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Il Giusto Ordine delle Cose
Il Giusto Ordine delle Cose
Il Giusto Ordine delle Cose
E-book274 pagine3 ore

Il Giusto Ordine delle Cose

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Info su questo ebook

Sendril il ladro e Morbius il mago, alle prese con i sordidi bassifondi di città decadenti, e con i non meno sordidi loro abitanti; Sendomir Nibiru e una strega dall'aspetto di bambina, dentro alla tentacolare città meccanica di Babilonia; Ashgar il ladro e un tetro palazzo nel mezzo del deserto, un tesoro da rubare, una sposa troppo giovane. E poi sullo scorcio della guerra finale tra Franchi e Longobardi il Paladino Meccanico porta ancora, da solo, quel che resta dell'onore della Cavalleria; uno strano incontro notturno tra una ragazza e una tigre parlante; l'incontro tra creature leggendarie e normali ragazzi nelle nere miniere di Balmung.

Queste e altre storie nel nuovo libro di Damiano Lotto, un viaggio dentro a oscuri mondi fantastici e nel cuore di esseri umani molto lontani da noi, ma che vivono le loro passioni e le loro aspettative, le loro ascese e cadute, in modo molto vicino a noi.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2012
ISBN9788867554331
Il Giusto Ordine delle Cose

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    Anteprima del libro

    Il Giusto Ordine delle Cose - Damiano Lotto

    Il Giusto Ordine delle Cose

    Damiano Lotto

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    Il testo della licenza è disponibile all'indirizzo: http://creativecommons.org/licenses/

    Copyright© 2012 Damiano Lotto. I edition: 2012.

    Publisher: _____

    ISBN: ________

    In copertina: solitudine e rovina nei deserti di Babilonia; di Silvia Diaferia, ispirato al racconto Il Giusto Ordine delle Cose. Copyright© 2012 Silvia Diaferia, http://magixday.deviantart.com/

    http://tomotomopoppin.blogspot.com/

    Indice

    Il giusto ordine delle cose 

    Shibartz 

    Il calendimaggio delle streghe 

    Il mangiatore di Sogni 

    Cinque chiodi 

    Automaton Doll 

    Waterloo – tragedia Alfieriana in cinque atti 

    Il paladino meccanico

    Tiger, tiger burning bright, in the forest of the night! 

    The Superior Day 

    Il giusto ordine delle cose

    Fece il suo grandioso ingresso nella sala il corteo e intorno piovevano petali rossi: sulla barocca portantina, retta da otto colossi negri della Gedrosia, stava il trono laccato d'oro e tempestato di pietre luccicanti.

    I suonatori di flauto piroettavano e suonavano ritmi indemoniati, mentre la sala dall'alto soffitto risuonava come una campana percossa dal martello. La cacofonia di grida eccitate e di strumenti musicali esotici cresceva e cresceva, mentre accompagnava verso la scalinata di marmo bianco il corteo delle principessa, che stava seduta sul trono come un gioiello prezioso. Ma ecco che d'un tratto ogni rumore e musica si zittirono di colpo, ogni occhio si levò in alto.

    L'uomo nascosto dietro all'arazzo, dall'altro lato della sala, aguzzò lo sguardo sul minuto ometto che era salito sulla larga balconata, in cima alle due rampe di scale dall'aspetto maestoso. I fedeli erano ammutoliti: stringevano convulsamente le mani alle vesti, delle semplici tuniche fatte di sacco, e, uomini e donne, giovani e vecchi, persone che erano state, ricchi e poveri, nobili e porcai, trattennero il respiro.

    E l'uomo piccolo, il Santo, attorniato da una fila di poderose guardie, sollevò le raggrinzite mani al soffitto e con bassa voce prese a salmodiare una nenia ipnotica. Il Santo era basso, vecchio e rugoso come le pieghe di antichi secoli ammonticchiate le une sulle altre; vestiva un abito bianco, con un vistoso pettorale d'oro che gli pendeva dal magro collo. Dapprima in modo flebile, poi sempre più forte, le sue parole sconnesse uscivano dalla bocca dai denti storti rapendo le menti dei discepoli.

    Un'attesa spasmodica minacciava di far esplodere la sala. E infine, al culmine dell'attesa, mentre gli uomini e le donne si stiravano come corde tirate dalle mani del Santo, dal soffitto scuro e in mezzo ai lampadari cosparsi di mille globi barianiani scese una nebbia luminosa che pulsava come fuoco.

