V'insegno a vivere
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Info su questo ebook
"Buddha, Krishna, Cristo e Maometto: nessuna differenza."
Lo scopo di tutte le religioni è quello di sottolineare il percorso che conduce a perfetta libertà, pace e gioia. Questo stato benedetto può essere realizzato solo dalla eliminazione del senso dell'ego attraverso la resa al divino. La vita divina deve fluire attraverso di noi, l'amore di Dio deve abitare nei nostri cuori e la luce divina deve ispirare tutte le nostre attività; il nostro cuore deve adoperarsi per promuovere il Suo amore, il nostro intelletto è illuminato con la Sua sapienza e il nostro corpo è lavorato dalla Sua volontà. Questo è lo scopo della vita umana. Per insegnare questa grande verità vennero Buddha, Krishna, Cristo e Maometto. Essi dichiarano in una sola voce che possiamo rivelare la Divinità nascosta in noi rassegnarci a Lui totalmente e dedicare la nostra vita al Suo servizio. La mera comprensione intellettuale della verità religiose è diverso dalla reale esperienza spirituale, che è una questione di intima relazione tra l'anima e Dio. Si deve comprendere che per amare e servire Dio è amare e servire tutti gli esseri e le creature. Per realizzare Dio bisogna essere consapevoli della Sua presenza ovunque. Ovunque ti giri, c'è la Sua luce, la potenza e la gloria. La disciplina spirituale, che un uomo compie sotto l'ispirazione il Divino, Lui solo può purificarla e renderla consapevole dello Spirito immortale che è Dio. Tutto il resto è, come dice il proverbio, "pura vanità e tormento."
Swami Ramdas (TheDivine Life, pp. 370-371)
"V'insegno a vivere"
Dietro a un titolo così pretenzioso ci poteva stare di tutto, dal Book-concept alle sperimentazioni più toste al prodotto arty che vuole mostrare al mondo le buone letture e le frequentazioni colte del suo autore. Niente di tutto questo. Una specie di titolo celibe e autoreferenziale, e allora, scusate, perché? Un sacerdote incontrò un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò: “Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos’è la realtà?” Il maestro gli diede un pugno in faccia.
In questo libro nessuno tenterà di convincervi a cambiare religione né ad averne una, a praticare strane posizioni yoga da contorsionisti né a diventare vegetariani, non dovete dimagrire o smettere di fumare né altro... vi propongo “soltanto” di provare a stare bene con voi stessi, per vivere meglio e più a lungo la vita amandola e pensando un po più in positivo anche di fronte alle normali avversità.
Renzo Samaritani (Ramananda Das)
per gli amici: Nirvan(Ananda)
Associazione Internazionale per la Coscienza Spirituale "Sole e Luna"
Renzo Samaritani, il guru dalle scarpe rotte, presenta la nuova incredibile opera che segue le orme di grande consenso del suo "il Libro della Luce": "V'insegno a Vivere".
Vivere non è concepire ciò che bisogna fare, è farlo.
Henri-Frédéric Amiel
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Anteprima del libro
V'insegno a vivere - Renzo Samaritani
NOTA DELL’AUTORE
In questo libretto nessuno tenterà di convincervi a cambiare religione né ad averne una, a praticare strane posizioni yoga da contorsionisti né a diventare vegetariani, non dovete dimagrire o smettere di fumare né altro... vi propongo soltanto
di provare a stare bene con voi stessi, per vivere meglio e più a lungo la vita amandola e pensando un po più in positivo anche di fronte alle normali avversità. Buona lettura!
Nirvanananda (Ramananda Das aka Renzo Samaritani)
Ogni Illuminato deve difendere la sua via sapendo benissimo che le altre strade sono altrettanto valide che la sua. Ma se comincia a dire che tutte le vie sono valide non avrà lo stesso impatto, la stessa influenza sulla sua gente. Osho Rajneesh (1931-1990)
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Un maestro di Zen che si chiamava Gettan visse verso la fine dell’èra Tokugawa. Egli soleva dire: «Ci sono tre specie di discepoli: quelli che insegnano lo Zen agli altri, quelli che hanno cura dei templi e dei santuari, e poi ci sono i sacchi di riso e gli attaccapanni».
Gasan espresse la stessa idea. Quando studiava con Tekisui, il maestro era molto severo. Qualche volta lo picchiava persino. Altri allievi non sopportavano questo genere di insegnamento e se ne andavano. Gasan rimaneva dicendo: «Un discepolo di poco valore utilizza l’influenza dell’insegnante. Un discepolo mediocre ammira la bontà di un insegnante. Un buon discepolo diventa forte sotto la disciplina di un insegnante».
Meditazione nel buddhismo
La meditazione in alcuni tipi di Buddhismo presuppone una speciale fisiologia che sovraimprime al corpo fisico un corpo immaginario, diviso in chakra, centri psicofisici che servono a guidare il processo meditativo. Tali centri sono sette: sulla sommità della testa, tra i due occhi, nella gola, all’altezza del cuore, del diaframma, dell’ombelico e dei genitali. Essi sono immaginati come fiori di loto su ciascuno dei quali sono scritte sillabe mistiche di vario colore. Su queste sillabe e sul loro significato si deve concentrarsi durante la meditazione, dopo tuttavia aver perduto coscienza della propria persona individuale ed essersi identificato con determinati piani spirituali espressi simbolicamente con il nome e la figura tradizionale de speciali deità del mahayana. In altri tipi di Buddhismo, invece, la meditazione utilizza frasi, mantra o particolari concetti, sui quali ci si concentra prestando attenzione al loro significato, senso, o semplicemente al suono che si ha dalla loro pronuncia durante la meditazione. Piani spirituali e non divinità, poiché nelle scuole buddhiste non esistono dèi come realtà oggettive; cioè, le divinità dell’olimpo mahayanico hanno soltanto valore di simbolo, come effimere colorazioni della coscienza cosmica nel suo ininterrotto processo di evoluzione e d’involuzione, eternamente in atto e riflesse in ogni creatura viva, in ogni respiro. Talvolta la meditazione consiste nel non
rivolgere l’attenzione verso qualcosa, intendendo cosí, ad esempio, il concetto del Nirvana o del Za Zen. La cosa più importante da comprendere è che meditare
significa semplicemente essere
, e data la nostra lontananza dallo stato essenziale dell’essere, esistono strategie che possono riportare, tramite la loro pratica, allo stato di coscienza puro dell’essere. In un antico testo tibetano si trova la citazione: meditazione
non è, abituarsi a
sí è. (Libro tibetano del vivere e del morire). Questo sta a significare che meditare non è un qualcosa che può essere cercato o creato ma è un qualcosa che si desta spontaneamente nella pratica. Esula da una qualsiasi categorizzazione intellettuale perché troppo inerente lo stato esperienziale dell’essere nella sua forma più essenziale.
