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Milva Punch e il fantasma del mago
Milva Punch e il fantasma del mago
Milva Punch e il fantasma del mago
E-book278 pagine3 ore

Milva Punch e il fantasma del mago

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Info su questo ebook

Una spaventosa minaccia incombe sull’Asflofaunottario di Pineappleplant ma nessuno sembra accorgersene. Milva e i suoi amici conoscono animali magici dalle virtù straordinarie, si travestono da fantasma, soffrono le pene d’amore e vengono colpiti da una bizzarra malattia. Ma Milva è sola quando scopre la terribile verità sui misteriosi fenomeni che si sono susseguiti durante l’anno. Età di lettura: da 8 anni.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2016
ISBN9788892617841
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    Anteprima del libro

    Milva Punch e il fantasma del mago - JESSICA SARTORI

    Aguilera)

    Capitolo 1

    Ritorno a Pineappleplant

    Per poco più di un anno, non sognai più il magico mondo di Milva Punch benché tenessi gli occhi aperti, si fa per dire, cercando di cogliere, nel sonno, ogni tenue sfumatura, leggero profumo od evanescente appiglio che mi riconducessero sotto l’ulivo verde del condominio rosa, da dove tutto aveva avuto inizio.

    Quella notte, sarebbe stato un biennio esatto dalla data del mio primo viaggio a Pineappleplant.

    Bevetti un bel bicchiere di acqua e mi ficcai sotto le coperte. L’ultima cosa che feci, prima di spegnere la luce, fu quella di guardare il calendario appeso al muro.

    Poi, la stanza piombò nel buio.

    Eppure, io continuai a vedere un calendario.

    L’ultima crocetta segnata occupava la sessantune-sima casella del mese di agosto.

    Una tenue luce filtrava dalle ante socchiuse di una camera che non avevo mai visto prima. Quando i miei occhi si abituarono alla semioscurità, fili di rame, morbidi come la seta, catturarono la mia attenzione. Sembrava attraessero la flebile luce come un potente magnete fa con le pagliuzze di ferro.

    Milva Punch stava dormendo tranquilla.

    Un’altra ragazza dormiva nel letto adiacente al suo. Una fitta rete di lunghi capelli neri sembravano disegnare, sul cuscino, le anse descritte in una valle da un poderoso fiume e dai suoi affluenti. Una curiosa piantina russava, adagiata sulla federa rosa. Erano Charlene e Dita.

    «Milva? Charlene?» chiamò una voce, proveniente dal corridoio.

    Le ragazze si svegliarono. Charlene si trascinò, ciondolando, fino alla finestra.

    «Buongiorno, Milva» biascicò mentre tentava di aprirla.

    «’Giorno» rispose Milva, avvicinandosi a Charlene per darle il suo aiuto.

    Spalancarono insieme le ante. Charlene si mise una mano davanti agli occhi, per difenderli dall’accecante sole di agosto. Dita balzò sulla finestra, agile come un gatto, ingorda di caldi raggi. Sembrò allungare le foglie per stiracchiarsi.

    «Entra Efrem!» gridò Charlene, in direzione della porta.

    «Buongiorno, ragazze!» esordì Efrem, con voce matura, entrando nella stanza.

    Aveva l’espressione raggiante di un mago che ha appena tirato fuori un coniglio dal cilindro. Un mago con una chioma estremamente folta e spettinata, per la precisione. Stranamente, Efrem indossava una maglietta della sua misura.

    Il ragazzo rimase colpito dall’incredibile stato confusionario della camera di Charlene. Persino nel ripostiglio delle scope ci sarebbe stato più spazio.

    «Anche tu ti sei chiesto come sia possibile che tutto questo caos entri in questa piccolissima stanza?» gli chiese Milva, divertita, guardandosi attorno.

    Charlene si limitò a guardarli e a sbadigliare sonoramente. Dita scosse le fronde, in segno di disapprovazione.

