fiore degli anni, sicura preda di altre agenzie. Anche a lui, se vuole. Non vuole? Ma ci ha pensato bene? Sì, certo, tanto tempo, uno degli artefici della costruzione, ma il tempo passa, le cose cambiano, è chiaro che i nuovi capi vogliono avere accanto gente di loro fiducia, giovani vecchi amici. Perché resistere e farsi un nemico potente anziché monetizzare e conservare nell'ambiente la fama di buona persona, intelligente, flessibile?

    Questa, dice la moglie, persino uno candido come te deve averla sentita arrivare. Perché non mi hai detto niente?

    La sentivo arrivare, ammette lui, ma non credevo così presto, pensavo almeno un anno o due. A chi viene in mente di disfarsi di un bravo collaboratore di cinquantatré anni? Non volevo che ti preoccupassi.

    Lei lo guarda, un po’ commossa. Ecco, gli dice, è per questo che ti ho sposato, però non devi esagerare.

    Si alza, si allontana e torna con i bicchieri pieni. E così, dice, hai appena cinquantatré anni e sei già un uomo libero. Dobbiamo brindare.

    Lui prende il suo bicchiere, lo alza nel gesto del brindisi e beve un bel sorso ma poi dice: Non è detto, c'è una possibilità.

    Racconta. In quel momento, per la prima volta nella sua vita, si è sentito vecchio. Non un paio d'anni fa, quando si rese conto che la sua capacità di concentrazione era diminuita e stentava a ricordare le facce, e neppure un paio di mesi fa, quando è andato per la prima volta dall'urologo a farsi mettere un dito nel culo per vedere come va la prostata, ma un paio d'ore fa, quando quel sessantenne sorridente e paffuto gli ha detto che, essendo ancora nel fiore degli anni, avrebbe fatto bene ad andarsene in pensione. Allora ha pensato: è un mondo con sempre più vecchi fatto sempre più per i giovani. E ha capito che lui non era più considerato tra quei giovani, e dunque doveva essere tra i vecchi.

    Semplice, no?

    Semplicistico, dice lei con buona volontà ma un po’ pedante.

    Sì, però anche sillogistico, se posso prendere in prestito un termine più adatto alla professoressa che allo statistico.

    Si alza e si fa strada tra un paio di gerani per appoggiarsi al parapetto, guarda i tetti il cui rosso va sfumando nell'azzurro freddo della sera e resta così a lungo, in silenzio. Lei pure tace: c'è tra loro una promessa di onestà che vige da sempre senza bisogno di essere stata formulata, e che va oltre il desiderio di dare conforto. E poi non si tratta di cose misteriose, di scoperte improvvise: è vero che solo l'allarme scatenato dall'orologio biologico induce a rendersene conto davvero, ma il pungolo triste della ragione è sempre là a preannunciare quell'allarme.

    Ti stupirò di nuovo, dice improvvisamente lui senza voltarsi, come se si vergognasse di ciò che sta per dire, e dopo un'altra breve pausa annuncia: Oggi ho letto una poesia.

    Lei ride, sollevata. Credevo che fosse contro i tuoi principi, dice.

    Di più, dice lui senza farle caso, l'ho imparata a memoria. Tu sai come io sia sempre stato pigro, per questo tipo di letture, ma oggi ho letto una poesia e l'ho imparata a memoria. No, diciamo meglio: ho letto una poesia e subito la sapevo a memoria. Poi sono tornato a leggerla, due o tre volte, ma sono certo che la sapevo già dalla prima, in realtà la ripetevo senza neppure guardare il foglio. E mi dicevo: quale migliore prova di freschezza e di gioventù potresti pretendere? Ma sapevo che non era così, che era solo perché la poesia aveva ragione.

    Prende fiato, stenta un po’ perché non è certo quella la sua specialità, si schiarisce la gola e cerca un tono che non sia troppo enfatico ma neppure spento, e incomincia:

    "Noi siamo come foglie, che la bella stagione

    di primavera genera, quando del sole ai raggi

    crescono: brevi istanti, come foglie, godiamo

    di giovinezza il fiore, né dagli Dei sappiamo

    il bene e il male. Intorno stanno le nere Dee:

    reca l'una la sorte della triste vecchiezza,

    l'altra di morte. Tanto dura di giovinezza

    il frutto quanto in terra spande la luce del sole.

