Fatti Per Non Durare
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“Quando fu l’ultima volta che camminammo a fianco agli dei?” Mentre prosegue lenta e inesorabile la disgregazione delle società umane, la scienza brancola nel buio in cerca di una soluzione che non arriva.
È in questo contesto che Amber, ormai anziana, benché desiderosa in cuor suo di far perdere ogni traccia di sé, cerca spiegazione alle imbarazzanti coincidenze che da oltre cinquant’anni la chiamano in causa. Il destino del maxima predator sulla Terra è agli sgoccioli? E noi, siamo davvero “Fatti per non durare”?
Ambra Mattioli è una cantante e scrittrice, art performer divenuta nota al grande pubblico per la partecipazione alla prima edizione italiana di «The Voice Senior». È anche pittrice, ebanista, artigiana del legno e come tale progetta e costruisce mobili e oggetti d’arredo. Ama la musica e David Bowie in particolare. Come scrittrice ha pubblicato i tre romanzi della «Trilogia di Amber», scritta con la collaborazione di suo figlio Flavio: «The Arcade», «Il collezionista di opportunità» e «Fatti per non durare», cui sono seguiti una raccolta di racconti brevi: «Paradigma imperfetto - Storie di universi periferici», e i due romanzi «La Terra degli altri» e «Black Star».
Web: www.ambramattioli.com
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Anteprima del libro
Fatti Per Non Durare - Ambra Mattioli
FLAVIO MARCELLO TROISO, AMBRA MATTIOLI
FATTI PER NON DURARE
FATTI PER NON DURARE
Terzo Capitolo della Trilogia di Amber
di
Flavio Marcello Troiso
e
Ambra Mattioli
Roma 2013
Proprietà Letteraria
© 2013 di Flavio Marcello Troiso e Ambra Mattioli
Tutti i diritti riservati
flavusmarcello@hotmail.it
ambramat@hotmail.it
Grafica di Copertina: Alessia De Magistris
Al mio caro Jason
Amber.
DEGLI STESSI AUTORI
THE ARCADE
Primo Capitolo della Trilogia di Amber
IL COLLEZIONISTA DI OPPORTUNITA’
Secondo Capitolo della Trilogia di Amber
UUID:
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
INDICE
PRESENTAZIONE
1 Una lunga notte
2 Silenzio
3 Il diario di Amber
4 Magneto Tactic Bacteria
5 L’intruso
6 ‘I samurai sono morti’
7 La promessa
8 Figliol prodigo
9 Niente avviene per caso
10 L’attentato
11 L’elezione
12 Cade la maschera
13 Ologramma
14 Fratello Raphael
15 Efriw
16 L’altra parte
17 Unione
PRESENTAZIONE
Il lettore che si fosse lasciato sfuggire il primo e il secondo romanzo della trilogia di Flavio Marcello Troiso e Ambra Mattioli, The Arcade
e Il Collezionista di Opportunità
, troverà in questo volume conclusivo, che si legge come un’opera a sé stante, tutti i dati necessari per seguire fino allo scioglimento finale le vicende che vedono come protagonisti i membri della famiglia Thornsen.
Quando fu l’ultima volta che camminammo a fianco agli dei?
L’umanità è prossima alla fine, afflitta da una forma di sterilità irreversibile. La scienza brancola nel buio più totale in cerca di una spiegazione che non arriva, mentre inizia lenta e inesorabile la disgregazione delle società umane. Alla luce delle nuove scoperte scientifiche e venuti a mancare i principali fondamenti di fede, le religioni monoteiste subiscono un drastico ridimensionamento. I vertici ecclesiali tentano di addossare la colpa del devastante tracollo umano alle nuove specie senzienti, comparse da poco sul pianeta, ma si verificano imprevedibili connessioni di eventi che, alzando la posta in gioco, riducono drasticamente le già scarse possibilità di sopravvivenza dell’uomo. È in questo allarmante contesto sociale che la biologa Amber Matthews, ormai anziana, desidera far perdere ogni traccia di sé, senza però smettere di cercare la spiegazione scientifica alle innumerevoli stranezze che da oltre cinquant’anni continuano a coinvolgerla suo malgrado. Il destino del maxima predator sulla Terra è agli sgoccioli? E noi, siamo davvero… Fatti per non durare?
