Il piede di Dio non lascia impronte sulla sabbia
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Anteprima del libro
Il piede di Dio non lascia impronte sulla sabbia - Michele Zuccante
Il piede di Dio non lascia impronte sulla sabbia
racconti
Michele Zuccante
Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2012
Copyright Michele Zuccante, 2012
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788897268857
Copertina a cura di Enrica Dalla Guarda
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Via della Vittoria, 14 - 89861, Tropea (VV)
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Il piede di Dio non lascia impronte sulla sabbia
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Michele Zuccante
Michele Zuccante è nato a Schio, in provincia di Vicenza, il 7 gennaio del 1988. Nel 2007 consegue la maturità scientifica. Grande appassionato di sport, pratica per molti anni il pugilato a livello agonistico. Attualmente frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università di Trento.
Nel 2011 ha pubblicato Acuti di un tenore stonato (poesie e racconti), Rupe Mutevole Edizioni. Il piede di Dio non lascia impronte sulla sabbia (ebook - 2012) è la sua pubblicazione per la Meligrana.
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ANDATA…
Sedici scatole. Le aveva ordinatamente disposte sopra al tavolo della cucina, una di fianco all’altra, in fila, a formare una sorta di strada. L’ultima l’aveva messa proprio sull’orlo del tavolo; l’ultimo passo, poi il vuoto.
Da troppo tempo ormai sentiva di essere di troppo a questo mondo. Sentiva forte, sulle spalle, l’insostenibile peso della sua esistenza. L’orribile sensazione di essere sempre fuori posto e inopportuno lo accompagnava sempre. E non perché avesse dei problemi ad accettare il suo corpo, perché si sentisse troppo grasso o troppo magro. No, niente di tutto questo. Si sentiva semplicemente inutile, un essere nato per niente contro cui il mondo aveva deciso di accanirsi.
Per questo aveva deciso di farla finita. Aveva tutta l’intenzione di ingerire quelle sedici confezioni di tranquillanti fino a morire.
Era rimasto stupefatto di quanto, al giorni d’oggi, fosse facile, per un aspirante suicida, procurarsi il veleno necessario al suo scopo. Gli era bastato collegarsi a internet e leggere, su uno dei tanti siti dedicati ai disturbi psichiatrici, i sintomi legati all’ansia. Poi aveva dato appuntamento a uno psichiatra, si era recato nel suo studio e gli aveva fatto l’elenco di tutta la sintomatologia trovata in rete.
«Dottore, la prego mi aiuti. Mi sveglio di notte con il cuore che batte a mille, mi sento sempre in pericolo, sempre sotto attacco. Temo di non essere in grado di affrontare il futuro… mi aiuti, mi aiuti, la prego.»
«Certo, signore, non si preoccupi. Ci penserò io a lei.»
Lo psichiatra gli aveva compilato una bella ricetta ripetibile che gli dava diritto ad acquistare due scatole di un potente ansiolitico al mese. A quel punto era bastato recarsi periodicamente in farmacia e, in poco tempo, aveva messo da parte una quantità tale di pillole da stendere un cavallo. E ora sentiva che era venuto il momento di usarle.
Guardò fuori dalla finestra. Il cielo era plumbeo e prometteva una forte pioggia.
Quando lei lo aveva lasciato, aveva provato un dolore tanto forte da avere la sensazione che quest’ultimo fosse un qualcosa di tangibile, di solido. Mentre, tra i singhiozzi, mormorava: «No, no, no» - gli era sembrato che questo dolore crescesse dentro di lui a tal punto da squarciargli il petto. Mai aveva provato una cosa simile. Era innamorato di lei, e in quell’amore aveva risposto tutte le sue ultime speranze.
«Mi dispiace» - gli aveva detto - «ma non sei il tipo giusto per me. Spero che tu possa essere comunque felice.»
Incominciò ad aprire le scatole dei farmaci, mettendo le pillole dentro un barattolo di caffè vuoto. Appoggiata sul tavolo c’era anche una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo.
Quando ebbe finito, e tutto il barattolo fu pieno di compresse, iniziò a ficcarsene in bocca a manciate, buttandole giù con lunghe sorsate di acqua minerale. La fine era incominciata.
Ben presto una sensazione di calma e benessere si diffuse in lui. Sentiva ogni muscolo del suo corpo rilassato. Ingurgitò qualche altra manciata di pillole.
Un grande intorpidimento e una pesantissima sonnolenza s’impadronirono di lui. Sentiva che il vortice lo stava risucchiando. Non più ricordi, né dolore, né passato, né futuro. Proprio quello che voleva.
Fuori aveva incominciato a piovere. Gli sembrava di sentire il rumore delle gocce che cadevano sull’acciottolato, ma forse era un rumore che esisteva solo nella sua testa.
Con uno sforzo immane riuscì a deglutire ancora un po’ di pillole.
Ecco, c’era quasi, lo sentiva. Le palpebre erano macigni, impossibile tenere gli occhi aperti. Tutta la stanza ora gli girava attorno. Ma c’era ancora una stanza? Non percepiva neanche più il suo corpo. Che fosse già morto?
Provò ad allungare una mano per prendere ancora qualche altra compressa, ma alzò il braccio solo di qualche centimetro, poi lo sentì ricadere sul tavolo. Era come muoversi dentro l’acqua. Provò ad alzarsi dalla sedia. Cadde sul pavimento con un pesante tonfo. L’ultima cosa che vide fu il bianco del soffitto. O era forse la cupola del Paradiso? Poi fu solo il buio e il nulla…
ANCHE A MEZZOGIORNO IL SOLE PUÒ TRAMONTARE
Quel giorno, per Antonio, non sembrava essere poi tanto male: il cielo era limpido e di un azzurro acceso, soffiava una leggera brezza primaverile che gli accarezzava dolcemente i capelli e i raggi di un sole già caldo gli riscaldavano la faccia.
Già, quel giorno