    La camera di Charlene era decisamente gialla, di un giallo sgargiante che metteva allegria. Era di dimensioni esigue ma era colma di oggetti che, a prima vista, era ardua impresa identificare.

    Inoltre, per fare spazio al letto dove aveva dormito Milva in quei giorni, Charlene aveva accatastato cannocchiali, libri, calzini a righe, cuffie per le orecchie, gufi di legno, candele, vasi, scarpe, epipistelle, pattini scivolanti, cappelli di lana, palloni e pacchetti di caranimelle a ridosso dell’armadio e, per arrivare alla scrivania, bisognava attraversare i due letti.

    Milva ricordò in quel momento che, durante la notte, Charlene, girandosi nel sonno, le aveva stampato una mano sul viso e le aveva assestato un dito indice tra le costole, pronunciando una frase del tipo: fai tacere quel pesce rosso!.

    Milva fece una smorfia, toccandosi il fianco destro. Si accigliò solo un attimo, guardando la sua amica.

    «Abbiamo preparato la colazione. Tua mamma mi ha detto di svegliarvi che tra poco si parte per Pineappleplant!» continuò Efrem, entusiasta.

    «Mm» mugugnò Charlene, dirigendosi in bagno con i vestiti in mano.

    «Arriviamo subito» tagliò corto Milva, spingendo Efrem fuori dalla porta.

    Dopo dieci minuti, Milva e Charlene scesero le scale, dirette in cucina. Le valige fluttuarono in ordine, vicino alla porta d’entrata.

    «Alla buon’ora, mie care!» le salutò la signora Dibidì. «Caffelatte o te?» continuò mentre Milva e Charlene si sedevano a tavola.

    La teiera, la moka ed il bricco del latte le stavano sospesi dinnanzi, aspettando la risposta delle ragazze.

    «Caffelatte, grazie» risposero Milva e Charlene.

    Moka e bricco fecero a gara per versare il loro contenuto nelle tazze, riempendole fino all’orlo.

    «Anche per me, per favore» biascicò Efrem, con la bocca piena, prendendo due manciate di biscotti.

    Anche la capiente tazza di Efrem fu riempita, fino all’orlo.

    Milva si chiese se quella moka e quel bricco avessero un fondo. Dovette avvicinare le labbra al bordo della tazza per non spargere il caffelatte sulla tovaglia. Charlene non fu altrettanto attenta.

    La signora Dibidì, quella mattina, aveva tra i capelli sette mollette per il bucato ma ancora non era riuscita nell’intento di dare ordine a quella massa scura e selvaggia che le cresceva, facendosi baffo di ogni legge fisica, svettando verso l’alto. Portava un vestito giallo rigogolo, senza maniche e degli zoccoli blu cobalto.

    In quella settimana, Milva aveva potuto constatare che, come Charlene, la signora Dibidì non riusciva a tenere a freno la lingua e diceva sempre quello che pensava. Una qualità che Milva apprezzava moltissimo.

    La cucina ed il soggiorno erano una perfetta riproduzione, su grande scala, della testa della signora Dibidì. Torri di piatti impilati sfidavano la legge di gravità, su mensole e ripiani. Biancheria ed indumenti puliti e ben piegati erano suddivisi in pile ordinate dell’altezza di Efrem, che era evidentemente cresciuto ancora, su ogni sedia libera della stanza.

    E sarebbero stati guai se Charlene o suo padre, il signor Paziente Dibidì, avessero fatto notare la cosa alla signora Selvaggia perché lei, prontamente, avrebbe risposto: Non è disordine, è un ordine diversamente organizzato! E se non vi sta bene così, fateveli voi, i mestieri! ed il discorso, immancabilmente, sarebbe finito lì.

    Quello che Milva trovava più buffo era che tutti i cassetti e le ante della cucina fossero vuoti e così pure l’armadio in camera di Charlene. Infatti, ogni sera, Charlene, prima di andare a dormire, prendeva in cucina i vestiti che avrebbe indossato l’indomani, li portava in camera sua e li riponeva, ben piegati, in fondo al letto.

