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La crepa nel muro di gomma
La crepa nel muro di gomma
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E-book362 pagine5 ore

La crepa nel muro di gomma

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Info su questo ebook

New York, 1927. Francesca Langdon e Julian Greathead si incontrano nel locale dove lei suona il sax tenore ed è colpo di fulmine.

La giovane, in realtà, è un promettente avvocato, erede di una dinastia di uomini di legge, mentre lui sostiene di essere un investigatore privato, amico del defunto nonno della ragazza. Julian avvisa Francesca di essere in pericolo, ma lei, incredula, prova a liberarsi di lui, finendo per essere investita da un motociclista in quello che sembra tutto, fuorché un incidente casuale.

Assistita da Charisse, sorella di Julian e luminare della Medicina, Francesca viene ospitata a Villa Greathead per la convalescenza, dove viene raggiunta dalla sorella Charlotte. In quell'occasione, Julian, Charisse e suo marito, il conte Paul LeMonde, ne approfittano per cercare di proteggere le Langdon dal perfido Lord Rawbeck e dal suo mefistofelico maggiordomo, Montgomery, raccontando loro che questi individui hanno una smodata sete di sangue e cercano di uccidere chiunque intralci i loro affari, come hanno fatto con la madre di Julian e Charisse, e con Daphne Carter, una giovane che hanno scambiato per Charlotte. Con l'aiuto inaspettato del fidanzato di quest'ultima, il giovane commissario Ernest Olivier, del giornalista Henry Blore e di sua moglie, la medium Lorraine, il gruppo si compatta, pronto a fronteggiare la minaccia. Piccolo particolare: Lord Rawbeck è un vampiro!

LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2016
ISBN9788892581906
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    Anteprima del libro

    La crepa nel muro di gomma - Jessica Floris

    Ringraziamenti

    CAPITOLO PRIMO: L’UOMO CHE SAPEVA OGNI COSA

    Isabella lo diceva sempre: mai giudicare dalle apparenze, mai! Me lo diceva quando, la sera, mi accarezzava i capelli e mi cantava antiche nenie irlandesi per farmi addormentare, saranno passati almeno tre anni dall’ultima volta che l’ha fatto, poi me ne sono andata di casa ed è rimasta mia sorella Charlotte a tenerle compagnia, finchè non si è sposata anche lei. Isabella non è stata una semplice governante: mi ha fatto da zia, da seconda madre, da amica e, più in là con gli anni, avrei scoperto quanto avere a che fare con una donna così forte e straordinaria potesse essere un faro illuminante per alcune scelte decisive.

    Charlotte e io abbiamo cinque anni di differenza, io sono la maggiore, nonché erede di una grande famiglia di avvocati, i Langdon. Io ho seguito le orme di mio nonno e di mio padre, mentre mia sorella ha preferito dedicarsi alla moda e rilevare un atelier per signore in un elegante quartiere residenziale di New York, poco distante dalla villa in cui siamo nate e cresciute. Eh sì: tre anni fa non ero che un’avvocatessa alle prese con un duro tirocinio nello studio di un amico di famiglia, Mitchell Coleman, avevo poche ore disponibili per dedicarmi alla mia vera passione, il sax tenore ma, quando riuscivo, raggiungevo di nascosto il Blue Valentine, un locale in periferia, indossavo una parrucca e, da Francesca Helen Langdon, diventavo Funny Ginger. Ero ammirata da tutti, il Blue Valentine aveva clienti importanti come avvocati, notai, medici, giuristi, politici, attori, giornalisti, imprenditori e commercianti, ero spensierata e non avrei mai immaginato di trovarmi, di lì a poco, in grave pericolo e dover rivedere la mia vita. Fortunatamente, la tempra di mio nonno e quella di mio padre mi hanno lasciato un segno per cui, quando ho incontrato Julian, non ho esitato a seguirlo. La nostra storia? Beh, penso che sia una delle più affascinanti della mia epoca, vale la pena raccontarla dall’inizio, soprattutto dal momento in cui ci siamo conosciuti.