    Ma, quando questa breve stagione è dileguata,

    allora, anzi che vivere, è più dolce morire."

    La donna è sbalordita. Mimnermo! esclama.

    Incredibile, no? dice lui, e questa volta ride. Diavolo di un greco!

    Ma dove... Ma come mai...

    L'uomo torna ad allungarsi accanto alla moglie, cercando invano di farsi cadere in bocca qualche altra goccia dal bicchiere vuoto. Mi sottovalutavi, cara mia! afferma con aria di sufficienza, ma quando lei lo colpisce due o tre volte su un braccio con il pugno si arrende.

    Va bene, lo ammetto: è stata una lettura casuale. Ma se ho una possibilità, lo devo proprio a quel diavolo di un greco che non avevo mai sentito nominare.

    Tutta la calma ironica di lei svanisce nell'entusiasmo un po’ infantile per quella grande vittoria della cultura classica, della bellezza, dell'immortalità. Ma come sarà stato? Si sporge verso il suo uomo e gli afferra il braccio, lo scuote, e con gli occhi che brillano nella notte: Racconta! gli ordina.

    È stato, come diceva, per caso. Nella posta aveva trovato un plico voluminoso, un rapporto sociologico intitolato Indagine sulla terza età e vi si era soffermato, attratto dal nome conosciuto e stimato - Alfonso di Nola - che firmava l'introduzione. Lì aveva trovato i versi di Mimnermo, diavolo di un greco, e su quelli si era fermato a riflettere.

    Racconta. Si sentiva, all'eco di quei versi, non triste ma un po’ malinconico: idee che ci sfiorano e si sa che un giorno - sempre domani - ci toccheranno. Si era scosso, e con una alzata di spalle aveva preso a rileggere il testo dall'inizio, questa volta con piglio puramente scientifico, da un lato si presenta una condizione biofisiologica che rappresenta l'ultima fase di sviluppo del ciclo vitale e il progressivo deterioramento del piano fisico e psichico, ma in quella si era aperta la porta ed era apparso il sorriso paffuto del numero due. Hai un momento? Puoi venire? E poi, quando sono comodamente installati nelle belle poltrone di pelle del vicepresidente, giù il colpo: il tempo passa, le cose cambiano, i nuovi capi vogliono accanto i loro giovani vecchi amici, ponti d'oro, andarsene con un bel gruzzolo e ancora nel fiore degli anni, perché resistere anziché monetizzare?

    Ma io, accidenti, dice, non ne avevo nessuna voglia. Monetizzare che? E poi che faccio, con te a scuola tutte le mattine e quasi tutti i pomeriggi e lontana anni luce dalla pensione? E mi veniva anche in mente quello che tu dici sempre, che scaricano questi costi sulle spalle di tutti e poi assumono la metà di gente a metà dello stipendio, e ovviamente i pensionati in erba non si pensionano davvero perché sono troppo giovani e lavorano in nero, spariscono posti di lavoro e contributi, un gran casino insomma, e questa volta anch'io sentivo dentro almeno un po’ della tua rabbia, no, perdonami: indignazione. Ma che potevo dirgli, per fargli cambiare un'idea che in fondo neppure era sua? Pensavo e pensavo, cercando di non far rumore per non insospettirlo, ma i pensieri sembravano muoversi nella melassa: silenziosi, sì, perché quasi inesistenti. Nello sforzo di trovare qualcosa, di escogitare qualcosa, stringevo le mani su qualcosa e così forte che me ne accorsi, abbassai lo sguardo per vedere che cosa fosse, lo vidi e rialzai lo sguardo e dissi peccato, proprio adesso che avevo quest'idea, questo bel progetto così importante, così ricco di implicazioni, di prospettive, e insomma di denaro. Ma pazienza, hai ragione tu, meglio riposare, prendi i soldi e scappa, e magari lo faccio per un altro che me ne dà un altro bel mucchio.

