La corona del re
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Anteprima del libro
La corona del re - Giorgio Carlevaris
A Chiara
"Il regno di Dio è come un uomo che abbia gettato il seme sopra la terra; che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme spunta e cresce, senza ch’egli sappia come.
Poiché la terra produce da sé, prima l’erba, poi la spiga, poi il grano pieno nella spiga. E quando il frutto è, tosto egli vi mette la falce perché la messe è matura"
(Marco 4, 26 – 29)
I
Tirava una brutta aria quel mattino, ma nella sua perversione voleva comunque affrontare il vento contrario quale che fosse la sua forza.
Anzi più forte diventava e più lui ne traeva piacere come uno scommettitore incallito poteva trarre godimento dall’alzare la posta.
La sua ricerca di una sfida continua e sempre più ardua lo aveva sempre accompagnato nella sua vita anche nel modo di affrontare le difficoltà, le peripezie e i pregiudizi di ogni sorta al punto da renderlo schiavo dei suoi stessi comportamenti.
Lui ormai agiva e pensava credendo di essere libero da preconcetti ed autonomo nei suoi giudizi. Non si rendeva conto di essere totalmente asservito a quell’oscura forza che lo spingeva, di più, lo costringeva a lottare sempre per abbattere tutti i muri che credeva la società gli costruisse intorno.
Pensava fermamente che ogni limite, imposizione ed ogni etichet-ta morale che la società si ponesse comunque fosse indirizzata a lui anche se in senso lato, allora si buttava a capofitto come un novello Don Qujiote contro i mulini a vento.
Certo quel gelido inverno, così ostinatamente freddo e ven-toso, gli pareva uno dei più brutti che avesse visto in tutta la sua vita al punto da pensare che, forse, anche il clima congiurasse contro di lui.
Non poteva dirlo con sicurezza poiché fino a quel momento non si era mai curato particolarmente del tempo essendo sempre troppo impegnato nelle sue sterili discussioni e nelle sue battaglie a sfondo sociale che, invero, non gli avevano procurato altro che sconfitte.
Era diventato vecchio passando la vita di sconfitta in sconfitta, senza mai demordere, convinto com’era che l’importante non era vincere, ma risaltare fra le masse come indiscusso portatore di incor-ruttibili ideali.
Ora di tutte quelle battaglie, apparentemente compiute per illuminare le coscienze gli apparivano ora invece paragonabili a degli schizzi di vernice buttati disordinatamente sulla sua esistenza per coprire le sue insicurezze, restavano solo ricordi che scivolavano lentamente via dalla sua memoria come un placido fiume.
Di quei ricordi che a mano svanivano dalla sua mente aveva un retrogusto amaro, non certo come di qualcosa che si ricorda con orgoglio.
Erano come delle sentenze di condanna senza appello di una vita ormai quasi tutta scritta di cui non poter certo andare fieri: non aveva solo perso delle battaglie, non voleva ancora ammetterlo, ma capiva di aver perso anche se stesso, inesorabilmente.
Questa intuizione era per lui troppo sconcertante perché potesse davvero prenderla in considerazione e, tuttavia, l’aveva messo di cattivo umore.
Pensare di essere troppo vecchio per cambiare la sua vita signi-ficava ammettere di essere vissuto per niente illudendosi del contrario inoltre la sua solitudine non lo aiutava di certo, lo avrebbe dovuto spingere a confrontarsi con se stesso ma questa era la battaglia che più temeva.
Perché aveva così paura di affrontare se stesso ?
In fondo di battaglie perdute ne poteva vantare più di chiunque altro, cos’altro poteva capitargli più di trovarsi perdente per l’ennesima volta?
Eppure aveva qualcosa nell’animo che stava erodendo le sue certezze, un vuoto che lo spaventava più di qualunque sconfitta e non pensava che fossero né la sua solitudine, ne la sua vetustà.
