Ethan Frome
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Info su questo ebook
Ethan Frome è un classico della letteratura americana (anche Lisa Simpson legge Ethan Frome!) ed è considerato dalla critica più attenta l’opera migliore, il capolavoro di Edith Wharton (1862/1937), la prima donna a vincere, nel 1921, il premio Pulitzer con “L’età dell’innocenza”.
Siamo in una sperduta e malmessa fattoria tra le nevi del New England. Il proprietario, Ethan Frome, è un uomo imponente dal carattere schivo e introverso e dal corpo irrimediabilmente rovinato. La gravità della sua espressione, l’indole silenziosa, il suo aspetto vigoroso e dolente, attirano la curiosità di un ingegnere che, per lavoro è costretto a trascorrere un lungo inverno nello sperduto villaggio di Starkfield. Dall’iniziale suspence, in un crescendo emotivo, l’ingegnere riuscirà a scoprire il mistero di Ethan Frome e a raccontarcene la tragica vicenda.
“Se conoscete Starkfield, in Massachusetts, allora avrete presente anche l’ufficio postale. E se avete presente l’ufficio postale, allora avrete sicuramente visto anche Ethan Frome fermarcisi davanti con il suo calesse, lasciare le redini sulla groppa curva del suo cavallo baio e, magari, lo avrete visto trascinarsi sul marciapiede di mattoni fino a raggiungere il colonnato bianco… e forse, vi sarete chiesti chi fosse…”
Edith Wharton
EDITH WHARTON (1862 - 1937) was a unique and prolific voice in the American literary canon. With her distinct sense of humor and knowledge of New York’s upper-class society, Wharton was best known for novels that detailed the lives of the elite including: The House of Mirth, The Custom of Country, and The Age of Innocence. She was the first woman to be awarded the Pulitzer Prize for Fiction and one of four women whose election to the Academy of Arts and Letters broke the barrier for the next generation of women writers.
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Anteprima del libro
Ethan Frome - Edith Wharton
Edith Wharton
Ethan Frome
ISBN: 9788831372107
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Indice dei contenuti
Presentazione
Edith Wharton (1862 - 1937)
Sinossi
Ethan Frome
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
EDITH WHARTON
ETHAN FROME
eBook
(edizione integrale)
Traduzione a cura di Maria Laura Belli e Laura Pierantoni
Recitar Leggendo Edizioni
©2020 audiolibro - ©2020 Ebook - Diritti riservati
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
RECITAR LEGGENDO EDIZIONI
www.recitarleggendo.it
ISBN Ebook: 978-88-31372-10-7
Copertina a cura di Giuseppe Rossi
La versione in audiolibro di questo testo può essere reperita presso:
Recitar Leggendo Audiolibri
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Presentazione
Recitar Leggendo Audiolibri è una iniziativa editoriale indipendente nata nel 2004 e curata da Claudio Carini, attore di prosa con oltre quarant’anni di esperienza nel campo della lettura ad alta voce. Da questa vasta esperienza nasce la linea editoriale della Casa Editrice, prevalentemente dedicata ai grandi classici.
Per dare la possibilità di seguire il testo durante l’ascolto del relativo audiolibro, Recitar Leggendo ha avviato una collana di ebook le cui traduzioni sono pensate appositamente per la lettura ad alta voce. Tutti i testi della collana ebook, infatti, sono disponibili anche in audiolibro, sia in formato CDmp3 (nelle migliori librerie) che in formato download (scaricabile dai più importanti portali di audiolibri).
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Edith Wharton (1862 - 1937)
Donna di grande cultura classica, appartenente a una ricchissima famiglia newyorkese, fu la prima donna a ricevere il premio Pulitzer nel 1921 per il suo romanzo L’età dell’innocenza
che fece scalpore per la disamina attenta e spietata della ricca borghesia americana che lei ben conosceva. Dopo un matrimonio infelice, viaggiò molto in Europa dove conobbe Henry James, che diventò suo amico e mentore per poi stabilirsi definitivamente in Francia. Ethan Frome
è il suo secondo romanzo (1911) ed è considerato dalla maggior parte della critica, la sua opera più riuscita. Tra gli anni Venti e Trenta scriverà numerosi romanzi, tra cui quello che le varrà la fama. Dopo la Prima guerra mondiale fu insignita dal governo francese della Legion d’Onore per aver assistito donne disoccupate e rifugiati di guerra.