    La folla dei fedeli gridò estatica e il fuoco scese ed esplose in una coltre come di neve, che scese sulle loro teste e sulle loro mani e spalle senza bruciare. Al semplice tocco la loro mente fu rapita ed esplosero una frenesia e una gioia così incontenibili che da ogni gola proruppe un grido di furore così forte da far tremare le colonne.

    I fedeli si abbandonarono a ogni sorta di celebrazione e danza e schiamazzo e festa, come se ognuno fosse posseduto da cento demoni del piacere.

    L'uomo dietro all'arazzo era piuttosto indifferente alle magie da stregone del Santo, ma si era perso tuttavia per qualche secondo nella contemplazione di quel calderone di umanità impazzita, tanto che non aveva colto il momento nel quale la principessa, la sposa, veniva condotta su, lungo la scalinata. Quando guardò ancora vide che la sposa era già di fronte al Santo.

    Si fissò sull'ampia fronte sgraziata gli occhiali telescopici; la sposa indossava broccato e seta bianca merlettata e un velo le copriva il capo. Era un gioiello di rara bellezza, ma non riuscì a fare a meno di notare come non fosse niente di più che una ragazzina di poco cresciuta. Non era però un fatto di cui stupirsi, conoscendo gli ormai decadenti costumi dell'Impero.

    «Ed è anche troppo per quel vecchio degenere!» mugugnò Ashgar, fissando da dietro gli occhiali il volto di quello che chiamavano Santo, che nel fissare ogni centimetro quadrato della sposa era completamente spiritato, percorso da emozioni che di ultraterreno avevano ben poco.

    Fece un gesto imperioso con la mano avvizzita e quella, con un passo ieratico, quasi che fosse uno di quei disegni di sacerdotesse morte che marciavano in processione sui bassorilievi e sugli arazzi dell'antico tempio, avanzò verso di lui. Egli le prese la mano e sebbene fosse quasi più basso di lei, si protese in avanti per sollevarle il velo. Ma fu la sposa a muoversi subito verso di lui, afferrando la testa del vecchio con entrambe le mani. Il bacio fu come un annegamento dei sensi e il vecchio roteò persino gli occhi all'indietro, completamente posseduto da quella bocca.

    Non le manca certo l'intraprendenza! pensò Ashgar, ma non aveva tempo per riflettere sui gusti di una ragazzetta dalla dubbia moralità. Il momento era quello giusto: il Santo, rapito dalla sua nuova sposa, si districò di malavoglia dal suo abbraccio e badando bene a metterle le mani dappertutto, si diresse senza indugio con lei alla grande porta sul fondo della balconata. Quel portale conduceva alle stanze superiori, dove erano le sale dell'harem del Santo. Ma dove soprattutto erano le stanze dei tesori.

    Ashgar balzò fuori dal suo nascondiglio, tirandosi sulla testa il cappuccio di tessuto marrone. Con quattro balzi delle sue lunghe e massicce gambe scese lungo la scaletta laterale che dalle alcove coperte di arazzi del fondo della sala scendevano fino al piano terra; la folla che era stata toccata dallo Spirito di Fuoco del Santo, si dimenava in una calca terribile intorno a lui, in una frenesia orgiastica che vorticava come uno stormo di rondini. Ashgar, nonostante il nome¹, era un gigante: sovrastava il più alto degli uomini ossessionati e le sue spalle erano larghe come un armadio. In condizioni normali non sarebbe passato certo inosservato come ora, ma i cultisti avevano le menti ottenebrate dal Fuoco Sacro disceso su di loro; scostava con le sue mani enormi uomini e donne via dalla sua strada, che lo fissavano con occhi privi di intelletto, anche quando cadevano a terra malamente. Tutt'intorno era un sabba di ombre demoniache, proiettate contro le colonne possenti e istoriate. Ad Ashgar non importava di quegli omuncoli e non si prendeva nemmeno la briga di giudicarli. I profeti di sventura correvano da un capo all'altro dell'Impero Meccanico gridando che la fine era vicina, ma non occorrevano le loro profezie deliranti per capirlo; il fottuto mondo stava entrando nella sua ultima ora, mentre gli oceani e i mari si restringevano morenti sotto un sole impietoso; il vento eterno del deserto conteneva un lamento di demone mentre soffiava sulle città decadenti e spopolate e gli uomini si aggrappavano al relitto del mondo, chi sperando nelle Macchine, chi nella propria ricchezza, chi in piaceri annullanti come quelli.

