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Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi
Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi
Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi
E-book254 pagine10 ore

Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi

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Introduzione di Riccardo Reim

Memoirs of a Woman of Pleasure (meglio conosciuto come Fanny Hill) è considerato il romanzo erotico per antonomasia. Venne pubblicato in due parti, la prima nel 1748 e la seconda nel 1749, e da allora non manca di suscitare scandali, pruriti e censure. Fanny, eroina di successo dalla storia a lieto fine, entusiasta del piacere e al tempo stesso curiosamente moralista, subisce la seduzione misteriosa della passione e ce lo narra con il cuore, senza finzioni e senza falsi pudori. Ed è proprio questa la forza del libro: la naturalezza con la quale mostra in ogni occasione quanto il sesso sia un linguaggio e niente altro, e come il corpo sia, prima che veicolo di salute o peccato, pura espressione vitale. Vivace come la protagonista del libro, la prosa di Cleland, garbatamente maliziosa, mai sciatta o volgare, ha il dono di catturare il lettore fin dalle prime righe appunto con la spontaneità del linguaggio. Uno di quei pochi libri che non conoscono la polvere né le rughe del tempo, passando miracolosamente immacolati di lettore in lettore.

John Cleland
(24 settembre 1709 – 23 gennaio 1789) nacque a Kingston upon Thames nel Surrey ma crebbe a Londra, dove il padre lavorò prima come ufficiale dell’esercito britannico, poi come funzionario statale. Il suo testo più famoso, Fanny Hill, rimase per lungo tempo un libro fra i più ricercati e tradotti del fiorente mercato clandestino, fino alla celebre sentenza del 1966 in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe la dignità letteraria dell’opera, sollevandola dall’accusa di oscenità e consentendole a buon diritto di entrare finalmente a testa alta nella storia della letteratura.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854157309
Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi
Autore

John Cleland

John Cleland (1709-1789) was an English novelist. Born in Surrey, he was raised in London. His father William Cleland was a military officer and civil servant who, along with his wife Lucy, was a friend of such literary and political figures as Alexander Pope, Viscount Bolingbroke, and Horace Walpole. Cleland attended Westminster School for several years before being expelled for unknown reasons. He joined the British East India Company, traveling to Bombay in 1728 where he worked as a civil servant and lived until 1740. Upon his return to London, he was shunned by his family, and attempted to kickstart the Portuguese East India Company before being arrested for a significant unpaid debt. In Fleet Prison, Cleland wrote Fanny Hill: or, the Memoirs of a Woman of Pleasure, an early pornographic novel which was published in two parts and 1748 and 1749, earning him a second arrest upon his release. Despite being barred from legal publication for over one hundred years, illegal and heavily edited copies of the book sold well during Cleland’s lifetime, earning him plenty of infamy without enabling him to profit off his work. Cleland continued to write and publish comedic and satirical works throughout his life, and is remembered today as a controversial figure whose work pushed the boundaries of taste, decency, and legality in a time of extreme conservatism.

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    Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere. Il più famoso romanzo erotico di tutti i tempi - John Cleland

    Titolo originale: Memoirs of a Woman of Pleasure, traduzione di Elisa Romano con Brunella Palattella.

    Fanny Hill, innocente donna di piacere

    Memoirs of a Woman of Pleasure (meglio conosciuto come Fanny Hill, che però è il titolo dell’edizione «legale» del 1750) viene pubblicato in due parti, la prima nel novembre 1748 e la seconda nel febbraio 1749: l’editore appare essere «G. Fenton» (nome di copertura per Fenton Griffiths e suo fratello Ralph), mentre l’autore è il trentanovenne John Cleland, gentiluomo proveniente da un famiglia più che benestante, ma dall’esistenza alquanto travagliata e burrascosa. John, infatti, è il figlio maggiore di William e Lucy Cleland (che nella loro raffinata cerchia di amici e conoscenti annoverano intellettuali come Alexander Pope e Horace Walpole) e nasce a Kingston upon Thames, nel Surrey, il 24 settembre 1709. Subito dopo, i genitori devono trasferirsi a Londra (William Cleland è un ufficiale dell’esercito britannico), dove il giovane John frequenta la prestigiosa Westminster School, da cui però viene espulso dopo appena due anni, probabilmente a causa del suo carattere turbolento e ribelle alla disciplina¹. Entra quindi nella East India Company, e appena diciannovenne parte per Bombay come soldato semplice di fanteria, divenendo rapidamente un importante funzionario della compagnia e rimanendo in India per circa undici anni, fino al 1740, quando è costretto a tornare in Inghilterra a causa della morte del padre. In quegli anni John tenta insistentemente di interessare il governo portoghese alla creazione di una propria compagnia delle Indie Orientali, ma il progetto finisce per arenarsi ed essere archiviato: ridotto quasi in miseria, scrive numerose lettere alla madre (la quale ha assunto il controllo del patrimonio di famiglia decidendo – per motivi mai ben chiariti – di non aiutare il figlio) lamentandosi dell’ingiusto trattamento che gli viene inflitto, ma non ottiene né otterrà mai nulla, neppure ricorrendo alle vie legali.