    Bevuto l’ultimo sorso di caffelatte, le tazze si diressero, in fila indiana, verso il lavabo.

    «Va bene, qui ci penso io. Venite a salutarmi, ragazzi!» disse la signora Dibidì, con gli occhi lucidi.

    Charlene la abbracciò a lungo. La signora Dibidì diede un bacio a tutti e tre e li accompagnò alla porta.

    «Dove rapanello è tuo padre? Gli avevo detto che partivi a quest’ora! PAZIENTE!» sbraitò, in direzione del campo davanti a casa.

    Il signor Dibidì era un contadino. La famiglia di Charlene si tramandava un considerevole appezzamento terriero, da centinaia di anni.

    Per questo motivo, quella mattina, per andare a Pineappleplant, avrebbero usato la pianta Grappa.

    La pianta Grappa era un albero molto particolare; non aveva né foglie né fiori. Per l’appunto, sarebbe sembrato un albero morto se non fosse stato per il fatto che, ogni anno, cresceva di qualche centimetro. Solo dal centesimo anno di età, la pianta Grappa produceva dei grossi frutti rotondi e succosi di color arancio, simili ai cachi, che crescevano durante tutte e quattro le stagioni.

    La pianta Grappa si offendeva molto facilmente, quindi, non bisognava mai mangiarne i frutti o anche solo coglierli ed era indispensabile parlarle e raccontarle delle storie allegre.

    Milva, Efrem e Charlene camminarono, fianco a fianco, per un lungo sentiero costeggiato da un vasto campo dorato e perfettamente squadrato da un lato e da un gorgogliante ruscello dall’altro. Chiunque avesse osservato dall’alto la proprietà Dibidì, magari volando con pattini scivolanti, avrebbe sicuramente notato che sembrava una morbida coperta a quadrettoni dai colori vivaci e luminosi.

    Il padre di Charlene li aspettava sotto l’albero secolare. Quella che, a primo acchito, sembrava una spessa cortina di timidezza ed introversione, eretta dall’uomo per non farvi entrare nessuno, con grande piacere di Milva, si era rivelata non essere altro che una corretta e bilanciata mistura di buone dosi di riservatezza, discrezione, tatto e modestia, il tutto farcito da tanta gradita bontà.

    Gli occhi dell’uomo esprimevano orgoglio ed un vago senso di malinconia.

    «Allora buon viaggio! Mi raccomando, Charlene fa la brava» disse, adagiando un bacio, sulla guancia della figlia.

    «Io sono sempre brava!» rispose Charlene, assestandogli un bacio con lo schiocco in piena fronte.

    Efrem issò le valige sulla pianta ed aiutò Milva e Charlene a salire sui rami.

    Allargarono lo sguardo ad abbracciare tutti i campi e l’accogliente casa di Charlene, adagiata nel mezzo come una ciliegia sulla torta.

    Salutarono, ancora una volta, il padre di Charlene e poi Efrem guardò negli occhi le due ragazze ed annuì.

    Milva si costrinse a non pensare a quanto fosse bello quella mattina. Arrossì leggermente. Efrem le sorrise.

    Si aggrapparono saldamente ad un ramo e contarono fino a tre.

    «Pineappleplant!» gridarono in coro.

    Milva, istintivamente, chiuse gli occhi. Si sentì, improvvisamente, leggera come una piuma, completamente libera dalla forza di gravità.

    Riapparvero, un secondo più tardi, sulla pianta Grappa del giardino di Pineappleplant.

    Milva riaprì gli occhi.

    Erano già arrivati.

    Milva sentiva, in bocca, un piacevole gusto zuccherino, come se avesse mangiato un frutto succoso e maturo. Sulla lingua, trovò un piccolo semino rosso. Sorrise, prendendolo fra le dita.

    «Uacci! È stupendo sparippare!» commentò Charlene, facendo un balzo.

    «Già ma con la pianta Grappa si sparippa solo in compagnia. Non farti venire strane idee, Charlene!» la ammonì Efrem.

