o tempora, o mores ! La congiura di Catilina riciclata
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Anteprima del libro
o tempora, o mores ! La congiura di Catilina riciclata - Antero Reginelli
INDICE
Zero: Chi era Caio Sallustio Crispo
Uno: Premessa
Due: Ritratto di Catilina
Tre: Roma di una volta
Quattro: Ozi e ricchezze
Cinque: Città corrotta
Sei: Il complotto precedente
Sette: Adunata sediziosa
Otto: Cicerone Console
Nove: Ritratto di Sempronia
Dieci: Legge marziale
Undici: Una splendida orazione
Dodici: Nemico pubblico
Tredici: Disagio sociale
Quattordici: Accadde in città
Quindici: Il ruolo degli Allobrogi
Sedici: Il Senato nel Tempio della Concordia
Diciassette: Voci su Crasso e Cesare
Diciotto: Il discorso di Cesare
Diciannove: Il discorso di Catone
Venti: Cesare e Catone
Ventuno: L’esecuzione
Ventidue: Montagne e boschi
Ventitre: Discorso ai soldati
Ventiquattro: La battaglia
Zero - Chi era Caio Sallustio Crispo
Caio Sallustio Crispo, o semplicemente Sallustio, è considerato dai romanisti (studiosi di storia, diritto, letteratura, ecc. dell’antica Roma) uno dei più importanti storici Latini, autore de La congiura di Catilina
, La guerra giugurtina
e delle Historiae
, opera incompleta. Nacque nel 86 a.C. ad Amiternum, città fondata dai Sabini (i resti, situati a San Vittorino, vicino L’Aquila, sono ben conservati e molto interessanti). La famiglia, benestante ma plebea, si trasferì a Roma quando Caio era ancora pischello (ragazzetto), ciò gli permise di completare gli studi nella Capitale e, dopo, di dedicarsi alla politica.
Carriera non brillantissima anche se non priva di qualche successo: alla fine, comunque, ne uscì ricchissimo. Questore nel 55 o 54 a.C., poi Tribuno della Plebe nel 52, a 34 anni, infine Senatore nel 51. Mentre era Tribuno, venne colto in flagrante adulterio con Fausta, figlia del defunto Dittatore Lucio Cornelio Silla e moglie del conservatore Milone. La ragazza, sua coetanea, non era proprio uno stinco di santo, tanto che godeva di pessima fama in città. Sposata in prime nozze con Memmio e presto ripudiata per le numerose infedeltà, nel 56 a.C. si era unita in matrimonio con Milone ma non aveva perso il vizio di cercare piacevoli compagnie al di fuori del letto coniugale.
La relazione con la malfamata figlia di Silla era stata, per Sallustio, fonte di disprezzo da parte dei nobili. Di più lo odiavano per l’amicizia che aveva con il giovane aristocratico di sinistra
Clodio, massacrato proprio nel 52 a.C. dagli uomini del cornificato Milone, a Boville (Frattocchie), sulla Via Appia, vicino Roma.
Nel 50 a.C., Sallustio fu espulso dal Senato per indegnità morale. Cesariano, democratico e anti aristocratico, partecipò alla guerra civile a fianco di Caio Giulio Cesare che, dopo la battaglia di Farsalo del 48 a.C., lo reintegrò nella carica di Senatore. Ebbe, poi, un ruolo rilevante nella guerra in Africa contro i conservatori. Tra le altre cose, risolse uno spinoso problema di rifornimenti con la conquista dell’isola di Cercina (Kerkennah), un magazzino degli avversari molto fornito, dove avevano ammassato montagne di provviste e armi.
Sconfitti Metello Scipione Nasica e il numida Re Giuba a Tapso (vedi Giulio Cesare. Guerra tra la Repubblica e un potenziale Re. Il bellum africum riciclato
, libro dello stesso autore), Cesare incorporò la Numidia alla Repubblica, ne fece una Provincia con il nome di Africa nova e l’affidò proprio a Caio Sallustio, nominato Propretore.
Era la metà del 46 a.C., e i diciotto mesi di governo sallustiano non furono, certo, di quelli da incorniciare.
