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L'alba del domani che verrà
L'alba del domani che verrà
L'alba del domani che verrà
E-book174 pagine2 ore

L'alba del domani che verrà

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Info su questo ebook

In un futuro in cui l’esistenza serena, precedente al disastro epocale che ha stravolto l’umanità, è soltanto un vago ricordo, in cui le giornate si susseguono grigie e si riducono a una battaglia per sopravvivere, un baluardo di persone lotta per il proprio futuro, aggirandosi tra le rovine delle città e delle civiltà, affrontando creature mostruose e dovendo fare i contri con un governo dai metodi e dagli scopi ancor più tremendi.
Eberwolf, Debrah ed Eddie incontreranno Draga, un ragazzino che non ha mai avuto una famiglia, essendo stato creato in laboratorio come esperimento per contrastare gli Angeli, creature prive di anima, violente e terrificanti.
Sarà proprio l’incontro con uno di questi  tremendi esseri a far scoprire a Dragan, adolescente sveglio e dalla parlantina talvolta arrogante, la sua vera natura, temuta e celata anche dai suoi stessi creatori…
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2013
ISBN9788867930500
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    Anteprima del libro

    L'alba del domani che verrà - Andrea Rossetti

    © Edizioni SENSOINVERSO

    www.edizionisensoinverso.it

    ufficiostampa@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    ISBN 9788867930500

    1° edizione – Ottobre 2013

    © 2013 - Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso - P.I. 02360700393

    Creazione eBook | http://creoebook.blogspot.com

    Andrea Rossetti

    L'alba del domani che verrà

    Gli ultimi raggi di un sole morente filtravano a fatica tra i fori della tapparella, calata per oltre tre quarti della sua interezza, illuminando debolmente il centro della stanza pur senza riuscire a raggiungerne gli angoli.

    Il fumo della sigaretta tra le labbra di Eberwolf saliva lento in quella penombra, sollevandosi con pesantezza fino a lambire i contorni in legno della finestra, cosparsi dei residui del vetro infranto ancora attaccati alla propria sede.

    Il suo aspetto era quello di un colosso: sfiorava il metro e novanta d'altezza, e aveva spalle larghe e robuste. In quel momento tuttavia, accucciato vicino ad un angolo della finestra rotta con il fucile imbracciato, sembrava riuscire a farsi molto più piccolo.

    Tirò un'ultima boccata dal filtro, senza espellere il fumo. Appoggiò quindi la sigaretta al centro di un portacenere ricavato da una grossa conchiglia d'ostrica sul davanzale, ed accostò l'occhio sinistro ai bordi del tubo agganciato alla culatta dell'arma.

    L'appartamento era situato al dodicesimo piano del palazzo, e questo gli conferiva una buona visuale sulla strada che si allungava davanti a lui.

    Osservati attraverso il mirino telescopico, i relitti di quella che era stata una metropoli apparivano ancora più tristi e malinconici.

    Ogni dettaglio era più nitido. E più squallido.

    La lunga strada statale di fronte a lui tagliava verticalmente a metà il paesaggio, composto da alti edifici diroccati, ed ai suoi lati di tanto in tanto si poteva scorgere qualche automobile lurida ed arrugginita.

    Il cemento lungo il terreno sfoggiava un gran numero di crepe, di ogni dimensione. Molti palazzi erano stati divorati dalla ruggine, ed avevano già iniziato a cedere sotto i silenziosi colpi del tempo, perdendo qualche muro ed esibendo così i propri interni. In alcuni casi collassando del tutto sotto il proprio peso, divenuto insostenibile.

    Ne aveva quattro di quei giganti urbani alla propria sinistra, tre dei quali riuscivano ancora a reggersi sulle proprie fondamenta, sebbene fossero in evidente stato di abbandono: le finestre erano rotte, il loro originario colorito marrone andava sbiadendosi, e cedeva il passo ad un grigio spento. Squarci del rosso acceso dei mattoni, che si aprivano come ferite sanguinanti fra tonalità più miti, caratterizzavano invece i muri esterni delle abitazioni più basse.

    Il quarto, quello spostato nella zona più periferica, era un cumulo di rovine che non contava più di sette piani.

    Distolse lo sguardo dal mirino, eseguendo una rapida panoramica della zona ad occhio nudo.

    Per un attimo gli affiorò alla mente l'immagine di un cadavere sanguinolento, alla vista della metropoli in rovina. Quella manciata di grattacieli diroccati ancora in piedi gli parvero terribili picche che infilzavano senza pietà la carcassa della città sottostante, sullo sfondo di un cielo colorato dei crudi bagliori del tramonto.

    Riaccostò l'occhio alla lente, cercando di non rimuginare oltre su quella triste suggestione.