1 Una lunga notte
Plymouth, Massachusetts. 22 dic. 2111 ore 2.00 a.m.
«Che diavolo sto facendo…»
«Alludi al nostro ospite o è solo un’altra brutta giornata, Amber?».
Il silenzio si condensava sui muri intrisi di polvere proveniente dai vecchi libri.
«Forse dovrei farlo fuori» disse lei, lanciando uno sguardo bieco al corpo avvolto tra le coperte sul divano.
«Non pensarci neppure. Manderesti all’aria la tua vita» rispose la voce alle sue spalle con un lieve ronzio.
«Vita… questa la chiami vita? Da quando Jason se n’è andato, sto qui che parlo a una macchina, figurarsi».
«Hai sempre avuto il gusto del melodramma».
La luce fredda del blindato di pattuglia penetrò nonostante le imposte serrate, e come sempre riuscì a sorprenderla. Poi anche il rombo del mezzo in corsa svanì in lontananza.
«Al diavolo! Ogni cosa dovrebbe avvenire al momento giusto ma evidentemente, questo non vale allo stesso modo ovunque e per tutti», il suo viso restò in ombra dietro lo schienale della poltrona «bisogna fare i conti col destino che gioca dall’altra parte del tavolo verde. A lui sì, è permesso barare. Tu invece, puoi solo contare su una buona dose di fortuna» fece una lunga pausa «…ma credo che anche la fortuna sia sul suo libro paga».
«Un’analogia un po’ riduttiva, sai fare di meglio» ribatté la voce sempre cordiale. «Vuoi che conservi queste dichiarazioni su un file, o preferisci intrattenere solo un’amena conversazione?».
Sembrò non udirlo. «Sai qual è la cosa più noiosa della mia vita? Consiste nel fatto che continuano a verificarsi degli eventi eccezionali, e questo mi fa impazzire». Lo fissò, al punto che se l’altro fosse stato umano avrebbe senz’altro abbassato lo sguardo; cosa che non fece. «Forse hanno ragione quei giocatori che scommettono sul ripetersi delle sequenze. Chissà perché, pensano che gliene freghi qualcosa ai numeri di uscire in fila, ben ordinati quando invece possono semplicemente non farlo».
«Per dirla tutta, non ho mai verificato la percentuale di uscita di una sequenza numerica. Vuoi che provveda ora?» chiese l’interlocutore con l’insistenza che lo contraddistingueva.
Gettò una rapida occhiata alla vecchia pendola contro il muro. Segnava le due e dieci antimeridiane.
C’è ancora tempo, pensò lei.
Si inoltrò nel suo ragionamento come fosse un monologo. «Chissà perché tentiamo da secoli di ordinare il caos», dopo una pausa, incalzò «…e se fosse il caos a determinare l’equilibrio, e noi ad essere fuori posto, come la nota stonata in un coro?».
Altri fari, stavolta provenienti da un convoglio, filtrarono dalle imposte, illuminando a giorno lo studio. I libri che aveva raccolto erano tutti là, sotto uno strato di polvere gloriosa, in ordine tra gli scaffali. Più in basso, nell’angolo sotto la finestra, un acquario vuoto. Le ombre ingigantite dei suoi cari oggetti piroettarono al centro della stanza e svanirono sulle coste dei libri sul fondo della parete.
Calma… c’è ancora tempo.
«Davvero ti aspetti una replica o la tua è solo un’analogia del tutto retorica?».
«Oh, quindi tu… hai una risposta?».
Nonostante il sarcasmo, la voce si mantenne garbata.
«Ordine e caos sono astrazioni contrapposte. All’attivo ho 32.664 note in memoria, che attribuiscono al pensiero matematico e filosofico tali concetti, come ad esempio, l’equilibrio. Nella fattispecie esso si determina quando tra due poli…».
«Stronzate!» Con un moto di stizza, lei troncò la dissertazione.
«Okay, allora dimmelo tu.».
«L’ordine lo facciamo noi. Il caos è sempre opera altrui!» disse astiosa riferendosi apertamente alla figura raggomitolata tra le coperte.