    Nel 1748 Cleland, ormai a tasche vuote ma poco incline a una vita morigerata, viene denunciato per un debito di 840 sterline² e rinchiuso nel carcere di Fleet, dove resterà per più di un anno. È proprio durante la detenzione che viene scritto Memoirs of a Woman of Pleasure, distribuito nelle librerie, come si è detto, tra la fine del 1748 e l’inizio del 1749, al prezzo di tre scellini³. Nel novembre del 1749 Cleland e Ralph Griffiths sono arrestati sotto l’accusa di «corrompere i sudditi del re» con la «pubblicazione di opere oscene», ma in tribunale lo scrittore si affretta a disconoscere la sua opera, augurandosi anzi «dal profondo dell’anima» che un libro del genere sia al più presto «sepolto e dimenticato»…. A quel punto il romanzo viene ritirato dal commercio e di conseguenza non risulta più «legalmente» ripubblicato per più di un secolo, ma – come tutti gli altri prodotti «pornografici» di importazione o no – continua a circolare (e a vendersi molto bene) sul mercato clandestino. Il ritiro ufficiale, però, rende – ovviamente – impossibile controllare in alcun modo il testo, che di volta in volta subisce rimaneggiamenti, tagli, interpolazioni, modifiche e storpiature di ogni genere: in una delle tante edizioni pirata viene addirittura aggiunto un intero capitolo, in cui la protagonista spia un rapporto tra due uomini attraverso la fessura di un tramezzo…. Nel 1750 Cleland comincia a risarcire Griffiths (il quale probabilmente si era fatto carico dei suoi debiti per consentirne la scarcerazione da Fleet) preparando una versione piuttosto espurgata del romanzo (da cui, in pratica, vengono omesse tutte le scene più audaci ed esplicite), che viene pubblicata in un solo volume con il titolo Memories of Fanny Hill e che, nonostante le violente accuse del Vescovo di Londra, Thomas Sherlock («un libro vile […] un’offesa all’onore del governo e alle leggi del Paese»), viene lasciata tranquillamente in circolazione. Sarà questa stesura «castrata» a essere pubblicizzata e venduta per tanti anni da Griffiths: Memories of a Woman of Pleasure rimane per lungo tempo un libro fra i più ricercati e tradotti del fiorente mercato clandestino, in Inghilterra come in gran parte dell’Europa. Il testo originale verrà riproposto soltanto quasi due secoli dopo, nel 1963, con la coraggiosa edizione americana di Putnam, sulla quale si scatena una vera gragnuola di recensioni, discussioni, articoli scandalizzati e citazioni in tribunale, fino alla celebre sentenza del 1966 in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti riconosce la dignità letteraria dell’opera, sollevandola dall’accusa di oscenità e consentendole a buon diritto di entrare finalmente a testa alta nella storia della letteratura.

    Osserva Enzo Siciliano che lo «scandalo» di Fanny Hill (per consuetudine è ormai questo, anche se inesatto, il titolo) consiste non tanto nell’esplicitezza delle scene erotiche (peraltro neppure particolarmente audaci) quanto nel loro «candore» e nella loro «naturalezza»⁸. Fanny, eroina di successo dalla storia a lieto fine, entusiasta del piacere e al tempo stesso curiosamente moralista, (disposta, dopo il matrimonio, a crogiolarsi «nel grembo della Virtù»), è parente stretta tanto della Pamela di Richardson quanto della Shamela di Fielding⁹, anzi, è «una critica e un’imitazione di ambedue le opere»¹⁰: subisce la seduzione misteriosa delle forze travolgenti della passione e ce lo narra con il cuore, senza infingimenti e senza falsi pudori. Assai modernamente,

    la naturalezza del libro mostra in ogni occasione quanto il sesso sia un linguaggio e niente altro, come il corpo sia, prima che veicolo di salute o peccato, espressione. Il corpo diventa, nello stile di Cleland, purezza e innocenza qualsiasi cosa mostri o faccia: non è lascivo, non è in nulla corrotto. Piuttosto è: e nel suo esserci esprime tutto ciò che si esprime attraverso la parola, forza e tenerezza, diniego e adesione¹¹.