Tornato dall’Africa pieno di soldi, si costruì una principesca villa tra il Pincio e il Quirinale, con dei meravigliosi giardini (i famosi Horti sallustiani), e acquistò una grande tenuta a Tibur (Tivoli). Eventi molto chiacchierati a Roma, tanto che fu processato per concussione (reato del pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui, o a un terzo, denaro o altra utilità, anche di natura non patrimoniale). Nonostante l’ambiguo, improvviso ed eccessivo arricchimento, riuscì a strappare, a stento, una striminzita sentenza di assoluzione ma non a salvare la propria carriera politica.
Alla morte di CGC, nel 44 a.C., a soli 42 anni, con un ingente patrimonio da gestire, per evitare, forse, una nuova espulsione dal Senato, si ritirò a vita privata per dedicarsi allo studio della storia.
Morì nel 35 o nel 34 a.C. a Roma.
Uno - Premessa
Sono troppo belle le prime righe de La congiura di Catilina
di Sallustio per iniziare in un altro modo. Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet ne vitam silentio transeant, veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit (Tutti gli uomini che vogliono elevarsi al di sopra degli altri animali, devono impegnarsi a non trascorrere la vita nell’anonimato, come le pecore che la natura ha creato con il capo rivolto a terra e schiave della pancia). Tutte le nostre capacità risiedono nell’anima e nel corpo: la prima comanda, il secondo serve. Una ci avvicina agli Dei, l’altro alle bestie. Per questo, dal momento che la vita è breve, se vogliamo lasciare di noi un ricordo perenne, mi sembra più sensato ricorrere alle risorse dello spirito, della ragione, che a quelle materiali, della forza fisica. Infatti, la grandezza che proviene dall’apparire e dalla ricchezza è fragile ed effimera mentre quella che deriva da dentro, dall’essere, dal sapere, è resistente ed eterna. Comunque, da tempo si discute, in modo acceso, se in guerra, e anche nella vita, valgano di più le doti dell’intelletto o del corpo, della mente o del braccio.
Per quanto mi riguarda, credo che queste facoltà, da sole imperfette, abbiano bisogno l’una dell’altra, infatti, prima di iniziare qualsiasi cosa si deve ragionare con la testa, dopo agire.
Poi, Sallustio scrive una dissertazione, che sintetizzo, sul valore della bellezza dentro, del talento, dell’intelligenza, quanto ciò sia fondamentale in guerra e in pace, nei Re e nei sudditi, in chi detiene il potere e chi lo subisce. Dice che perfino l’agricoltura, la navigazione e l’architettura dipendono da tali virtù. Condanna gli uomini indolenti, quelli che si dedicano in prevalenza alla tavola e campano, tirano avanti l’esistenza, nell’ignoranza, da incolti. Queste persone, più vicine alle bestie che agli esseri umani, considerano il corpo uno strumento di piacere e lo spirito un peso: vivono, anzi sopravvivono, come fossero morti.
Prosegue affermando che si può raggiungere la grandezza e servire lo Stato sia compiendo imprese importanti, sia raccontando quelle degli altri, in modo da giustificare, prima, il suo ritiro dalla vita attiva, poi da esaltare il nuovo ruolo: sebbene chi scrive non raggiunga fama pari a chi fa, sostiene Crispo che il compito dello storico è particolarmente arduo. Per due motivi: perché deve avere la capacità di adeguare le parole ai fatti, e perché la maggior parte dei lettori pensa che sia asservito ai potenti o, come minimo, che le frasi con cui si denunciano delle colpe o esaltano dei meriti, siano state scritte in malafede, dettate dall’interesse personale o dalla faziosità.
Ricorda che, fin da giovane, si era dato alla politica, con passione, però aveva dovuto ingoiare parecchi bocconi amari a causa del degrado morale che ammorbava l’Urbe: al posto della discrezione, dell’imparzialità e del merito, spadroneggiavano cialtroneria, avidità e corruzione.
E, benché schifasse la disonestà, il desiderio di emergere lo aveva esposto a calunnie artefatte dagli avversari.
Poteva ben dirlo, grazie a una sentenza, pur piena di dubbi, che lo aveva assolto dall’infamante reato di concussione. Comunque, l’enorme ricchezza accumulata durante il governatorato in Africa, più che sospetta, pendeva sulla sua testa come un macigno. Gliene avevano fatte passare di tutti i colori, e quando, dopo un’infinità di maldicenze, aveva deciso tenersi lontano dagli affari pubblici, non volle sprecare il proprio tempo nell’ozio, spaparacchiato alle Terme, o a coltivare i