Si ridesti il leone
Di Simone Ricci
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Si ridesti il leone - Simone Ricci
Simone Ricci
SI RIDESTI IL LEONE
CAPITOLO 1
La mattina del 17 ottobre 1818 era cominciata molto presto per Nino Parabiaghi, ancora prima del solito: una leggera pioggia picchiettava sul tetto della casa, l’afosa estate era quasi finita e Nino fu immediatamente svegliato da quel rumore, sembrava quasi che non aspettasse altro. Sentire la pioggia che accarezzava quelle quattro mura gli era sempre piaciuto da bambino, quando quella era l’unica musica che lo accompagnava prima di dormire: in quel momento, nel silenzio delle prime luci dell’alba, gli occhi di Nino brillavano più della brina che si posava ogni mattina delicatamente intorno alla campagna circostante.
- Donnina! Donnina! – sussurrò quasi impercettibilmente – Sta piovendo!
Donnina si girò dall’altra parte, come infastidita, Nino riuscì per un attimo a vedere la sua faccia assonnata prima che gli voltasse le spalle. Non fu quella sorta di indifferenza a spegnere il suo entusiasmo, le gocce di pioggia stavano aumentando di intensità e il pensiero di vedere i suoi campi così generosamente bagnati gli diede la forza per alzarsi così presto. Una spruzzata perlacea di acqua si stava posando dolcemente sul terreno, facendolo quasi brillare nella tenue luce del mattino; a Nino sembrò lo spettacolo più bello della sua vita, tanto da farlo uscire da casa con ancora indosso i propri indumenti che usava per dormire. Cominciavano a vedersi in lontananza quelle colline che avevano accompagnato ogni momento della sua vita, sembravano quasi essere disposte per proteggere quella casetta. Nino tornò frettolosamente nella sua abitazione, gli abiti completamente umidi e decise che non c’era alcun tempo da perdere e che il lavoro doveva cominciare. Scaldò una fetta di polenta per la colazione, ma non ebbe nemmeno il tempo di sentirne il sapore che due vigorosi scossoni alla porta quasi lo spaventarono.
- Chi può essere a quest’ora? – si chiese mentre raggiungeva l’ingresso. Si avvicinò come se avesse timore di trovare chissà quale individuo al di là della porta, che aprì molto lentamente. Due uomini in redingote e cilindri neri gli si posero di fronte, la pioggia in ogni centimetro dei loro abiti: una piccola carrozza scoperta trainata da due cavalli bai era dietro di loro.
- È lei il signor Parabiaghi? – chiese uno degli individui.
- Sì, son mì… - rispose senza esitazione Nino.
- Può farci entrare? Dobbiamo parlarle.
Nino, ancora intimorito fece loro segno di accomodarsi. I due uomini guardarono con stupore quella casa così vuota: qualche sedia, un tavolo pieno di scodelle e alcuni mobili arredavano l’ambiente. Nino fu ancora più stupito di loro, la sua casa non aveva mai avuto ospiti così distinti, era senz’altro più abituato agli avventori che spesso erano di passaggio e che si fermavano a bere qualche bicchiere.
- Signor Parabiaghi, è sua questa lettera? – uno dei due uomini gli mostrò un foglio.
Nino riconobbe immediatamente la sua grafia accurata e svolazzante, suo padre gli aveva insegnato a scrivere, leggere e a far di conto.
Monza, 3 aprile 1818
S.V. Illustrissima, sottopongo alla Vostra nobile attenzione questa mia umile richiesta, scusandomi per l’incomodo che le darò. Vostro devoto e riconoscente servo, abito con mia moglie, Donnina Abate, nella campagna tra Milano e Monza, possiedo un piccolo appezzamento vicino alle rive del fiume Lambro. Il bisogno di procurarmi un sostentamento sufficiente a nudrire la mia famiglia, mi determina a cercare altrove il denaro che non riesco a trarre dalla mia attività di coltivatore. Egli è perciò che chiedo di poter ottenere l’affidamento di un bambino dal primo spedale disponibile del Regno, affinché si possano avere dei soldi in cambio delle cure al bambino istesso. Vi porgo ancora le mie più umili scuse e mi professo Vostro umilissimo servo.
Giovanni Parabiaghi
- Sì, l’ho scritta io, Sua Maestà l’ha ricevuta? – chiese Nino dopo averla riletta.
I due uomini facevano parte del servizio postale del regno Lombardo-Veneto e non erano riusciti a trattenere una risata quando quella lettera, monumento di ingenuità vacua, era giunta nei loro uffici.
- Credete forse che il Re riceva una lettera direttamente da un semplice sconosciuto? – lo apostrofò con scherno l’uomo che gli aveva porto il foglio. – Non è a lui che dovete rivolgervi per quello che avete scritto - .
- Io non sapevo…io non credevo… - si limitò a balbettare Nino. Ogni volta che si trovava in imbarazzo ed impacciato, doveva quasi forzatamente prendere il suo fazzolettone blu per asciugare le labbra.
- Signor Parabiaghi, poteva almeno risparmiarsi tutte quelle sciocche parole di devozione, con la pretesa di