Sinossi
Ethan Frome è un classico della letteratura americana (anche Lisa Simpson legge Ethan Frome!) ed è considerato dalla critica più attenta l’opera migliore, il capolavoro di Edith Wharton (1862 - 1937), la prima donna a vincere, nel 1921, il premio Pulitzer con L’età dell’innocenza
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Siamo in una sperduta e malmessa fattoria tra le nevi del New England. Il proprietario, Ethan Frome, è un uomo imponente dal carattere schivo e introverso e dal corpo irrimediabilmente rovinato. La gravità della sua espressione, l’indole silenziosa, il suo aspetto vigoroso e dolente, attirano la curiosità di un ingegnere che, per lavoro è costretto a trascorrere un lungo inverno nello sperduto villaggio di Starkfield. Dall’iniziale suspence, in un crescendo emotivo, l’ingegnere riuscirà a scoprire il mistero di Ethan Frome e a raccontarcene la tragica vicenda.
Se conoscete Starkfield, in Massachusetts, allora avrete presente anche l’ufficio postale. E se avete presente l’ufficio postale, allora avrete sicuramente visto anche Ethan Frome fermarcisi davanti con il suo calesse, lasciare le redini sulla groppa curva del suo cavallo baio e, magari, lo avrete visto trascinarsi sul marciapiede di mattoni fino a raggiungere il colonnato bianco… e forse, vi sarete chiesti chi fosse…
Ethan Frome
Ho conosciuto questa storia, a frammenti, ascoltandola da diverse persone, e, come succede sempre in questi casi, ogni volta mi raccontavano una versione diversa.
Se conoscete Starkfield, in Massachusetts, allora avrete presente anche l’ufficio postale. E se avete presente l’ufficio postale, allora avrete sicuramente visto anche Ethan Frome fermarcisi davanti con il suo calesse, lasciare le redini sulla groppa curva del suo cavallo baio e, magari, lo avrete visto trascinarsi sul marciapiede di mattoni fino a raggiungere il colonnato bianco; e forse, vi sarete chiesti chi fosse.
Fu qui che molti anni fa lo vidi per la prima volta, e il suo aspetto mi colpì profondamente. Già a quel tempo era il personaggio più appariscente di Starkfield, nonostante non fosse altro che un rudere di uomo. Non era tanto la sua altezza imponente a renderlo particolare, perché qui, i nativi
sono per lo più alti e slanciati a differenza delle razze straniere più tarchiate: ma era, piuttosto, l’impressione di vigore e di forza noncurante che da lui emanava nonostante l’andatura zoppicante che gli faceva trascinare ogni passo come se dovesse liberarsi da una catena. C’era qualcosa di tetro e di scostante nell’espressione del suo viso, ed era così rigido e brizzolato che credevo fosse più vecchio: rimasi, infatti, molto sorpreso nello scoprire che aveva solo cinquantadue anni. Me lo disse Harmon Gow che, prima dell’arrivo dei tram, era il conducente della diligenza che andava da Bettsbridge a Starkfield, e che conosceva tutte le storie delle famiglie che abitavano lungo quel tragitto.
«Dal giorno dell’incidente ha sempre avuto quell’aspetto e… a febbraio … sono già passati ventiquattro anni!» disse Harmon, dopo una pausa in cui il suo pensiero era tornato ai ricordi del passato.
Era stato proprio quell’ incidente
- così appresi sempre da Harmon - che oltre a lasciare quella cicatrice rossa che solcava la fronte di Ethan, gli aveva accorciato e sciancato il lato destro del corpo, in una maniera così evidente che ora quei pochi passi che doveva fare, dal suo calesse all’ufficio postale, gli costavano uno sforzo incredibile.
Tutti i giorni, a mezzogiorno, Ethan arrivava in città dalla sua fattoria, e siccome anche io passavo a ritirare la mia posta a mezzogiorno, allora lo incontravo spesso sotto il portico o mi ritrovavo in fila, accanto a lui, mentre attendevo che la mano dietro l’inferriata distribuisse la corrispondenza. Notai che, sebbene fosse lì puntuale tutti i giorni, non riceveva altro che la copia di un giornale, il Bettsbridge Eagle che infilava in una vecchia tasca, senza neanche guardarla. Ogni tanto, però, il responsabile dell’ufficio gli porgeva una busta indirizzata alla signora Zenobia, o Zeena Frome, che aveva stampata sull’angolo in alto a sinistra l’indirizzo di un qualche fabbricante di medicine e il nome della specialità.
E anche queste buste venivano infilate in tasca dal mio vicino senza neanche un’occhiata, come se non fosse per niente curioso riguardo al contenuto, e poi, sempre in silenzio, si allontanava salutando, con un cenno del capo, il responsabile dell’ufficio postale.