    Una sera di maggio ero al locale, intenta a suonare un pezzo molto acclamato dai clienti: a un tratto, tra la folla, è spuntato un uomo molto alto, bruno, con leggeri baffetti accompagnati da un pizzetto fine sotto al mento appuntito. Lui mi ha guardata intensamente e mi ha sorriso, io ho ricambiato per gentilezza e lui si è fatto largo tra la gente che accalcava il locale per sedersi al tavolino di fronte alla mia postazione e fissarmi con più decisione. Incuriosita da questo comportamento, appena ho finito di suonare sono scesa dal palco e mi sono avvicinata, intenta a chiedergli per quale motivo mi stesse fissando così, ma lui mi ha preceduta, parlando per primo:

    - Complimenti per l’esibizione, miss Langdon! – La sua voce era melliflua, bassa e pacata.

    - Voi mi conoscete? Scusatemi, non ricordo di avervi mai incontrato ma, sapete, vedo sempre tanta gente…

    - No, voi non mi avete mai visto, ma io conosco voi o meglio, conoscevo vostro nonno Robert, che ha difeso mio padre in tribunale quindici anni fa. Il mio nome è Julian Greathead, lieto di conoscervi.

    - Il piacere è mio, mister Greathead!

    - Julian, vi prego! C’è un motivo per cui sono qui: si tratta di lavoro, mi è spiaciuto disturbarvi al locale ma, purtroppo, è una questione troppo delicata per recarmi nel suo studio, so che voi lavorate in casa e preferirei non coinvolgere vostro padre, meno persone sono a conoscenza di ciò che sto per raccontarvi e più saremo al sicuro da involontarie fughe di notizie.

    - Mr Greathead, pardon, Julian, voi siete male informato: io non lavoro in casa con mio padre, al momento, ma sono tirocinante presso lo studio dell’avvocato Coleman.

    - Ah, capisco… - intanto si toccava nervosamente il pizzetto con le due dita – beh, in tal caso allora non è stato un male venire fin qui, l’avvocato Coleman per me è un perfetto sconosciuto, non vorrei che venisse a conoscenza di ciò che ho da dirvi, miss Langdon. Voi vi chiederete perché vi abbia scelta, giusto? Ecco, diciamo che avevo molta stima di Langdon quando era in vita, in più di voi mi ha parlato molto bene una nostra amica comune, Isabella Mc Farland.

    - Isabella?!? Lei conosce la mia governante? – Sono trasalita.

    - Certo, noi irlandesi ci conosciamo tutti! – Il suo sorriso si è allargato, illuminandogli il volto.

    Per farla breve, dopo dieci minuti sono andata in camerino, mi sono cambiata e sono uscita dal locale. Julian mi aspettava fuori, appoggiato alla sua Cadillac, col sigaro in bocca e un lungo impermeabile nero slacciato. Alla luce fioca delle lampade del Blue Valentine, non mi ero accorta di quanto fosse affascinante quel ragazzo: spalle larghe, fisico asciutto e occhi scuri che diventavano ambrati alla luce. Mi stava aspettando placidamente, i suoi gesti non tradivano alcun segno di nervosismo e questo mi ha dato subito sicurezza.

    - Tutto a posto? – Mi ha chiesto, fissandomi negli occhi.

    - Certo, possiamo andare! Conosco un posto, non molto lontano da qui, dove potremo parlare con molta discrezione, diciamo che è la dependance della mia casa. Le chiavi sono in mio possesso e in quello di mia sorella, ma lei a quest’ora dorme perché alle nove del mattino apre il suo atelier, non ci disturberà affatto!

    - D’accordo!

    In pochi minuti abbiamo raggiunto la mia dependance e, fatto accomodare Julian sulla mia poltrona di velluto rosso, gli ho offerto da bere, ma lui aveva più voglia di parlare che di rilassarsi con un whisky invecchiato.

    - Miss Langdon, mi scusi se l’ho fatta venire qui di notte, parlando da soli nel buio, ma ho potuto conoscere nei dettagli il problema solo nelle ultime ore e, come ben saprà, non si può informare nessuno di qualcosa se prima non ci si documenta a fondo sulla veridicità della notizia, le pare?

