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Impazienza fatale
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E-book154 pagine2 ore

Impazienza fatale

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Info su questo ebook

"Un autore inaspettato ci ha regalato una storia accattivante che tiene col fiato sospeso fino alla fine."
Luigi e Marisa fanno ritorno su una piccola isola della Sicilia dove avevano trascorso le precedenti vacanze estive. Lui è un commerciante di opere d’arte caduto in disgrazia che tenta la fuga dai suoi aguzzini. Lei, invece, sceglie quella meta per avere la sua rivincita su Karin che la scorsa estate aveva avuto una storia con Luigi. Giunti sull’isola, Karin cerca di riprendere la sua relazione con Luigi mentre Marisa, che non ha nessuna intenzione di soccombere, decide di passare al contrattacco, ma il terzo giorno di vacanza Luigi muore avvelenato...
LinguaItaliano
Data di uscita16 gen 2016
ISBN9788892545106
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    Anteprima del libro

    Impazienza fatale - Emilio Favazzo

    sesto

    Capitolo primo

    Le onde si scagliavano sull’aliscafo che, incurante del forte vento di ponente, procedeva sobbalzando verso il piccolo arcipelago del mediterraneo. Luigi teneva nella sua mano quella di Marisa che dormiva sul sedile accanto al suo. Osservava sullo sfondo, dal finestrino alla sua destra, la maestosità del mare mosso, con le sue increspature di schiuma bianca che andavano ritmicamente ad infrangersi sul vetro, quasi volessero respingerlo e tenerlo lontano dalla destinazione scelta.

    Nonostante si stesse recando in vacanza, aveva la testa altrove. Nella sua mente riecheggiavano ancora le parole minacciose dell’esattore inviatogli dai suoi aguzzini che, la sera prima, gli aveva dato tempo fino alla fine del mese per saldare l’incasso dell’ultima consegna di cocaina. Era una brutta storia e Luigi aveva deciso di uscire da quel giro pericoloso in cui si era cacciato.

    Tutto ebbe inizio per colpa della crisi. Gli affari gli andavano male, il suo negozio milanese di oggetti d’arte situato nel cuore della città non riusciva più a vendere come un tempo e stava fallendo. Sommerso dai debiti e inseguito dalle banche, che gli avevano revocato gli ultimi fidi, si era cosí rivolto ad amici per cercare di salvare la sua attività. Questi gli avevano concesso dei prestiti a condizioni usurarie, per tamponare la sua crisi di liquidità.

    All’inizio Luigi, con quei soldi, era riuscito a ripianare buona parte dei debiti contratti con le banche ed anche a saldare alcune forniture, riacquistando ottimismo. Ma quando, dopo poche settimane, si vide richiedere dai suoi amici la cessione della sua società che gli avevano salvato dal fallimento, per evitare di perderla fu costretto a firmare parecchi assegni postdatati, per circa 400.000 euro, da onorare tutti entro pochi mesi.

    Era così finito in una trappola. Pensò che forse sarebbe stato meglio cedere l’attività, ma non volle rinunciare al suo orgoglio che gli impose di non umiliarsi davanti a Marisa, confessandole il suo insuccesso professionale. Era stata lei, quattro anni prima, dopo il matrimonio, ad incoraggiarlo anche economicamente nell’investimento in quella galleria. E poi, adesso con Marisa le cose non andavano più tanto bene. La scorsa estate, durante le vacanze, aveva conosciuto Karin, con cui aveva avuto una relazione, della quale Marisa ne era probabilmente a conoscenza, nonostante non gli avesse detto nulla. Non aveva avuto, anche per questa ragione, il coraggio di chiederle di salvarlo; doveva farcela da solo.

    Quando il primo assegno postdatato giunse alla scadenza, non aveva soldi sufficienti per poterlo pagare. Ma anche questa volta gli amici gli offrirono una chance: avrebbe dovuto effettuare delle consegne di coca per loro conto e dall’incasso che avrebbe realizzato, gli avrebbero a poco a poco ridotto il loro credito nei suoi confronti. Neanche questa volta aveva scelta.

    Era così entrato a far parte dei corrieri di coca della Milano da bere, un ambiente a lui ignoto, pieno di insidie, pericoli e di gente senza scrupoli, da cui sperava di uscirne prima possibile, vivo.