    Gli sguardi delle figure ieratiche di sovrani di altri tempi, i cui nomi erano stati dimenticati, che occhieggiavano dalle loro alcove e bassorilievi erano però pieni di rimprovero verso la folla di intrusi degenerati che infestava le loro antiche dimore.

    Ashgar non aveva interesse né per gli uni né per gli altri; in pochi leonini balzi, che non si sarebbero detti possibili nella sua imponente figura, raggiunse la base della scalinata. Nonostante il fracasso di cimbali, crotali e flauti e le grida sentì il sonoro distinto CLACK del portale che si chiudeva; veloce salì le scale e raggiunse la balaustra. Davanti al portone che si era appena chiuso attendevano le grosse guardie del Santo. Le guardie non erano certo dei pusillanimi drogati come i fedeli del culto e lo fissarono da sotto i loro grugni spaventosi con una certa sorpresa. Chi era quel gigantesco omaccione che era venuto fuori dalla calca, con quegli occhi orrendi?!

    Ma Ashgar aveva una risposta per le domande che senz'altro frullavano nel microscopico cervello delle guardie; più veloce dell'occhio cacciò fuori la borsa della Polvere Luccicante di Pyras e scagliò la sabbia rossa in faccia agli uomini.

    Al contatto con la luce e con l'aria la polvere si incendiò istantaneamente, in un torrente di fuoco. Le guardie gridarono quando vennero accecate e le loro barbe presero fuoco. Ashgar balzò su di loro tra le fiamme (il suo mantello non era un semplice telo di stoffa, ma un Instrumentum Diaboli, fatto della barba di un Efreeti schiavo) mentre erano ancora confusi e mulinò le sue enormi mani. Un pugno sotto il mento mandò al suolo il primo, una gomitata precisa nello stomaco lasciò lungo disteso il secondo e prima che il terzo potesse tirare fuori dalla cintura la pistola, lo afferrò per il collo e glielo spezzò come se fosse di tenero legno.

    E quindi veloce estrasse uno strano oggetto di terracotta: un lungo tubo simile a un cannello affumicatore, dall'anima di metallo interna. Una Chiave di Stupefacente Apertura, il cui acquisto aveva rappresentato un grave alleggerimento della sua borsa; ma quando la porta si aprì in un attimo al semplice tocco della Chiave, si concesse un breve sorriso.

    Valeva tanto oro quanto pesava, e anche di più! Per un breve attimo gli passò per la mente la possibilità di che cosa fosse successo, se lo avessero colto così, con le mani nella marmellata, con quegli oggetti magici addosso. Sarebbe finito nella più profonda delle prigioni Imperiali, in attesa di una cruenta esecuzione!

    Ma più i rischi sono alti, maggiore è la speranza di ricchezza! I torvi pensieri scomparvero come stormi di uccelli scacciati da uno sparo e Ashgar corse dentro la porta colossale, richiudendola con uno scatto secco dietro di sé. Dall'altra parte vi era un lungo corridoio, coperto di tappeti spessi come la lanugine di un behemot, e dalla volta alta quanto le sale di un tempio egizio, tetro e buio. In fondo campeggiava l'intelaiatura metallica e antica dell'ascensore.

    Attraversò rapidamente il corridoio e raggiunse le porte laccate di rosso e di azzurro e fece scattare il pulsante di apertura. Fin qui tutto bene! Sulla pulsantiera c'erano tanti piani verso l'altro quanti ve n'erano verso il basso, e premette il pulsante per l'ultimo piano. La macchina saliva sulle corde, tirata dal contrappeso e da ingranaggi giganteschi, come amano in Babilonia, da tempi immemori, fin da quando la paura per la magia, li fece correre a nascondersi dentro città di ferro, senza sole, e fidarsi soltanto di opere di ferro e bulloni.

    La macchina si arrestò con una brusca frenata; era pronto a tutto, ma quando le doppie porte si aprirono, lo accolse una bizzarra scena che non si aspettava minimamente.

    Un altro corridoio di fronte a lui, che poteva essere la copia di quello che aveva lasciato, solo che ancora più buio, se possibile, con fiammelle piccole che creavano ombre colossali. Non era deserto: il Santo giaceva al suolo scomposto come un uomo a cui abbiano spaccato la testa e la novella sposa stava in piedi sopra di lui, paralizzata.