    «Anche perché non ho ancora riacquistato i miei poteri» rifletté Charlene, un po’ delusa.

    «Alla fine di quest’anno, sarai come nuova, vedrai!» parlò Milva, scendendo a sua volta dalla pianta Grappa.

    Efrem l’aiutò, annuendo alle sue parole.

    «Cioè, solo per quanto riguarda i poteri magici, Charlene. Per il resto dovrai fartene una ragione, insomma» concluse Efrem, sconsolato.

    Charlene prese a corrergli dietro, agitando in aria le braccia. Efrem rideva come un matto. Milva li seguì, sorridendo, con le valige al seguito.

    Era stupendo essere tornati a Pineappleplant. Lo sguardo della ragazza spaziò, ghiotto, nel magico giardino. Per tutta l’estate, aveva desiderato tornare all’Asflofaunottario tra i suoi amici e colleghi, per riprendere il lavoro più entusiasmante, interessante ed appagante del mondo: salvare il pianeta.

    Milva era cresciuta. Se non di statura, indubbiamente, era cresciuta in lei quel tipo di bellezza che si legge, negli occhi e nella pelle del viso e nei tratti del corpo e che grazia ogni fanciulla che sta diventando donna.

    Spesso, Efrem rimaneva incantato nel vano tentativo di scovare, nel suo viso, cosa la rendesse così meravigliosa ai suoi occhi e, al tempo stesso, così diversa dalla Milva che aveva conosciuto, due anni prima.

    I tre ragazzi arrivarono ai piedi del grande castello. Sembrava un’enorme costruzione di gelato ricciolo al gusto di burro brillante. Tutti e tre si fermarono ad ammirare, soddisfatti, il grande portone d’entrata dell’Asflofaunottario di Ricerca e Riabilitazione di Pineappleplant.

    Milva era felicissima. Ricordò, con piacere, gli avvenimenti più importanti e divertenti dell’anno precedente, immancabilmente condivisi con Efrem e Charlene. Infatti, il rapporto fra lei ed Efrem, come la sua amicizia con Charlene, si erano rafforzati, giorno dopo giorno.

    Daniel Prezzemolo, confermato capitano della sua squadra di pattinaggio, aveva portato i verdi del secondo anno alla vittoria.

    Isabella Sardella aveva perso un po’ della sua timidezza e Melissa Visconti si era rivelata essere una ragazza simpatica e disponibile.

    L’anno era passato velocemente e senza problemi, a differenza del primo anno di Milva a Pineappleplant durante il quale Melissa era riuscita, con uno stratagemma, a farla licenziare. Con l’aiuto dei suoi amici, Milva era riuscita a dimostrare la sua innocenza ed era stata riammessa per poi dover sconfiggere, tutta da sola, un mostro spaventoso che voleva uccidere lei e distruggere per sempre la Pineappleplant e l’intero Asflofaunottario.

    Durante l’anno appena trascorso, invece, Marco Pigliatutto era riuscito a dichiarare il suo amore a Charlene che era letteralmente caduta dal fico. Infatti, la ragazza si era arrampicata sull’albero, per cogliere un succoso frutto quando Marco, tutto d’un fiato, le aveva detto che il tempo era splendido e che desiderava essere il suo ragazzo più di qualsiasi altra cosa al mondo.

    Nessuno era ancora riuscito a stabilire se la risposta di Charlene fosse stata dettata dalla botta alla testa o da un profondo sentimento d’amore per il bel ragazzo. Comunque sia, Charlene e Marco, da quel giorno, facevano coppia fissa.

    Alla festa delle Torcinere, il direttore Zefiro Lieto aveva invitato il famoso attore Isidoro Libromastro, per il piacere di tutte le rieducande e di tutte le assistenti dell’Asflofaunottario.