    Vitale e vivace come la protagonista del libro, la prosa di Cleland, garbatamente maliziosa, mai sciatta o volgare, ha il dono di catturare il lettore fin dalle prime righe appunto con «un’apparente spontaneità di linguaggio»¹² frutto in realtà di una notevole perizia stilistica. Come nota ancora Siciliano, «Cleland è un piccolo scrittore: ma di quelli che possiedono la grazia innata del controllo dei propri mezzi, e sanno benissimo come misurare i passi che compiono. Niente va perduto; nulla è di più»¹³. Dunque, «stringatezza» ed «economia»¹⁴: è questo, al di là di tutti gli scandali veri o presunti, che fa di Fanny Hill «un capolavoro in sedicesimo»¹⁵, uno di quei pochi libri che non conoscono la polvere né le rughe del tempo, passando miracolosamente immacolati di lettore in lettore.

    RICCARDO REIM

    1 I motivi dell’espulsione sono rimasti oscuri: si è arrivato perfino a congetturare (a dire il vero senza troppo fondamento) un rapporto omosessuale con qualche compagno, basandosi sulla famosa scena di sodomia apparsa in un’edizione pirata del romanzo, che però quasi sicuramente non è da attribuire a Cleland.

    2 Non ci si lasci trarre inganno: si tratta di una cifra rimarchevole, il cui valore d’acquisto equivale a circa 80.000 delle odierne sterline.

    3 La prima edizione era di sole 750 copie.

    4 Vedi a tale Proposito Paul Englisch, L’eros nella letteratura, Milano 1967.

    Nel necrologio apparso in occasione della sua morte sulla «Monthly Review» si affermava che Cleland non aveva più scritto nulla di erotico perché dopo il processo il governo gli avrebbe assegnato una pensione di 100 sterline annue affinché «non mettesse più la sua penna al servizio di certi argomenti». Una storiella divertente ma assolutamente falsa.

    5 Come già detto, è il brano del romanzo che più ha fatto discutere, senza però arrivare mai ad alcuna certezza. Di fatto, c’è chi non esclude che tale scena possa essere di mano dello stesso Cleland.

    6 La citazione è tratta da Peter Sabor, postfazione a John Cleland, Fanny Hill, Milano 1998.

    7 L’edizione Putnam (New York 1963) venne autorizzata da un tribunale newyorkese nell’agosto del 1963 e dalla Corte Suprema nel marzo 1966. In gran Bretagna l’edizione Mayflower (gemella di quella americana) venne proibita nel febbraio 1964 ma ristampata nel 1970 senza difficoltà.

    A titolo di curiosità va detto che John Cleland non riuscì a diventare né ricco né famoso con le altre sue opere, fra cui vanno segnalati i romanzi Memoirs of a Coxcomb (1751) The Woman of Honour (1768) e una raccolta di racconti, The Surprises of Love (1764). Nessuno di questi libri riscosse particolare successo né di pubblico né di critica. Cleland scrisse anche una tragedia, Titus Vespasian (1755) e due commedie, The Ladies Subscription (1755) e Tombo-Chiqui, or, The American Savage (1758), ma nessuna di esse fu mai rappresentata.

    8 Enzo Siciliano, Nota introduttiva a John Cleland, Fanny Hill. Ricordi di una donna di piacere, Milano 1978.

    9 Samuel Richardson, Pamela, or The Virtue Rewarded (Pamela o la virtù premiata), edito nel 1740, conobbe subito un successo talmente clamoroso da suscitare una vera e propria moda, pro o contro il personaggio. Nel 1741 Henry Fielding (il futuro autore di Joseph Andrews e Tom Jones) esordì con il romanzo An Apology for the Life of Mrs. Shamela Andrews (Apologia della vita di Mrs. Shamela Andrews) dove fin dal titolo si denunciano le intenzioni ironiche dell’autore nell’intraducibile gioco di parole tra shame («falso») e il nome Pamela.