    Luigi, invece, si ambientò presto, dimostrando una capacità di adattamento che non immaginava di possedere. L’altra sera era impegnato, seduto ad un tavolo dell’elegante ritrovo di Brera, in una negoziazione per la consegna di una partita di coca, più importante delle precedenti che aveva avuto l’incarico di gestire per quella gente. Terminato positivamente l’incontro, salutò il suo cliente e si avviò verso la sua auto, dopo aver custodito il contante incassato all’interno della sua tracolla di pelle nera. Messa in moto la macchina, accese la radio e svoltò su una via laterale per poi dirigersi verso casa. Mentre guidava, gli venne in mente di meritare più di quanto lo pagassero. In fondo era lui a rischiare, sia con i trafficanti che con la polizia. Dopo i primi tentennamenti, decise di prestarsi quel denaro appena incassato per avviare una nuova attività, pur continuando a collaborare con quella gente. A loro avrebbe proposto di rimborsarli in maniera differente rispetto alle precedenti due consegne.

    Ma Luigi si sbagliava, non era ammesso il cambio degli accordi ed anche quella consegna doveva essere pagata interamente. Il giorno seguente, dopo una breve negoziazione con i suoi fornitori, l’unica concessione che ottenne fu il rinvio del pagamento alla fine del mese. Poi avrebbe dovuto saldare il suo debito, tutto intero.

    Un’onda più forte fece inclinare sul fianco l’aliscafo. Dei turisti seduti nei sedili davanti al suo urlarono per la paura. Marisa, che teneva gli occhi chiusi per soffrire di meno il mare, gli strinse forte la mano scacciandogli quei pensieri che lo inseguivano dalla sera prima.

    Lei non sapeva cosa lo preoccupasse, non era al corrente del ricatto in cui era finito, credeva invece che lui stesse pensando a Karin.

    La sera prima, uscendo dal suo studio, Marisa aveva impartito ai suoi collaboratori le ultime istruzioni sulle pratiche assegnate per il rientro dalle ferie. Era meticolosa e voleva che tutti gli atti del suo studio notarile venissero perfezionati nei tempi che lei aveva stabilito.

    Terminata la lunga riunione, prese con sé il suo tablet, la borsa, salutò i suoi collaboratori e si avviò verso casa. Quella sera doveva andare a dormire presto. L’indomani mattina alle 6:30 in punto lei e Luigi avrebbero dovuto prendere il volo che da Linate li avrebbe portati a Palermo e, da qui, avrebbero proseguito il viaggio verso quella piccola isola, dove, nello stesso periodo dell’anno scorso, il suo rapporto con Luigi era stato turbato dalla figura di Karin.

    Allora non aveva voluto sfidare Luigi rinfacciandogli il tradimento, ne era innamorata e voleva riprenderselo là dove le era stato sottratto. Davanti alla stessa donna. Per questa ragione aveva proposto al marito di trascorrere le ferie nello stesso hotel, facendogli credere di esserne rimasta innamorata.

    «Ma come, non abbiamo mai ripetuto lo stesso viaggio e tu vorresti che tornassimo in quella piccola isola?» le chiese Luigi, sospettoso, quando tre mesi addietro Marisa volle prenotare in quell’hotel.

    «Si, lo voglio. È un posto speciale, e poiché non ho terminato di esplorarlo, vorrei ritornarci quest’anno», gli disse Marisa con un sorriso che nascondeva il suo programma. Luigi l’aveva lasciata fare. In cima ai suoi pensieri c’erano i suoi problemi economici e non poteva permettersi discussioni con lei.

    Nei giorni che precedettero la loro partenza, nei pensieri di Luigi divennero sempre più ricorrenti il profumo di Karin, le sue labbra, le curve sinuose del suo corpo perfetto. Fu come se, all’improvviso, guardando un quadro, lo sfondo prendesse il sopravvento su quello che, fino a poco prima, era posto in primo piano. Cominciò così a prendere coscienza della possibilità di evasione da un mondo che lo aveva reso prigioniero, e Karin rappresentava la sua via di fuga. Poi immaginò che avrebbe potuto espandere il suo mercato di sbocco per la sua nuova attività, su un’isola così piena di turisti. Avrebbe dovuto confrontarsi con operatori del settore che non avrebbero accettato quell’intrusione, ma era certo di poter scendere a patti anche con loro.

    Questi pensieri si scontravano con l’amore che sentiva di provare ancora per Marisa. Era così combattuto tra il desiderio di iniziare una nuova vita insieme a Karin e quello di restare al suo posto, a fianco di Marisa, riprendendosi però quello che gli era stato sottratto: la dignità.

    «Informiamo i signori passeggeri che stiamo per attr­­­­­­­accare al porto» disse una voce dalla plancia di comando dell’aliscafo. Annuncio ripetuto in un pessimo inglese con accento siciliano, tra i sorrisi dei turisti. Mentre scendevano con i bagagli sul pontile, vennero circondati da tre o quattro abitanti del luogo, muniti di cartelli che reclamizzavano altrettanti affitta camere.