    Milva ricordò lo sguardo della burbera vicedirettrice Viola, nel momento nel quale incrociò quello dell’attraente giornottano. Quando le caddero gli occhiali dal naso, Milva, con stupore, poté scrutarne gli occhi da dolce cerbiatta ammaliata. Purtroppo, quando anche Charlene li vide, sbottò con un Ah!, indicando, con un ampio gesto del braccio, il viso rosso della vicedirettrice. Lo spaventoso suono gutturale che scaturì dalla contrariata gola della giornottana costrinse Charlene a catapultarsi, in tutta fretta, dietro ad un tavolo. Milva sorrise al ricordo.

    Charlene, inoltre, aveva istituito un corso serale di recitazione, in un’aula messa a disposizione dal direttore Zefiro Lieto e aveva raccolto la bellezza di cento-settantanove firme per la richiesta di approvazione, da parte dei rieducandi dell’Asflofaunottario, dell’inserimento della materia Recitazione nel programma scolastico. E la richiesta era stata approvata, in pieno, da un entusiasta Zefiro Lieto e, con un po’ meno euforia, da parte della vicedirettrice Viola.

    Quindi, quell’anno, tra le materie di studio ci sarebbe stata anche quella tanto agognata da Charlene. Milva ed Efrem non sapevano ancora chi sarebbe stato il nuovo assistente di Recitazione.

    In quel momento, Milva iniziò a sentire un debole schiamazzo provenire dal folto del bosco, fuori dalla bolla.

    «Stanno arrivando i rieducandi!» disse, raggiante.

    Nello stesso istante, il portone del castello si spalancò. Un saltellante Zefiro Lieto si precipitò fuori, ansioso di incontrare i suoi amati allievi.

    «I miei dispetti, miei cari!» esclamò, piacevolmente sorpreso nel vedere Milva, Efrem e Charlene.

    «Buongiorno, direttore!» recitarono in coro.

    Zefiro Lieto regalò a ciascuno un bacio sulla fronte.

    Charlene corse verso i confini della bolla, verso il lungo serpente di ragazzi che già faceva intravedere la sua testa festante tra le piante.

    Milva ed Efrem la seguirono. Daniel Prezzemolo, Isabella Sardella e Marco Pigliatutto corsero loro incontro. Charlene, purtroppo, spiccò un balzo troppo presto. Marco non riuscì a prenderla in tempo.

    «Ahia!» gridò Charlene prima ancora di cadere, a faccia in giù, nell’erba.

    «Io sono sempre più allibito» dichiarò, sconsolato, Marco, guardando Charlene che era seduta a terra, con un gran broncio.

    «Hai tutta la mia comprensione» lo confortò Efrem, dandogli dei colpetti sulla spalla.

    Milva, ridendo, aiutò Charlene a rialzarsi.

    «Ho sbagliato i tempi» mugolò Charlene, afflitta.

    Milva la guardò, comprensiva. Si ritrovò a darle dei colpetti, sulla schiena, per confortarla. Efrem la guardò, sorridendo.

    I rieducandi del secondo e del terzo anno, nel frattempo, si erano riuniti attorno ad Efrem e a Milva e li tempestavano di domande. Marco prese in braccio Charlene e tutti ripresero il cammino verso il castello.

    Tutti i ragazzi erano eccitati ed il giardino, presto, si riempì di voci allegre e risa.

    Milva notò un ragazzino che, in silenzio, la guardava di sottecchi. Si teneva in disparte e sembrava avesse timore di alzare troppo il viso. A Milva ricordò Daniel quando era arrivato a Pineappleplant due anni prima. Rallentò il passo, cercando di avvicinarsi a lui.

    Non poté far a meno di notare che era molto curato, aveva appena tagliato i capelli ed era vestito di nuovo. Portava una camicetta e dei pantaloni eleganti. Le scarpe stringate erano di ottima fattura. Aveva capelli d’oro.

    «Ciao!» lo salutò Milva.

    Il ragazzino la guardò, intensamente, con due lucenti biglie cerulee, prima di abbassare nuovamente lo sguardo.

    «Ciao» rispose, timidamente.