    - Naturalmente, Julian! La prego, però, mi chiami solo Francesca, miss Langdon fa tanto maestrina e io sono decisamente anticonformista, bando ai convenevoli! Dal momento che qui siamo solo io e lei, anzi, le sembrerà sfacciato, ma vorrei cominciare a darle del tu…

    - Non c’è alcun problema, Francesca! Veniamo al sodo, ora: conoscevi una certa Daphne Carter?

    - Sì certo, era la sarta che aveva in gestione il negozio di mia sorella prima che lo comprasse Charlotte! Poveretta, è stata trucidata senza pietà dal fidanzato geloso. Ventisette coltellate, se non sbaglio… della difesa dei genitori se ne occupò mio padre, poco dopo la morte di mio nonno.

    - Esattamente, il tuo riassunto è preciso! Abbiamo motivo di credere, però, che al momento dell’assassinio sia stato presente anche un complice, una persona molto in vista a New York che aveva rapporti di lavoro con Sebastian Andersen, unico indagato e condannato.

    - Un…complice?!? Come un complice? Fecero accuratissime indagini all’epoca, addirittura si utilizzò un nuovo metodo investigativo molto più preciso delle porcate moderne, copiato dal metodo degli agenti di Scotland Yard a Londra. E poi, tu come fai a sapere queste cose?

    - Francesca, siediti! Dovrò raccontarti tutto dall’inizio e, credimi, non sarà facile da spiegare.

    Ho obbedito al suo comando, sedendomi nella poltrona accanto alla sua. Cominciavo ad agitarmi, in fondo Daphne è sempre stata un’amica intima di Charlotte, hanno frequentato l’oratorio e le attività della chiesa insieme, da adolescenti, cantando anche nel coro così, quando è morta, Charlotte si è chiusa in un ostinato mutismo per settimane, finchè non hanno arrestato Sebastian. A braccarlo e mettergli le manette è stato Ernest Oliver, un commissario di Polizia giovane e coraggioso che ha conquistato senza fatica il cuore di Charlotte e, da allora, i due si sono fidanzati, sposandosi l’anno successivo alla storia. Tornando a quella sera di tre anni fa, Julian mi ha raccontato di essere un investigatore privato al soldo di Josephine Carter-Majors, sorella di Daphne, una donna molto ricca sposata a un senatore, la quale non ha mai creduto alla storia della gelosia di Sebastian e si è sempre battuta per scoprire la verità sulla morte della sorella. Julian e Josephine erano appena riusciti a scoprire che Sebastian, poche settimane prima dell’omicidio, era stato assunto come guardiano notturno per una ditta produttrice di fuochi artificiali e polvere da sparo e che, forse, uno dei suoi colleghi stava infastidendo Daphne, ecco spiegato il movente della gelosia. Ciò che non si spiega è il perché Sebastian non abbia fatto fuori il suo collega, anziché la fidanzata, ed è per questo motivo che la vicenda presenta ancora dei lati oscuri, sebbene il caso sia stato chiuso lo scorso anno dopo un processo che ha portato alla condanna a morte del condannato.

    - Sebastian Andersen verrà giustiziato fra un mese, c’è poco tempo ma dobbiamo scoprire a ogni costo il colpevole! – Julian ha cambiato improvvisamente tono, sembrava preoccupato.

    - Scusa Julian, ma io che c’entro? Per quale motivo sono stata interpellata? Mi sembra un caso giudiziario sì complesso, ma non certo meno risolvibile di tanti altri!

    - Non posso ancora spiegartelo, lo vedrai coi tuoi occhi domattina! Ora scusami, ma devo rincasare… sai, si è fatta una certa, tra poco sarà l’alba e vorrei dormire qualche ora prima di riprendere servizio!

    - D’accordo, vediamoci domani a mezzogiorno al Café Rousse, per colazione!

    - Va bene, ci sarò! Buonanotte, Francesca!

    In breve tempo, Julian è uscito da casa e si è allontanato nel cuore della notte, non prima di avermi lasciato sul tavolino un biglietto ripiegato in cui c’era scritta questa frase: IL MURO DI GOMMA HA UNA PICCOLA CREPA., in pessima grafia. Che significato avesse, l’ho scoperto solo dopo.