Non voleva affatto aprire il vaso che da anni teneva chiuso nel suo cuore, non più, forse era più disposto a morire portandosi tutto dentro piuttosto che farlo emergere quando non era più in grado di porvi rimedio.
Non appena questo pensiero aleggiò nella sua mente ebbe un moto di orgoglio,quasi d’ira, nel tentativo di reprimere l’idea di essere un uomo insulso, inutile e inconcludente.
Di più!
Un insignificante uomo che aveva vissuto la vita di un altro non riuscendo neppure a farlo con dignità.
In preda a questi pensieri negativi quel mattino si era deciso a scendere la rampa di scale della palazzina dove abitava invece di prendere l’ascensore come aveva fatto per anni.
Viveva in quello stabile da una dozzina d’anni ormai e, uscendo dal portone, lo squadrò con attenzione e, pensava sorpreso per la prima volta, da quando era li non aveva mai visto fare alcun lavoro di ristrutturazione. Quel palazzo così trascurato sembrava gli assomigliasse: nemmeno lui in quei dodici anni si era curato minimamente della sua coscienza.
Certamente, avendo provato disgusto per quella casa fin dal primo momento, era comprensibile che non si fosse mai interessato del suo aspetto esteriore; inoltre il colore delle mura era di un verde pisello, che invece di sposarsi con la natura, facevano a cazzotti col cielo, né aiutava la caligine provocata dall’intenso traffico e dalle industrie limi-trofe.
Continuava a guardare, non più con disprezzo ma piuttosto con una rinnovata compassione, i balconi spigolosi e resi irregolari dall’in-tonaco venuto via a causa delle troppe piogge, del vento eccessivo e delle innumerevoli vibrazioni dovute al traffico.
Il tempo era passato anche per lui come per la palazzina e sentiva che la sua pelle lentamente si staccava dal suo corpo proprio come l’intonaco e raggrinziva vistosamente giorno dopo giorno, anche la sua carne si disfaceva e diventava via via meno soda, i suoi occhi e la sua voce lentamente si opacizzavano come i vetri del suo stabile.
Queste considerazioni gli facevano sentire il suo destino indis-solubilmente legato a quello della palazzina e questo lo aveva indotto ad avere per essa una certa compassione.
Proprio come quella palazzina, anche lui per anni aveva ascoltato le confidenze e fatto propri i problemi di amici e conoscenti salvo poi non aver ricevuto un minimo di riconoscenza. Lo disgustava l’idea di fare la stessa fine di quella casa, di essere dimenticato da tutti, per questo motivo aveva accettato la sfida di quel vento così impetuoso ed era uscito anche se si muoveva a fatica.
Ciò lo riportava alle sfide impossibili in cui s’era ficcato nella sua giovinezza, esaltato com’era nella sua ricerca del dominio morale sugli altri: pensava che le idee e il sapere gli avrebbero fornito le leve per condurre gli altri dove voleva lui.
Pensava a tutto questo mentre il vento gli si opponeva contro comprimendo con forza il suo petto ma lui, pur con grande affanno, cercava di tenere un passo deciso, determinato a dimostrare a se stesso che non era ancora un vecchio rudere pronto per la demolizione, ma che il suo spirito indomito avrebbe condotto il suo corpo dove voleva: ancora una volta la mente doveva dominare sulla carne.
Mentre compiva le sue riflessioni fu distratto dal fogliame autun-nale che, sotto la sferza implacabile del vento, si spandeva e si ritraeva come un enorme polmone che tentava di riempire le distanze tra i filari di alberi ai lati della strada.
Il suo incedere si fece via via più difficoltoso a mano che i muscoli delle sue gambe si andavano affaticando mentre il vento mostrava la sua fermezza nella determinazione a voler arrestare la sua impresa.
Cercò di persuadere sé stesso che, non era tanto il vento a mettergli i bastoni fra le ruote, quanto la polvere sollevata, la quale, entrando nelle narici e nella gola gli rendeva ostica la respirazione e lo soffocava. Sapeva bene che la diminuita ossigenazione avrebbe accelerato l’affaticamento muscolare.