    «Vuole una cammara? Costa solo 35 euro a notte» fece il primo, seguito da analoghe proposte degli altri.

    «No grazie. Abbiamo già prenotato il nostro soggiorno» rispose cordiale Marisa, facendo notare al suo simpatico interlocutore che quel tipo di offerta turistica andasse indirizzata ai ragazzi alla ricerca di sistemazioni economiche piuttosto che a turisti del suo livello. Poi si guardò intorno e si stupì del fatto che nessuna autorità, vigili o guardia costiera, fosse presente sul pontile.

    Un gruppetto di turisti tedeschi li superò, seguendo in fila indiana il cartello della loro guida, che li radunava intorno all’autobus fermo ad aspettarli.

    Mentre li osservava riporre i loro bagagli, lo sguardo di Marisa fu attratto da un’imbarcazione ormeggiata nella baia, lì vicino. Era un veliero a tre alberi di colore bianco, lungo una trentina di metri. Un’imbarcazione d’altri tempi. La sua sagoma sembrava come dipinta sullo sfondo blu del mare limpido, con i gabbiani che compivano le loro giravolte intorno, attratti dal pesce del peschereccio ormeggiato lì dietro.

    Completava quel quadro immaginario, come in una cartolina, il dorso tondeggiante della collina alle spalle che scendeva dolcemente fin dove l’azzurro del cielo si trasformava nel blu luccicante delle onde.

    «Ecco la nostra macchina» disse Luigi, indicandole alla sua sinistra, sullo spiazzale in cui erano giunti, una monovolume mercedes bianca con l’insegna dell’hotel Zanzibar. Ad aspettarli c’era un ragazzo abbronzato, vestito con una camicia colorata, dei bermuda bianchi ed un cappello di paglia, stile panama.

    Saliti a bordo, percorsero un breve tratto di strada prima costeggiando la riva del mare, poi superate delle case basse di pescatori, svoltarono verso l’interno dell’isola attraversando una stradina stretta con ai lati numerose piante di fichi d’india. Dopo appena cinque minuti arrivarono in cima ad una piccola collina sovrastante la spiaggia che li immetteva nel vialetto d’ingresso del loro hotel. Ad aspettarli, al riparo dal sole sotto l’elegante tettoia in travi di legno, c’era Franco, il proprietario. Era un uomo colto e cordiale, in grado di parlare fluentemente quattro lingue straniere, appassionato giocatore di scacchi e amante della pesca.

    «Bentornati carissimi amici miei! Avete fatto buon viaggio?» chiese loro sorridendo, andandogli incontro.

    «Accomodatevi pure qui al fresco, potrete assaporare tranquillamente un bicchiere di malvasia mentre i ragazzi provvedono a sistemare i vostri bagagli in camera» e li accompagnò verso un piccolo divano posizionato all’ombra.

    Il posto era incantevole. L’edificio era costituito da una costruzione a tre elevazioni, ognuna delle quali era provvista di una terrazza, delimitata dalle tipiche pulera, delle colonne rotonde senza né base né capitello, che servivano da sostegno per l’ampia tettoia in legno, coperta di tegole. Le terrazze erano rientranti e più piccole man mano che si saliva di livello. Tutte erano affacciate sulla baia del porto e offrivano una vista mozzafiato. Alla loro destra si poteva osservare il pontile degli aliscafi e quello dove attraccavano le navi che collegavano l’isola alla terraferma. Sullo sfondo si trovava la collina su cui splendevano maestosi i resti del vecchio Castello, le cui mura furono distrutte dai barbari e dove è situata la vecchia civita. Alle spalle del castello, si poteva osservare la sagoma della vicina isola col suo vulcano ancora attivo. Sulla sinistra, invece, dominava una collina tondeggiante che prima percorreva una salita, culminante in dei cipressi e poi, come disegnato con un compasso, proseguiva in una curva di macchia mediterranea che scendeva sul mare. Lungo il perimetro delle terrazze era un susseguirsi di vasi di tutte le forme, pieni di gerani dei più disparati colori, di margherite, ed altri fiori colorati. Di fronte si stagliava il blu del mare, su cui si specchiavano i raggi del sole con i suoi riflessi dorati che lo facevano risplendere, primo tra i tanti tesori di quel posto magico.

    Al piano terreno c’era un grande giardino, con aiuole fiorite disposte lungo un sentiero in cotto, dove era possibile starsene a riposare sulle sdraio posizionate all’ombra degli alberi, ed al centro una piscina che timidamente si proponeva di trattenere gli ospiti dall’irresistibile richiamo del dio Poseidone.

    «Grazie per avermi accompagnata qui» disse entusiasta Marisa, non senza

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