    Ashgar rimase in uno stato di sorpresa solo per alcuni attimi; balzò come un leone sulla sposa, afferrandola per un braccio ed esclamò: «Che diamine sta succedendo qui, ragazza?!»

    Ma quella volse su di lui da sotto il velo un volto rigato di lacrime, la faccia di una bambina: «E' finita! Ora è tutto finito!» gridò.

    «Cosa sarebbe finito?» gridò Ashgar «Hai ucciso tu l'uomo?» e i suoi occhi si mossero rapidi e ansiosi sul pettorale d'oro.

    «Ucciso?!» esclamò lei improvvisamente, come se si fosse d'un tratto risvegliata da un sogno.

    Ashgar stava cominciando a pensare che la ragazza dovesse essere completamente pazza, quando il suo istinto gli disse che qualcosa si era mosso, dietro di lui: si volse come una vipera. Il Santo non era più a terra, dove lo aveva visto fino a un momento fa! Era abbarbicato a una colonna costruita nella forma di una palma del deserto. Ashgar fece per muoversi, ma le mani del vecchio si erano già strette contro un anello di metallo, e rapido come il morso di una mangusta un meccanismo scattò. Dardi dalla piuma rossa scattarono fuori dalle colonne intorno e il gigante sarebbe forse riuscito a schivarle, ma non la ragazza. Per un bizzarro istinto che neppure ricordava di possedere si lanciò a protezione della bambina e sentì l'acuto dolore di molti dardi che gli si conficcavano nella carne.

    Erano sicuramente avvelenati, pensò.

    E già la vista cominciò ad annebbiarsi; la ragazza dietro a lui cadde in un mucchio, con uno sguardo di puro orrore in visto, fissato come pietra nel volto del Santo.

    Quando i sensi tornarono nel corpo di Ashgar fu il dolore a farsi vivo per primo. Una fitta lancinante alle braccia gli suggerì di sollevare gli occhi coperti di nebbia verso l'altro: i suoi polsi erano crudamente incatenati a grossi anelli di ferro piantati in una parete di pietra. Era nudo, eccetto le corte brache che teneva sotto il kaftano con cui era entrato nel palazzo (era scomparso anche il mantello di Efreeti, naturalmente).

    Un'alta finestrella con le grate sporcava di una luce pallida il pavimento davanti a lui: la sua mente confusa registrò tappeti lisi, di uno stinto azzurro e più indietro le sagome confuse di cassettoni o armadi. Non era sempre stata una cella, quella stanza. Ma ora lo era, ed era lui quello che ci stava chiuso dentro! Le orecchie ripiene come di strati e strati di cera captarono un suono, in fondo alla stanzetta; i suoi occhi cercarono a fatica di focalizzarsi in quell'area risparmiata dalla luce, completamente buia, in attesa di qualche minaccia.

    Ma una figura bianca aleggiò e non era un fantasma... la ragazzina! Ashgar ebbe subito la mente sveglia e lucida: se li avevano rinchiusi insieme significava che una punizione orrenda attendeva sia l'uno che l'altra.

    Ashgar si accorse con stupore che non vi era paura o tensione nel suo volto. C'era soltanto un'energia febbrile dentro a quegli occhi scuri, ora che aveva tolto il velo; il volto era troppo giovane, ma senza luce. Era consumato dalle pozze scure degli occhi, che erano come sifoni neri dentro cui convergeva e spariva la luce. La ragazza lo fissava e si chiese se trovasse spaventoso di fissare un uomo nudo incatenato a una parete. I muscoli che un tempo si potevano dire massicci non facevano più bella mostra di sé come una volta sul petto invecchiato, ma era pur sempre più massiccio di molti uomini giovani; i suoi capelli radi e bianchi, una cicatrice sopra l'occhio destro che correva fino al mento (e che aveva risparmiato per miracolo l'occhio stesso), la bocca solida e quadrata e lo sguardo da falco sopra la folta barba anch'essa bianca come le mani dell'immacolato Imperatore, facevano di lui una vista piuttosto inquietante. Eppure la ragazza non sembrava avere paura. E Ashgar disse: «Sei straordinariamente tranquilla, per una che ha cercato di uccidere il Santo!»

    Lei aprì un attimo di più gli occhi e poi disse, con voce sottile: «Come sapete che ho tentato di ucciderlo?»