«Più che altro sembra un aforisma di comodo».
«Mmh, proverbi, analogie… sono l’unico sistema che abbiamo per riconfigurare concetti astratti. Ma ti dirò una cosa. Quando la realtà si fa troppo complicata, o incomprensibile, ecco che la rivestiamo con qualcosa di più familiare. In questo, devi ammettere, noi umani siamo gran maestri».
«Se ti riferisci alle metafore o all’uso di figure retoriche, concordo pienamente. Sono tentativi mirati a ordinare quel caos a cui accennavi poc’anzi; tutto merito della vostra intelligenza speculativa… sono molto ammirato. Però mi domando, voi umani, sapreste indicare l’esistenza di un punto d’origine che includa il concetto indeterminato di caos?» chiese simulando del genuino interesse nella voce.
«Ahimé, la trappola con Dio al posto del formaggio, è scattata. Eccone un altro alla ricerca dell’Onnipotente!» esclamò sprezzante.
L’uomo sprofondato sul divano dormiva profondamente. Gli indirizzò uno sguardo velenoso ma moderò il suo tono di voce. Anche le parole si addolcirono, come se inseguisse un pensiero frangibile.
«Mi pare ancora di vederli» mormorò fissando un punto imprecisato oltre la parete dello studio, «…rintanati in quelle loro grotte fetide e goccianti. Stretti gli uni agli altri. Infreddoliti, a sperare nel nuovo sole dopo la lunga notte» distolse gli occhi infastidita dalla presenza sul suo divano. «No» ribatté con fermezza. «Dio non c’entra proprio niente. È la paura il vero motore del mondo! Che ci spinge a cercare, a rovistare e non ci da tregua e sempre ci attanaglia le viscere. È per paura che ci illudiamo di aver trovato alfine… l’Ordine». Accentuò con amarezza l’ultima parola. Poi l’indice rivolto verso l’alto si riunì alle altre dita e l’avambraccio tornò a posarsi mollemente sul bracciolo della poltrona. «Ma tu… che capisci tu».
La conversazione si spense.
«Ti senti bene?».
«Non essere ridicolo».
«C’è qualcosa che posso fare per te?».
«Shsss finiscila di seccarmi. Portami quella stupida medicina, poi sparisci!».
Dal carrello accanto alla finestra, il braccio metallico del robot domestico, versò dell’acqua in un bicchiere e vi lasciò cadere due pasticche che si sciolsero subito. Porse tutto a quella mano. Un attimo dopo il bicchiere vuoto tornò sul vassoio che il robot portò via con un lieve ronzio elettrostatico.
La medicina avrebbe fatto effetto in pochi minuti, gli stessi che le bastavano per tornare con la mente a quel giorno di tanti anni prima, quando suo figlio, il Maestro Psichico Flavus, pronunciava il formidabile discorso alla Brown University, che di fatto segnò l’inizio delle ostilità.
Amber chiuse gli occhi, soppesando le sue sessantanove primavere. Sarà una lunga notte pensò, mentre tutto stava per ricominciare.
La legge dell’orso
(Dal diario di Amber Matthews)
Era la mattina del 28 dicembre del 2092; per l’esattezza vent’anni da oggi. L’Aula Magna della Brown University, di Boston, Massachusetts, era stracolma all’inverosimile. Mio figlio Flavus, Maestro della Gilda dei Psichici, sedeva impassibile tra i relatori. Essere Maestro Psichico presumeva la capacità di estendere e ampliare la comprensione degli interlocutori tramite l’eliminazione della parola, a tutto vantaggio del libero fluire dei pensieri e secondariamente, della riconciliazione delle parti in disaccordo. La Gilda, composta da ventiquattro maestri telepatici, era costantemente impegnata ad appianare ogni tipo di controversia e a sedare il nascere dei conflitti nel mondo.
L’eccitazione che vorticava in quel momento attorno a mio figlio, sembrava non sfiorarlo affatto, eppure tutto dipendeva dal discorso che avrebbe tenuto di lì a breve e che nessuno dei presenti si sarebbe perso per niente al mondo.
