Tempesta
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Info su questo ebook
Non esiste altro termine per definire questo libro.
Prendete la Noia, la Rabbia, la Paura, l’Impotenza, lo Sdegno e mescolate il tutto assieme all’Amore, al Sesso, alla Voglia di Vivere, al Bello, alla Gioia.
Aggiungete poche gocce di rarefatta essenza d’Arte e lasciate decantare per qualche istante.
Solo allora intingete la cannuccia della Poesia e soffiate.
Apparirà una bolla iridescente d’incredibile bellezza:
TEMPESTA!
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Anteprima del libro
Tempesta - Giacomo Rigutto
Giacomo Rigutto
Tempesta
© Giacomo Rigutto
www.editorialeunicorn.it
Edizione ebook: novembre 2012
ISBN: 9788867553594
1ª Edizione: novembre 2012
Progetto Editoriale Unicorn
Copertina: Studio VP
Indice
1 Per iniziare
2 Illegio
3 Toni
4 Stupinigi
5 Bolla di vetro
6 Arte povera
7 Tempo perso
8 Sorpresa
9 A casa
10 Strano gioco
11 Dentro
12 I coniugi Arnolfini
13 Lele
14 Ritorno a Torino
15 Oggi è domenica
16 Il muro
17 Villa Manin
18 Pier
19 Gino
20 Tango
21 Terremoto
22 Residence mostro
23 Venaria Reale
24 Palazzo Grimani
25 Gola profonda
26 Viola
27 Un incubo
28 Il sogno
29 Missione
30 Transumanza
31 Il mio nome è Tempesta
32 La Tempesta
33 Per finire
<< il Signore è il mio pastore. Non manco di nulla.>>
Salmo 23
A Tina e Gelso
Per iniziare
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Lei cominciò a farmi il solletico.
Confessai subito, raccontandole la mia
versione dei fatti.
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2.
Illegio
Di solito preferisco fare un giro da solo in cerca di donne, insomma cercare tette e culi in giro, ma se gli amici mi portano da qualche parte per passare la giornata assieme, allora va bene lo stesso, non è escluso che incontriamo le donne giuste.
Almeno ci proviamo in compagnia.
Mi preparo all’idea di passare tutto il sabato in Friuli, una terra che ho frequentato per lavoro e per altro. Sono posti che in gruppo abbiamo già battuto e dove abbiamo abbondantemente dato e preso.
Il gruppo è dei soliti quattro e lasciata l’autostrada prendiamo la direzione che ci porta su verso la montagna.
Percorriamo strade sempre più strette e tortuose imbucando anche gallerie scavate nella roccia e costeggiando canaloni strapiombanti e ghiaioni che promettono rovinose scariche di massi e sassi.
Luoghi più adatti ai camosci o all’orso che all’uomo.
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Dico avvicinandomi al vetro del finestrino per osservare l’esterno.
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Gino è un mio vecchio amico, è lui che ha la macchina buona, è lui l’intellettuale del gruppo.
Col fatto che lavora in un bar gli è capitato di procurare alcuni inviti per entrare in una mostra in un posto della Carnia.
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Gino sorride sempre pensandoci, è un vero cultore del mondo e dell’universo femminile.
L’invito arrivava da un gruppo di musicisti friulani, conosciuti in giro, che qui vicino partecipa a una festa con balli e canti.
Con quattro inviti per la mostra e la promessa di passare la giornata a far baldoria, chi volete che non si muova?
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Aggiunge Gino.
Con noi ci sono due compari, gli altri due della muta sistemati nei posti dietro; Arturo si è fatto una canna prima di partire e adesso è appoggiato con la testa al finestrino.
Sta dormicchiando a bocca aperta e neanche un’esplosione lo sveglierebbe.
Lele, già carico di ombre e di Spritz, sta ascoltando musica con la cuffietta.
È come non averli a bordo, tanto a loro non gliene frega un cazzo di dove andiamo, l’importante è muoversi, è andare per mantenersi in movimento,
Da buoni cani da slitta appunto.
Frega poco anche a noi due, ma almeno stiamo attenti alla strada, seguiamo la pista.
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Mi risponde Gino.
