Relitti - A Tale of Time
Di Franco Mimmi
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Info su questo ebook
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Né romanzo di avventure né romanzo sperimentale, Relitti è semmai un libro a incastri, che possiamo leggere come procedendo in una caccia al tesoro. Nel gioco delle citazioni c'è di che sbizzarrirsi: il Dizionario filosofico di Voltaire, l’Ulisse di Joyce e I'Ulisse del Tennyson, le canzoni di Jacques Brel, iI clima di Casablanca, la ballata di François Villon, la voce dell'unico sopravvissuto (Moses Rose) alla battaglia di Alamo, i personaggi di Conrad e di Hemingway, e ancora Joan Crawford alias Vienna in Johnny Guitar... Lungo la storia di superficie, che si conclude come ad Alamo con un massacro, le citazioni diventano strutture portanti...
(Giovanni Serafini - Il Resto del Carlino)
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Anteprima del libro
Relitti - A Tale of Time - Franco Mimmi
Franco Mimmi
RELITTI
A Tale of Time
A mio figlio
Il nome della mia nave è scolpito sulla roccia che fa da guardia al porto di Muscat, tra quelli dei dhows e dei galeoni che la precedettero e quelli dei possenti motori che nacquero tanti anni dopo di lei ma cui ella si tenne alla pari. I marinai che attendevano di scendere a terra per chiedere alle ombre portoghesi un soffio consanguineo nel mondo lontano da casa e chiuso alle consolazioni dell'alcol arrancarono una scialuppa ai piedi della rupe e salirono a scalfire nella roccia il nome della bella di cui la polena immortalava le fattezze e il ricordo, calando nel colore uniforme del legno la biondezza e la ceruleità che l'avevano distinta dalle etére ondeggianti rapite a terre indifese da esausti praus malesi e spigliati boows di Kuwait per essere consegnate a un destino peggiore della morte, celate nei vicoli sudici del suq o nelle stanze segrete odorose di franchincenso di un palazzo d'emiro. E quando lasciammo Ras al Sahada, e la dolcezza del vivere, e il rifugio dello spirito che non cerca potere né ricchezza ma la passione che colmando la vita le conferisce pace, portammo con noi solo quel nome, e i marinai si arrampicarono sulle rocce che difendono l'asilo di Muscat e lo scrissero per sempre.
IL SEGRETO DI MORAN
Moran vestiva il lenzuolo all'inguine lasciandola nuda, osservandola accostar la fiamma alla sigaretta (Perché voi donne fumate sempre, dopo?
) e il gesto era anche quello di Vienna quando ancora era solo amore e non la paura che l'aveva portato al Capo della Felicità, lasciando lei penduta fuori dal dancing bar. In chiesa il vecchio si era alzato accettando l'invito alla battaglia, e poi il farmacista e il droghiere, e il maniscalco e il barbiere, però le maniche tirate dalle donne li riportarono alle panche uno a uno lasciando Moran solo sulla porta. Ma il vecchio no, scrollò la mano grigia dal braccio (Oh, tu, mi hai stremato per anni, ora vado
) e uscì sulla soglia al sole, carabina già pronta al fianco di Moran per Vienna contro i banditi, morto di lì a poco contento e lei pendente e lui in triste stridente fuga solitaria, Moran il cavaliere, il seduttore, il conquistatore, più forte di lei ma non della sua storia, lasciandola appesa tra risate all'olmo ombreggiante il dancing bar. Errore, errore, vecchio, sorvegliare la destra dei mancini, e il giovane di galoppo lontano dalla storia per l'ennesima volta più forte di lui, e osservava Haidée che accendeva la sigaretta.
Perché voi donne fumate sempre, dopo?
Molto meglio qui. Tanta pace, a Capo della Felicità, nascosto e dimenticato tra Yemen e Oman, minuscolo contorno di montagne catturatrici di vento e umidità, verde distesa strappata agli avidi tentacoli del Quarto Vuoto. Oblio e riposo, e un altro dancing bar ove Haidée alitava appoggiata allo strumento splendente (Ricordi - cantavo in un caffè di Casablanca - cantavo - laggiù dove l'amore è un'avventura
) mentre l'ozio le prestava languida attenzione dai bianchi sparati e candide dishdasha, lampi d'argento di falliche daghe omanite riposanti in grembo, liquidi strappati all'indulgenza del profeta e piattini colmi di verde, lampi d'oro dei cucchiaini (Cantava,
pensava Moran ricordandola oscillare nel vuoto lasciato dal cavallo sferzato, cantava 'Son fili d'oro', con la sua voce dolce e soave come il fruscio di un biglietto da mille
).