    10 Vedi nota 6.

    11 Vedi nota 8.

    12 John Hollander, The Old Last Act: Some Observations on Fanny Hill, «Encounter», 21, 1963.

    13 Vedi nota 8.

    14 Vedi nota 8.

    15 Vedi nota 8.

    Lettera prima

    Signora,

    mi appresto a fornirle una prova indiscutibile di come i suoi desideri siano per me ordini fondamentali. Per quanto il compito mi sia ingrato, le racconterò di quei momenti scandalosi della mia vita dai quali alla fine riemersi per godere del favore dell’amore, della salute e della buona sorte; mentre sono ancora nel fiore degli anni, e non è troppo tardi per sfruttare i piaceri che tanto agio e ricchezza mi concedono, mi posso dedicare a quell’attitudine niente affatto disprezzabile che, perfino nel vortice di dissolutezza in cui ero stata trascinata, mi ha permesso di osservare il carattere e i costumi del mondo, più di quanto fanno altre nella mia infelice professione, le quali considerano il pensiero e la riflessione nemici mortali dai quali tenersi il più lontane possibile o da distruggere senza pietà.

    Poiché odio profondamente tutti i lunghi e inutili preamboli, di questo gliene do atto, non cercherò ulteriori scuse per prepararla a scoprire la parte dissoluta della mia vita, riportata con la stessa libertà con cui la condussi.

    La verità! La verità nuda e cruda è quello che le racconterò, e non mi preoccuperò di coprirla con un velo, ma dipingerò i fatti così come mi si presentarono, senza curarmi di violare quelle regole di decenza che non si sono mai adattate alla sincera intimità che ci lega; lei ha troppo buon senso e troppa conoscenza degli originali per storcere il naso per il pudore davanti alla loro rappresentazione. I grandi signori, quelli più raffinati e di buon gusto, non si faranno scrupolo di decorare le loro stanze private con quadri di nudo, sebbene, a causa di volgari pregiudizi, non li riterranno mai degni dei lori ingressi o saloni.

    Premesso ciò, ed è già abbastanza, mi lancio a capofitto nella mia storia personale. Il mio nome da ragazza era Frances Hill. Sono nata in un piccolo villaggio vicino a Liverpool, nel Lancashire, da genitori estremamente poveri e, lo credo con fervore, estremamente onesti.

    Mio padre, che in seguito a una menomazione agli arti era diventato inabile ai lavori contadini più faticosi, guadagnava, intrecciando reti, uno scarso sostentamento che veniva arrotondato di poco dall’attività di mia madre, la quale teneva una piccola scuola diurna per le ragazze del vicinato. Avevano avuto diversi figli, ma nessuno era sopravvissuto eccetto me, che avevo ricevuto dalla natura una costituzione sana.

    Fino ai quattordici anni e oltre, la mia educazione era stata piuttosto essenziale: leggere, o meglio compitare, scarabocchiare parole illeggibili e qualche semplice lavoretto di ricamo era tutto quello che sapevo fare; inoltre, i miei precetti di virtù si fondavano semplicemente sulla totale ignoranza del vizio, nonché sul timido pudore comune al sesso femminile in tenera età, quando le cose preoccupano o spaventano più per la loro novità che per altro. Ma in seguito quel timore troppo spesso si esaurisce a discapito dell’innocenza, e una volta signorine non consideriamo più gli uomini come predatori che vogliono divorarci.

    La mia povera madre aveva diviso quasi tutto il tempo tra le sue allieve e le piccole faccende domestiche, dedicandosi molto poco alla mia istruzione e, data la sua stessa ingenuità nei confronti del male, non si era preoccupata di mettermi in guardia da esso.

    Avevo da poco compiuto quindici anni quando la peggiore delle disgrazie si abbatté su di me e mi portò via i miei dolci e adorati genitori, entrambi colpiti dal vaiolo a pochi giorni di distanza. Mio padre morì per primo, accelerando di conseguenza la morte di mia madre. Fu così che mi ritrovai un’orfana infelice e senza amicizie (mio padre infatti si era trasferito lì per caso, lui era originario del Kent). Quella crudele malattia, per loro fatale, aveva colpito anche me, ma in forma più lieve e benigna, tanto che ne guarii presto e, cosa di cui allora ignoravo il valore, senza alcuna cicatrice. Tralascio ogni resoconto del dolore e dell’afflizione che provai in quei momenti drammatici. Poco tempo dopo, grazie alla spensieratezza della giovane età, dissipai troppo in fretta le riflessioni su quell’irreparabile perdita; tuttavia niente contribuì di più alla mia ripresa quanto le idee che mi furono messe in testa, di andare a Londra e di cercare lavoro come domestica. In questa avventura mi vennero promessi aiuto e consiglio da una tale Esther Davis, una giovane donna che era venuta in vista da amici e che, dopo essere rimasta alcuni giorni, sarebbe ritornata a Londra.