    ***

    Il sole splendeva altissimo nel cielo, quel martedì, e faceva davvero caldo per essere una mattinata di fine maggio. Stava arrivando mezzogiorno e io, con una scusa, ho lasciato lo studio dei Coleman per raggiungere il Café Rousse, dove mi attendeva Julian. Per l’occasione, ho indossato un abito cucito da mia sorella, un tailleur giacca e gonna color ciclamino che adoravo, mentre Julian aveva una camicia bianca, a righe sottili e azzurre ben inamidata e pantaloni blu, perfettamente stirati. I casi erano due: o era sposato, o vive ancora in famiglia, dove una bravissima governante si prendeva cura di lui. Ben presto, notando che non aveva la fede al dito, ho capito che la sua servitù era ineccepibile.

    Julian, l’ho notato osservandolo alla luce del giorno, era dotato di un fascino non comune: non era il classico bell’uomo, quello da romanzo alla Jane Austen, ma la profondità del suo sguardo indagatore, con quegli occhi scuri che si illuminavano diventando ambrati al primo raggio di sole, mi metteva soggezione. Non ho capito da subito il motivo per il quale, guardandolo, non riuscivo a fissarlo a lungo negli occhi, ma sedendomi accanto a lui un brivido mi ha attraversato la schiena, e mi sono irrigidita. Julian ha notato immediatamente questo gesto.

    - Tutto bene, Francesca? Ti senti a disagio?

    - Sì tutto a posto, grazie! Disagio? No, figurati, è che…

    - Cosa? Ti dà fastidio che io ti fissi? Posso guardare altrove, se vuoi, ma è un po’ difficile parlare senza guardarti in faccia, soprattutto perché hai due occhi bellissimi! – Ha sorriso.

    - G-grazie, Julian! S-scusa, ma… preferirei ascoltare ciò che mi devi dire, scusa, ho poco tempo, davvero, m-mi dispiace…

    - Ok, ti ho messa in imbarazzo! Va bene, parliamo del caso, ma prima… potrei verificare una cosa? Vorrei vedere la tua stella pentacolo, se non ti dispiace!

    - La… la mia… la mia cosa?

    - So tutto sulla tua stella, vorrei solo accertarmi di una cosa, fidati di me!

    Solo mio nonno, mia sorella Charlotte e Isabella, fino ad allora, sapevano che indossavo sempre uno strano ciondolo a forma di stella: me lo aveva regalato mio nonno poco prima di iscrivermi all’università convincendomi, con una frase a dir poco sibillina, che un giorno quel pendente mi avrebbe protetta da eventuali rischi. Io ero restia ad accettare quel regalo, in virtù del fatto che non credevo che un gingillo argentato potesse davvero proteggermi, poi credere a simili fandonie non era una cosa che si addiceva molto a un’ereditiera dell’upper class newyorkese, ma mio nonno mi ha obbligata e io sono stata costretta a ubbidire.

    - Lo sapevo! Sapevo che tuo nonno aveva visto giusto! Lui è stato il primo a confidarmi di averti omaggiato di questa stella, perché aveva saputo che tu eri destinata a seguire le orme della famiglia e, prevedendo che ti saresti trovata nei guai, ha voluto farti un enorme regalo, prima di morire! Scommetto che la porti sempre al collo, vero?

    - Sì, ce l’ho! Tu sai cosa rappresenti questa stella pentacolo, vero? Me lo puoi spiegare?

    - Ma certo! Vedi, la stella è importantissima nel simbolismo esoterico… ti sei mai chiesta dove si dirigesse tuo nonno quasi ogni sera, dopo che voi bambine eravate andate a letto e tua nonna si fermava a cucire con tua madre e Isabella?

    - Quante cose sai sulla mia famiglia? – Il mio respiro cominciava a diventare affannoso.

    - Molte più di quante ne sappia tu, temo… - Dopo averlo detto così, ha acceso un sigaro, cominciando a fumare lentamente e aspirando ogni boccata con aria cupa e pensierosa.

    - Allora sei pregato di raccontarmele, mi sto spaventando!