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Ribatto guardandolo impegnato nella guida.
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Conclude lui.
Conosco bene Gino, con lui mi è capitato di ritrovarmi dall’altra parte del confine a giocare a moscacieca con ragazze seminude, uno spasso. Veramente.
Arriviamo in un paese con poche case e altrettante anime sperdute, ci saranno sì e no tre o quattrocento abitanti al massimo.
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Mi adatto all’idea salendo lentamente a piedi il centro del minuscolo borgo, costeggiando un piccolo torrente che nel percorso alimenta alcuni vecchi mulini fatti interamente di legno.
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Chiedo preoccupato.
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Dice Gino.
E’ lui l’intellettuale del gruppo, è lui che sa le cose.
Arturo e Lele si sono fermati all’osteria di sotto, l’unica osteria aperta, non se la sono sentita di affrontare l’emozione di una mostra e poi…
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Aveva aggiunto Arturo.
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Con gli amici musicisti entriamo nella mostra di opere sacre e dopo poco abbiamo le balle spappolate e siamo già stanchi di ascoltare questi giovanotti che si sforzano di spiegarci il valore e il significato di alcune statue e dei dipinti che incontriamo nel giro di questa casa carnica diventata museo e sede espositiva.
Io vorrei gettare uno sguardo e via, con la velocità giusta, tanto per essere appunto superficiale, ma arriva una ragazza che raccoglie il mio interesse e quello di Gino.
Lei si appassiona nel descrivere i dipinti antichi e le sculture che provengono da mezzo mondo, io ho un solo pensiero.
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Gino, l’intellettuale del gruppo sta guardando fisso la ragazza e mi fa.
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Questo angelo è a proprio agio in mezzo a putti volanti e a dipinti sacri; svolazza nel cielo con le sue parole mentre io penso al cielo della mia stanza che è sempre lo stesso, bianco da una vita e dove non ho mai visto volare putti o angeli o tanto meno cavalli alati, ma a volte diavoli, dei poveri diavoli.
Il tempo sta cambiando rapidamente da queste parti in Friuli e all’uscita dalla mostra ritroviamo Lele e Arturo che ci aspettano, già abbondantemente alticci, sotto una leggera pioggerellina che si trasforma poi, nel giro di pochi minuti, in una bufera di neve.
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Dice Lele proteggendosi dentro un portico ad arco, fatto con conci di pietrame, <
Salutiamo i musicisti montanari che ci lasciano in braghe di tela, preoccupati più dei loro strumenti che di passare qualche ora in nostra compagnia.
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Dico stringendomi agli altri dentro al portico, unico riparo in mezzo alla tormenta.
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Sbotta Lele.
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Aggiunge Arturo.
Poco dopo inizia a grandinare in modo furioso, da coprire tutto di chicchi ghiacciati e il paese viene invaso da una serie di torrenti impetuosi, carichi di magma ghiacciato, che portano con se tutto ciò che incontrano.
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Dice Arturo col cappello rasta calato sulla testa.
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Aggiunge Lele, bestemmiando sottovoce.
Troviamo riparo nell’antica osteria che ha anche uno storico fogolàr carnico e, tra ricordi di vecchie battaglie tra Partigiani e Cosacchi e vari amori antichi e moderni, ci siamo bevuti l’impossibile.
Dalle due finestre affiancate poste nella stanza del fogolàr si vede un mondo invaso da chicchi di grandine che piano piano ritornano ad essere neve. Gli alberi, i prati e i boschi si ricoprono di un manto candido e tranquillo.
Noi attorno a questo fogolàr vediamo il soffitto nero pece trasformarsi in spicchi di azzurro con nuvole multicolori.
Il fumo sale lento dal ciocco acceso sistemato al centro del camino.
Sembra di essere in una tenda indiana.
Ci siamo sistemati agli angoli del fogolar.
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<<È proprio vero>> ribatto, << con voi non si riesce a fare niente di normale, tutto dev’essere memorabile.>>
Arturo da un pezzo gioca con il suo berretto rasta multicolore e Lele ha la faccia più stupida del solito, ma è tranquillo, sereno.
