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Cattivi maestri
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E-book190 pagine2 ore

Cattivi maestri

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Info su questo ebook

La Scuola deve istruire.

La Scuola deve educare.

La Scuola deve proteggere.

La Scuola ha deciso che per farlo deve cominciare a fare pulizia. Deve soppesare e giudicare, e coloro che saranno trovati mancanti...

Costantemente in bilico tra realtà e immaginazione, raccontata attraverso gli occhi di due narratori, la storia è ambientata in una scuola elementare uguale a tante altre.

Con questo romanzo, l'autore non solo dichiara il suo amore per il proprio lavoro, ma lancia una richiesta di aiuto. Perché la scuola non è morta -come dice disperato il protagonista del libro- ma non sta neanche molto bene.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2013
ISBN9788898419128
Cattivi maestri

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    Anteprima del libro

    Cattivi maestri - Massimiliano Morescalchi

    Table of Contents

    Titolo

    Autore

    Editore

    Questo libro è dedicato a molte persone

    CAPITOLO 1 – LA VERITÀ

    CAPITOLO 2 – LA SCUOLA

    CAPITOLO 3 – LA NASCITA DI UN INSEGNANTE

    CAPITOLO 4 – LA PRIMA RUGA

    CAPITOLO 5 – DENTRO DI LEI

    CAPITOLO 6 – GIACOMO

    CAPITOLO 7 – LA RICHIESTA

    CAPITOLO 8 – UN ALLEATO

    CAPITOLO 9 – RACHELE

    CAPITOLO 10 – MAESTRO CESARE

    CAPITOLO 11 – IL PACCO POSTALE

    CAPITOLO 12 – IL VESTITO DELLA FESTA

    CAPITOLO 13 – LA DICHIARAZIONE

    CAPITOLO 14 – MICHELE

    CAPITOLO 15 – LA CONVERSAZIONE

    CAPITOLO 16 – MAESTRA LINA

    CAPITOLO 17 – SOFIA

    CAPITOLO 18 – SLEALTÀ

    CAPITOLO 19 – IL RIENTRO

    CAPITOLO 20 – IL CUOCO CINESE

    CAPITOLO 21 – CECITÀ

    CAPITOLO 22 – IL MONDO AL DI FUORI

    CAPITOLO 23 – L’INELUTTABILITÀ

    CAPITOLO 24 – LA CONVOCAZIONE

    CAPITOLO 25 – L’INIZIO DELLA FINE

    CAPITOLO 26 – IL FORMICAIO

    CAPITOLO 27 – LA SOLUZIONE FINALE

    CAPITOLO 28 – LA CRONACA

    CAPITOLO 29 – BRANDELLI

    EPILOGO – LETTERA AL LETTORE

    Questo libro è dedicato a molte persone.

    A tutti i bambini che hanno avuto la sfortuna

    di incontrare dei cattivi maestri.

    A tutti gli insegnanti che vivono con

    passione il loro lavoro.

    Alla quinta A.

    Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola.

    TALMUD

    CAPITOLO 1

    LA VERITÀ

    Perciò Pilato gli disse: Dunque, sei tu re?

    Gesù rispose: "Tu stesso dici che io sono re.

    Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo,

    per rendere testimonianza alla verità. Chiunque

    è dalla parte della verità ascolta la mia voce."

    Pilato gli disse: Che cos’è la verità?

    GIOVANNI 18 : 37,38

    Mi chiamo Ernesto Alighieri e sono l’unico sopravvissuto alla tragedia del crollo della scuola elementare di Livorno del 13 febbraio 2013. Una di quelle tragedie per le quali i giornali sprecano gli aggettivi : assurda, impensabile, imprevedibile, dolorosa. Tragica. Come se non lo fossero tutte. Non immagini che ti possa capitare finché non vedi il soffitto che crolla, la terra che si apre, l’onda che ti travolge...mai una volta che qualcuno l’avesse prevista in tempo. Quando un poveraccio ci ha provato, a L’Aquila nel 2009, ha rischiato di finire in galera. Stava per rovinare la sorpresa. Com’è che scriveva Philip Roth? La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia : cioè la tragedia di tutti. Qual era il libro? Pastorale americana, mi sembra. Gran libro.