    - Scusa, non è mia intenzione spaventarti, voglio solo avvisarti dei pericoli a cui potresti andare incontro senza una protezione di questo tipo, tutto qui! Vedi, tuo nonno Robert era a capo di un potentissimo studio legale, il più noto in città, e aveva dei clienti… beh… tra loro c’era mio padre, che di professione era uno stimatissimo medico e ha conosciuto tuo nonno in una di queste serate…

    - Dove si svolgevano? Che tipo di serate erano?

    - E va bene, te lo dirò: tuo nonno e mio padre erano degli alchimisti! – Mi fissava dritto negli occhi, serio, con le pupille dilatate e le mani sui miei polsi.

    - AH AH AH AH AH AH! Oddio ma cosa dici?!? Gli alchimisti sono estinti da secoli! Tu devi essere pazzo, per cortesia! – Sono scoppiata a ridere senza capire la gravità della cosa.

    - No, tu devi ascoltarmi, devi farlo! Francesca, sono serio, ti pare che possa scherzare su tuo nonno?

    - Tu devi essere pazzo, lasciami!

    Sono scappata via correndo, col cuore in gola per la paura. Un uomo misterioso che mi viene a cercare di notte nel locale dove suono, mi dice che ha un’importante notizia da comunicarmi, sa molte cose sulla mia famiglia e su mio nonno e poi si inventa che lui e suo padre erano degli alchimisti? Ma che dice? Una cosa era certa: non potevo rimanere ad ascoltarlo, non nello stato di agitazione in cui ero! Mi sono dovuta ricredere, però, perché appena uscita dal bistrot una motocicletta ha tentato di investirmi, dandomi un contraccolpo così forte da farmi cascare in terra gambe all’aria.

    _ Francesca!!! Per l’amor del Cielo, Francesca, stai bene? – Julian è immediatamente uscito per soccorrermi, mi ha tirata su prendendomi in braccio con molta delicatezza. Dio mio, non avevo ancora sentito il suo profumo così vicino a me, com’era avvolgente, caldo… in pochi secondi, il nulla!

    Mi sono risvegliata mezz’ora dopo, ero in una stanza avvolta dalla penombra, molto ampia, adagiata su un soffice letto matrimoniale a baldacchino con lenzuola bianche di seta. Subito mi sono guardata per vedere se ero nuda, se Julian avesse abusato di me, invece ero quasi del tutto vestita, mancava solo la giacca, appoggiata ordinatamente su una poltroncina accanto al letto, e le scarpe, messe sul tappeto che ricopriva il parquet. Ero piuttosto intontita e, quando mi sono svegliata per bene, mi sono guardata intorno con molta curiosità: la camera era composta da un gigantesco armadio scuro e da un altro mobile dotato di uno specchio; in fondo, c’era solo una cassapanca piuttosto ampia, mentre il letto, il comodino e la poltroncina occupavano quasi la metà della superficie della stanza. Sul comodino c’erano un bicchier d’acqua e un biglietto per me, con scritto: Francesca, sei nella mia stanza degli ospiti. Quando ti risveglierai, troverai un po’ d’acqua e, aprendo il comodino, la prova che io non sto mentendo. Io sono in città a comprare da mangiare, in casa ci sono solo una governante e un maggiordomo, spero che tu decida di essere mia ospite a cena. Julian..

    Il cuore ha cominciato a battermi alla velocità della luce e non capivo il perché. Sul mobile con lo specchio c’era un telefono, dovevo almeno avvertire che non sarei rientrata per cena, altrimenti i miei genitori si sarebbero preoccupati. Dall’altro lato del telefono c’era Isabella.

    - Isabella, che fortuna! Proprio te cercavo, devo chiederti assolutamente un paio di cose!

    - Piccola miss, che succede? Ti senti bene?

    - Sono… sono a casa di Julian Greathead! Non so bene cosa stia succedendo, ma… temo che non potrò tornare per cena, si tratta di lavoro e…

    - Julian? Hai detto Julian Greathead? Benedetto il Cielo, mia cara ragazza, ti ha trovata! Oh, come sono contenta! Piccola miss, non darti pensieri, fidati sempre ciecamente di quel ragazzo, scommetto che ti ha già raccontato di tuo nonno, vero?