    Ripensandoci, è sicuro che è stata quell'espressione a sciogliere il nodo: un bel mucchio. Ne avesse usata una meno corposa, meno volgare, l'altro non sarebbe stato sfiorato dal dubbio, come non ha mai preso in considerazione le sue ironiche considerazioni sull’uso e l’abuso del telefonino cellulare. Va bene, ammette subito davanti al gesto della moglie, più tue che mie, però hai visto che io il telefonino non l'ho voluto, nonostante me lo passasse l'azienda, ma se oggi gli avessi detto qualcosa di elegante e ironico come per il telefonino lui non mi avrebbe fatto caso, si sarebbe alzato per stringermi la mano e adesso sarei già disoccupato. E invece, macché: un altro bel mucchio di soldi, gli ho detto.

    Mi piaceva di più Mimnermo, dice lei.

    Perché hai l'idea fissa della cultura classica, ma pensa un po’ se a quel punto, anziché parlargli di denaro, gli avessi detto che noi siamo come foglie che la bella stagione di primavera genera. Magari mi muore lì.

    Magari, dice lei.

    Due o tre stelle si fanno faticosamente strada nella polvere sospesa di quell'estate troppo secca, invitano gli innamorati urbani a prendersi la mano e infatti lui e sua moglie allungano una mano e se la stringono. L'uomo sente un grande conforto, che segue a quella grande paura che non le ha confessato ma che ha provato e che ancora è lì dentro di lui: del nulla che ha minacciato di inghiottire il giorno per giorno, di una vecchiaia precoce che precipiterà la vecchiaia di prammatica. Ricorda: È questo un dato costante, appartenente all'ordine di natura, invariante e universale.

    Quando riprende a parlare sente una voce che non riconosce, roca, quasi afona. Tu starai con me? chiede la voce. Mi starai vicina?

    Sente la pressione delle dita magre e nervose. Credi di poterti sbarazzare di me? dice la donna.

    No, spiega lui, non è questo. È, spiega, che sono uno statistico, ovvero uno che non è stato capace di fare tutta economia e commercio però sa che un italiano vive in media settantatré anni mentre una italiana arriva agli ottantuno. E questo significa, dice liberando la mano per contare sulle dita, che io ho davanti una ventina d'anni e tu quarantadue. Non voglio sbarazzarmi di te, e non credo che mi abbandonerai: voglio solo sapere se mi starai vicina.

    Questa volta è lei che sente la voce venir meno, così torna all'ironia e dice pochissime parole, una sola: Uomini! Che vuol dire: puoi contarci.

    È ovvio che quello, il capo, mica gli ha creduto sulla parola, ma c'è tempo per spiegarle come e quando lo ha convinto. Lui la invita a cena e lei accetta, si sono sposati da pochi anni - macché: uniti, semplicemente -, in una maturità che consente loro di corteggiarsi senza vergogna, di ripetere con una consapevolezza allegra e ironica al tempo stesso le piccole follie che una volta, tanti anni addietro, finivano così spesso per tingersi di assurda tragedia e poi, per reazione, di noia. Passeggiano nella città polverosa che va lentamente rinfrescandosi, e lui, tenendola gentilmente per la vita, la conduce verso il ristorante che preferiscono, Chez Margot, le chiede se ci sono notizie della figlia - di primo letto, si diceva un tempo - che studia in California e sa tutto sull'informatica, lei ricorda il piatto che mangiarono l'ultima volta e spera che ci sia anche stasera, si siedono all'aperto, unici clienti a non preferire l'aria condizionata dell'interno. Du vin, du vin, pour l'amour de Dieu! implora lui quando il padrone e cuoco, un francese di origine armena con una bella barba brizzolata, viene a salutarli. Hanno una buona vita, sono stati fortunati, e più fortunati perché sanno di averla.

    Racconta. Descrive il sorriso del vicepresidente che, per chi sappia interpretarlo, tenta inutilmente di celarsi nella paffutaggine e passa da cordiale a sospettoso. Spiega come lui, invece, si sia messo più a suo agio nella poltrona accavallando le gambe, e abbia sventolato un paio di volte, con noncuranza, i fogli che sta presentando come un suo progetto

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