ITALY MINE
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Una Storia d’Italia dalla Resistenza al Trota, raccontata in una specie di linguaggio poetico trovato per strada, da uno che a un certo punto dall’Italia se n’e’ andato e la guarda ora da lontano con una certa tristezza e un po’ naturalmente d’inguaribile nostalgia.
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Anteprima del libro
ITALY MINE - Giovanni Rabito
pensieri.
1)
Il 25 luglio del 1943, dopo che alla radio Badoglio
fini’ di dire in tarda serata: "la guerra continua,
l’Italia mantiene la parola data" in tutte le citta’
la gente comincio’ a uscire per le strade e a ballare
e a cantare come per una festa di mezzestate.
Niente resa dei conti pero’, al massimo qualcuno
fece ingoiare il distintivo a qualche fascistone.
A Roma Buffarini Guidi si caco’ addosso e voleva
farsi arrestare, Carlo Scorza non sapeva che fare
e gli altri papaveri grossi non facevano che andare
a villa Wolkonsky a farsi consolare.
Mia madre poveretta quella notte stava male
con mio fratello Tano da sette mesi nella pancia,
mentre mio padre, lontano, alla Bruca, aiutava
il massaro Santo a nascondere un pilota Americano
ferito nella casetta per il deposito del grano.
Dal paese gia’ da due settimane era scomparso
il Podesta’ Nicastro e se ne stava ammucciato
a vegetare nella sua tenuta dell’Ogliastro.
Per tutta la Sicilia in timidi e gentili gesucristi
s’erano trasformati i gran notabili fascisti.
Il Duce signore e padrone quella notte sembrava
oramai morto e sepolto, ma quant’altro sangue
invece doveva al Nord ancora essere versato prima
che venisse finalmente e definitivamente eliminato
***
2)
Vennero mesi da dimenticare, anzi forse
indimenticabili: due autunni, due inverni,
l’interminabile estate del 44, una primavera
che non arrivo’ a finire. La Guerra "vinta in
partenza" lentamente trasformata in disfatta,
sfigurate le citta’ del Nord dai bombardamenti;
l’Italia spaccata in due, stremata, come una vecchia
vacca portata al macello se ne stava accasciata e
sanguinante sotto i colpi di tedeschi e alleati.
Dalla palude di putredine del Fascismo morto
erano spuntati intanto insetti beceri e assassini:
le brigate nere di Pavolini, la Ettore Muti, le bande
di Koch e di Pollastrini, quel moscone osceno di
Mario Carita’. Abbarbicata alle fabbriche distrutte
come un’edera crescevi anche tu o Resistenza, in
montagna fiorivi e rifiorivi come un’arnica selvatica:
i Gap, le Sap, le Brigate Garibaldi, le formazioni Matteotti,
Giustizia e Liberta’. Fu grazie a te se dal pacciugo orrendo
di sangue odio vendetta e morte di quei mesi venne pur
sempre fuori un’Italia giovane e gagliarda e repubblicana
e vera sopratutto e fresca e pimpante come una fontana.
***
3)
Cinque a Milano, a Napoli ne bastarono
quattro di giornate per mandare a casa
il Tedesco invasore. In cenere e fango
voleva ridurre la citta’ quello spaccimme
del colonnello Scholl:
ogni soldato germanico
diceva " ferito
o trucidato verra’ rivendicato cento volte!"
E che vuol dire stronzo! Vacci tu al lavoro
obbligatorio ommo di merda!
Cosi per primo scoppio’ il Vommero e poi
MaterDei e Porta Capuana mentre intanto i
ragazzi del Sannazzaro partivano a gridare:
a Ponticelli i tedeschi scannano alla gente,
li sparano come fossero cani!
A una gran vampa si riduce cosi il ventre
di Napoli e guappi e masanielli, mariuoli e
lazzari fetienti s’arroventano al fuoco come
tizzoni ardenti. A via Toledo si lancia contro un
carroarmato lo scugnizzo Illuminato, a Santa
Tresa bombe butta giu’ il bambino Gennarino
dal terrazzino delle Filippine… L’Italia pagliaccia,
l’Italia pulcinella, ecco che fa vedere al mondo
ancora una volta quant’e’ bella!
***
4)
Ai nostri monti l’abbiam giurato
cantavano i
ragazzi adolescenti che andavano da Crevola a
Varallo o quelli che sciamavano coi pantaloni corti
tra i castagneti delle Langhe o in ordinata schiera
la stradina salivano che porta in cima al passo del
Cerreto. Ancora prima che spuntasse il sole della
Repubblica Grande sul resto dell’Italia torpida e
marina almeno una ventina furono nel quaranta
quattro le abbaglianti brevi albe repubblicane nate
sopra le nostre stupende montagne partigiane.
Corniola e Alba, quella libera e sognosa dell’Ossola
con Umberto Terracini segretario, Gianfranco Contini
e gli altri intellettuali, una bandiera Tricolore secondo
Giorgio Bocca a bande orizzontali, a strisce oblique
su campo azzurro dicono altri con una stella laterale,
la Valsesia di Salvatore Catania catanese di ventanni
fucilato ad Alagna contro il muro del cimitero insieme
a quindici compagni, Montefiorino modenese coi capelli
neri e crespi delle sue ragazze che saranno poi il cuore
e l’onore della brigata Degli Esposti, e ancora l’Alto
Monferrato e l’AltoTortonese, Bobbio, Consiglio, Carnia,
Val di Taro. L’esistenza di queste tue Repubbliche
stempera l’amaro e non di poco per me o Resistenza
d’una guerra fattasi sempre piu’ caina al Nord e bieca
col suo veleno e la sua violenza cieca.