    Il crollo della scuola elementare è stato una sorpresa per i 23 insegnanti che si trovavano al suo interno, me compreso. Nessuno ha mai spiegato come sia potuto accadere. Il tetto dell’edificio, piuttosto in là con gli anni, era stato ristrutturato l’anno prima, e i lavori erano risultati svolti alla regola dell’arte. La struttura della scuola, pur presentando parecchie crepe, era stata valutata comunque in buono stato, si sarebbe provveduto l’estate successiva alle riparazioni di ordinaria manutenzione. Pur dando l’impressione di essere una vecchia signora, la scuola non faceva assolutamente supporre di voler crollare d’un botto.

    Io conosco la verità. Ma è una verità che non posso rivelare a nessuno, neanche ai miei più intimi amici. Non voglio finire in mano a qualche maledetto psicologo che mi imbottisca di psicofarmaci e mi succhi i risparmi che non ho. Non posso raccontare ciò che ho visto e sentito in quella scuola. Lo vorrei tanto, ma non sono ancora diventato tanto pazzo da farlo. Non lo sa neanche mia moglie. Da allora non ho più potuto dormire la notte. Oso dormire soltanto quando intorno a me ci sono persone sveglie. I medici dicono che è una conseguenza del trauma che ho subito quel giorno. Ma loro non sanno. Amano far credere di sapere sempre tutto, in realtà la maggior parte delle volte non sanno proprio un bel nulla. Simulano bene, però.

    Io so perché la scuola è crollata. Quella schifosa. Saccente, presuntuosa, arrogante. Ha giocato a fare Dio. Pensava di non lasciare testimoni. Era sicura che nessuno l’avrebbe scoperta. Ma c’è sempre qualcosa che va storto. Io sono stato l’imprevisto.

    A me non mi aveva calcolato. Io non dovevo esserci lì dentro, quel giorno, non avevo ricevuto la chiamata. Pensava che fossi un suo alleato, credeva di farmi piacere.

    Come mi conosceva poco!

    Ma è un segreto destinato a rimanere tale. Almeno finché qualcuno non leggerà le pagine che mi accingo a scrivere. Certo non permetterò a nessuno di leggerle finché io sarò vivo. Nasconderò il mio resoconto in un luogo sicuro ( ma ne esistono davvero? ) e poi darò disposizioni perché venga ritrovato e letto dopo la mia morte.

    A quel punto non mi importerà più se mi considereranno un pazzo, uno svitato, un mitomane, un drogato, un visionario.... io avrò fatto conoscere la verità.

    La verità!

    Ammesso che esista la verità.

    A volte penso che la verità sia soltanto un’utopia per miseri sognatori. Per i derelitti, i poveri di spirito, gli ingenui. Per quelli che non contano, insomma.

    Ma che cacchio sto dicendo? Ma se ho vissuto la mia vita cercando e difendendo la verità? Se non ho fatto altro che insegnare ai bambini quanto fosse importante dire sempre la verità, anche quando non conviene? Se ho sempre sostenuto che questa è l’unica via per poter continuare a guardare se stessi senza affogare nella vergogna, senza dover abbassare lo sguardo quando incroci quello di tuo figlio? Io ho l’obbligo di credere che esista una verità, altrimenti ho fondato la mia vita sul nulla.

    Il problema è che probabilmente ognuno dei sette miliardi di abitanti di questo pianeta ne ha una propria, diversa da quella degli altri. E non ne possono esistere così tante, tutte valide.

    O sì?

    Sto delirando.

    Il fatto è che non sto per niente bene.