    Al villaggio non avevo più nessuno che si preoccupasse della mia sorte o che sollevasse obiezioni su quello che stavo per fare, anzi, la donna che si era presa cura di me dopo la morte dei miei mi incoraggiò nell’impresa, così arrivai ben presto alla decisione di compiere questo salto nel vasto mondo recandomi in città in cerca di fortuna, espressione che, a proposito, ha rovinato più avventurieri di entrambi i sessi provenienti dalla campagna di quanti ne abbia mai creati o aiutati.

    Inoltre Esther Davis mi confortava e spronava a seguirla stuzzicando la mia curiosità infantile con le bellezze che avrei potuto vedere a Londra: le tombe, i leoni, il re, la famiglia reale, il bel teatro, l’opera e, in breve, tutti quegli svaghi che riempivano la sua vita e la cui descrizione mi fece perdere la testa.

    Non posso fare a meno di sorridere quando rammento l’innocente ammirazione, unita a un pizzico d’invidia, con cui noi povere ragazze, i cui abiti della domenica si limitavano a una camicia di lino grezzo e una gonna di lana, guardavamo gli abiti di raso frusciante di Esther, i suoi cappellini con bordi di pizzo alti un pollice, i vistosi nastri e le scarpe con le fibbie d’argento: tutte cose che immaginavamo di trovare in gran quantità a Londra, e che contribuirono in buona sostanza alla mia decisione di buttarmi per avere la mia parte.

    Tuttavia l’idea di avere la compagnia di una donna di paese fu l’unico e banale motivo che spinse Esther a prendersi cura di me durante il viaggio in città, dove, mi raccontò con i suoi modi e stile, molte ragazze di campagna erano riuscite a sistemarsi insieme alle loro famiglie per sempre: preservando la virtù, alcune di loro avevano conquistato i propri padroni a tal punto da farsi sposare, e ora giravano in carrozze e vivevano nel lusso e felici. Alcune erano addirittura diventate duchesse: era tutta questione di fortuna, e poteva toccare anche a me. Questi e altri racconti contribuirono a farmi intraprendere questo viaggio di buona speranza e a lasciare un luogo in cui, pur essendoci nata, non avevo più nessuno da rimpiangere, e che mi era diventato insopportabile, perché anche l’amicizia più tenera si era trasformata in fredda compassione, perfino a casa dell’unica amica rimasta, dove avevo sperato di trovare amore e protezione. Quella donna dimostrò comunque grande onestà verso di me, perché riuscì a convertire in denaro le poche cose che mi erano rimaste dopo aver saldato i debiti e le spese funerarie, e alla mia partenza mi mise tra le mani la mia fortuna: un guardaroba molto misero sistemato dentro a un baule da viaggio, e otto ghinee e diciassette scellini d’argento in un borsellino, il più grande tesoro che io avessi mai visto tutto in una volta, e che non credevo si sarebbe mai esaurito. Infatti, ero talmente presa dalla gioia di poter gestire una somma così immensa da sola che non mi curai troppo dei consigli che mi vennero dati insieme al denaro.

    Furono prenotati due posti, uno per Esther e uno per me, sulla carrozza della Chester-Waggon. Tralascerò di descrivere l’inutile scena di addio, e tralascerò anche quello che mi successe durante il viaggio, come le occhiate bramose che mi rivolse il conducente o le intenzioni di qualcuno degli altri passeggeri nei miei confronti, che però furono scoraggiate dall’attenta sorveglianza di Esther, la quale, a onor del vero, si occupò di me come una madre, pur tassandomi per la sua protezione addebitandomi le spese di viaggio, che tuttavia mi accollai con grande piacere poiché mi consideravo più che obbligata nei suoi confronti.

    La donna prestò molta attenzione affinché non ci facessero pagare più del dovuto e non ci imbrogliassero, e gestì il denaro con la massima parsimonia: non era suo costume sperperarlo.

