Matrioska
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Anteprima del libro
Matrioska - Claudio Saporito
Magnolia
L'autobus
Quando aprii gli occhi, rimasi per alcuni secondi in una specie di torpore, completamente incapace di una qualsiasi reazione.
Un sobbalzo richiamò la mia attenzione, quasi mi si fosse acceso
il cervello in quell'istante e solo in quel momento mi resi conto di esser seduto sopra un autobus di linea, con la testa appoggiata al finestrino e le mani dentro le tasche del mio cappotto.
Riuscii a drizzare il capo, per meglio definire i contorni di ciò che mi circondava ed osservare le persone che mi stavano vicino.
Non ricordavo assolutamente di essere salito su quell'autobus, né tantomeno avevo percezione di chi fossi realmente; ed oltretutto, ignoravo in quale città mi trovassi.
"Che ci faccio sopra un autobus? Ma soprattutto chi sono e dove mi trovo?"
Non era una bella sensazione essere il soggetto che si poneva tali quesiti, tuttavia non mi prese un attacco di panico incontrollato, ero solo in uno stato di forte inquietudine ben supportata da un pulsante mal di testa.
Restai in attesa che la mia mente si riconnettesse con il mondo, ma percepii solo spiacevoli sensazioni di vaghezza del pensiero e persino di vuoto
assoluto.
Guardai meglio fuori dal finestrino del bus, che nel frattempo correva via veloce, fra le strade del centro di una città, ancora misteriosa per me.
Alcune insegne di esercizi commerciali, fugarono parzialmente i miei interrogativi, scoprendo che erano scritte in una lingua sicuramente dell'est europeo . . . Russia?, Ucraina? Balcani? In quale cazzo
di paese mi trovavo?
Poi la parola Lubjana, alla fine di una gigantesca pubblicità di auto, appesa alle impalcature di un edificio in ristrutturazione, mi fece ipotizzare di essere in Slovenia, nella sua capitale.
Che ci faccio in Slovenia?
Era già qualcosa però!
Nel frattempo avevo dei flash
mnemonici, quali figure di persone ed ambienti che mi sembravano familiari e poi documenti, tanti documenti che mi scorrevano davanti agli occhi, senza tuttavia fissarne bene i contorni.
Tastai i miei indumenti, sentendo la presenza di un portafoglio, che si trovava proprio nella tasca interna del mio cappotto.
Lo presi rapidamente, lo aprii trovandovi dollari americani, cento o duecento in tutto, alcune carte di credito e poi, dei documenti.
Ne presi uno a caso, dei tre riposti, scoprendo che mi chiamavo Derek Troney di Detroit, Stati Uniti d'America! Così stava scritto su quella patente di guida. Presi allora il secondo, la tessera badge di un'azienda, il cui nome era SatCorp
di San Francisco, sulla quale in basso campeggiava il mio nome, ed infine estrassi il terzo documento, che si rivelò invece un altro badge probabilmente per aprire la porta di un appartamento in residence, con un indirizzo che sembrava anch'esso di San Francisco.
Quindi ero americano, probabilmente lavoravo in questa SatCorp e forse abitavo in un residence dal nome vagamente inglese, il St'Andrew, così almeno riportava l'elegante badge in mio possesso.
La cosa singolare, era che non fossi in preda ad uno stato di agitazione, a fronte di queste scoperte, che oltretutto non mi facevano venire in mente nulla a me collegato, mentre i flash mnemonici che continuavo a percepire, sembravano scoordinati da tutto il resto e casuali. Inoltre risultava bizzarro e persino paradossale, il fatto di essere perfettamente a conoscenza delle situazioni geografiche, o delle valute monetarie e non ricordare nulla di ciò che era connesso con la mia storia, con il mio passato.
Come potevo aver capito al volo, di essere in Slovenia, solo per aver letto Lubjana, su quella pubblicità? Come potevo aver subito collegato i dollari e la città di San Francisco con gli Stati Uniti e poi, non ricordarmi ad esempio del mio lavoro, o di una moglie, di un figlio, se mai li avessi avuti? Ma soprattutto, che ci faceva l'americano Derek Troney in questa città?Cercai ancora tra le mie tasche, sperando di trovare altri indizi, ma non trovai null'altro. Nessun foglio, documento, appunto, chiave . . . nulla che non fosse quell'anonimo portafoglio in pelle nera, con un pò di dollari, qualche carta di credito, un documento, ed un paio di badge.
Nel frattempo l'autobus si fermava e ripartiva alle varie stazioni di sosta, dalle quali salivano e scendevano passeggeri, animando un teatrino
di cui ero ignaro e distratto spettatore.
Guardavo le facce dei presenti a bordo, senza trovarvi una qualche correlazione con me.
Poi un ragazzino che obliterava un biglietto, richiamò la mia attenzione proprio su quest'ultimo. Mi alzai repentinamente dal sedile, per cercare meglio nei pantaloni che avevo, trovando appunto il ticket della corsa, in fondo alla mia tasca. Segnava le ore 10.18 del 7 febbraio del 2014. Guardai quindi l'orologio che avevo al polso, un anonimo Seiko al quarzo, ravvisando le 12.04 e mi sincerai che segnasse l'ora giusta, trovando riscontro rapidamente da un segnale orario digitale, visibile fuori dalla sede di una banca.
Quindi erano quasi due ore che me ne stavo su quell'autobus!Ma che fare adesso?
Cercai di razionalizzare la mia situazione, ma non vi riuscii. Ero americano, ma non me ne rendevo conto, mi chiamavo Derek Troney, ma questo nome non mi diceva proprio un bel niente, lavoravo in una fantomatica azienda di San Francisco, la SatCorp, di cui ignoravo ogni dettaglio, mi trovavo in Slovenia e non avevo passaporto in tasca. Bella storia no?
Alla fermata successiva, decisi di scendere da quel mezzo, quasi di impulso. Per un attimo pensai che forse sarebbe stato come scendere da quell'incubo in cui sembrava fossi immerso, ma non fu così, anzi! Una volta a terrà, quei rumori, tipici del centro di una grande città, il caos delle persone che camminavano in tutte le direzioni, i mezzi che avanzavano in quel crocevia, davanti al quale mi trovavo, peggiorarono non poco, il mio già precario equilibrio mentale.
Si . . . in quel momento ebbi una sorta di attacco di panico, che controllai solo sedendomi sulla panchina, proprio posta li davanti a me, quasi l'avessi materializzata con il pensiero.
Il mio respiro era affannato, la mia fronte imperlata di sudore e