    «Io sono Milva e sono un’assistente in Ricerca e Sperimentazione. Come ti chiami?» disse Milva, esortandolo a parlare.

    «Luca Rani» rispose, veloce, il ragazzino, mostrando un grande interesse per i suoi stessi piedi.

    Milva pensò che dovesse avere poco più di otto anni. Poi si rese conto che portava uno zaino sulle spalle e se ne chiese il motivo. Tutte le valige dei rieducandi, infatti, venivano fatte volare dalle carrozze, alle rispettive camere del castello, dagli zelanti aiutanti del centro. Probabilmente, serbava gelosamente qualche ricordo dei suoi cari dal quale non voleva staccarsi. Milva sentì crescere in lei una genuina simpatia per Luca Rani. Gli sorrise.

    «Come stai?» le chiese Efrem.

    Milva non l’aveva sentito avvicinarsi e l’improvvisa vista del suo bel viso le fece quasi girare la testa.

    Si chiese come Efrem potesse, con un semplice sorriso, darle un senso di calore al petto, un fugace senso di vertigine ed una destabilizzante ebrezza che la faceva sentire come se stesse, contemporaneamente, sparippando, volando con i suoi pattini scivolanti e gustando una buona fetta di torta al cioccolato fondente.

    «Bene, grazie» rispose, schiarendosi la voce. «Cioè sono felicissima di essere tornata a Pineappleplant! Tu come stai?».

    «Non potrei essere più felice. Ora starai con me fino all’estate prossima!» dichiarò, allegro.

    «Efrem! Sei peggio di una lumaca! Datti una mossa!» sbraitò Daniel, superando Efrem, veloce come un razzo, verso il castello.

    Efrem scattò subito in avanti, seguito dagli altri rieducandi del terzo anno.

    «Tienila tu!» esclamò Marco, scaricando Charlene davanti a Milva, prima di rincorrere Efrem.

    «I ragazzi» disse Charlene, con un sospiro. «Per me rimangono sempre un mistero» confessò, guardandoli correre come un branco di cerbiatti.

    Milva rise, prendendo sottobraccio l’amica. Pensò di essere perfettamente d’accordo con lei.

    Zefiro Lieto li accolse, calorosamente, nell’atrio del castello. Quando Milva e Charlene entrarono, si sentirono catapultate nel bel mezzo di un’attesissima festa. Rieducandi ed assistenti si salutavano e si raccontavano le ultime novità.

    «Bentornati ragazzi!» esordì la vicedirettrice Viola.

    Indossava una rigida camicia bianca ed una lunga gonna a righe colorate. Milva pensò che, da qualche parte, dentro quella severa giornottana, un’amorevole bambina tentava di uscire allo scoperto, manifestando tutta la sua naturale gaiezza, una disarmante spontaneità e tanta voglia di giocare.

    «È il momento di salire tutti nelle vostre camere. I rieducandi del primo anno saranno accompagnati dai rieducandi del terzo anno. Sistemerete le vostre cose e, poi, scenderete in giardino per un pranzo veloce. Avrete il resto del pomeriggio libero. Questa sera, la cena sarà alle otto» concluse la vicedirettrice.

    «Noi siamo attesi nella sala degli assistenti» disse Efrem.

    Il ragazzo era riapparso in fianco a Milva, facendola sobbalzare.

    «Va bene. Ciao, Charlene, a dopo!» salutò Milva.

    Charlene salì le lunghe scale, al fianco di Marco.

    Lo sguardo di Milva andò alla maestosa Pineappleplant e le sorrise. L’atrio si era completamente svuotato. Efrem le prese la mano e la condusse in sala riunioni.

    Tutti gli assistenti erano seduti al grande tavolo. Milva ed Efrem si sedettero vicini alla porta. L’albero, al centro della stanza, era così rigoglioso che copriva parzialmente la visuale.

    Milva sentì una voce femminile nuova, squillante ed armoniosa, provenire dalla parte opposta del tavolo.

    Efrem si irrigidì sulla sedia.

    Subito dopo,

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