    - Beh… veramente no! Non ha fatto in tempo, perlomeno! Uscendo dal Café Rousse un pazzo in motocicletta ha tentato di investirmi e io sono cascata in terra e poi svenuta dallo spavento!

    - Oh Signore, sei stata fortunata ad aver trovato Julian, allora! Significa che loro sono già qui, ti devi proteggere! Cara, forse è meglio che stanotte non rincasi, e domattina ti mando Charlotte, i tuoi genitori sono già informati, scusa ma ora non posso proprio spiegarti, cara, ci vediamo domani, buona serata! Fidati di me, mi raccomando! E di Julian!

    Ha riattaccato. Dopo aver parlato con Isabella ero ancora più confusa: cosa c’era di così segreto nella mia famiglia da mettere in pericolo Charlotte e me? Cosa c’entrava Julian e, soprattutto, perché questo avrebbe dovuto riguardare l’omicidio di Daphne Carter? Come colta da un raptus, ho aperto di corsa il cassetto del comodino e, trovato un cofanetto, vi ho curiosato alla ricerca di indizi, ero invasata e decisa a scoprire tutto! Risultato? Ho trovato una lettera, scritta di proprio pugno da mio nonno e indirizzata a un certo Maxwell Scott Greathead, probabilmente il padre di Julian.

    Mio caro amico Maxwell,

    Sono costernato nell’apprendere la notizia della prematura scomparsa della tua adorata moglie Sophie, non oso immaginare quanto sia grande il dolore per te, Julian e Charisse in questo momento. Purtroppo, oltre a porgerti le mie condoglianze, sono costretto a scriverti per un motivo che non ti piacerà affatto, ma è un discorso che, prima o poi, dovremo affrontare in una delle nostre riunioni. Temo di sapere come è morta tua moglie, ma dobbiamo vederci per parlarne di persona, anche perché Paul non sarà tranquillo finchè non li avremo braccati, e tu sai quando Paul soffra quando comincia ad avere degli incubi su Ammit e, soprattutto, sul cosiddetto Signore di Avalon. Per favore, sarò fuori città fino al giorno 21, spediscimi un telegramma appena possibile, ho paura che Sophie abbia incontrato Lord Rawbeck quella sera, i segni sul collo corrispondono a ciò che noi sappiamo, e non ai morsi di un cane molto feroce, come li ha descritti il medico legale. Un abbraccio a Julian e Charisse.

    Robert

    Mi sono toccata il collo per sentire se, per caso, avessi ancora il ciondolo. Era lì, per fortuna, al suo posto, più splendente che mai, ma ancora non avevo notato l’anello che portavo all’anulare! Cosa ci faceva un anello con un rubino al mio dito? Mi stavo facendo troppe domande, avevo deciso che era giunto il momento delle risposte!

    Sono uscita dalla stanza e ho sgranato gli occhi, spalancando la bocca in una smorfia di stupore: ero all’interno di una villa enorme! La stanza in cui mi trovavo era al centro di un lungo corridoio pieno di porte e, di fronte a me, si apriva in due parti una lunga scalinata, con la tappezzeria sugli scalini tirata a nuovo. Ho preso la rampa di destra e ho raggiunto la hall, dove mi attendeva la governante.

    - Buon risveglio, miss Langdon! Io sono la governante di casa Greathead, mi chiamo Loretta. Per qualsiasi necessità, non esitate a chiedere di me, vi prego! Posso fare qualcosa per voi?

    - Grazie, Loretta, vorrei sapere quando rincaserà il padrone, vorrei ringraziarlo per la gentile ospitalità e per il soccorso prestatomi in seguito all’incidente.

    - Il padrone è nella stalla, in questo momento. Sta accudendo Beatrix, il suo cavallo. Miss Langdon, vorrei informarvi che siete stata visitata dalla dottoressa Charisse, la sorella del padrone, e che vi trovate in perfette condizioni di salute. Purtroppo, la dottoressa si è dovuta assentare a causa di un parto imminente, per cui non ha fatto in tempo ad assistere al vostro risveglio, ma ha promesso di essere presente alla cena insieme a suo marito, il conte Paul LeMonde.