    Alla sua destra rimanevano soltanto due edifici a spiccare con decisione sopra tutti gli altri: un grattacielo che manteneva ancora un colorito verdognolo, alto almeno duecento metri, e poco più distante un palazzo che poteva misurarne forse centocinquanta, le cui facciate erano state progettate in vetro ed acciaio.

    La moltitudine di antenne sulla sua sommità, e la trasparenza delle larghe facciate che lasciavano gran poca intimità a chi vi si accostava, suggerivano che non fosse stato edificato per un progetto residenziale, quanto piuttosto per ospitare un gran numero di uffici.

    Ora il metallo era per gran parte ritorto su sé stesso, e delle ampie vetrate rimaneva ben poco, se non schegge e frammenti.

    La tiepida immagine del sole, nascosta per metà dall'orizzonte, dipingeva le poche nuvole nel cielo di sfumature arancioni e violacee, soffiando l'ultimo alito di vita della giornata sulle macerie della vasta zona urbana.

    Di lì a poco, l'oscurità avrebbe calato il suo lungo manto sui residui della città.

    Mentre spostava con lentezza il fucile per avere una panoramica più ampia dei dintorni, intravide del movimento nei pressi di quello che era stata una birreria dritto avanti a sé, lungo il margine sinistro della statale.

    L'insegna era spenta, e la vetrata era stata infranta. Da una larga apertura sul marciapiede nei pressi dell'entrata dei ciuffi d'erba si muovevano di tanto in tanto, piegati da leggere folate di vento.

    Lo stesso che sentiva soffiare sulla propria pelle, penetrando sotto le maniche della pesante giacca marrone che aveva addosso. Stava facendosi sempre più freddo.

    Sorrise con amarezza, quando realizzò il rapido abbassamento della temperatura nell'ultima ora.

    Un'altra notte del cazzo.

    Sbuffò rapidamente una nuvola di fumo dalle labbra sottili, ingrandendo l'immagine.

    Erano in quattro, ed avanzavano con lentezza. Distavano circa duecento metri in linea d'aria dalla sua posizione.

    Poteva contare tre uomini ed una donna, quasi interamente nudi, che procedevano con l'andatura claudicante ed inesorabile di un branco di bestie ferite e sedate, ma ancora padrone del proprio territorio.

    La loro pelle era lurida, coperta di piaghe e ferite infette.

    Indugiò per qualche istante sul viso del primo tra loro.

    Era un uomo adulto di corporatura media, non riusciva ad indovinare altro ad occhio: la sudicia barba bruna che gli copriva le guance ed il mento, insieme alla sporcizia sul resto del viso, rendevano difficile una stima dell'età più precisa. I suoi capelli erano ciocche castane incollate tra loro dal lerciume, ed arrivavano a sfiorargli appena le spalle.

    Lo seguì per un breve tratto, scivolando poi sui tre che lo seguivano.

    La donna era minuta, e ad ogni passo si sporgeva pericolosamente in avanti, riprendendo poi l'equilibrio con una piccola serie di passetti laterali. Di tanto in tanto urtava contro le pareti degli edifici che aveva alla sua destra, o scivolava giù dal marciapiede, finendo in mezzo alla strada deserta.

    Anche i suoi capelli erano scuri, lunghi fino a raggiungerle l'ombelico, e le coprivano quasi completamente il volto.

    Aveva un'andatura quasi ipnotica. Ogni volta che perdeva l'equilibrio crollando sulle ginocchia, e sembrava essere ormai allo stremo delle forze, riusciva a rialzarsi con delle movenze totalmente innaturali.

    Eberwolf si scoprì ad osservarla con insistenza, accorgendosi di averla accompagnata con lo sguardo per una buona quindicina di metri.

    Tirò su con il naso, spostando il mirino verso gli ultimi due.

    Erano entrambi grassi, uno biondo e l'altro rosso, con barbe folte ed una nutrita peluria sul petto.

    Le loro nudità sporche e flaccide oscillavano man mano che procedevano costeggiando la statale, a capo chino.

    Il rosso, che era anche il più alto e robusto tra i due, sanguinava dalla gamba destra all'altezza della coscia. Ma le numerose incrostazioni che si erano formate attorno alla lesione impedirono all'osservatore affacciato alla finestra di capire la gravità di quella ferita.

    Si trovò a reprimere d'improvviso un brivido lungo la schiena, finendo con l'inquadrare per un attimo l'insegna orizzontale di quella che era stata la bottega di un parrucchiere dall'altra parte della strada.

    La lesse di sfuggita, più per istinto che per interesse: Lorenzo.