    Ok. Diciamo che mi limiterò a scrivere la mia verità su quello che è accaduto il 13 febbraio 2013 nella scuola elementare di Livorno alle ore 19,45. Diciamo che è tutto ciò che posso fare. Sento che è una cosa che devo fare per non mettermi a urlare da ora fino alla fine dei miei giorni.

    Comincerò dall’inizio.

    CAPITOLO 2

    LA SCUOLA

    Per odiare qualcuno non

    è necessario parlare con lui.

    UMBERTO ECO

    La Scuola si trovava in un edificio austero, piuttosto imponente, nel complesso bello a vedersi. Non era la scuola più antica di Livorno, ma poco ci mancava : risaliva agli ultimi anni del XVIII secolo e cominciava a mostrare i segni della sua età. Era stata costruita lungo il Fosso Reale, il maggiore dei fossati che insieme a dei possenti bastioni delimitavano il primo centro abitato della città di Livorno, di forma pentagonale. A idearlo fu l’architetto Bernardo Buontalenti nel 1421, anche se i lavori di costruzione cominciarono soltanto nel 1577 sotto il reggente del Granducato di Toscana Francesco I de’ Medici. La Scuola fu costruita su progetto dell’architetto livornese Angiolo Badaloni e inaugurata nel 1893. Il suo fiore all’occhiello era la facciata principale, di particolare pregio estetico, dove ai finestroni a tutto sesto si aggiungevano, alla sommità, aperture triangolari tripartite con esili colonnine. Così recitava la pagina di wikipedia a lei dedicata. A volerle trovare un grosso difetto, non aveva spazi esterni degni di questo nome. I bambini erano murati al suo interno fino al momento dell’uscita, visto che il piccolo cortile antistante il portone d’ingresso era occupato per larga parte da una grande aiuola circolare contenente un’alta palma che lo rendeva un luogo alquanto pericoloso per dei fanciulli scatenati.

    Nel corso della sua lunga vita aveva ospitato migliaia e migliaia di bambini e centinaia e centinaia di insegnanti. Aveva suscitato sentimenti contrastanti. Era stata odiata e amata, rispettata e disprezzata. Aveva visto crescere generazioni di futuri cittadini.

    Come tutte le altre scuole in tutte le altre parti del mondo.

    Le sue pareti avevano respirato cultura, ascoltato insegnanti appassionati e capaci come anche insegnanti svogliati e indegni. Le sue finestre avevano visto bambini felici ed altri profondamente infelici. Negli ultimi anni, poi, vi erano affluiti bambini da tutte le parti del mondo, spesso con storie tragiche alle spalle.

    Come tutte le altre scuole in tutte le altre parti del mondo.

    Aveva conosciuto famiglie che adoravano i loro figli, genitori che li amavano più di ogni altra cosa, ed altri che li consideravano un peso o che addirittura li disprezzavano, imputando loro colpe che non potevano avere.

    E aveva osservato insegnanti che anziché rappresentare un rifugio sicuro, una fonte di ristoro, una seppur minima garanzia di tutela dei loro diritti, gli avevano donato la loro indifferenza quando non la loro cattiveria.

    Aveva sentito il dolore, la sofferenza, la solitudine, la disperazione di quei bambini.... e aveva cominciato a nutrirsene. Aveva cominciato ad assorbire quei sentimenti come un veleno che ti corrode poco a poco, e da quel veleno aveva preso vita, una forma di vita malsana, perennemente sofferente, una pozza d’acqua putrida e maleodorante, una palude di mefitica melma. Aveva iniziato a percepire anche l’odio che molti bambini provavano nei suoi confronti, bambini che la ritenevano un luogo di sofferenza e umiliazione, bambini con difficoltà che il sistema scolastico tendeva a ingigantire piuttosto che a eliminare. E l’odio di quei bambini era la cosa più dolorosa di tutte. E anche di questo imputava la responsabilità agli adulti che abbandonavano quei bambini alle loro mancanze, ai loro problemi, demandando gli oneri educativi ad altri, sempre a qualcun altro : i genitori convinti che dovesse essere la scuola a occuparsi dell’educazione culturale, morale, emotiva, sentimentale e fisica dei loro figli, gli insegnanti che attribuivano ogni insuccesso educativo alle famiglie assenti o incapaci. Nessuno che fosse disposto ad assumersi delle responsabilità, nessuno che si mettesse in discussione. Quanti cattivi maestri aveva osservato che gonfi delle proprie conoscenze e delle proprie presunte competenze professionali, avevano cercato le risposte di un insuccesso scolastico non nel proprio sistema di lavoro, ma in ipotetici deficit dei bambini, delle famiglie, dei programmi ministeriali. Li aveva ascoltati durante le loro riunioni e aveva percepito la sicumera con la quale attribuivano a questo o a quello le colpe di questo o quel problema.