Si accorse del suo respiro affannoso al punto da sembrare una locomotiva e del suo cuore che si agitava furiosamente nel petto fino a fargli sentire dolore.
Preso tra il dolore da compressione e la mancanza di respiro che gli dava quella specie di tempesta di sabbia
, alzò supplichevolmente gli occhi, semichiusi a causa della polvere, sull’orizzonte cercando di scorgere qualcosa, oltre ai filari d’albero, che potesse offrirgli un riparo temporaneo per riprendere forze e proseguire.
Vedeva gli alberi piegati, forse anche più di lui, stretti nella morsa del vento quasi come se un gigantesco piede invisibile fosse sul punto di calpestarli e pensò che stavolta aveva preteso troppo da se stesso, che aveva osato sfidare il clima in una battaglia persa, l’ennesima e forse anche fatale.
Ad accrescere il senso di morte e di paura che rapidamente cresceva dentro di lui contribuiva anche la visione di quegli alberi così spogli, violentati dal vento.
Provò molta rabbia di fronte alla sua impotenza, all’impossibilità di opporsi agli strattoni del vento e al soffocamento indotto dal pulviscolo e provava frustrazione per non essere capace di scorgere alcun riparo proprio ora che ne aveva bisogno.
Un altro pò e gli sarebbe scoppiato il cuore, sarebbe morto d’infar-to in una strada desolata, in mezzo al vento e senza nessuno accanto.
Un modo davvero idiota di finire la vita - pensava - ma forse era il modo adeguato a quella vita inutile.
Probabilmente il suo corpo sarebbe rimasto esanime, esposto alla furia degli elementi e dei parassiti, a decomporsi in quella strada poco trafficata per alcuni giorni prima che qualcuno si degnasse di curarsi del cadavere.
Se poi si fosse successivamente messo a nevicare, sarebbe stato certo che sarebbe passato pure molto tempo prima di essere rinvenuto, ma tutto questo non importava ora che il suo corpo gridava di dolore.
Era allo stremo, pronto ad alzare bandiera bianca, ad inginoc-chiarsi e ad accettare il suo misero destino quando i suoi occhi, che non avevano mai perso le speranze, scrutarono avanti a sé per un ultima volta per tentare di scorgere qualcosa e finalmente si rese conto che era più vicino al posto in cui voleva arrivare di quanto non avesse creduto.
Improvvisamente ogni suo dolore cessò e la fatica scomparve quasi del tutto, forse non stava così male, probabilmente la sua sensazione di essere sul punto di morire era stata frutto della sua mente.
Non voleva indugiare oltre in quei pensieri, doveva solo agire e mettere un passo avanti l’altro e sarebbe stato sano e salvo.
L’edificio era ad una ventina di metri davanti a lui e portava in alto una grossa scritta proprio sopra l’entrata, non era mai stato così contento di essere arrivato al supermercato.
Si coprì come meglio poté il naso e la bocca dopo aver fatto profondi respiri usando un fazzoletto come filtro e iniziò a correre verso la sua salvezza.
Giunto innanzi all’ingresso si voltò a guardare il viale con un misto di sollievo e orgoglio, sapeva che aveva scampato un pericolo mortale e tuttavia si sentiva già pronto per un’altra sfida fiero com’era per essere riuscito a portare a casa la pellaccia quando tutto congiurava contro.
Coltivava la consapevolezza che quella poteva essere solo una vittoria di Pirro perché il riparo era solo temporaneo e sarebbe dovuto tornare verso casa prima o poi e di nuovo si sarebbe ritrovato in mezzo a quella battaglia per di più carico di sacchetti della spesa, tuttavia si sentiva rinfrancato da quella sensazione di onnipotenza che dava l’aver superato i propri limiti, inoltre aveva del tempo da passare in un posto riparato fino a che le condizioni non fossero migliorate.