Non vi erano dubbi circa la natura del suo intervento. Per la prima volta, un Maestro Psichico avrebbe dichiarato pubblicamente la posizione ufficiale della Gilda in merito ai fatti eccezionali accaduti nel sottosuolo di Nameloc Heights, pochi mesi prima; fatti che stavano mettendo a dura prova le sacre dottrine religiose. Quella mattina Flavus, avrebbe confutato (forse) le dicerie che circolavano sulla nuova specie intelligente comparsa sul pianeta, le Fanfin Anglerfish, e (sempre forse) respinto, le accuse rivolte alla Gilda di voler amplificare il discredito dei più alti fondamenti religiosi. Le accuse ai Maestri Psichici erano state mosse dalle gerarchie delle principali religioni monoteiste presenti alla conferenza. Il contraddittorio sarebbe avvenuto su terreno neutrale, per l’appunto la nostra Università, e rappresentava un piatto troppo succulento per non suscitare un gran vespaio, i network appollaiati alle loro postazioni, affilavano gli artigli come tanti avvoltoi pronti ad avventarsi sulla carcassa di chi per primo fosse crollato.
L’attesa si era fatta sfibrante. Sbirciai la platea. In prima fila sedeva il Presidente dell’Ateneo, intento a ricevere il plauso dalla sua corte, il consiglio dei professori al completo. Tra tutti, spiccavano le facce perforanti dei docenti di storia e teologia, due preti cattolici in pieno assetto di guerra, con le cartelle zeppe di appunti e annotazioni. Al loro fianco sedeva una nutrita schiera di Imam dall’apparente indifferenza, rassegnati a quella che ritenevano fosse una perdita di tempo. La delegazione di rabbini, fissava in cagnesco la minoranza islamica sciita, nonostante si profondesse in larghi sorrisi e inchini. Schiere di studenti provenienti da altre università, sedevano dietro le prime file ma i loro intenti erano chiari. Indossavano tutti la maglietta della controreazione che riproduceva la dentatura affilata di una fanfin con la scritta: Fanfs: the other face of God! (N.d.A.: «Fanfs» è abbreviazione di fanfin. Traduzione: «Fanfin: l’altra faccia di Dio!»)
Alle dieci in punto, al culmine del nervosismo, mi alzai dirigendomi sul podio, dando così il via ufficiale al dibattito. Credetemi, avrei ceduto ben volentieri il ruolo di mediatore ad altri colleghi docenti ma purtroppo oltre a insegnare biogenetica in quell’Università, ero anche la madre del Maestro Flavus; non avrei potuto esimermi da quell’incombenza neanche volendo. Non c’era troppo da stare allegri. Ero certa che già alle prime battute della mia introduzione sarebbe scoppiato il putiferio. Molti si erano opposti al fatto che questa riunione avvenisse nella nostra Università, e tra i detrattori, c’erano i due terzi del consiglio dei docenti. Così, annusata l’aria in platea, decisi all’ultimo istante di stralciare alcune parti della mia nota introduttiva, per ridurre al minimo gli attriti. Nonostante questo, il mio disagio aumentò. Arrancai su per i gradini del mio patibolo e iniziai il discorso camminando sulle uova.
«Buongiorno a tutti. A nome della Brown University, che ho l’onore di rappresentare, desidero darvi il benvenuto e ringraziare tutti per essere intervenuti quest’oggi così numerosi a questo dibattito, che ci auguriamo sia vantaggioso e stimolante per ciascuno di noi».
Riuscii persino a sorridere, accordando all’aula brulicante di studenti, il tempo necessario per accomodarsi e fare silenzio.
«Molti di voi già mi conoscono» ripresi «sono Amber Matthews, docente di biologia. Da due anni organizzo anche dei corsi propedeutici di biogenetica ai quali, noto con piacere, qualcuno di voi è sopravvissuto».
Qualche gonzo ridacchiò.
«Oggi», proseguii «è con particolare orgoglio che voglio presentarvi un rappresentante della Confraternita degli Psichici, invitato dal Presidente della nostra Università, per parlarci di un delicato e controverso argomento che non può essere disatteso. Oggi, per la prima volta, tratteremo pubblicamente della comparsa di una nuova specie senziente sul nostro pianeta, le Fanfin Anglerfish, con toni che mi auguro si manterranno pacati e rispettosi delle diverse opinioni. Accordiamo quindi al Maestro Flavus, appositamente giunto dall’Europa, il nostro caloroso benvenuto!».