    «Chi altro vi era là con voi? Non credo vi fosse un assassino nascosto dietro le colonne...!» rispose, saggiando la resistenza, intanto, degli anelli di metallo: non molto solida... «E nessuno può introdursi in quelle sale, se non il Santo stesso!»

    «Anche voi siete arrivato fin là!» osservò lei.

    «Io mi sono aiutato con molti gingilli pericolosi: e ho osservato e aspettato per lunghi giorni, spiando e scrutando, prima di tentare l'impresa!»

    «E che impresa volevate tentare?» chiese con curiosità la ragazzina; Ashgar dovette ammettere che ne aveva di coraggio (oppure era semplicemente folle).

    Egli rispose: «Rubare un tesoro! Ecco cosa volevo fare... immagino che non costi nulla ammetterlo, adesso! Le stanze del tesoro, come appresi qualche mese fa quando mi venne proposto questo... lavoro... stanno nell'ultima sala in cima alla torre del palazzo; il pettorale d'oro del Santo è la chiave delle porte: di quel vecchio degenere e della sua pseudo religione con cui si è rintanato a fare soldi in questo luogo desolato, non mi importa nulla. Ero sulle tracce di quell'affare e meditavo di sorprenderlo nella vostra... diciamo intimità nuziale e sottrarglielo, ma a quanto pare mi hai preceduto... anche se non capisco in che maniera tu volessi ucciderlo, né Perché: non saresti mai uscita viva da questo luogo!»

    «Un ladro, eh?» rispose invece lei «Non lo sembrate affatto!» e così dicendo si alzò dall'angolo tra la cassapanca e un armadio dove si era accoccolata e facendo frusciare le vesti gli si avvicinò. Non l'avevano né legata né le avevano tolto i costosi abiti: Ashgar immaginò che non pensassero che le sue braccia sottili potessero aprire la porta che... si voltò di sfuggita verso l'altro capo della stanza, e scoprì con estrema costernazione che non vi era nemmeno una porta!

    Cosa diavolo poteva significare?! La ragazza aveva ancora indosso i profumi di cui era stata incensata e lavata prima della cerimonia e il suo odore gli riempì il naso piatto (spaccato non poche volte). I suoi capelli erano lunghi e neri, portava grandi orecchini rotondi alle orecchie ben tornite.

    «Pensavo che i ladri fossero magri e dal naso fine e sottile!» disse, sedendosi accanto a lui.

    «E io non pensavo che una bambina potesse avere così tanto sangue freddo!» sbottò infine Ashgar «Cosa ti impedisce di sganciarmi da queste manette, o meglio, cosa ti impedisce di scappare fuori da qui, prima che tornino i carnefici?»

    «Avevo messo in bocca una pasticca di veleno del Loto Giallo...» rispose invece lei, raggomitolandosi contro il suo ampio fianco, ed era veramente minuscola in confronto: a tutti gli effetti una ragazzina. Ma la voce e gli occhi erano quelli di chi ha visto cose orrende ed è cresciuta troppo in fretta. «... quando baciai il Santo gliela infilai a forza in gola: credevo che il veleno avrebbe agito subito, e infatti cadde al suolo appena fuori dell'ascensore... ma non potevo immaginare che si rialzasse! Forse è vero quello che dicono: egli è il Santo e i veleni non possono toccare il suo corpo!»

    «O più semplicemente ha assunto tanti antidoti, quel vecchio laido, che non morirebbe neppure se la Shibartz² del Veleno lo mordesse!» esclamò Ashgar.

    «Non importa più! Ho desiderato la sua morte con tutta me stessa... e ho fallito! Non è servito a nulla entrare nelle sue grazie, nascondendo chi fossi per lunghi mesi... e la vendetta che ho covato per anni come un uovo di serpente velenoso... è finita, finita!» il bel viso le si distorse in un cipiglio spaventoso, mentre stringeva un pungo e fissava con intensità spasmodica il vuoto davanti a sé «Ora non c'è più nulla da fare: aspetto qui la morte, assieme a voi, signor ladro!» i suoi tratti si addolcirono e lo guardò, da sotto le lunghe ciglia nere «Mi dispiace per la vostra vita; nessuno può avere simpatia per un ladro, ma dal momento che dividiamo lo stesso fato, vi compatisco: sebbene io non sia mai più stata viva da molti anni; non sentirò nulla

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