    - Io visitata? Non mi sono accorta di nulla! Grazie, Loretta! Credo che attenderò l’arrivo del padrone su questo divanetto. A proposito, potrei avere una tazza di thè? Ho notato che l’orologio segna le cinque, ormai…

    - Il thè verrà servito in salotto tra meno di dieci minuti, miss Langdon! Il padrone ha dato disposizioni precise in merito, non vi preoccupate! – Detto questo, mi sorrise e se ne andò.

    Mi sono seduta sul divanetto e, di lì a breve, è arrivato Julian, vestito di una camicia bianca leggermente sbottonata, pantaloni neri e stivaloni da stalla. Mi ha sorriso immediatamente, poi si è seduto accanto a me guardandomi la fronte e tenendomi la mano.

    - Stai bene? Ero preoccupato per te, non potrei mai perdonarmelo se ti accadesse qualcosa!

    - Perché? L’hai forse promesso a mio nonno?

    - Sì, lui ha trovato l’assassino di mia madre e gli ha assicurato una degna morte, non gli sarò mai sufficientemente riconoscente. Purtroppo, devo continuare io l’opera di mio padre, perché anche lui se n’è andato precocemente, non ha retto senza l’amore della sua vita.

    - Ho parlato con Isabella al telefono, mi ha praticamente costretta a non rincasare questa notte, mi ha invitata a fidarmi di te e ha fatto riferimento a mio nonno. Posso finalmente sapere cosa sta succedendo?

    - Arrivati a questo punto, tanto vale attendere la cena di questa sera: incontrerai mia sorella Charisse e mio cognato Paul, loro ti spiegheranno come stanno realmente le cose. Immagino che tu abbia letto la missiva che tuo nonno spedì a mio padre quando mia madre venne uccisa, avrai notato il riferimento a Paul, vero?

    - Certo, così come ho notato questo anello al mio dito! Posso sapere perché ce lo hai messo?

    - Quello è il mio anello, perlomeno l’ho creato io. Sai, sono un appassionato di gioielli, trovo che l’alchimia sia affascinante, perciò per diletto faccio l’orafo e omaggio sempre i miei ospiti con un regalo creato da me. Questo anello, però, è uguale al mio: non posso spiegarti ora il perché ma devi tenerlo, è molto importante!

    - Cosa dovrei fare io?!? – Il cuore batteva all’impazzata, sudavo freddo.

    - Temo che, ora, non potresti capire. Te l’ho detto, non essere impaziente, attendi la cena di questa sera, capirai molte cose. Intanto, per stanotte ti sistemerai nella stanza degli ospiti, dentro l’armadio troverai la biancheria di Charisse, finchè non arriverà Charlotte domattina con le vostre valigie non sarà possibile recuperare i tuoi vestiti, è importante che l’uomo che ha cercato di investirti creda che tu sia in ospedale, lì non potrà farti del male!

    - Tu lo conosci? Ha già provato a fare del male a te?

    - Purtroppo sì, credo sia lo scagnozzo di Lord Rawbeck, l’assassino di mia madre! Non ha ancora terminato di perseguitare la nostra famiglia, nemmeno da morto!

    - Quindi questo Lord Rawbeck ha qualcuno in città che vuole vendicarlo e accanirsi su di te e su di me, solo perché siamo parenti di chi l’ha fatto uccidere?

    - La questione è più complessa ma, riassunta, direi che è esatta! Beh, credo che tu ora voglia darti una sistemata, perlomeno fare un bagno, chiederò a Loretta di venirti a dare una mano al piano di sopra, che ne dici? Poi potrai indossare un abito di Charisse, se vorrai!

    - Va bene, allora ci vediamo per cena. – Gli ho sorriso e sono salita al piano di sopra…

    Dopo un meritato bagno, ho deciso di seguire il consiglio di Julian e indossare un abito di Charisse. Alle sette in punto, ero pronta per scendere le scale, con un abito lungo, sinuoso sui fianchi, color verde, l’ideale per il mio fisico longilineo. Il verde fa risaltare moltissimo i miei capelli rossi e miei occhi scuri, per questo l’ho scelto per presentarmi a persone che ancora non conoscevo e, in particolar, modo, per stupire Julian. Nel frattempo, anche lui si era cambiato e mi aspettava nella hall, con un elegante completo da sera e un papillon.