    Ogni volta che un bambino subiva un’ingiustizia o veniva semplicemente ignorato quando stava palesemente, in ogni modo, chiedendo aiuto, la Scuola soffriva con lui, ne assorbiva il dolore e lo manifestava con una ruga. Aveva ormai centinaia di rughe sparse in tutto l’edificio, spesso in posti così nascosti da risultare inaccessibili alla vista di chiunque, piccole e grandi crepe apertesi come piaghe purulente su una carne malata e infetta. Si sentiva vecchia e brutta, per questo. Da molti anni stava maturando un sentimento che cominciava a non saper più come tenere a freno. Voleva vendicare il dolore e la sofferenza di quei bambini. Voleva vendicare il proprio dolore e la propria sofferenza. Voleva fargliela pagare. Voleva che quelle persone non facessero soffrire più nessun bambino. Se nessuno voleva assumersi la responsabilità di aiutare quei bambini, l’avrebbe fatto lei. Avrebbe operato una selezione. Avrebbe scelto. Avrebbe misurato e pesato. E chi fosse risultato mancante… Si ricordava di un’espressione che aveva sentito talvolta da qualche insegnante. Quell’espressione le era piaciuta e le sembrava appropriata per lo scopo che aveva in mente. Più ci pensava e se la ripeteva e più le appariva dolce ed appagante. Doveva solo decidere come attuarla. Doveva essere una cosa grande, un giudizio magnifico. Il pensiero della giusta punizione le recava sollievo. Dopo anni di dolore e sofferenza, cominciava a pregustare un sentimento nuovo, appagante, quasi esaltante. Si cullò al pensiero della sua soluzione finale.

    CAPITOLO 3

    LA NASCITA DI UN INSEGNANTE

    Con il nome che ti ritrovi, non potrai far altro che lo scrittore…o il rivoluzionario, mi dicevano tutti quando ero un ragazzo.

    E invece sono diventato un insegnante. Un maestro elementare. Non è stata una cosa programmata. Mi sono ritrovato a fare le scuole magistrali più per caso che per scelta. Dopo una crisi di rigetto che mi aveva spinto a lasciare la scuola dopo la terza media (io, il secchione per antonomasia, che aveva fatto dello studio una ragione di vita), e con l’iscrizione gratuita al liceo classico già in tasca ottenuta per gli eccellenti risultati conseguiti all’esame di terza media gettata con noncuranza nella spazzatura, mia madre mi aveva praticamente rispedito a scuola a pedate. Per convincermi, mi aveva mandato tutta l’estate precedente a lavorare con il fratello tossico di una sua amica. A pulire palazzi. Quasi ogni giorno il mio datore di lavoro vedeva sul giornale la foto di un suo ex compagno di buco nella pagina della cronaca: quando arrestati, quando morti. È stata un’estate educativa. Ho acconsentito a tornare a scuola. Supponendo che l’anno di assoluta inattività mi avesse arrugginito non poco, mia madre pensò bene di non ripetere l’iscrizione al liceo. Forse è meglio se fai le Magistrali, sono molto più facili. E così a 19 anni mi sono ritrovato con

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