La folla concesse un generoso applauso, sul finire del quale ritrovai un po’ di coraggio.
«I dubbi, le incertezze, sono più che leciti. Abbiamo trascurato, forse sottovalutato la comprensione di accadimenti cui siamo stati testimoni in questi ultimi mesi. Questi fatti rivestono un’importanza fondamentale per l’equilibrio sociale e per la convivenza tra specie, ma finora sono stati accompagnati solo da commenti sbrigativi o da drastici negazionismi».
La sala mormorò cauta.
«Per quanto incredibile e inaspettato, l’avvento delle Fanfin non è stato l’unico evento straordinario a coglierci impreparati. Un messaggio telepatico non meno stupefacente, ci è pervenuto dal Collezionista, un’antica entità demiurgica, testimone dei mutamenti avvenuti sulla terra nel corso delle ere. (N.d.A.: Si tratta di eventi narrati ne «Il Collezionista di Opportunità», secondo libro della trilogia (composta da «The Arcade», «Il Collezionista di Opportunità» e «Fatti per non durare».)
Tra qualche giorno i Maestri Psichici provvederanno a diffondere questo messaggio, nei giusti tempi e metodi al mondo intero, allo scopo di fare chiarezza sulle origini della vita sul nostro pianeta, la nostra vita… qualunque altra vita».
Il mormorio divenne un brontolio sinistro. La folla scalpitava come un cavallo da corsa al nastro di partenza.
Ripresi «Lo shock culturale e religioso prodotto dalla nuova realtà esistenziale è sotto gli occhi di tutti, e merita di essere affrontato con la massima cautela e competenze specifiche. Se siamo qui oggi, sono certa che sia per ampliare i nostri orizzonti di conoscenza e per soddisfare il desiderio di trasparenza e obiettività che l’argomento esige. Gli occhi del pianeta intero si volgeranno al nostro grande paese come a un faro, la cui luce proietterà sul mondo i dettami per una pacifica convivenza, le direttive socio-politiche, e tutti quei provvedimenti che esso intenderà adottare. Il nostro esempio verrà seguito da tutti gli altri paesi nel mondo».
Nessun lancio di anatemi, ma il passaggio relativo - al faro che illumina il mondo -, forse avrei fatto meglio a stralciarlo dal discorso. Comunque finora me l’ero cavata discretamente. Un ultimo sforzo, mi augurai, avviandomi a concludere il più rapidamente possibile.
«So che alcuni di voi si sentono disorientati, quasi impauriti al pensiero che un’altra specie, così diversa dalla nostra, possa svilupparsi sul questo pianeta. Ecco perché un Maestro Psichico, uno dei massimi esponenti di purezza del pensiero, è con noi quest’oggi. Attraverso la sua opinione analitica, vi munirete ragazzi, dello strumento necessario ad avviare il lungo percorso di integrazione sociale che tutti noi saremo chiamati a intraprendere nei prossimi anni; un cammino niente affatto in discesa o costellato da facili successi ma perlomeno, e questo ce l’auguriamo tutti, finalizzato e consapevole. Per coloro i quali avessero delle domande da porre al Maestro in forma privata, alla fine della conferenza e solo allora, egli sarà a vostra disposizione. Vi ringrazio per l’attenzione».
Finito! pensai. Trassi un sospiro di sollievo sulla scia dell’applauso che accompagnò la mia uscita di scena. L’introduzione, nonostante avesse sfiorato argomenti ritenuti incandescenti, non aveva alimentato tensioni e tornai a sedere.
Il brusio andò scemando. Tutti gli occhi si spostarono sulla figura che mosse al podio. L’abito, il mantello, e l’ologramma impresso sul pettorale di cuoio, erano elementi che destavano un senso di inquietudine, misto a reverenza. L’ologramma riproduceva un occhio senza palpebra, il simbolo della Gilda, la metafora del pensiero depurato dalla parola, ma erano in molti ad averlo scordato o a fingere di non saperlo.