    Nonostante fosse un tiro a sei, era piuttosto tardi, una sera d’estate, quando raggiungemmo la città sul nostro lento convoglio. Passando per le ampie strade che conducevano alla locanda, il rumore delle carrozze, la fretta, la folla di passanti, il nuovo scenario di negozi e case mi meravigliarono facendomi subito perdere la testa.

    Ma s’immagini la mia mortificazione e sorpresa quando arrivammo alla locanda e, una volta scaricati i bagagli, la mia compagna di viaggio e protettrice, Esther Davis, la quale per tutto il tragitto mi aveva ricoperta di attenzioni e non mi aveva in nessun modo preparata al terribile colpo che stavo per ricevere, mia unica amica e consigliera in quel luogo sconosciuto, assunse d’un tratto un atteggiamento freddo e distaccato, quasi temesse che io potessi diventare un peso.

    Allora, invece di continuare a offrirmi il suo aiuto e i suoi uffici, su cui avevo fatto affidamento e di cui non avevo mai abusato, si considerò, a quanto pare, libera da ogni impegno per avermi condotta sana e salva alla fine del viaggio; vedendo che con molta naturalezza si apprestava ad abbracciarmi per prendere commiato, in preda alla confusione e allo stupore, non ebbi la prontezza di spirito per confidarle le mie speranze e aspettative su ciò che avrei potuto ottenere dalla sua esperienza e conoscenza del luogo in cui mi aveva condotta.

    Mentre me ne stavo lì imbambolata e muta, comportamento che lei dovette attribuire soltanto alla preoccupazione per la separazione, questo pensiero fu alleviato dall’arringa che mi fece: ora che eravamo giunte sane e salve a Londra, era obbligata a riprendere servizio, ed era meglio che anch’io mi cercassi un lavoro il prima possibile, e non dovevo preoccuparmi di non trovarlo perché lì c’erano più case che parrocchie, e mi sarei dovuta recare a un ufficio di collocamento. Se lei avesse sentito di qualche opportunità me lo avrebbe comunicato, nel frattempo avrei dovuto cercarmi una camera in affitto e informarla su dove farmi rintracciare. Poi mi augurò buona fortuna e mi raccomandò di avere la grazia di restare sempre onesta e di non disonorare la mia famiglia. A quel punto si accomiatò e mi affidò a me stessa con la stessa leggerezza con cui ero stata affidata a lei.

    Lasciata sola, senza risorse né amici, iniziai ad avvertire molto più forte la pesantezza di quella separazione avvenuta in una stanzina della locanda. Non appena mi voltò le spalle, a causa dell’afflizione che provai in quella situazione di smarrimento, scoppiai in lacrime, alleviando così le pene del mio cuore, pur non avendo la benché minima idea di cosa ne sarebbe stato di me.

    Arrivò un cameriere che mi chiese con modi bruschi, rendendomi ancora più incerta, se mi servisse qualcosa, e io gli risposi con innocenza di no, solo desideravo sapere dove potevo trovare una sistemazione per la notte. Mi rispose che sarebbe andato a chiamare la padrona, la quale infatti arrivò e mi disse con freddezza, senza curarsi per nulla dello stato di angoscia in cui mi trovò, che avrei potuto avere un letto per uno scellino e che, supponendo che io avessi delle conoscenze in città (a quel punto feci un lungo sospiro in vano!), la mattina seguente me ne sarei dovuta andare per la mia strada.

    È incredibile quali magre consolazioni riesca a trarre la mente umana anche nei momenti di grande afflizione. La sola certezza di un letto sul quale riposare per quella notte calmò le mie ansie, e provando vergogna nell’informare la padrona della locanda che non avevo conoscenti in città ai quali rivolgermi, mi ripromisi di recarmi per prima cosa la mattina seguente a un ufficio di collocamento, le cui coordinate Esther aveva lasciato scritte sul retro di una ballata. Ero convinta che là avrei ricevuto le informazioni su un posto, adatto a una ragazza di campagna come me, dove mi sarei dedicata a qualsiasi occupazione prima che il mio piccolo gruzzolo si fosse esaurito. E pensare che quel bel tipo di Esther mi aveva ripetuto tante volte che ella stessa me lo avrebbe procurato; nonostante ci fossi rimasta male per come mi aveva abbandonata, non smisi del tutto di darle fiducia, poiché iniziai a pensare, nella mia ingenuità, che

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