su l'arida schiena del formidabil monte sterminator: Racconto d'inverno
Di Franco Mimmi
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su l'arida schiena del formidabil monte sterminator - Franco Mimmi
Franco Mimmi
su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator
RACCONTO D’INVERNO
À Victor, notre petit amour
CAPITOLO 1
La bianca visitatrice. Il candido manto. L’eburneo tappeto. La coltre virginale. La neve insomma. All’arrivo della medesima (in quegli anni, una ventina d’anni fa, l’inverno nevoso non mancava mai) suo padre scriveva l’articolo prima ancora di andare al giornale e poi lo leggeva a voce alta alla famiglia irridendo i luoghi comuni e se stesso, che a quasi cinquant’anni ancora non andava oltre i fatterelli di cronaca.
Allunga una mano e passa le nocche inguantate sul parabrezza per togliere il velo di vapore, poi aumenta la velocità del ventilatore nonostante l’automobile sia già un forno. Naviga nel turbine di neve che gli corre incontro più per il vento contrario che per la velocità dell’automobile. Inutile accendere gli abbaglianti, la luce gli rimbalzerebbe addosso dallo schermo bianco e l’abbagliato sarebbe lui, quasi sovrabbondano anche le mezze luci, lascia solo le luci di città e procede nel biancore che illumina se stesso indifferente all’ora, se sia ancora giorno o già notte. Procede lento ma sicuro, l’auto ha quattro ruote motrici e su quelle posteriori sono pure state montate le catene, si tratta solo di arrivare prima che la tormenta cancelli definitivamente il tracciato, inutilizzi il GPS e gli faccia correre il rischio di finire in un campo o una cunetta. Squilla irregolarmente il telefono che ha posto sul sedile accanto, un’occhiata al piccolo schermo illuminato gli dice che si tratta dell’azienda proprietaria dell’auto e del villaggio, con un dito attiva la comunicazione e dice sì mi dica, come ha sentito rispondere all’altro, il proprietario del telefono, e la voce va e viene chiedendogli dov’è, se è arrivato, quanto manca, come va, e lui risponde tranquillizzando, va tutto bene, manca poco, poi si farà vivo, scusi devo fare attenzione alla strada. Aspetta, gracchia la voce, volevo dirti le previsioni, rischi di rimanere isolato, forse per un bel po’. Benissimo, pensa, non si preoccupi, dice. E in quel momento sulla destra la tormenta si rischiara di un’altra luce che piove dall’alto sul cartello verde che annuncia la località e del quale, sempre causa neve, è visibile solo la parte inferiore ma non abbastanza per decifrare il nome che comunque, lui lo sa, è Tor Morella.
La luce viene da un lampione che riesce pure a svelare uno spiazzo aperto in fondo al quale un rettangolo illuminato sembra essere quello di una finestra ma è, quando arriva a parcheggiare proprio lì davanti, la porta di un negozio, con la parte superiore di cristallo coperta in parte dalla scritta EMPORIO. Spegne i fari, spegne il motore, mette il telefono nella saccoccia di destra del piumino, si alza il cappuccio sulla testa, scende con cautela nella neve che copre abbondantemente il suolo, con una rapida occhiata conta le automobili visibili nello spiazzo - tre più un furgoncino – ed entra nel negozio. Non parcheggi la macchina davanti all’entrata, gli grida una voce sopra il rumore del vento, ma lui non fa caso e prosegue verso il bancone dietro il quale c’è un uomo coi baffi, un berretto di lana in testa, un giaccone di pelle addosso. Con una occhiata assorbe ogni dettaglio perché è il mestiere che ha appreso fin da bambino con la lettura di Kim (coperte dal foglio ci sono cinque pietre blu, una grande, una più piccola e tre piccole, quattro pietre verdi di cui una con un foro, una pietra gialla trasparente e due pietre rosse…), pelle olivastra, una cicatrice risalta sulla guancia destra, i baffi chevron sono brizzolati e ben curati nonostante l’isolamento che è quasi solitudine, dunque ci tiene e ha conservato il senso della disciplina, statura media a meno che non sia issato su una predella, grandi spalle, si riconosce l’ex poliziotto e lo riconoscerebbe anche se quello dell’agenzia non glielo avesse raccontato, un fatto inatteso di cui dovrà tenere conto, e non sembra che lasciare il servizio lo abbia appesantito, bisognerà valutarlo meglio senza il banco di mezzo. Fa pure girare lo sguardo sul resto del locale, lungo la parete che prosegue oltre la cassa: ci sono scansie di generi vari come piatti e tegami, scope e stracci, cartoleria e lampadine, e di fronte, all’altro lato di un corridoio cosparso di segatura, scaffali con barattoli e scatole di alimentari, qualche fila di bottiglie di vino, una di liquori.