Dal piccolo albergo dai muri di fango, torrette a imprigionare il vento, Moran usciva la sera accettando una sosta dal vecchio Dajani grasso e immobile, scuotendo tre volte la tazzina svuotata di shaay, scambiando impressioni al passaggio e ai saluti che il vecchio restituiva (E pace anche con te
) ai ricchi e meno che si avviavano al dancing bar, prima di rialzarsi dalla stuoia e incamminarsi anch'egli al bianco locale (Tutti vanno da Nick
), pareti imbiancate e candide tovaglie, e mentre il tempo della sera passava, le note dello strumento splendente seguivano Haidée (Chissà - perché il destino mi condusse laggiù - perché i tuoi baci non dimentico più
) che onorava il suo contratto giorno e notte, scesa dal piroscafo di qualunque bandiera sul quale si era fatta impacchettare dopo chiuso sul Titano il Charlie Brown nudo integrale, e Moran godeva del canto e del resto e del resto degli altri, concedendo alla pari sé e la sua storia sopravvissuta a quella ormai strozzata di Vienna e alle altre da narrarsi via via che il vento spinto giù dalla torre asciugava il sudore e lasciava spossati al discorso, magnaccia e puttana impavidi e innamorati come il primo giorno.
Dajani li accoglieva immobile sulla stuoia, offrendo shaay con un battito leggero di palpebra al garzone e un bisbiglio (Sabaah alkhayr yaa sayyed Moran
) e perfino ridendo un po' al bonjour e goodmorning (Laa atakallam lughatak jayyidan
), e magari aggiungendo please speak slowly ma accogliendo ogni parola nell'alcova del pasciuto cervello, distributore di strumenti letali oltre i versanti delle montagne per garantire la vita a Ras al Sahada e ricchezza allo stomaco insonne, spilluzzicante e divorante mentre il garzone recava shaay a Moran e Haidée. O al bravo capitano Josif Cunardowski tanto spesso lontano dalle rotte redditizie dopo aver sentito quel canto (Mi hai visto - tra il fumo e i marinai danzare stanca
), e al magro ministro Babal che veniva a far risplendere nella penombra il suo unico occhio vedente, ardente di una febbre che appesantiva di cautela le palpebre di Dajani, mentre su di loro si stendeva la saggezza dell'emiro, l'illuminato sceicco Ahmed bin Sultan Nahar, e su tutti il respiro di Allah, il Pietoso, il Misericordioso.
*
Al tempo della dominazione portoghese e per secoli dopo, la città di Ras al Sahada, oasi profumata d'incenso che chiedeva all'altezza delle palme la testimonianza della sua antichità, non era mai stata nulla di più importante di un porto di passaggio per un piccolo commercio di caffè e grani d'ambra, semipovertà illuminata dalla felicità che nascendo dal fiore di canapa era finita nel cuore dolce degli abitanti e nel languore delle loro membra e nel nome stesso della loro casa. Come un grande e scabro portone, diecimila anni prima le montagne si erano alzate e chiuse a un tratto in un mattino ridente che sbriciolò il fango delle case, lasciando di qua e di là gli uomini fieri dall'occhio vivace che guerreggiavano con le pietre e col bronzo e col ferro. In un lampo di cento rivoluzioni la vita riebbe il suo regno, più bello e sicuro e solo cedente sorridente di tanto in tanto a un approccio dal mare, che era anche via per la fuga quando i sogni cadevano né più vi era, spossata da sole e lontananza, la volontà per rammendarli. Così, gli ultimi uomini di Albuquerque l'avevano lasciata con dolore, per seguire i compagni che abbandonavano l'Oman sornione e i castelli nei quali avevano asserragliato il loro ruolo di conquistatori lasciandoli a raccontare di come i conquistati fossero stati i più forti, consegnando al ricordo delle loro corazze lusitane, che si struggevano nel sole e nel timore dell'attacco, il compito di inchinarsi all'ironia dell'omanita in cui il mercante conviveva col guerriero. Alcuni di quei prodi vollero restare, ammettendo il colore del sole nella propria pelle, cambiando le vesti di ferro con la lana morbida e candida e l'elmo con il cencio attorcigliato al capo, via lo spadone dall'elsa preziosa e ecco risplendere sul grembo i morbidi raggi dell'argento ricurvo di una daga. Mescolando gli anni e