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Il tesoro di Berengario
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Il tesoro di Berengario
E-book108 pagine1 ora

Il tesoro di Berengario

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Info su questo ebook

Il giovane cavaliere Federico viene inviato a Torri per un periodo di servizio militare. In questo periodo e nei suoi spostamenti sul territorio incontrerà tante persone che gli vogliono bene e lo aiuteranno, ma soprattutto incontrerà Lucia la ragazza dei suoi sogni. Ho ambientato questo romanzo alla fine del 1400, immaginando come poteva essere il mio paese in quel periodo: sicuramente splendido, anche se la gente non aveva di che vivere, ci sarà stata tanta fame, ignoranza e superstizione ma forse ci si voleva bene più che al giorno d’oggi.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2012
ISBN9788862596831
Il tesoro di Berengario

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    Anteprima del libro

    Il tesoro di Berengario - Lorenzo Girardi

    Lorenzo Girardi

    Il tesoro di Berengario

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Weiden 27

    62100 Macerata

    info@edizionisimple.it | www.edizionisimple.it

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Copyright © Lorenzo Girardi

    Diritti di traduzioni, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    Copertina: eleborazione grafica Michelangelo Girardi

    Edizione Digitale: settembre 2012

    ISBN: 978-88-6259-683-1


    Il seguente E-BOOK è stato realizzato con T-Page


    A tutte le persone

    che lavorano nel campo del volontariato

    questo libro è dedicato a voi.

    Lorenzo Girardi

    Ringrazio la signora Maria Luisa Zagnoli per l’importante aiuto dato nella stesura del libro.

    Il falco, dall’alto del suo spuntone di roccia, osservava con attenzione la piccola figura che risaliva l’antica strada romana. Veloce si spostò sulla cima di un alto frassino per scrutare meglio la creatura in avvicinamento. Forse una possibile preda? La sopravvivenza sua e dei suoi piccoli dipendeva dalla sua capacità di individuare e catturare anche gli animaletti più piccoli che popolavano i prati e i boschi: topi, uccellini, piccoli serpenti, poteva contribuire a sfamare la sua famiglia. Purtroppo il pasto che stava avanzando non era davvero alla sua portata: si trattava, infatti, di un giovane e biondo cavaliere che cavalcando pigramente uno stallone bianco sembrava immerso nei suoi pensieri. Deluso, il rapace fece ritorno al nido, dove l’attendevano la femmina e due voraci piccoli.

    Federico, vedendo il falco che si allontanava ad ali spiegate nel profondo blu del cielo, si riscosse dal suo torpore e provò una stretta al cuore: ripensava con nostalgia al suo falco, un animale stupendo che lui stesso aveva addestrato con l’aiuto di Gandino, un fedele scudiero che prestava servizio presso suo padre, comandante delle guardie alla signoria di Villafranca. Un brutto giorno il suo amato rapace era stato trafitto in volo dalla freccia, strana in quanto presentava sulla punta due anomale incisioni, di un bracconiere e il giovane non si vergognava di sperare nella cattura di quel criminale: se l’avessero preso sarebbe andato incontro alla crudele ma giusta punizione. Questa punizione prevedeva il taglio, sulla pubblica piazza a monito di altri eventuali delinquenti, di tre dita della mano destra, onde impedire per sempre l’uso della balestra e rendere il colpevole facilmente riconoscibile. Mentre la mente del giovane era persa in questi tristi ricordi, il cavallo continuava ad avanzare lentamente tra faggi, querce e lecci.

    Lasciato il castello di Villafranca di primo mattino, da Castelnuovo aveva percorso un tratto di strada in compagnia di un manipolo di soldati diretto a Peschiera per rinforzare le guarnigioni già esistenti o per istituire ulteriori posti di frontiera lungo la sponda del lago, insidiata dalle continue incursioni della soldataglia viscontea.

    Aveva continuato il suo viaggio passando sotto le possenti mura del castello scaligero. A parte le continue perlustrazioni dei soldati della signoria, in questo periodo in tutti i paesi della sponda veronese regnava una relativa calma. Fervevano lavori di ristrutturazione e restauro delle mura preesistenti e tutti erano indaffarati nella costruzione di nuove armi da difesa, principalmente catapulte. Nuvole di fumo nero si levavano dalle rive del lago cristallino, dove i cantieri brulicavano di uomini intenti a costruire navi e a ripararne altre, danneggiate dalle battaglie o dalla furia degli elementi.

    Superata Garda, Federico aveva sulla destra una parete molto scoscesa, mentre sulla sinistra una parete liscia ingentilita da cespugli che abbarbicavano le radici in piccoli anfratti accompagnava lo sguardo del viandante verso la risacca che percuoteva gli scogli. Poco oltre si imbatté in uno slargo che consentiva ai passanti una sosta per riparare un carro o per concedere una pausa di riposo agli animali che li accompagnavano, spesso carichi di provviste e mercanzie.