Poi la sposto, dice, lei mi dirà dove, ma ovviamente devo averla vicino. L’uomo della manutenzione? chiede l’altro, e lui fa sì, si toglie il guanto destro e si stringono la mano, robusti entrambi ma senza eccedere. È nuovo? chiede ancora il bottegaio, e lui con la testa fa segno di sì, che è nuovo. È stato fortunato, dice il bottegaio, l’inverno precipita, ancora mezz’ora e qui non ci arriva neanche uno spazzaneve, come l’anno scorso del resto, ma quest’anno è incominciata prima e con più forza, temo per lei che passeremo qualche mese insieme. Lui si stringe nelle spalle: Purché mi paghino, dice. Soldi, a quanto pare, non mancano, ribatte il bottegaio, e scuote la testa e continua: Anche se di provenienza ignota. È attrezzato?
Annuisce, fa un passo indietro e l’altro si sporge per osservare la tenuta invernale del nuovo arrivato, le scarpe pesanti ma non abbastanza. Le serviranno scarponi da neve, dice, un 43 direi, se non li ha posso venderglieli io. Li ho, dice lui, e poi chiede: Mi può indicare il mio alloggio? Il bottegaio alza una mano con il pugno chiuso meno l’indice che indica là: Qui a fianco, dice, si entra dalla porta alla destra di quella del negozio, piano terreno e unico, l’interruttore della luce è fuori sotto il campanello, accende anche la lampada esterna così può vedere la serratura. Lui torna allo scaffale del vino e sceglie una bottiglia di rosso, poi chiede: Mi apre un conto? L’altro scuote la testa: La regola della casa è che non si fa credito, dice, così ognuno può scappare quando vuole, di giorno o di notte, e io non devo corrergli dietro. È giusto, dice lui, chiede quant’è e paga, poi si scambiano un cenno per dire grazie e non c’è di che.
Mentre il bottegaio armeggia con una radio che produce solo gracchi lui esce sotto la neve che continua a turbinare e ha già rivestito il tetto dell’automobile, prende dal portabagagli la borsa e ci mette dentro la bottiglia, stringe sotto l’ascella la scatola degli scarponi nuovi, le chiavi le ha in tasca dal momento in cui le ha prese all’uomo della manutenzione, apre senza difficoltà con una delle due chiavi e percorre un lungo corridoio in fondo al quale c’è solo una porta, dunque il bottegaio vive altrove o ha un alloggio con accesso diretto dal retro dell’emporio, si vedrà, con la seconda chiave apre mentre si spegne la luce del corridoio a durata programmata e lo lascia nel buio più assoluto. Con la spalla spinge la porta, fa un passo avanti, appoggia a terra la borsa e la scatola, cerca a tentoni la parete e la trova, cerca l’interruttore e lo trova ma non si accende alcuna luce, risale con la mano lungo la parete e trova uno sportello di plastica, lo apre e con la punta delle dita esplora gli interruttori, sono tutti attivati meno uno, lo sposta dal basso all’alto e la luce si accende.
L’alloggio ha le pareti imbiancate a calce, un corridoio di tre metri con attaccapanni e portaombrelli ha sulla destra una porta che dà a una camera da letto tre metri per tre senza finestre e con letto matrimoniale alla francese ovvero piccolo, lungo la parete di fronte al letto un armadio con le ante scorrevoli, all’altro lato la porta di un bagno uno per tre ma bene attrezzato. Deposita la borsa e sistema le sue poche cose nell’armadio che sa un po’ di umidità, torna al corridoio che in fondo si apre su una saletta quadrata quattro per quattro con divanetto, televisore, un tavolo rettangolare e due sedie, a sinistra mobiletti di cucina e frigo e angolo di cottura, nella parete di fondo si apre una porta finestra che dà a un cortile.