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Arturo non scherza quando lo dice.
Certo nessuno vuole lasciare quel luogo, quel paesaggio in mezzo alle montagne ricoperte di neve. Nessuno vuole lasciare quel fogolàr che è l’unica barca riscaldata e illuminata in mezzo a un mare bianco dove sta calando una serata struggente.
Arturo continua a guardare una statuina della madonna, collocata sopra un piccolo mobiletto sistemato fuori dal fogolàr.
Alta sì e no venti centimetri è attorniata da alcune candele votive accese e da altre immagini di madonne e santi.
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E con un colpo di fiato, Arturo spegne tutte le candele.
Lele che è seduto nell’altro angolo del camino gli dice:
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Gino, l’intellettuale del gruppo, se ne sta con il bicchiere in mano a riflettere.
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Aggiunge Lele, guardando il fumo salire lento nel camino.
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Gino se ne intende veramente.
Nel suo bar, di vino, ne passa molto e se ne vende in quantità.
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E intanto Gino ride, ridiamo tutti...
Io sto smaltendo la mia sbornia con gli effetti che conosco bene: non ci sento molto bene e ci vedo peggio, eppure rido.
In questo clima da mangiatori di patate sorridenti
non desidero altro che poter dormire un poco, magari per mezz’ora, magari appoggiato a uno dei tavoli d’angolo del fogolàr.
Arturo intanto, ha preso di mira una cameriera, una bella mula del posto, che ha risposto al fascino caraibico del nostro con un sorriso di timida, ma sincera approvazione.
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Dice Arturo al gruppo.
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Risponde Lele, che aggiunge subito dopo:
<< Chi si muove è perduto!>>
Arturo sparisce per il tempo necessario a farmi ricordare che questa storica osteria è anche una locanda.
Quando ritorna ha i capelli rasta più scombussolati di prima e un sorriso stupido stampato sulla faccia.
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Rispondiamo in coro noi tre.
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Ritorniamo a casa di notte, seguendo le stelle del cielo e partendo dalla Stella d’Oro.
Quelli dietro dormono, Gino ascolta la musica con le cuffiette canticchiando arie di opere liriche, io guido. Sono l’unico in grado di farlo.
3.
Toni
Alle quattordici in punto suono il campanello del condominio, poco dopo mi viene aperto senza richieste.
Prendo l’ascensore e salgo al terzo piano mansardato dove trovo la porta aperta.
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Tes è la badante di mio padre, vive con lui dopo la scomparsa di mia madre Lisa.
Tes prende la sua roba, una borsa chiara e saluta.
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Rispondo accompagnandola.
Chiudo la porta dell’ingresso e mi avvio verso la camera di mio padre.
Toni come al solito a quest’ora dorme.
La persiana della sua finestra è leggermente alzata e fa entrare una bella luce nella stanza, come piace a lui.
Ritornato verso il piccolo soggiorno, sistemo sul tavolo da pranzo due mazzi di carte, uno da scala e uno per il gioco della briscola e della scopetta.
Fuori la giornata è calda e luminosa.
Questa mattina sono andato al mercato e ho comperato del formaggio grana e della ricotta per la cena.
Mi siedo davanti al tavolo da pranzo e comincio a fare un solitario con le carte.
È sorprendente quanto tranquillo sia adesso questo piccolo soggiorno.
Tra poco arriverà Toni ad animarlo perché, lo so, solo dopo qualche minuto che Tes se ne è andata, arriva lui, non so come fa, ma arriva puntuale e senza farsi sentire, col suo passo antico, felpato, da giaguaro.
Puntualmente si mostra all’ingresso del soggiorno, dentro le sue solite ciabatte consunte e indossando una camicia nuova fiammante, così bella che lo ringiovanisce.
Ha la barba rasata di fresco e si è pettinato la folta chioma e le sopracciglia a cui tiene molto, da sempre.
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Rispondo io.
E’ il mio modo di salutarlo al lunedì.
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E si avvia al suo posto, vicino alla finestra che dà sull’ampia terrazza dell’appartamento.
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<<È uscita, è appena andata a fare un giro.>>
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Toni mima un gesto per dirmi che non ha inteso.