Il collegio dei docenti mormorò, sottintendendo alla sua giovane età e alla sua possibile inesperienza. Non per questo, i volti dei due preti teologi, i professori Deeper e Clauster, parvero rilassarsi.
Flavus si alzò e subito il silenzio si fece assoluto. I suoi passi risuonarono come rintocchi di pendolo. Prese posto, e quando parlò, la sua voce priva d’inflessione si librò alta tra le architravi dell’Aula Magna e lentamente calò sulla platea.
Iniziò proprio con la celebre metafora dell’Orso; quella che in seguito passò alla storia.
«Voglio raccontarvi una storiella» disse entrando subito nel vivo. «La legge dell’orso». Il silenzio nell’aula si addensò.
«Qualcuno di voi la conosce?».
Gli studenti si scrutarono perplessi.
Il Maestro incominciò con voce pacata «Un grande orso si trova ai piedi di una montagna» fece una pausa. «È nel suo territorio. Attorno a lui ci sono rocce, vegetazione rigogliosa, il fiume…» un’altra pausa, «l’intera foresta sembra appartenergli. Qualcuno sa dirmi perché?».
Il silenzio si trasformò in imbarazzo. L’aula era stata colta in contropiede.
Flavus osservò i volti vagamente scettici dei professori in prima fila «Coraggio, nessuno…?».
Dal fondo, un ragazzo sollevò la mano timidamente «Perché lui è… un orso!» balbettò.
L’aula accolse la geniale affermazione con una sonora risata, che però contribuì ad alleggerire la tensione.
«Sì. Egli è l’orso!» confermò semplicemente lo psichico.
«Beh… quello che volevo dire, è che non c’è nessun altro che può batterlo, tranne…», il ragazzo esitò per un attimo, «un buon Remington 887!».
Risero. Ma stavolta qualcuno anche annuì. Il ragazzo si sedette visibilmente compiaciuto.
«È corretto.» assegnò Flavus «L’orso è il predatore al vertice della catena alimentare, e impone la sua legge alla foresta; una legge che proviene direttamente dalla sua forza».
Il silenzio si ricompose.
«Ora, assegnerò l’esatto ruolo a ogni elemento della storia. L’orso, rappresenta l’intera umanità. La foresta, i fiumi, gli alberi e la sua tana, ritraggono le nostre grandi metropoli, con strade, edifici, e ogni moderna tecnologia». Pausa «Che mi dite riguardo tutto il resto, ovvero i rapporti con le altre specie, le interazioni, le alleanze, i contrasti… la predazione?».
«Il business - La forza lavoro! - I fastfoods - La Coca cola!».
«Gli sbirri… - La legge - I preti!» gridarono dal fondo.
«I professori… Buuuuuuu» risata generale.
«I nemici… le Fanfin!».
Subito il silenzio si rifece assoluto.
«E il Remington?» arrischiò Flavus in modo provocatorio «Anche se una trappola per orsi, nella fattispecie, risulterebbe più appropriata…».
I giovani si scrutarono in cerca del solutore del rebus.
Flavus ne approfittò per inviare direttamente alle loro menti una semplice immagine; niente di particolarmente cruento, solo un orso che tenta inutilmente di risalire da una trappola scavata nel terreno.
Un oh… di stupore echeggiò dalla sala. Un centinaio di ragazzi si alzò per abbandonare l’aula; un comportamento conforme a ciò che avveniva nel resto del mondo. Erano in molti a mal tollerare le capacità mentali di uno Psichico e l’atteggiamento raccomandato dalle guide religiose, da porre in atto ogni qual volta nuove facoltà umane si manifestavano pubblicamente era: Non vedo. Non sento. Non parlo!
Nuove scomode verità venivano a scontrarsi con le più sacre tradizioni, che finora nessuno aveva osato porre in discussione e le religioni monoteiste, che per secoli si erano combattute, oggi si riscoprivano strette in un vincolo strategico, visto che un nemico ben più temibile minacciava di confinarle nel dimenticatoio della storia: la negazione di Dio. Quella reazione intransigente suggerita dall’alleanza delle dottrine di fede, si sparse anche nella nostra Aula Magna.
Flavus, lasciò che gli oppositori defluissero, poi con altrettanta calma riprese a parlare ad aula dimezzata. «Quindi, una