Hic manebimus optime, pensa, poi appoggia sul tavolo della saletta la bottiglia e un piccolo computer, lì accanto posa il telefono non suo, torna in corridoio per appendere il soprabito all’attaccapanni ma cambia idea, va a cercare il riscaldamento e vede che è costituito da alcuni radiatori elettrici, uno per locale, ognuno con un interruttore e un termostato, li accende e li mette al massimo e finalmente si toglie il soprabito e lo va ad appendere, va alla finestra che dà sul cortile e vede che il turbine bianco continua, sull’automobile ci saranno già tre o quattro centimetri di neve e sarebbe il momento di spostarla ma invece va ai cassetti della cucina e trova un apribottiglie e un bicchiere, stappa e si versa un mezzo bicchiere, va a sedersi sul divanetto, sorseggia e si guarda attorno, considera la situazione, calcola il tempo probabile di permanenza che dipende da molte variabili ma in fondo, essendo soprattutto umane, non molto variabili. Sul bracciolo trova il telecomando e preme il bottone, lo schermo si accende ma solo per offrire una luminosità biancastra percorsa da brividi e immersa in un rumore di onde che non arrivano mai a infrangersi sulla spiaggia, cambia canale ma non cambiano né l’immagine né il rumore bianco, arriva alle frequenze delle radio ma ottiene solo il gracchio nel quale armeggiava il bottegaio.
Soddisfatto spegne l’apparecchio e guarda l’orologio, sono quasi le otto e sono passati venti minuti da quando è entrato, si rimette il soprabito e scende per spostare l’automobile, il bottegaio si appresta ad abbassare la saracinesca ma dal di dentro il che significa che vive nel retrobottega, gli dice che non deve parcheggiare molto lontano, basta che lasci liberi una decina di metri davanti all’emporio. Aspetta un camion di rifornimenti? gli chiede, ma in tono amichevole e quello ride. Non prima di marzo, risponde, e finirebbe di chiudersi dentro non fosse che giungono grida di aspetti aspetti e tonfi pesanti di una corsa goffa nella neve alta, annunciando un uomo alto e magro malcoperto da una giacca troppo leggera e con in testa un Borsalino di tesa media, del tutto inadeguato all’attuale bisogna. Gli ultimi balzi lo portano ansante davanti alle maglie della saracinesca dove tira il fiato e chiede sei uova, che si è accorto che non ha nulla da mangiare. Il bottegaio va e ritorna, porge attraverso la grata il pacchetto delle uova ma senza avvicinarlo al cliente: Sono tre euro, dice. Il cliente fruga nelle tasche della giacca, nelle tasche dei pantaloni, alza gli occhi e ammette di non avere con sé neppure una moneta, pagherà domani, sono solo tre euro, ma si vede che il bottegaio non è contento, tanto più davanti a un testimone della sua possibile debolezza, allora lui inserisce la mano tra due automatici del giaccone e mette due dita nel taschino sotto la cintura dei pantaloni, ne estrae due monete da due euro e le dà all’uomo del Borsalino che le prende con un cenno di ringraziamento e le porge al bottegaio che gli dà le uova e una moneta da un euro che sembra apparsa per un trucco da prestigiatore, l’altro se la mette distrattamente in tasca e chiede al suo creditore: Dove la trovo, domani? Gli risponde con un gesto negativo del capo: Non c’è fretta, dice, temo che avremo tutto il tempo, in ogni caso vivo qua accanto, sono qui per la manutenzione. Davvero? quasi grida l’altro. Ma allora forse potrà farmi funzionare il riscaldamento! Lui annuisce: Domani mattina vengo a dare un’occhiata, promette, mi dica dove abita. Quello glielo dice, facendo anche segno con la mano: uscendo dallo spiazzo a destra la prima casa nel primo vicolo a destra, che bussi forte perché il campanello non funziona, in realtà nulla funziona.