Non si ricordava nemmeno quanto tempo fa aveva smesso di provare simili sensazioni, probabilmente quando era un giovane uomo con le sue speranze intatte, prima che tutta la sua vita precipitasse nel baratro, in un punto ben preciso, dal quale non era mai più riemerso fino ad oggi.
Non aveva mai ammesso di essere troppo vecchio per rischiare di perdere le sfide in cui si cacciava d’impeto.
Fin da giovane aveva rischiato la stessa vita nelle sfide in cui s’era cimentato e la cosa gli era parsa normale e giustificabile come il prezzo che un ragazzo paga per farsi largo nella società.
Ma quelle sfide le aveva perdute tutte.
Sebbene oggi gli fosse riuscito di mettere in salvo la propria vita, prima di farcela aveva accettato la sconfitta nel suo cuore.
Si era rassegnato perfino a morire, ma proprio oggi che aveva accettato l’inevitabile litania della sua vita gli era stata offerta una piccola vittoria.
Poteva essere un segno del destino ?
Al di là di una sorte apparentemente beffarda forse la vita voleva comunicargli che non era mai troppo tardi perché la fortuna potesse girare nel verso giusto. Tornò ad essere realista e pragmatico nel non volersi illudere ora che era solo e vecchio.
Si domandava a chi oltre lui potesse mai interessare quella sua prestazione, a cosa poteva mai portargli quella competizione.
Un qualunque giovane avrebbe sicuramente vissuto la stessa esperienza come una passeggiata e non avrebbe avuto alcun bisogno di lanciarsi in una goffa corsa al riparo.
Lui aveva vinto una sfida con se stesso ma questo era tutto, alla sua età non doveva più coltivare false speranze perché tutto ciò che contava l’aveva irrimediabilmente perduto tanto tempo fa.
II
Varcata l’ampia porta vetrata, che da fuori lasciava intra-vedere la folla che si agitava come un enorme serpente, restò per un po’ immobile a fissare con un misto di sorpresa e paura tutta quella folla che disordinatamente si accalcava nei vari reparti alimentari.
Erano tutti intenti a portare a termine la loro spesa col massimo scrupolo, molti guardavano l’aspetto della merce e cercavano i prodotti che parevano meglio conservati, altri si dedicavano alla caccia al prezzo più basso e per la verità, notava, questi componevano il gruppo più numeroso.
Si sentiva un pesce fuor d’acqua in tutta quella calca e il vociare confuso gli metteva ansia, non si era più ritrovato in mezzo a tanta ressa da parecchio.
Soleva infatti andare al supermercato ad inizio settimana e preferibilmente all’apertura quando i lunghi corridoi che s’insinuavano tra uno scaffale e l’altro erano luoghi tranquilli in grado di sostenere il peso dei propri pensieri e lenire il tormento dei propri rimpianti fornen-dogli al contempo una gelida intimità.
Gli piaceva, inoltre, fermarsi ai banconi dei salumi, dei formaggi, della carne e dei prodotti da forno per poter scambiare qualche parola con gli inservienti, in particolare amava raccontare di tutte le disgrazie che, in modo freddo e distaccato, erano state sbandierate dai telegiornali della sera prima.
Era diventato come certe donnette troppo loquaci che avevano fatto del pettegolezzo un’arte, uno studio filosofico come lo era la dialettica e lui riconosceva che questa cattiva abitudine gli era nata a causa della sua vita solitaria consumata tra quattro mura.
Tuttavia lo disgustava anche solo l’idea di essere catalogato come pettegolo e diventava come quelle donne isteriche e pettegole se qualcuno si azzardava a schernirlo in tal senso.
Chi mai poteva solo pensare una cosa del genere di lui ?
La realtà, tuttavia, era ben diversa da simili osservazioni superficiali: aveva instaurato un rapporto d’amore e odio coi tre inservienti con cui s’intratteneva abitualmente.
Non che fossero belle persone, anzi, piuttosto alimentavano un meccanismo di sfida che scattava in lui ogni volta che veniva ferito moralmente con parole allusive e frasi taglienti, allora doveva tornare