A Starkfield lo conoscevano tutti, e lo salutavano intimiditi dalla gravità della sua espressione: la sua indole silenziosa veniva rispettata, e capitava solo in rare occasioni che uno degli anziani del luogo lo fermasse per scambiare qualche parola. Quando ciò succedeva, lui rimaneva in ascolto, silenzioso, con gli occhi azzurri fissi sul volto del suo interlocutore, e rispondeva con voce talmente bassa che le sue parole non arrivavano mai al mio orecchio. Poi si arrampicava impacciato sul suo calesse, prendendo le redini nella mano sinistra e si avviava lentamente verso la sua fattoria.
«Ma fu un incidente molto brutto?» domandai a Harmon, mentre osservavo la sagoma di Frome, e immaginavo quanto il suo volto asciutto e abbronzato, con i capelli folti e biondi, dovesse stare fieramente eretto sulle sue spalli forti un tempo, prima che venissero deformate e incurvate.
«Oh, fu un incidente terribile, uno dei peggiori, sufficiente per ammazzare chiunque. Ma i Frome sono dei tipi vigorosi, robusti. Ethan probabilmente camperà fino a cent’anni.» disse il mio informatore.
«Buon Dio!» esclamai. In quel momento Ethan Frome, dopo essersi arrampicato sul suo calesse, si era chinato a controllare che una cassetta di legno - che anch’essa portava il timbro di una farmacia - fosse ben assicurata nel retro del calesse, e scorsi sul suo viso l’espressione che doveva avere quando credeva di essere solo. «Quell’uomo campare fino a cent’anni? Ma già adesso sembra essere un uomo morto e all’inferno!»
Harmon tirò fuori una tavoletta di tabacco dalla tasca, ne tagliò un quadratino e lo premette nell’interno della guancia come se fosse una borsa di cuoio. «Eh, credo sia rimasto a Starkfield per troppi inverni. I migliori se ne vanno tutti da qui.»
«E perché non se n’è andato anche lui?»
«Perché qualcuno doveva pur restare a prendersi cura dei suoi! Non c’era nessun altro oltre a Ethan. Prima suo padre...poi sua madre... e poi sua moglie …»
«E poi… ci fu l’incidente?»
Harmon ridacchiò in modo beffardo «Eh sì! E a quel punto, per forza di cose, è dovuto rimanere qui.»
«Capisco. E da allora sono stati gli altri a prendersi cura di lui?»
Harmon spostò il tabacco con attenzione all’altra guancia, pensieroso «Ah, quanto a questo, mi sa proprio che è stato sempre e comunque Ethan a prendersi cura degli altri.»
Nonostante Harmon Gow avesse finito il suo racconto impiegando il massimo delle sue capacità mentali e morali, c’erano delle lacune evidenti tra i fatti raccontati, e avevo la netta impressione che il significato profondo di questa storia stesse proprio in quelle lacune. Ma una frase mi rimase impressa, diventando il nucleo intorno al quale basai le mie seguenti deduzioni: Credo sia rimasto a Starkfield per troppi inverni.
E prima che la mia permanenza laggiù terminasse, avevo finalmente compreso cosa volesse dire quella frase. Eppure, io ero arrivato lì nella degenerata era dei tram, delle biciclette e della posta consegnata anche nelle campagne, quando la comunicazione tra i villaggi dispersi tra le montagne e le grandi città nelle vallate, come Bettsbridge e Shadd’s Fall era facile, c’erano biblioteche, teatri, sale del YMCA dove i giovani delle colline si riunivano per divertirsi. Ma quando arrivò l’inverno a Starkfield e il villaggio giaceva sotto una coltre di neve che cadeva continuamente dal cielo pallido, iniziai a vedere come la vita lì - o piuttosto la negazione di essa - doveva essere stata ai tempi in cui Ethan Frome era giovane.
Ero stato mandato in quel villaggio dai miei capi per un lavoro riguardante la centrale elettrica a Corbury Junction, lavoro che fu rimandato a lungo a causa di uno sciopero dei carpentieri; e così mi ritrovai bloccato a Starkfield - il luogo abitato più vicino - per la maggior parte dell’inverno. All’inizio mi ribellai, ma poi, come ipnotizzato dalla forza dell’abitudine, cominciai a provare una sorta di tetro piacere per quella vita. Nel primo periodo della mia permanenza rimasi colpito dal contrasto che c’era tra la vitalità del clima e il torpore della gente. Appena finite le nevicate di dicembre, giorno dopo giorno, un cielo di un azzurro acceso riversava torrenti di luce e di aria sul paesaggio bianco, rivestendolo di un luccichio intenso. Uno potrebbe pensare che una tale atmosfera dovesse ravvivare le emozioni e il sangue, e invece sembrava non