L’uomo del Borsalino se ne va, cercando di ritrovare le orme di quando è venuto per saltellarci dentro, e il bottegaio finalmente può dare un giro di chiave alla serranda, di nuovo si tira dietro la porta ma prima di chiudere anche quella chiede: E lei? Non vuole niente da mangiare? Lui fa segno di no: Mi sono portato dei panini, dice, farò poi la spesa domani, ma mi piacerebbe sapere chi è quel signore perché nella lista che mi ha dato la compagnia non appare, a me risultano, oltre a lei, solo una coppia con marito anziano e moglie giovane e un’altra coppia sulla trentina o poco più, e quel signore ha una quarantina d’anni abbondante. Il bottegaio annuisce: In realtà ne so poco anch’io, dice, è arrivato tre giorni fa e aveva le chiavi di una casa, dice che è di suo fratello che gli ha dato le chiavi, ha comprato un pacco di candele e qualcosa da mangiare, qualche bottiglia di acqua minerale, secondo me neppure si lava. Finalmente chiude anche la porta su un arrivederci e sparisce, le lampadine del negozio si spengono, la neve continua a turbinare nel grande cono di luce del lampione, lui sale in automobile e va a parcheggiare dieci metri più in là.
Rientra nell’appartamentino che già ha raggiunto una temperatura accettabile, si toglie il piumino e si versa un altro mezzo bicchiere di vino, poi prende dal tavolino del televisore un opuscolo che presenta Tor Morella, antico borgo appenninico a 1.500 metri sul livello del mare un tempo abitato da un centinaio di famiglie dedite al lavoro delle carbonaie che sfruttavano i boschi di faggi e di abeti di cui era ricca la zona, semplici case belle della loro antica semplicità, del loro materiale imponente. Si siede a tavola a mangiare i panini che l’uomo della manutenzione si era fatto preparare nell’autogrill e tra un morso e l’altro, tra un sorso e l’altro, legge. È lo stesso opuscolo – uno degli opuscoli - che lui ha letto un mese fa e che lo ha deciso a trascorrere in un posto come quello il tempo necessario e sufficiente a far finire in nulla le investigazioni, e lo ripercorre, dalla copertina che porta nella metà alta la foto di com’era il rustico ambiente e nella metà bassa il disegno di come sarà, fino all’interno che racconta il duro lavoro degli artisti del fuoco
e i loro usi e le loro tecniche che diedero simboli e rituali alla Carboneria, con tanto di schizzo del carbonaio ottocentesco e della montagnola conica di una carbonaia.
Poi c’è la spiegazione del progetto: di come la Tor Morella SpA (www.tormorella.it) ha acquistato l’intero villaggio, completamente disabitato dalla fine degli anni Novanta, e ne ha progettato la riforma, la cui parte generale, rete fognaria ed elettrica, è già stata finanziata ed eseguita dalla SpA che metterà in vendita la ventina di case tutte di pietra ancora agibili, la cui ristrutturazione sarà effettuata a carico dei singoli compratori. Il progetto è destinato, assicura l’opuscolo, a persone che vogliano costituirsi un buen retiro (in spagnolo nel testo) nel verde e nella quiete. Ogni casa è in vendita per 50 mila euro, è dotata di un piccolo terreno coltivabile e alcune di esse sono adiacenti e unificabili, per chi volesse più spazio per avviare, per esempio, una piccola attività di turismo rurale, disponendo in questo modo anche dello spazio sufficiente per una piscina. L’opuscolo presenta quattro tipologie di casa con il disegno di un progetto di ristrutturazione e il relativo preventivo, che va da 50 a 75 mila euro a seconda dei materiali scelti. C’è anche una cappella, ora ovviamente sconsacrata, che potrebbe trasformarsi in un luogo di ritrovo, forse anche in un piccolo teatro, che ospiterebbe eventi culturali grazie al facile accesso garantito dalla nuova strada privata che parte alla destra dell’autogrill di Tor Morella. Come risultato, assicura ancora l’opuscolo, l’antico borgo tornerà alla vita, trasformato in una enclave di lusso, moltiplicando il valore dell’investimento.
Ma l’opuscolo è vecchio di due anni, e una facile ricerca gli ha consentito di accertare che in tutto quel tempo della ventina di case ne sono state vendute solo cinque, e solo quattro sono state riformate e vengono affittate attraverso l’agenzia immobiliare che cura la vendita del complesso. La parte generale è stata effettivamente ristrutturata, strada fogne ed elettricità e anche l’emporio, che è stato