    Senza esitare oltre su quelle lettere viola, disegnate in un elegante corsivo su di un neutro sfondo bianco, riaggiustò la mira tornando ad esaminare la scena.

    Continuavano a camminare, tutti e quattro, a volte avvicinandosi altre disperdendosi.

    Lo spettacolo a cui stava assistendo era pietoso, ed il freddo stava nel frattempo affilando le sue fauci, mordendogli la pelle con intensità sempre crescente ad ogni folata di vento.

    Eppure rimase immobile a scrutarli, preda di chissà quale strano impulso voyeuristico, per un lasso di tempo che non seppe quantificare.

    Come se il suo solo sguardo, proiettato a quella distanza dalle lenti disposte nel tubo, fosse sufficiente a grattare via il marciume che ricopriva quelle quattro carcasse deambulanti, che arrancavano lungo il marciapiede davanti ai suoi occhi. Quasi potesse davvero penetrare sotto le croste ed il fango, e gli escrementi, e trovare ancora qualcosa di umano dietro a quelle facciate grottesche e mostruose.

    Ma la sua espressione non cambiò. Rimase glaciale, imperturbabile. Con un gesto secco sputò il mozzicone ancora acceso oltre il davanzale.

    L'indice destro accarezzò il grilletto del fucile, mentre si occupava di aggiustare il tiro.

    <>

    La sua voce era roca e bassa, un flebile sussurro immerso nell'ululato del vento.

    Fece fuoco.

    Il boato che seguì echeggiò con violenza tra le pareti spoglie della stanza.

    Eberwolf ricaricò il fucile con un gesto meccanico.

    Digrignò i denti per un attimo, quando fu raggiunto da un sussulto strozzato alle sue spalle. Non ci fece caso.

    Prese nuovamente la mira.

    <>

    La voce debole e confusa venne completamente sovrastata dal tuonare del secondo colpo.

    Ne seguirono un terzo ed un quarto, ad intervalli di una manciata di secondi l'uno dall'altro.

    Eberwolf rimase accucciato nella posizione di tiro per una trentina di secondi ancora, esaminando minuziosamente i dintorni dal telescopio montato sull'arma.

    <>

    <>

    <<...fanculo>>

    Dragan era raggomitolato in un angolo di un materasso sporco e malandato, posto a ridosso del muro alla destra di Eberwolf. Ai suoi piedi, appena fuori dal perimetro del materasso, vi erano uno zaino nero ed un grande borsone in pelle.

    Le sue mani ora premevano sulle orecchie ed ora vi si staccavano, come a voler testare quanto l'udito avesse risentito di quello shock. L'espressione marcata sul suo volto acerbo era di totale insofferenza.

    <lattina nei paraggi?>> riprese il ragazzino, con una voce che tradiva ancora non poca sonnolenza.

    <> ribatté Eberwolf, girandosi verso di lui. Si preoccupò di non dare le spalle alla finestra prima di sedersi, appoggiandole invece sul muro alla sinistra di quell'unico pertugio che dava sul mondo esterno offerto dalla stanza. La porta d'ingresso infatti era chiusa, ed ambedue vi si tenevano comunque a debita distanza.

    <> sbottò Dragan, passandosi una mano tra il caschetto di capelli biondo cenere con una smorfia. Aveva addosso una felpa grigia, di almeno due taglie troppo larga, con un ampio cappuccio lasciato pendere tra le scapole. Dei pantaloni neri e sdruciti completavano il corredo, insieme a scarpe da ginnastica bianche, anch'esse palesemente usurate.

    L'uomo indossava invece dei pantaloni mimetici nei quali era infilata una T-shirt nera, coperta quasi interamente dal giubbotto marrone aperto sul petto. Alla cerniera di metallo mancavano tiretto e cursori, persi chissà dove. Appoggiò il fucile al muro accanto a sé, ed in quello il giubbotto gli si aprì quel tanto che bastava a lasciar intravedere una fondina di grosse dimensioni sotto l'ascella sinistra. Subito dopo si premurò di tenerne i lembi chiusi con le mani, all'altezza dello sterno.

    I suoi piedi erano infilati in un paio di anfibi militari neri, chiusi da lacci scuri.

    <> rincarò la dose Dragan, ancora fortemente indispettito dall'essere stato strappato a chissà quali sogni in quella maniera.

    I timpani gli dolevano ancora, ed iniziava ad avere il sentore di piccole fitte all'altezza delle tempie.

    Eberwolf gli rispose con un sorriso. Setacciò la tasca sinistra della giacca con la mano destra, fino a tirarne fuori una scatola rettangolare in acciaio, di piccole dimensioni, dai contorni arrotondati. Non vi era sopra alcuna incisione, esclusi

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