    Il nostro cavaliere si era fermato un attimo ad ammirare il lago magicamente illuminato dall’ultimo sole del meriggio, quand’ecco che un leggero stormire lo fece voltare di scatto verso il monte. Tra i rami più alti di una quercia qualcosa si mosse: possibile che fosse lo stesso falco che aveva visto volare alto verso la rupe? Risalì pensieroso a cavallo cercando di godere del fatato paesaggio che lo circondava: al bosco misterioso si alternavano lunghi terrapieni trattenuti da muretti a secco e il verde tenero degli ulivi schiariva il verde cupo di querce e lecci. Decise di non darsi più pensiero per quello strano fruscio che pareva seguirlo, per non illudersi invano. Sicuramente il falco era tornato al nido e lui non l’avrebbe mai rivisto.

    Si trovava ora in località il salto, denominazione che doveva la sua origine ad un’argentina cascatella che scaturendo da una roccia faceva un salto di diversi metri prima di incunearsi nel terreno per creare un torrente in fuga verso il lago. Scorgendo da lontano un luccichio di armi ed elmi capì di essere vicino al primo posto di avvistamento, dove alcuni soldati della signoria controllavano viaggiatori e mercanti in transito lungo la strada romana diretta a Torri. Due soldati lo videro avvicinarsi e si piantarono in mezzo alla strada. Uno dei due, a primo acchito il comandante, disse: Buona giornata, vostra signoria. Attendevamo il vostro arrivo, vogliate comunque esibire il lasciapassare. Buona giornata a voi rispose Federico mostrando una piccola pergamena arrotolata con impresso lo stemma della signoria. Sono Federico di Castelcucco del ducato di Villafranca. Mio padre è il comandante della guarnigione e io sono stato scelto per prestare servizio presso il distaccamento di Torri.

    Potete proseguire consentì il soldato annodando un pezzo di nastro blu alla sella dello stallone di Federico.

    Proseguendo il ragazzo si fermò solo un attimo ad abbeverare il cavallo dove il torrente aveva formato una pozza di limpida acqua, utilizzata dalla gente del luogo per le esigenze del vivere quotidiano. In questa zona, non a caso battezzata dai locali bosch del gat, un grosso felino, un gatto selvatico o forse una lince scesa dai monti, perpetrava frequenti razzie di galline e conigli, danno non certo indifferente in tempo di fame.

    Continuando a cavalcare giunse finalmente al secondo posto di guardia. I soldati erano intenti a mangiare e solo uno si alzò per dare il benvenuto, mentre gli altri si limitarono ad uno stentato cenno del capo. Nel loro turno di guardia, che di solito durava tre giorni, i soldati ricevevano un orcio di vino, una pagnotta e un pezzo di carne secca. Questo e null’altro toccava a testa. Vedendo che aveva il nastro blu legato alla sella i convenevoli furono sbrigativi: Vostra signoria ha già superato il precedente posto di blocco: prosegua pure lungo questa strada e arriverà dritto alla cinta muraria di Torri. È quel borgo laggiù.

    La vista di Torri era stupenda: una leggera brezza proveniente da sud increspava il lago e le onde si frangevano contro gli scogli sotto le mura del castello. Scendendo verso il lago Federico si fermò a recitare una breve preghiera in località S. Croce, dove una grande croce in legno d’ulivo, posata su una pietra squadrata, invitava i pellegrini ad un attimo di meditazione. Superata poi una lapide di marmo a ricordo del prefetto romano ideatore della strada che collegava Torri ai paesi limitrofi, si trovò finalmente davanti alla porta principale, situata all’inizio della cinta muraria. Tale cinta, edificata su ordine di Berengario nel periodo in cui aveva fissato a Torri la sua residenza, era stata costruita utilizzando oblunghi blocchi di pietra attraversati da un ponte merlato, valida difesa contro gli attacchi dei nemici. Un grande ponte levatoio impediva i collegamenti con l’esterno.

    Federico si avviò incuriosito lungo la strada principale del paese e potè ammirare numerose botteghe artigiane: sellai, fabbri, falegnami e armaioli, sia giovani che vecchi, erano affaccendati nel lavoro, ma ognuno di loro levò lo sguardo e fece un cenno di saluto. Forse un domani qualcuno gli sarebbe stato ostile, ma altri lo avrebbero aiutato nel momento del pericolo. Salì poi verso il castello recentemente ampliato da Antonio della Scala, uno degli ultimi Scaligeri: più torri, collegate tra loro da camminamenti merlati, consentivano una completa visuale sui quattro punti cardinali. Anche se ora regnava un periodo di relativa calma, a quel tempo la guerra era sempre alle porte e l’avvistamento del nemico era di vitale importanza.

    Arrivato nel cortile, uno scudiero si precipitò a prendere il cavallo per condurlo nelle scuderie, mentre un soldato si premurava di accompagnare il cavaliere al cospetto del comandante del presidio, uomo di burbero ma simpatico aspetto che ricopriva anche l’incarico di capitano del lago. Torri era infatti anche sede della capitaneria del lago, quale punto focale del commercio coi paesi collegati.

    Sono Federico di Castelcucco del ducato di Villafranca, a sua disposizione.

    Con un benevolo sorriso rispose il comandante:"Benvenuto a Torri, caro

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