La meditazione è anche una via per tornare a casa. Siamo sulla strada del ritorno, del ritorno al Principio. Ma cos’è il Principio? C’era qualcosa prima del Principio? Ecco alcune testimonianze tratte da libri antichi e testi sacri:
A quel tempo non era esistenza, non era non-esistenza. Non era la regione della luce, non lo spazio (vyoman) che è al di là. Cosa attorniava? Dove? Sotto la protezione di chi? Quale acqua era lì, profonda, incommensurabile? A quel tempo non era morte, non immortalità. Non era distinzione tra notte e giorno. L’Uno respirava, senza alito, solo. Oltre a ciò nulla era al di là. All’Inizio era la tenebra nascosta dalla tenebra. Tutto questo era acqua senza distinzione. L’Uno che era coperto dal vuoto emerse attraverso la potenza del calore-di-austerità. All’Inizio il desiderio, primo seme della mente, spuntò in Questo. Poeti-veggenti, cercando nel proprio cuore con saggezza, trovarono il legame dell’esistenza nella non-esistenza. Il loro raggio [di visione] si protese [su esistenza e non-esistenza]. Forse c’era un sotto, forse c’era un sopra. C’erano datori di seme; c’erano poteri: sforzo sotto, donazione di sé sopra. Chi conosce la verità? Chi dichiarerà qui da dove viene questa nascita, da dove la creazione? Gli dei apparvero in seguito, con la creazione di questo [mondo]. Chi sa dunque da dove sorse? Da dove sorse questa creazione, sia che fosse creata da sé sia che non lo fosse? Colui che guarda dal più alto dello spazio, certamente lo sa. O forse no.
(Rig-Veda X, 129.1-7)
All’inizio questo mondo era soltanto il Sé sotto forma di Persona cosmica. Guardandosi intorno, non vedeva altro che se stesso. Egli disse perciò dapprima:
Io sono. Così sorse il nome io. Perciò ancor oggi quando qualcuno ci rivolge la parola noi diciamo
io sono prima di pronunciare il nostro nome.
(Brihad-Aranyaka Upanisad)
Dai tempi antichi tutto quanto è in virtù dell’Uno… Il Tao generò l’Uno; l’Uno generò il Due; il Due generò il Tre; il Tre generò le innumerevoli creature.
(Lao Tzu)
In principio era il Verbo (o Parola o Logos) e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo. Questi era in princio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui on fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; e la luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero.
(Giovanni 1,5)
Non intendono gli uomini questo Logos che è sempre né prima di udirlo né quando una volta lo hanno udito, e per quanto le cose si producano tutte seguendo questo Logos, è come se non ne avessero alcuna esperienza, essi che di parole e di opere fanno pure esperienza, identiche a quelle che io espongo distinguendo secondo la sua natura ogni cosa e mostrando come è: ma agli uomini sfugge quello che fanno da svegli, e di quanto fanno dormendo non hanno ricordo.
(Eraclito, frammento I)
Sempre dai Veda: «Prajapati vai idam agre aseet Tasya vag dvitiya aseet Vag vai paramam Brahma» traduzione: «In origine era Prajapati (Dio) e il Verbo era presso di Lui e il Verbo stesso era veramente il Supremo Dio.» Secondo i Veda (le più antiche e autorevoli scritture induiste), inizialmente Dio era privo di attributi (Nirguna Brahman), senza forma, senza nome, pieno, completo, beato, senza dualità, Unico. Tuttavia, proprio perché la molteplicità non esisteva, Egli non poteva fare esperienza di Sé: come poter sperimentare l’amore, se non sussistono un amante, un amato e l’atto stesso dell’amare che collega i due? Così, per potere sperimentare Sé stesso, espresse il primo desiderio:
Io sono Uno; diverrò i molti. Questa volontà assunse la forma di suono: AUM, appunto. Dall’elemento suono scaturì tutta la manifestazione: Ishvara (Dio con attributi: il Signore, il Demiurgo), il tempo, i cinque elementi, i tre guna, i diversi piani dell’esistenza, l’universo intero e le infinite anime individuali.
Lo ZEN
Un monaco domandò al maestro Nan-ch’uan: Che cos’è lo Zen?
E’ la vita di tutti i giorni.
E come ci si avvicina ad esso?
Più cerchi di avvicinarti, più te ne allontani.
Un giorno Hui-neng udì due monaci che discutevano di una questione filosofica. Se non ci fosse il vento
, diceva il primo quella bandiera non potrebbe muoversi.
Se la natura della bandiera non fosse quella di muoversi,
ribatteva il secondo il vento non potrebbe farla sventolare.
Hui-neng tagliò corto: "Non