***
5)
Bianco Navona il pozzo in mezzo alla Piazzetta
di Civitella in val di Qualchecosa – di certo un
fiume: l’Arno, il Pesa, l’Affrico, il Bisenzio…
giunti costi’ in serata videro Firenze in fondo
alla vallata fumigare di luce come una cascata.
Un giro solo di case basse, un breve porticato,
la torre mozza un tempo appartenuta ai conti
Ghigi, il palazzotto in cima al montagnozzo con
dentro quel cagnazzo del Peverino e la ragazza,
la sorellina Bice, pronta la gran vacca sempre
alla monta del Tedesco assassino.
Quel settembre vennero apposta da Firenze
i cinque gap compagni di Vittorio
e Maurizio
in loro onore a giustiziare l’orco e la puttana:
siamo adesso noi, dissero alla gente, il tribunale
del popolo nella libera Toscana!
Viva!
disse la gente e qualcuno sputo’ persino
addosso al Peverino, un altro rise e lo tocco’ col
piede, la maggioranza per un po’ rimase li a guardare
I corpi come fossero stati sacchi di patate poi in
silenzio se ne scese alle vigne ch’era tempo di
raccolta e l’uva non stava certo ad aspettare!
***
6)
Pucci, cosi la chiamava suo padre, studiava al Galvani
di Bologna, col professore Arcangeli il poeta; era brava,
otto in italiano e latino, sette in greco. Aveva tanti amici
intellettuali maschi, di quelli che la sera leggevano Cicerone
sulle scalinate del Baraccano. L’amore per tutti loro era un
sentimento sublime, fuori da questo mondo, se s’incarnava
forse soltanto in lei s’incarnava, la Pucci, ma guai a toccarla
ch’era di porcellana. Arrivo’ la Guerra cattiva, con le bombe
e la fabbrica del padre distrutta, la famiglia di Pucci sfollo’
a Montombraro, dalla dada Delma e dal marito Otorino che
aveva il campetto di duroni sulla strada di Zocca. Era molto
carina la Pucci, di lei s’innamoro’ un ragazzo biondo, uno dei
Balugani, di mestiere falegname, a mezzo servizio partigiano.
Una volta andarono insieme nel bosco e da allora la Pucci
divenne una staffetta. Portava mangiare sui monti con la
bicicletta, lettere, medicinali, notizie, senza che il padre ne
sapesse nulla. I fascisti la presero una domenica di marzo del
45, dalle parti di Sestola, la tennero per un pezzo e come fu
come non fu la rilasciarono cadavere un mese piu’ tardi a
Motta di Cavezzo.
***
7)
Finita la Guerra l’Italia fascista era in gran parte
intatta, vivi erano ancora sopratutto il Re e Badoglio,
circondati da tutto un gruppo di cortigiani e
generali inetti e traditori. C’erano pure in giro
alcuni caporioni della vecchia Italia prefascista:
Nitti, il conte Sforza, Vittorio Emanuele Orlando…
anche di loro l’Italia Nuova doveva tener conto.
Prima di tutto bisognava ripulire quel lerciume
ripugnante rimasto appiccicato del Fascismo e
questa operazione venne chiamata Epurazione.
C’erano gia’ le commissioni alleate a questo scopo
e l’Alto Commissario; fecero apposta ora un’Alta
Corte, le Assisi straordinarie e le speciali… dalli al
fascista quindi, specie al repubblicano! Ma scava
scava chi era questo fascista in fondo in fondo se
non lo stesso popolo italiano?! Siamo duplici noi,
triplici anzi, accomodanti, superficiali, volitivi,
cinici e bastardi, piano piano arrivammo come a
perdonare, come a dimenticare. Persino gerarconi,
luridi squadristi e caporioni assassini, piano piano
anche loro alla fine li lasciammo andare.
Per un po’ se ne rimase nascosta questa gente a nulla
fare, poi s’organizzo’ e timida riapparve sotto il nome
d’Uomo Qualunque o Movimento Sociale. Siamo come
certi stronzi a volte noi italiani, gira gira ritorniamo
sempre a galla sopra il pelo dell’acqua a stronzolare.
***
8)
Di certo mio padre voto’ Socialista
all’elezione della Costituente, per Lupis
Giuseppe naturalmente – non era ancora
spuntato il Sole Nascente! – quel parente
del dirimpettaio sindaco barone che si ballava
assieme in famiglia la sera e intanto s’ascoltava
Radio Londra poco prima della Liberazione.
Repubblica voto’ mio padre al Referendum.
Mia madre invece alla fine non so che cosa fece,
forse non ci ando’ nemmeno a votare come
mia nonna la pazza che sbraitava in paese
da un bel pezzo pigliando tutti per comunisti
e cane bastardo
chiamava il barone e
assassino
di due dei suoi figli fascisti.
E cosi fu che il tre giugno l’Italia si risveglio’
Repubblica. Il