    Appena mi ha scorta dalle scale, ha spalancato gli occhi in segno di stupore, credo di poter dire con certezza che abbia esclamato: Mamma mia! o qualcosa del genere, ma il gesto che mi ha fatto venire un brivido lungo la schiena è stato quello del baciamano. Non aveva ancora proferito parola fino ad allora, poi si è avvicinato, mi ha preso la mano dove brillava il suo anello e mi ha sussurrato che ero meravigliosa. Il mio cuore si è tuffato, poi fermato, ho cominciato a tremare e l’ho seguito per inerzia fino alla sala da pranzo, dove già ci attendevano Charisse e Paul, Loretta e il maggiordomo Phoebus, pronto a servire la cena.

    - Francesca, ti presento mia sorella Charisse e mio cognato, il conte Paul LeMonde.

    - Sono lieta di fare la vostra conoscenza, conti LeMonde.

    - Vi prego, miss Langdon, chiamatemi Charisse! – La sua voce era squillante, da adolescente.

    - Va bene, Charisse! Vorrei ringraziarvi per avermi visitata, questo pomeriggio. Loretta mi ha informato delle mie buone condizioni di salute, ne sono sollevata. Ah, chiamatemi Francesca!

    - Lo farò! Vedete, sono un medico, esercito da poco, ma è mio dovere occuparmi di chiunque abbia bisogno. Appena mio fratello mi ha informata del suo arrivo, mi sono precipitata a sincerarmi delle vostre condizioni, è importante che non vi accada nulla di male…

    Paul era stranamente silenzioso. Durante le presentazioni e i convenevoli di rito, non aveva fatto altro che accennare un timido sorriso e biascicare qualche breve parola, mentre durante la prima parte della cena sembrava l’ombra della moglie, stava sempre appiccicato a lei, guardava negli occhi solo lei e, a un tratto, ha fatto una cosa che ho ritenuto molto strana: al momento di servire la seconda portata, un delizioso tacchino arrosto, Paul lo ha rifiutato, preferendo non mangiare fino all’arrivo del dolce, una torta alla crema preparata da Loretta.

    - Francesca, tutto bene? – Charisse mi stava fissando, mentre Julian era distratto dal tacchino.

    - Certo, tutto bene! Conte LeMonde, non gradite il tacchino? – Gli ho sorriso timidamente.

    - Non mi piace il tacchino, a dire la verità non posso mangiare molta carne, non la tollero!

    - Sapete, mio marito è cagionevole di salute, dovete scusarlo ma questa sera ha l’emicrania.

    Detto ciò, Paul sembrava innervosirsi, ha chiesto scusa a tutti e si è ritirato in una stanza al piano terra, che poi ho scoperto essere una camera per la servitù. Strano, per un conte, accontentarsi di riposare in un luogo così dimesso!

    Ho guardato Julian, e lui ha guardato me, poi si è alzato da tavola e si è messo a fumare sul terrazzo mentre Charisse, sempre più nervosa, si torturava la fede nuziale levandosela e rimettendosela con gesti frenetici. Ho preso io la parola per prima:

    - Cosa sta succedendo?

    - Oh, Francesca, non potete nemmeno immaginare in quale guaio siamo capitati! Julian vi ha già accennato qualcosa, vero? Vi ha parlato di Lord Rawbeck, il Signore di Avalon, e del fatto che abbia ucciso nostra madre, anni fa?

    - Sì, e mi ha anche detto che mio nonno Robert ha contribuito ad assicurargli una degna fine per questo orribile gesto!

    - Vostro nonno è stato un eroe: quando mia madre Sophie è stata assassinata, Lord Rawbeck si era da poco trasferito nel quartiere, ma il signor Langdon ha capito immediatamente quanto fosse pericolo. Era un personaggio alquanto strano: di giorno non si vedeva mai, al tramonto faceva aprire le imposte dal suo maggiordomo… Cielo, quell’uomo ancora mi mette i brividi! Era un energumeno dall’aria spaventosa, quel Montgomery, con gli occhi di bragia e un

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